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Reti neurali su chip fotonici: calcoli ultraveloci e a basso consumo

Reti neurali su chip fotonici: calcoli ultraveloci e a basso consumoRoma, 28 apr. (askanews) – Realizzare reti neurali estremamente efficienti utilizzando chip fotonici che elaborano segnali luminosi è possibile. Lo ha dimostrato uno studio del Politecnico di Milano, condotto insieme all’Università di Stanford e pubblicato dalla prestigiosa rivista “Science”.

Le reti neurali sono strutture di calcolo distribuito ispirate alla struttura di un cervello biologico e mirano ad ottenere prestazioni cognitive paragonabili a quelle umane ma con tempi estremamente ridotti. Queste tecnologie sono oggi alla base di sistemi di apprendimento automatico e intelligenza artificiale in grado di percepire l’ambiente e adattare il proprio comportamento analizzando gli effetti delle azioni precedenti e lavorando in autonomia. Sono utilizzate in molti campi di applicazione, come il riconoscimento e sintesi vocale e di immagini, i sistemi di guida autonoma e realtà aumentata, la bioinformatica, il sequenziamento genetico e molecolare, le tecnologie di high performance computing. Rispetto agli approcci di calcolo convenzionali, – spiega Polimi – per svolgere funzioni complesse le reti neurali hanno bisogno di essere inizialmente addestrate (“training”) con un’elevata quantità di informazioni note attraverso le quali la rete si adatta apprendendo dall’esperienza. Il training è un processo estremamente costoso dal punto di vista energetico e con il crescere della potenza di calcolo i consumi delle reti neurali crescono molto rapidamente, raddoppiando ogni circa sei mesi.

I circuiti fotonici costituiscono una tecnologia molto promettente per le reti neurali perché permettono di realizzare unità di calcolo ad alta efficienza energetica. Da anni il Politecnico di Milano lavora allo sviluppo di processori fotonici programmabili integrati su microchip di silicio di dimensioni di pochi mm2 per applicazioni nel campo della trasmissione e dell’elaborazione dei dati, ed ora questi dispositivi sono stati impiegati per la realizzazione di reti neurali fotoniche. “Un neurone artificiale, come un neurone biologico, deve compiere operazioni matematiche molto semplici, come somme e moltiplicazioni, ma in una rete neurale costituita da molti neuroni densamente interconnessi, il costo energetico di queste operazioni cresce esponenzialmente e diventa rapidamente proibitivo. Il nostro chip integra un acceleratore fotonico che permette di svolgere i calcoli in modo molto rapido ed efficiente, sfruttando una griglia programmabile di interferometri di silicio. Il tempo di calcolo è pari al tempo di transito della luce in un chip di pochi mm, quindi parliamo di meno di un miliardesimo di secondo (0.1 nanosecondi)”, afferma Francesco Morichetti, Responsabile del Photonic Devices Lab del Politecnico di Milano.

“I vantaggi delle reti neurali fotoniche sono noti da tempo, ma uno dei tasselli mancanti per sfruttarne pienamente le potenzialità era l’addestramento della rete. È come avere un potente calcolatore, ma non sapere come usarlo. In questo studio siamo riusciti a realizzare strategie di addestramento dei neuroni fotonici analoghe a quelle utilizzate per le reti neurali convenzionali. Il ‘cervello’ fotonico – aggiunge Andrea Melloni, Direttore di Polifab, il centro di micro e nanotecnologie del Politecnico di Milano – apprende velocemente e accuratamente e può raggiungere precisioni confrontabili a quelle di una rete neurale convenzionale, ma con un notevole risparmio energetico e maggiore velocità. Tutti elementi abilitanti le applicazioni di intelligenza artificiale e quantistiche”. Oltre alle applicazioni nel campo delle reti neurali, il dispositivo sviluppato può essere utilizzato come unità di calcolo per molteplici applicazioni in cui sia richiesta elevata efficienza computazionale, ad esempio per acceleratori grafici, coprocessori matematici, data mining, crittografia e computer quantistici.

Saccoccia (Asi): in ultimi 4 anni da governo 10,3 mld per lo Spazio

Saccoccia (Asi): in ultimi 4 anni da governo 10,3 mld per lo SpazioRoma, 27 apr. (askanews) – Negli ultimi quattro anni sono stati allocati sullo Spazio italiano oltre 10 miliardi di euro di risorse istituzionali e il budget dell’Agenzia spaziale italiana è aumentato del 250% passando da circa 800 mln a oltre 2 mld e “sarà stabile a valori similari almeno nei 2 anni successivi”. Lo ha sottolineato il presidente dell’Asi Giorgio Saccoccia durante l’incontro organizzato per tracciare un bilancio del suo mandato quadriennale alla guida dell’ASI, iniziato nell’aprile 2019 e che giungerà a scadenza il prossimo 2 maggio.

La maggior parte dei 10,3 miliardi assegnati allo Spazio – non tutti gestiti da Asi perché comprendono anche le risorse Esa e Pnrr – sono andati al settore dell’Osservazione della Terra (2,5 mld) “ritenuto fondamentale anche per i cittadini in tutte le sue declinazioni”; seconda per entità di risorse (1,7 mld) l’esplorazione umana e robotica seguita dal trasporto spaziale (1,5 mld) e servizi di lancio (790 mln), dai nanosatelliti (854 mln), telecomunicazioni e navigazione (842 mln), scienza e ricerca (663 mln). Ultima per entità tra le voci quella relativa alla gestione ordinaria dell’Agenzia (346 mln). Per quanto riguarda l’Asi il budget provvisorio per il 2023 è di 2,2 mld di euro: 110 mln assegnazione ordinaria, 854 mln per attività in Esa, 1.166 mln per programmi nazionali e bi-multilaterali, 153 mln del Pnrr.

Tra le attività di questi anni Saccoccia ha ricordato il lancio di satelliti nazionali o in collaborazione bi-multilaterale al di fuori di Esa: da Ixpe (Asi-Nasa) lanciata nel dicembre 2021 a Lares 2 al nanosatellite ArgoMoon che ha viaggiato sullo Space Launch System per fornire alla Nasa immagini significative a conferma della corretta esecuzione delle operazioni del vettore SLS e all’altro piccolo satellite LICIACube, che “ha viaggiato da autostoppista sulla missione Dart della Nasa che è andata a impattare su un sistema binario di asteroidi” per dimostrare la possibilità di deviarne l’orbita in caso di minaccia. Senza dimenticare i due satelliti della nuova generazione di COSMO-SkyMed “un gioiello italiano che ci individiano”. In ambito Esa poi sono stati lanciati diversi satelliti che hanno visto una forte partecipazione italiana: EDRS-C (Agosto 2019); CHEOPS (Dicembre 2019); Galileo FOC 27 & 28 (Dicembre 2021); James Webb Space Telescope (Dicembre 2021); Meteosat Third Generation (Imager 1) (Novembre 2022) e JUICE (Jupiter Icy Moon Explorer) lanciato questo mese. E il futuro si presenta ricco di programmi che coinvolgeranno il nostro Paese, a cui è destinata una parte importante dei fondi.

Spazio, orto hi-tech Enea per missione marziana simulata Amadee-24

Spazio, orto hi-tech Enea per missione marziana simulata Amadee-24Roma, 26 apr. (askanews) – ENEA parteciperà al progetto internazionale AMADEE-24 in Armenia (5 marzo – 8 aprile 2024), che vedrà impegnati sei astronauti in una simulazione di una missione su Marte e in esperimenti scientifici in diversi settori, tra cui geoscienze, robotica, ingegneria, fattori umani, scienze della vita, astrobiologia.

Nello specifico, ENEA realizzerà l’”orto spaziale” Hort3Space, in collaborazione con Università Sapienza di Roma (S5Lab – Dipartimento di Meccanica e Ingegneria Aerospaziale). Si tratta di un sistema innovativo completamente automatizzato per la coltivazione idroponica di diverse specie di microverdure, dotato di specifiche luci al LED full-spectrum e di un braccio robotico integrato, che sarà allestito all’interno di una camera di coltivazione in una tenda gonfiabile autoportante. Hort3Space – si legge nella notizia pubblicata sull’ultimo numero in italiano del settimanale ENEAinform@ – è stato selezionato perché in grado di sviluppare un impianto innovativo di coltivazione modulare e a contenimento ad elevato livello di automazione che consente di ridurre il carico di lavoro degli astronauti analoghi (ossia quelli che simulano le missioni spaziali sulla Terra) e il consumo delle risorse, aumentare il recupero e il riciclo degli scarti massimizzando la produzione di vegetali freschi, altamente nutritivi e pronti al consumo, nelle future missioni umane di esplorazione del Sistema Solare.

La missione si svolgerà nella provincia armena di Ararat, che per caratteristiche geomorfologiche richiama la superficie marziana e sarà coordinata dall’Austrian Space Forum, con il supporto delle istituzioni armene. In particolare, AMADEE-24 indagherà il comportamento di dispositivi e apparecchiature innovativi, come simulatori di tute spaziali, piattaforme hi-tech per testare tecniche di rilevamento della vita o di geoscienze, consentendo lo sviluppo delle conoscenze nella gestione di missioni umane nello Spazio, la comprensione dei limiti e delle opportunità delle tecnologie testate, facilitando anche il trasferimento tecnologico.

Messier 87: scoperto l’anello di congiunzione tra getto e buco nero

Messier 87: scoperto l’anello di congiunzione tra getto e buco neroRoma, 26 apr. (askanews) – Un team internazionale di scienziati, a cui partecipano anche i ricercatori dell’Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF), ha utilizzato nuove osservazioni a lunghezze d’onda millimetriche per “fotografare” per la prima volta la struttura ad anello che rivela la materia che cade nel buco nero centrale, insieme al potente getto relativistico, nella prominente radiogalassia Messier 87 (M87). Le immagini mostrano l’origine del getto e il flusso di accrescimento vicino al buco nero supermassiccio centrale. Le nuove osservazioni – informa l’Inaf – sono state ottenute con il Global Millimeter VLBI Array (GMVA), integrato dall’Atacama Large Millimeter/submillimetre Array (ALMA) e dal Greenland Telescope (GLT). L’aggiunta di questi due osservatori ha notevolmente migliorato le capacità di imaging del GMVA. I risultati sono pubblicati sulla rivista scientifica Nature.

Gabriele Giovannini e Marcello Giroletti, dell’INAF di Bologna e tra gli autori dello studio, raccontano: “Il buco nero al centro della galassia M87 è ben noto essendo il primo di cui è stata ottenuta una immagine (dal team dell’Event Horizon Telescope EHT). Noi lo abbiamo osservato con alta sensibilità ad una lunghezza d’onda leggermente più grande (3,5 mm) e quindi più adatta a rivelare le strutture più estese della sorgente. Le immagini hanno infatti mostrato che la struttura ad anello intorno al buco nero è più estesa di quanto si credeva e che questo anello è collegato al getto relativistico visto in M87. Per la prima volta vediamo quindi il collegamento tra la materia che circonda il buco nero e la base del getto relativistico”. Rusen Lu, dell’Osservatorio astronomico di Shanghai e leader del Max Planck Institute di Bonn partner group presso l’Accademia cinese delle scienze, primo autore di questa scoperta, commenta: “In precedenza, avevamo visto sia il buco nero che il getto in immagini separate. Ora è come se avessimo scattato una foto panoramica del buco nero insieme al suo getto a una nuova lunghezza d’onda”. Si pensa che il materiale circostante cada nel buco nero in un processo noto come accrescimento, da cui ha origine il getto ma nessuno aveva mai visto direttamente l’origine del getto.

La partecipazione di ALMA e GLT alle osservazioni del GMVA e il conseguente aumento della risoluzione e della sensibilità di questa rete intercontinentale di telescopi ha reso possibile per la prima volta l’immagine della struttura ad anello in M87 alla lunghezza d’onda di 3,5 mm. Il diametro dell’anello misurato dal GMVA è di 64 microsecondi d’arco, corrispondenti alle dimensioni di un piccolo anello luminoso (13 cm) visto da un astronauta sulla Luna che guarda la Terra. Questo diametro è del 50% più grande di quanto osservato dall’Event Horizon Telescope alla lunghezza d’onda di 1,3 mm, in accordo con le previsioni per l’emissione del plasma relativistico in questa regione. L’emissione da questa regione di M87 è prodotta dall’interazione tra elettroni altamente energetici e campi magnetici, un fenomeno chiamato radiazione di sincrotrone. Le nuove osservazioni, a una lunghezza d’onda di 3,5 millimetri,- prosegue l’Inaf – rivelano maggiori dettagli sulla presenza e l’energia di questi elettroni. Ci dicono anche qualcosa sulle proprietà del buco nero, in particolare che non è molto “affamato”. Cosa vuol dire? Consuma materia a bassa velocità, convertendo solo una piccola frazione di essa in radiazioni.

I buchi neri sono la miglior macchina che conosciamo in grado di trasformare materia (la materia dell’anello) in energia (il getto relativistico espulso). Gli studi per saperne di più su Messier 87 non finiscono qui: ulteriori osservazioni e una flotta di potenti telescopi continueranno a svelarne i segreti. I radiotelescopi INAF (Medicina, Noto, Sardinia Radio Telescope) una volta completato il loro potenziamento attualmente in corso, saranno in grado di collaborare a queste osservazioni a 3,5 mm aumentandone ulteriormente la qualità.

L’intelligenza artificiale incontra l’automotive

L’intelligenza artificiale incontra l’automotiveRoma, 20 apr. (askanews) – L’intelligenza artificiale rappresenta ancora oggi un qualcosa di difficile comprensione per la maggior parte degli esseri umani, nonostante venga applicata in settori trasversali: aiuta a gestire le reti elettriche, a rivelare possibili tumori, a scegliere capi di abbigliamento negli e-shop e, adesso, sta cambiando anche il modo di vendere le auto usate. Carvago ha deciso di abbracciare appieno questo trend collaborando a un progetto di AI con il Politecnico di Praga, (CVUT), una delle più grandi e antiche università tecniche d’Europa. Nell’ambito del Programma operativo “Imprese e innovazione per la competitività (OP PIK)”, il gruppo EAG, di cui Carvago fa parte, ha quindi avviato una collaborazione con gli esperti di intelligenza artificiale del Laboratorio di scienza dei dati del Centro universitario per l’efficienza energetica degli edifici (UCEEB) del CVUT.

Entrambi i partner, informa una nota, stanno lavorando a una serie di progetti di ricerca unici nel loro genere, i più promettenti dei quali finiranno per essere messi in pratica. L’intelligenza artificiale si sta già dimostrando uno strumento straordinario nell’elaborazione di grandi volumi di foto di automobili usate. Il sistema mette in ordine decine di migliaia di immagini a una velocità senza precedenti, a seconda che mostrino gli esterni, gli interni o altre parti dell’auto. Ma non è tutto, perchè riconosce la marca e il modello dell’auto, nonché l’angolazione da cui è stata scattata la foto. “La collaborazione tra il CVUT, il settore imprenditoriale e il trasferimento di metodi scientifici nella pratica, è una delle tre aree principali di sviluppo dell’università che arricchisce entrambe le parti”, aggiunge Miroslav Cepek, Professore associato presso il CVUT, spiegando in che modo tale collaborazione sia vantaggiosa per la sfera accademica. “L’azienda ottiene l’accesso a tecnologie all’avanguardia che la aiuteranno a sviluppare le proprie attività, mentre per gli esperti del CVUT, progetti come questo, sono un’opportunità per trasferire la scienza in applicazioni pratiche e acquisire esperienza con le singole tecnologie nell’impiego pratico. Ciò è doppiamente vero nel campo dell’intelligenza artificiale, dove il corretto funzionamento della maggior parte dei metodi dipende dalla disponibilità di grandi quantità di dati. Ottenerli in ambiente universitario è difficile, ma per aziende come Carvago, gestire i big data è una routine quotidiana”.

Inoltre, il CVUT nei suoi progetti coinvolge anche gli studenti, per i quali la collaborazione rappresenta un’opportunità di fare esperienza sul campo durante gli studi. Attualmente Carvago sta lavorando per integrare la settima generazione del modello di apprendimento automatico nei suoi sistemi interni. Suddetta generazione di modelli rappresenta una svolta per l’azienda. Una volta determinato il prezzo iniziale dell’auto, esaminerà ancora le foto dell’auto modificando di conseguenza il prezzo. Tuttavia, la ricerca non si limita all’elaborazione delle foto. L’intelligenza artificiale aiuta gli analisti di Carvago a estrarre dal testo non strutturato delle inserzioni informazioni su equipaggiamento, riparazioni importanti o sull’esistenza di un libretto di manutenzione. In futuro, l’azienda ha in programma di generare le proprie descrizioni degli annunci in base ai parametri estratti sulle automobili. “Se conoscessimo il telaio di ogni auto pubblicizzata, potremmo trovare tutte le informazioni necessarie in modo relativamente facile e affidabile. Ma su scala europea, in nove auto su dieci pubblicizzate il telaio non è menzionato”, spiega Antonio Gentile, Country Manager di Carvago per l’Italia. “Disponiamo di una serie di foto, di dati strutturati come il chilometraggio, il prezzo, i parametri del motore e così via, oltre a qualche descrizione testuale, spesso imprecisa, con refusi e formulazioni poco chiare. Non è umanamente possibile elaborare manualmente questi dati nel volume che ogni giorno fluisce attraverso i nostri sistemi”.

“Quando diciamo che Carvago è un’azienda principalmente tecnologica, non si tratta solo di una frase fatta”, ha aggiunto Antonio Gentile. “Ogni giorno analizziamo milioni di annunci di auto provenienti da tutta Europa per fornire ai clienti la più ampia gamma di automobili sul mercato”. In termini di potenziale di innovazione e rilevanza pratica, l’area più importante della collaborazione di ricerca è quella degli algoritmi per determinare il prezzo delle automobili in base al tipo, all’età e all’equipaggiamento. Grazie alla disponibilità di un’ampia serie di annunci pubblicitari provenienti da tutta Europa, gli esperti del CVUT sono stati in grado di creare un algoritmo che determina il prezzo di un’auto specifica con una precisione di circa il tre per cento. Per i marchi comuni come Skoda o Volkswagen, la precisione è ancora maggiore.

Imparare a riconoscere dalle fotografie altri elementi dell’equipaggiamento, danni specifici ed elementi inusuali è già una sorta di routine di ricerca per entrambe le parti che collaborano. Tra le prossime grandi sfide che, per inciso, vengono ora affrontate in tutto il campo dell’apprendimento automatico, va ricordata la cosiddetta interpretabilità dei modelli, in cui gli esperti cercano di utilizzare vari metodi di reverse engineering per capire quali fattori i modelli valutano come importanti per il processo decisionale. Questo non solo aiuta a creare fiducia nell’intelligenza artificiale all’interno dell’azienda, spiegando i risultati locali, ma genera anche nuove osservazioni che portano a ulteriori idee e miglioramenti aziendali. La seconda sfida è la certezza o l’incertezza con cui i modelli restituiscono le risposte. “Approcceremo l’informazione secondo cui l’auto dovrebbe costare €13.500 e il modello è sicuro al 95%, in modo diverso rispetto al caso in cui il prezzo sia lo stesso, ma con una certezza del 17%”, conclude Antonio Gentile.

Nanoparticelle luminescenti di silicio per riciclo della plastica

Nanoparticelle luminescenti di silicio per riciclo della plasticaRoma, 20 apr. (askanews) – Nanoparticelle luminescenti di silicio per la selezione e il riciclo efficiente della plastica. L’idea, presentata dallo spin-off dell’Università di Bologna SINBIOSYS, è stata premiata da WomenTechEU, finanziamento europeo destinato a donne imprenditrici che sviluppano progetti di innovazione tecnologica. Il progetto presentato da SINBIOSYS è uno dei 134 finanziati su 467 idee presentate.

SINBIOSYS – spiega Unibo – è uno spin-off partecipato dall’Alma Mater che progetta e sintetizza materiali luminescenti a partire da elementi abbondanti come il silicio. Paola Ceroni, professoressa ordinaria al Dipartimento di Chimica “Giacomo Ciamician” è la co-fondatrice, insieme all’amministratore delegato Francesco Romano e al ricercatore Marco Villa. Il progetto premiato si chiama PRESTO: sarà un marcatore invisibile per prodotti in plastica, pensato per favorire il riciclo e aumentare il valore della plastica dopo il suo primo utilizzo, diminuendo così l’inquinamento. Grazie a WomenTechEU, l’idea riceverà una sovvenzione di 75.000 euro per sostenere le fasi iniziali del percorso di sviluppo e la crescita dello spin-off. Inoltre, sarà offerto un servizio di tutoraggio e coaching nell’ambito del programma Women Leadership del Consiglio Europeo per l’Innovazione (EIC) e opportunità di networking in tutta l’Unione Europea.

“Oggi la porzione di materiale plastico riciclato è, nella maggioranza dei casi, utilizzato per realizzare prodotti di più basso valore rispetto all’oggetto originale: questo è dovuto al fatto che la plastica non è costituita da un unico materiale, bensì da una miscela di diversi polimeri a composizione chimica diversa, che vengono spesso accoppiati tra loro o ad altri materiali”, spiega la professoressa Ceroni. “Per poter riciclare la plastica in modo tale da poter rifare la stessa tipologia di oggetto, ad esempio contenitori alimentari, è necessario quindi selezionare e dividere le varie tipologie di plastica”. L’idea presentata da SINBIOSYS prevede quindi un codice basato su nanoparticelle di silicio, simile al QR code, ma non visibile ad occhio nudo. Le particelle emettono colori di luce diversa a seconda delle dimensioni della nanoparticella stessa, che possono essere letti da particolari apparecchiature ottiche. In questo modo, plastiche di tipo diverso possono essere marcate con un diverso codice colore e venire così riconosciute, separate e riutilizzate facilmente.

Questa tecnologia è l’esito di un percorso di ricerca partito nel 2012 con un progetto ERC Starting Grant (PhotoSi), a cui è seguito un altro finanziamento ERC Proof of Concept, chiamato SiNBioSys, da cui è poi nato lo spin-off partecipato dall’Università di Bologna. La stessa tecnologia è stata anche utilizzata per realizzare concentratori solari luminescenti, oggetto di ricerca di un progetto Proof of Concept finanziato dall’Università di Bologna.

Geoscienze, EPOS lancia Portale europeo per accesso aperto ai dati

Geoscienze, EPOS lancia Portale europeo per accesso aperto ai datiRoma, 19 apr. (askanews) – Dopo oltre 20 anni di ricerca e innovazione, il prossimo 25 aprile l’infrastruttura di ricerca europea EPOS (European Plate Observing System) presenterà ufficialmente il suo Data Portal alla comunità scientifica che si riunirà a Vienna per l’Assemblea Generale annuale dell’European Geosciences Union (EGU).

Nato nel 2007 con l’obiettivo di sviluppare un piano di integrazione a lungo termine per la condivisione di dati e prodotti scientifici, – informa una nota – negli anni EPOS ha integrato in un’unica infrastruttura distribuita circa 150 infrastrutture di ricerca nazionali da 25 Paesi europei. Nel 2018, EPOS ha ottenuto dalla Commissione Europea lo status giuridico di ERIC (European Research Infrastructure Consortium), ovvero di Consorzio Europeo di Infrastrutture di Ricerca ‘EPOS ERIC’ con sede a Roma, presso l’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV), e coinvolge attualmente diciassette Paesi: Austria, Belgio, Danimarca, Francia, Grecia, Islanda, Italia, Paesi Bassi, Norvegia, Polonia, Portogallo, Romania, Slovenia, Svezia e Regno Unito; Germania e Svizzera partecipano come osservatori. “La visione di EPOS è, da sempre, promuovere l’accesso aperto e facilitare l’utilizzo integrato di dati multidisciplinari per favorire ricerca e innovazione; è stato questo il faro che ci ha guidati nella realizzazione del Data Portal che presenteremo il 25 aprile a Vienna”, spiega Lilli Freda, Direttore Esecutivo di EPOS ERIC. “Il Data Portal favorirà, attraverso l’accesso ad una mole di dati, prodotti e servizi senza precedenti per gli utenti (comunità scientifica, istituzioni, decisori politici), il progresso della ricerca e la comprensione dei processi fisici e chimici che governano i fenomeni naturali del sistema Terra come i terremoti, le eruzioni vulcaniche, i maremoti. EPOS è, ad oggi, il primo e unico esempio di ‘infrastruttura di ricerca’ per lo studio della Terra solida – prosegue Freda – “e aiuterà non solo i ricercatori di oggi e di domani, ma anche i governi nazionali nel loro sempre più delicato compito di individuare strumenti per la mitigazione dei rischi naturali a beneficio dell’intera società, promuovendo contestualmente investimenti in ricerca e innovazione”.

Il Data Portal di EPOS è il frutto di un lavoro corale. Nell’ultimo ventennio un team internazionale di circa 600 esperti ha lavorato in sinergia all’integrazione e armonizzazione di oltre 60 tipi di dati provenienti dalle diverse discipline che compongono le scienze della Terra solida. I partecipanti all’Assemblea Generale della European Geosciences Union (EGU) potranno constatare i risultati di questo impegno visitando lo stand di EPOS, utilizzando il Data Portal e assistendo alla presentazione di casi di studio sviluppati da giovani ricercatori.

Rapporto Thales: cyber attacchi in aumento a livello globale

Rapporto Thales: cyber attacchi in aumento a livello globaleMilano, 18 apr. (askanews) – Gli attacchi ransomware a livello globale sono in aumento, così come i rischi riguardanti i dati sensibili su cloud; lo rivela Thales nel Rapporto Annuale sulle Minacce Informatiche (2023 Thales Data Threat Report) condotto su circa 3.000 professionisti IT provenienti da organizzazioni pubbliche e private di 18 diversi Paesi, tra cui l’Italia.

I dati dicono che il 48% dei professionisti IT intervistati a livello globale segnala un aumento degli attacchi ransomware che negli scorsi 12 mesi hanno interessato il 22% delle aziende. Il 51% delle aziende, inoltre, non dispone di un piano formale per proteggersi dal ransomware mentre il 55% di coloro che hanno recentemente subito una violazione dei dati del cloud identifica l’errore umano come causa principale. Dall’indagine, condotta da 451 Research intervistando organizzazioni del settore pubblico e privato, emerge che il principale obiettivo degli attacchi informatici sono, appunto, i dati sul cloud. Oltre un quarto (28%) degli intervistati nel mondo (il 46% in Italia) afferma che lo storage basato su cloud è il principale obiettivo, seguito dai dispositivi degli utenti finali (44%). L’aumento degli attacchi al cloud è dovuto alla crescita del lavoro che si sposta sul cloud, infatti il 75% degli intervistati dichiara che il 40% dei dati archiviati nel cloud è ora classificato come sensibile rispetto al 49% degli intervistati nel 2022.

Il rapporto mette in luce le strategie messe in atto dalle aziende per proteggere i propri dati, in uno scenario in cui gli attacchi informatici sono in continua evoluzione. Gli intervistati ritengono che la principale causa di violazioni dei dati cloud è costituita da semplici errori umani, come errori di configurazione o sviste che possono portare accidentalmente a violazioni dei sistemi. Il 55% di coloro che hanno subito una violazione dei dati negli ultimi 12 mesi, ritiene che la causa principale sia la configurazione errata, seguito dal mancato utilizzo di MFA (20%). Il report rileva che la gestione delle identità e degli accessi (IAM) sia la migliore difesa, infatti il 28% degli intervistati la identifica come lo strumento più efficace per mitigare questi rischi.

Nel frattempo, la gravità degli attacchi ransomware sembra essere in calo rispetto al 2022. Il 35% degli intervistati riferisce che il ransomware ha avuto un impatto significativo, contro il 44% degli intervistati del 2022. Anche la spesa si sta muovendo nella giusta direzione, il 61% degli intervistati riferisce che aumenterebbe il budget per acquisire strumenti atti a prevenire attacchi ransomware – rispetto al 57% nel 2022 – ma le risposte rispetto al ransomware rimangono non coerenti. Solo il 49% delle aziende riferisce di avere un piano formale per far fronte ad attacchi ransomware, mentre il 67% segnala perdita di dati causati da attacchi ransomware. La sovranità digitale sta diventando sempre più importante per i professionisti IT responsabili della privacy e della sicurezza dei dati. Nel complesso, il rapporto Thales rileva che la sovranità dei dati rimane, per le imprese, una sfida sia a breve che a lungo termine. L’83% esprime preoccupazione per la sovranità dei dati e il 55% (63% in Italia) concorda sul fatto che la privacy dei dati e la compliance del cloud sono diventate sempre più difficili, probabilmente a causa dei requisiti per il raggiungimento della sovranità digitale.

Anche le minacce provenienti dai computer quantistici che attaccano gli schemi di crittografia classici è motivo di preoccupazione per le organizzazioni. Il Rapporto Thales rileva che Harvest Now, Decrypt Later (“HNDL”) e la futura decrittografia della rete costituiscono i maggiori problemi di sicurezza del calcolo quantistico, con rispettivamente il 62% e il 55% che segnalano preoccupazioni. Mentre la crittografia postquantistica (PQC) risulta essere la disciplina per contrastare queste minacce, il rapporto rileva che il 62% delle organizzazioni ha cinque o più sistemi di gestione chiave, presentando una sfida per PQC e l’agilità crittografica. “Le aziende continuano ad essere molto preoccupate dalle minacce informatiche, sebbene i risultati del nostro rapporto indicano che si stanno compiendo buoni progressi in alcune aree – ha commentato Sergio Sironi, Direttore Commerciale Sud Europa per la business line Cloud Protection & Licensing – dal rapporto emerge che i risultati italiani sono per lo più comparabili con quelli del resto del mondo, ad eccezione di due dati: in particolare quasi la metà degli intervistati – 46% in Italia – denuncia di aver subito una violazione dei dati negli ultimi 12 mesi, contro il 37% a livello globale e – sempre il 46% in Italia – afferma che lo storage sul cloud è il principale obiettivo. Circostanza sicuramente legata al fatto che il lavoro è oggi sempre di più ‘ibrido’. La grande novità emersa dalla ricerca 2023 è inoltre l’importanza della sovranità digitale che sta diventando cruciale per i responsabili IT delle aziende, i quali hanno sempre più necessità di conoscere come vengono archiviati i dati”.

Dalla Fisica arriva Machina, acceleratore per analisi di opere d’arte

Dalla Fisica arriva Machina, acceleratore per analisi di opere d’arteRoma, 18 apr. (askanews) – Un acceleratore compatto, portatile e di facile utilizzo per l’analisi di opere d’arte e reperti storici di grandi dimensioni o fragili: un gruppo di ricercatrici e ricercatori del CERN e dell’INFN Istituto Nazionale di Fisica Nucleare ha di recente pubblicato un articolo in cui presenta una panoramica su MACHINA (Movable Accelerator for Cultural Heritage In-situ Non-destructive Analysis), un acceleratore di particelle facilmente trasportabile sviluppato da INFN e CERN, ricostruendo la storia di questo progetto e delineandone lo stato dell’arte poco prima dalla sua entrata in operatività.

Il patrimonio artistico, celebrato oggi 18 aprile con il World Heritage Day, la Giornata Internazionale per i beni culturali, potrà trarre grandi benefici da acceleratori come MACHINA. La caratteristica di questo acceleratore di essere facilmente trasportabile – si legge sul sito dell’INFN – è preziosa per la diagnostica dei beni culturali, perché spostare oggetti fragili e rari come opere d’arte o affreschi, anche su brevi distanze, può essere impegnativo e talvolta impossibile a causa di problemi logistici, economici e di sicurezza. MACHINA è il prodotto di una collaborazione tra il CERN e l’INFN iniziata nel 2018 ed è basato sulla tecnologia di quadrupolo a radiofrequenza (HF-RFQ) sviluppata al CERN. Nella seconda metà del 2022, l’acceleratore è stato sottoposto a test approfonditi e presto sarà operativo presso il LABEC, il Laboratorio di tecniche nucleari per l’ambiente e i beni culturali dell’INFN e dell’Università di Firenze, dove verranno effettuate le prime misure utilizzando la tecnica detta IBA, Ion Beam Analysis o analisi con fascio di ioni, su campioni di controllo.

L’acceleratore sarà poi trasferito all’Opificio delle Pietre Dure di Firenze, un rinomato centro per il restauro delle opere d’arte, per entrare a far parte delle regolari attività diagnostiche del centro. MACHINA sarà utilizzato per analizzare le opere d’arte in modo non distruttivo con le tecniche IBA, rendendo possibile l’esame di una molteplicità di oggetti che altrimenti non potrebbero essere studiati, perché troppo fragili o grandi da spostare. Pur avendo sede nell’Opificio delle Pietre Dure, MACHINA potrà essere ulteriormente trasportato per effettuare misure in situ presso altri musei o siti di conservazione. Il design compatto di MACHINA, costituito da una cavità accelerante a radiofrequenza di un metro, offre una soluzione portatile che ha un impatto minore, rispetto ai convenzionali acceleratori, sull’ambiente circostante in termini di ingombro e peso. Per la costruzione di MACHINA e del suo sistema di controllo sono stati utilizzati componenti facilmente reperibili sul mercato e alcuni elementi dell’acceleratore sono stati realizzati attraverso la stampa 3D. Inoltre, l’acceleratore è sicuro da un punto di vista radioprotezionistico, grazie a soluzioni che permettono di contenere moltissimo la radiazione prodotta dall’impatto del fascio sui materiali analizzati.

Il progetto è stato realizzato grazie ai finanziamenti del Fondo per il Trasferimento della Conoscenza del CERN e del FISR (Fondi Speciali per la Ricerca del Ministero dell’Università e della Ricerca), con il supporto della rete per i beni culturali CHNet dell’INFN e i contributi dei gruppi di Ingegneria Meccanica e dei Materiali e di Radiofrequenza del CERN.

Polimi: nuova scoperta sul Codice Atlantico di Leonardo da Vinci

Polimi: nuova scoperta sul Codice Atlantico di Leonardo da VinciRoma, 18 apr. (askanews) – Il Codice Atlantico è una delle raccolte più estese e affascinanti di disegni e scritti di Leonardo da Vinci e la sua conservazione è una grande sfida per studiosi e ricercatori. Un approfondito studio, pubblicato su “Scientific Reports”, è stato condotto dal Politecnico di Milano sul Foglio 843 del Codice, per comprendere le cause di alcune macchie nere apparse da qualche anno sul passepartout moderno che rilega i folii originali leonardeschi.

Il gruppo di ricerca interdisciplinare coordinato da Lucia Toniolo, professoressa di Scienza e Tecnologia dei Materiali del Politecnico di Milano, ha utilizzato una serie di tecniche di analisi non invasive e micro-invasive per esaminare il fenomeno e studiarne la natura e le cause. Il Codice Atlantico, donato alla Veneranda Biblioteca Ambrosiana nel 1637, è stato oggetto di un importante restauro effettuato dal Laboratorio del Libro Antico dell’Abbazia di Grottaferrata tra il 1962 e il 1972. L’intervento è terminato con la realizzazione di 12 volumi con 1119 fogli: ogni pagina è composta da un passepartout con finestra (aggiunto dai restauratori a Grottaferrata) che incornicia i frammenti originali di Leonardo. Dal 1997 il Codice è conservato in un ambiente con un microclima strettamente controllato, secondo gli standard per la conservazione della carta.

Nel 2006 – informa il Politecnico di Milano – sono state scoperte delle piccolissime macchie scure sul passepartout, localizzate intorno alla finestra che incornicia e rilega il foglio. Questo fenomeno di annerimento, osservato su circa 210 pagine del Codice a partire dal Foglio 600 in poi, ha suscitato grande preoccupazione tra i curatori e conservatori del museo e gli studiosi. Un primo intervento, nel 2009, ha portato alla sfascicolazione dei volumi. Oggi i disegni sono montati singolarmente su passepartout, in cartelle e scatole non acide. La ricerca condotta dal Politecnico è iniziata nel 2021 in occasione di un primo progetto pilota su tre disegni del Codice finanziato dal Fondo Italiano di Investimento che ha previsto la rimozione e sostituzione del passepartout del Foglio 843. Studi precedenti avevano escluso che le macchie derivassero da processi di deterioramento microbiologico. La ricerca del Politecnico di Milano combinando indagini di fotoluminescenza iperspettrale, imaging di fluorescenza UV, con un imaging micro-ATR nell’infrarosso, ha evidenziato la presenza di colla d’amido e colla vinilica localizzate nelle aree dove il fenomeno delle macchie è più intenso, proprio vicino al margine del foglio.

Inoltre, è stata rilevata la presenza di nano-particelle inorganiche tondeggianti, del diametro di 100-200 nanometri, composte da mercurio e zolfo, che si sono accumulate all’interno delle cavità formate tra le fibre di cellulosa della carta del passepartout. Infine, grazie all’utilizzo di analisi di sincrotrone, condotte a ESRF a Grenoble, è stato possibile identificare queste particelle come metacinabro, un solfuro di mercurio in una fase cristallina inusuale di colore nero. Approfonditi studi sui metodi di conservazione della carta – prosegue Polimi – hanno permesso di formulare alcune ipotesi sulla formazione del metacinabro. La presenza di mercurio potrebbe essere associata all’aggiunta di un sale antivegetativo all’interno della miscela di colla utilizzata nel restauro di Grottaferrata, che potrebbe essere stata applicata solo in alcune zone del pacchetto di carta del passepartout, proprio dove questo trattiene il folio leonardesco, per garantire l’adesione e prevenire attacchi microbiologici al Codice.

La presenza di zolfo, invece, è stata collegata all’inquinamento atmosferico (a Milano negli anni ’70 i livelli di biossido di zolfo SO2 erano molto elevati) o agli additivi usati nella colla, che nel tempo, avrebbero portato alla reazione con i sali di mercurio e alla formazione di particelle di metacinabro, responsabili delle macchie nere.