Ad aprile l’inflazione sale all’8,2% (frena il ‘carrello della spesa’)Roma, 16 mag. (askanews) – L’Istat lima lievemente il dato dell’inflazione di aprile all’8,2%, rispetto l’8,3% della stima iniziale, con un incremento dello 0,4% su base mensile. A marzo, l’inflazione era al 7,6%. L’accelerazione del tasso di inflazione, spiega l’Istat, si deve, in prima battuta, all’aumento su base tendenziale dei prezzi dei Beni energetici non regolamentati (da +18,9% a +26,6%) e, in misura minore, a quelli dei Servizi ricreativi, culturali e per la cura della persona (da +6,3% a +6,9%) e dei Servizi vari (da +2,5% a +2,9%). Tali effetti sono stati solo in parte compensati dalla flessione più marcata dei prezzi degli Energetici regolamentati (da -20,3% a -26,7%) e dal rallentamento di quelli degli Alimentari lavorati (da +15,3% a +14,0%), degli Alimentari non lavorati (da +9,1% a +8,4%), dei Servizi relativi all’abitazione (da +3,5% a +3,2%) e dei Servizi relativi ai trasporti (da +6,3% a +6,0%).
L’”inflazione di fondo”, al netto degli energetici e degli alimentari freschi, registra un lieve rallentamento da +6,3% a +6,2%, così come quella al netto dei soli beni energetici, che passa da +6,4% a +6,3%.Si accentua la crescita su base annua dei prezzi dei beni (da +9,7% a +10,4%), e in misura minore quella relativa ai servizi (da +4,5% a +4,8%), portando il differenziale inflazionistico tra il comparto dei servizi e quello dei beni a -5,6 punti percentuali, da -5,2 di marzo.
I prezzi dei Beni alimentari, per la cura della casa e della persona rallentano in termini tendenziali (da +12,6% a +11,6%), mentre quelli dei prodotti ad alta frequenza d’acquisto accelerano (da +7,6% a +7,9%).L’aumento congiunturale dell’indice generale si deve principalmente ai prezzi dei Servizi relativi ai trasporti (+2,4%), degli Energetici non regolamentati (+2,3%), dei Servizi ricreativi, culturali e per la cura della persona (+1,0%), degli Alimentari lavorati, dei Beni non durevoli e dei Servizi vari (tutti e tre a +0,5%); tali effetti sono stati solo in parte compensati dal calo dei prezzi degli Energetici regolamentati (-19,6%).
L’inflazione acquisita per il 2023 è pari a +5,3% per l’indice generale e a +4,5% per la componente di fondo.L’indice armonizzato dei prezzi al consumo (Ipca) aumenta dello 0,9% su base mensile, aumento più accentuato rispetto a quello del Nic, a causa della fine dei saldi stagionali (di cui il Nic non tiene conto) prolungatisi in parte anche a marzo. L’Ipca aumenta dell’8,7% su base annua (in accelerazione da +8,1% di marzo); la stima preliminare era +8,8%.
L’indice nazionale dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati (Foi), al netto dei tabacchi, registra un aumento dello 0,3% su base mensile e del 7,9% su base annua.Ad aprile la fase di rientro dell’inflazione si interrompe, principalmente a causa di una nuova accelerazione della dinamica tendenziale dei prezzi dei Beni Energetici non regolamentati, il cui andamento riflette un aumento su base mensile del 2,3% (che si confronta con un -3,9% dell’aprile 2022)”. Lo afferma l’Istat a commento del dato di aprile, all’8,2% su base annua.
“Nel settore alimentare, i prezzi dei prodotti lavorati, come anche quelli dei beni non lavorati, evidenziano un’attenuazione della loro crescita in ragione d’anno – conclude -, che contribuisce al rallentamento dell’inflazione di fondo (che si attesta a +6,2%). Si accentua, infine, la decelerazione su base tendenziale dei prezzi del “carrello della spesa”, che è scesa a +11,6%”.
“I dati definitivi dell`Istat sull`inflazione confermano purtroppo tutti gli allarmi lanciati dal Codacons nelle ultime settimane circa il rialzo dei prezzi al dettaglio in numerosissimi comparti che provoca una stangata pari in media a +2.398 euro annui a famiglia”. Lo scrive il Codacons a commento dei dati sull’inflazione ad aprile.
“La frenata dell`inflazione registrata negli ultimi due mesi si è rivelata una ‘illusione ottica’ dovuta al ribasso delle bollette di luce e gas e, una volta terminato l`effetto calmierante dei beni energetici, il tasso è tornato a salire in modo preoccupante – commenta il presidente Carlo Rienzi -. L`inflazione all`8,2% equivale ad una maggiore spesa pari a+2.398 euro annui per la famiglia “tipo” che sale a +3.106 euro per un nucleo con due figli, stangata causata dalla crescita ancora a ritmi sostenuti di voci come gli alimentari e il carrello della spesa, comparti che segnano rispettivamente +12,1% e +11,6% su base annua, mentre i prodotti ad alta frequenza d`acquisto segnano un +7,9%”.
Fortissime poi le differenze territoriali sul fronte dei prezzi al dettaglio. Il Codacons, sulla base dei dati provinciali diffusi oggi dall`Istat (comuni sopra i 150mila abitanti), ha elaborato la classifica delle città dove l`inflazione cresce di più ad aprile, e le relative ricadute di spesa sulle famiglie in base ai consumi medi dei cittadini residenti. Genova ancora una volta è la città dove l`inflazione cresce di più, con un tasso del 9,7%, fanalino di coda Potenza, dove i prezzi aumentano solo del 5,8% su base annua. A Milano le ricadute più pesanti, con la famiglia “tipo” che a causa dell`inflazione al 9% spende 2.443 euro in più su base annua.
L’inflazione ad aprile riprende a salire all’8,2%Roma, 16 mag. (askanews) – L’inflazione torna a salire ad aprile, interrompendo la fase sua fase discendente. Lo certifica l’Istat che ha comunque rivisto leggermente al ribasso la sua stima iniziale, dall’8,3% all’8,2%. Nel mese precedente, l’inflazione era al 7,6%.
Su base mensile, l’indice dei prezzi ha mostrato ad aprile un incremento dello 0,4%. “Ad aprile – commenta l’Istat – la fase di rientro dell’inflazione si interrompe, principalmente a causa di una nuova accelerazione della dinamica tendenziale dei prezzi dei Beni Energetici non regolamentati, il cui andamento riflette un aumento su base mensile del 2,3% (che si confronta con un -3,9% dell’aprile 2022)”.
“Nel settore alimentare, i prezzi dei prodotti lavorati, come anche quelli dei beni non lavorati, evidenziano un’attenuazione della loro crescita in ragione d’anno – conclude -, che contribuisce al rallentamento dell’inflazione di fondo (che si attesta a +6,2%). Si accentua, infine, la decelerazione su base tendenziale dei prezzi del “carrello della spesa”, che è scesa a +11,6%”. L’accelerazione del tasso di inflazione, spiega l’Istat, si deve, in prima battuta, all’aumento su base tendenziale dei prezzi dei Beni energetici non regolamentati (da +18,9% a +26,6%) e, in misura minore, a quelli dei Servizi ricreativi, culturali e per la cura della persona (da +6,3% a +6,9%) e dei Servizi vari (da +2,5% a +2,9%). Tali effetti sono stati solo in parte compensati dalla flessione più marcata dei prezzi degli Energetici regolamentati (da -20,3% a -26,7%) e dal rallentamento di quelli degli Alimentari lavorati (da +15,3% a +14,0%), degli Alimentari non lavorati (da +9,1% a +8,4%), dei Servizi relativi all’abitazione (da +3,5% a +3,2%) e dei Servizi relativi ai trasporti (da +6,3% a +6,0%).
L’”inflazione di fondo”, al netto degli energetici e degli alimentari freschi, registra un lieve rallentamento da +6,3% a +6,2%, così come quella al netto dei soli beni energetici, che passa da +6,4% a +6,3%. Si accentua la crescita su base annua dei prezzi dei beni (da +9,7% a +10,4%), e in misura minore quella relativa ai servizi (da +4,5% a +4,8%), portando il differenziale inflazionistico tra il comparto dei servizi e quello dei beni a -5,6 punti percentuali, da -5,2 di marzo.
I prezzi dei Beni alimentari, per la cura della casa e della persona rallentano in termini tendenziali (da +12,6% a +11,6%), mentre quelli dei prodotti ad alta frequenza d’acquisto accelerano (da +7,6% a +7,9%). L’aumento congiunturale dell’indice generale si deve principalmente ai prezzi dei Servizi relativi ai trasporti (+2,4%), degli Energetici non regolamentati (+2,3%), dei Servizi ricreativi, culturali e per la cura della persona (+1,0%), degli Alimentari lavorati, dei Beni non durevoli e dei Servizi vari (tutti e tre a +0,5%); tali effetti sono stati solo in parte compensati dal calo dei prezzi degli Energetici regolamentati (-19,6%).
L’inflazione acquisita per il 2023 è pari a +5,3% per l’indice generale e a +4,5% per la componente di fondo.
L’indice armonizzato dei prezzi al consumo (Ipca) aumenta dello 0,9% su base mensile, aumento più accentuato rispetto a quello del Nic, a causa della fine dei saldi stagionali (di cui il Nic non tiene conto) prolungatisi in parte anche a marzo. L’Ipca aumenta dell’8,7% su base annua (in accelerazione da +8,1% di marzo); la stima preliminare era +8,8%.
L’indice nazionale dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati (Foi), al netto dei tabacchi, registra un aumento dello 0,3% su base mensile e del 7,9% su base annua.
Aumenta il numero degli statali, ma nei concorsi 2 su 10 poi rinunciano al postoRoma, 16 mag. (askanews) – Dopo l’ennesimo calo registrato nel 2021, a fine 2022 tornano a crescere i dipendenti pubblici in Italia, che raggiungono 3.266.180 unità, il valore il più alto dell’ultimo decennio, +0,8% in un anno. Il segnale positivo di una P.A. che dà segnali di cambiamento e torna ad assumere, ma ha ancora un numero di lavoratori basso (inferiore ai principali paesi europei in proporzione sia alla popolazione che agli occupati), un’età media alta, pochi giovani, poca formazione e una carenza di tecnici e profili specialistici per cogliere le sfide del Pnrr. Nel lavoro pubblico si segnala la crescita del lavoro a tempo determinato, su 100 contratti a tempo indeterminato ce ne sono 15 flessibili, e la difficoltà di reclutamento di fronte a una vera e propria competizione sul talento con il settore privato e tra le stesse amministrazioni. È quanto emerge dall’Indagine sul Lavoro pubblico realizzata da Fpa, società del Gruppo Digital360, presentata questa mattina a Forum Pa 2023 ‘Ripartiamo dalle Persone’, la manifestazione in programma fino al 18 maggio presso il Palazzo dei Congressi di Roma.
La nuova dinamica vede una forte ripresa dei concorsi, ma anche una diminuzione dei candidati e un aumento delle rinunce. Da inizio 2021 a giugno 2022 si sono presentati appena 40 candidati per ogni posto messo a bando, un quinto rispetto ai 200 di media nel biennio precedente, e mediamente due vincitori su dieci hanno rinunciato al posto, con punte del 50% di rinunce per quelli a tempo determinatoi. A causa dell’affollamento delle selezioni nell’ultimo biennio, si sono spesso verificate candidature multiple e vincitori in più posizioni (il 42% ha partecipato a più di un concorso e il 26% è risultato idoneo in almeno due), in una concorrenza tra enti per cui l’8,6% dei 150mila assunti per concorso nel 2021 era già un dipendente pubblico. E l’inedito potere di scelta dei candidati spinge sempre meno persone ad accettare il trasferimento al Nord, dove l’affitto impegna quasi il 50% dello stipendio di un laureato neoassunto, contro il 18- 23% in una città metropolitana del Sudii. La PA è chiamata ad assumere innanzitutto per mantenere l’operatività degli enti: entro il 2033 oltre 1 milione di dipendenti pubblici saranno obbligati ad andare in pensione, circa uno su tre. Alcune amministrazioni dovranno sostituire più di metà del personale in servizio, ma in valori assoluti le uscite più significative saranno per scuola (463.257), sanità (243.130) e enti locali (185.345). E la PA deve far decollare le assunzioni per la tenuta del sistema pensionistico: nel 2023, nel pubblico si contano 94,8 pensioni erogate ogni 100 contribuenti attivi (erano 73 nel 2022). ‘L’indagine evidenzia per il settore pubblico alcuni effetti della trasformazione del mercato del lavoro già emersa nel privato – commenta Carlo Mochi Sismondi, Presidente di FPA -. Da un lato, oggi i lavoratori danno meno importanza al ‘posto fisso’ in favore di aspetti come benessere, motivazione, formazione o lavoro agile. Dall’altro, in una scarsità di personale qualificato, si evidenzia una nuova competizione tra pubblico e privato sui profili tecnici e tra amministrazioni, a causa dell’ingorgo di concorsi. Una condizione che impone alla PA di diventare più attrattiva come datore di lavoro, acquisendo nuovi strumenti di employer branding e presentando ai candidati un’offerta completa di welfare aziendale, smart working, possibilità concrete di crescita professionale e retributiva’.
‘La Pubblica Amministrazione, anche grazie alla spinta dei fondi europei, oggi appare in evoluzione, ma per accompagnare i grandi processi di trasformazione del paese deve compiere un ulteriore cambio di passo, imparando sul campo il mestiere del datore di lavoro – dice Gianni Dominici, Direttore Generale di FPA -. Servono proposte concrete per attrarre nuovi talenti e valorizzare le persone che già lavorano nel pubblico. A FORUM PA faremo la nostra parte, con idee e strumenti pratici come i ‘tavoli di lavoro’ organizzati con i Direttori personale delle più importanti amministrazioni insieme a manager pubblici e privati per analizzare modelli di successo e nuove idee di una PA che deve ‘ripartire dalle persone”. ‘La PA italiana si trova oggi ad affrontare sfide complesse, come quelle dei progetti del PNRR, che richiedono professionalità tecniche avanzate di cui oggi spesso non dispone – afferma Andrea Rangone, Presidente DIGITAL360 -. Ma proprio le future assunzioni del settore pubblico, di fatto il più grande datore di lavoro del Paese, rappresentano l’opportunità di orientare il sistema di istruzione verso l’innovazione e le competenze del futuro. Un’occasione per formare i profili tecnico-specialistici di cui l’Italia ha bisogno per le sfide della transizione digitale e sostenibile’. Il numero dei dipendenti pubblici. Al 31 dicembre 2021 i dipendenti pubblici erano 3.239.000, dopo l’ennesimo anno di stasi in cui circa 178.000 ingressi avevano solo tamponato l’uscita di 184.000 persone. Le stima della Ragioneria dello Stato per il 2022 offre segnali più ottimistici: con 3.266.180 persone, l’incremento annuo è di circa 27.000 unità. Un aumento soprattutto nel comparto Scuola con 14.400 unità in più (+1,2%) e Sanità con 9.000 persone (+1,3%). Nel 2022 cresce la spesa totale per i redditi da lavoro dipendente nella PA, circa 187 miliardi (contro i 177 del 2021), ma è in calo la spesa pro-capite per il reddito dei dipendenti (calcolata a prezzi costanti del 2022, depurata dall’inflazione): è di 57.200 euro, rispetto ai 59.000 euro del 2021 e risulta la più bassa dal 2015.
Secondo i dati a consuntivo, nel 2021 il numero dei contratti a tempo indeterminato ha raggiunto il minimo storico di 2.932.529 persone, il livello più basso dal 2001. Mentre quelli flessibili sono oltre 437.000, 22.000 in più rispetto all’anno precedente. Nella PA, su 100 contrati stabili ce ne sono 15 flessibili. Il 68% di questiè assorbito da Istruzione e ricerca, dove i precari sono 297.000 (il 30% del comparto), il 14% nella Sanità, circa 63.000, in forte crescita per il reclutamento dellapandemia. Nel 2021 gli assunti per concorso sono stati oltre 150.000, ma I’8,6% era già un dipendente pubblico. Analizzando i comparti delle funzioni centrali e locali, la sanità e quello dell’istruzione e della ricerca (al netto della scuola), la competizione tra amministrazioni ha riguardato l’8,6% dei vincitori di concorso che sono in realtà già dipendenti pubblici. Tra tutti i comparti, spiccano le Funzioni locali, terze per numero di assunzioni da concorso, che presentano un’incidenza percentuale di personale già dipendente pari al 15,6%. Dal suo esordio alla fine del 2021 e fino a metà marzo 2023 sul portale InPA (che dal 31 maggio del 2023 diverrà l’unico canale per la pubblicazione dei bandi di concorso), si contano 2.210 bandi (767 procedure ancora aperte, 1.443 chiuse) per un totale di 34.860 posti, di cui 1.000 banditi nel 2021, 14.630 nel 2022 e 19.230 nel 2023. Dei posti messi a bando, il 4% sono per incarichi di collaborazione, il 24% per assunzioni a tempo determinato, il 72% per assunzioni a tempo indeterminato. Gli stipendi privati crescono più in fretta di quelli pubblici e li raggiungono. Confrontando la dinamica salariale, il settore pubblico è stato nettamente in vantaggio sul privato fino al blocco contrattuale del 2010: nel 2009 l’indice della retribuzione oraria (base 2015=100) era a 98 per il settore pubblico contro 88,8 nel settore privato. Poi, anche a causa del blocco contrattuale, i settori si sono avvicinati e nel 2022 sono appaiati (106,1 nel pubblico e 105,4 nel privato). Ma è più netta a vantaggio del privato la differenza nell’istruzione e della ricerca dove nel 2022 il privato spunta un indice di 108,6 contro 104,7 del pubblico. In vantaggio il privato anche nella sanità, dove l’indice del privato è 107,7, mentre nel pubblico resta a 105,5.
I nuovi contratti stipulati nel 2022, ma relativi agli anni 2019-2021, sono un’importante novità sul lavoro pubblico: valorizzano le professionalità e introducono la ‘quarta area’ delle Elevate Professionalità, che rappresenta un futuro sbocco professionale per i funzionari già presenti nell’amministrazione. All’interno dei contratti è forte la spinta alla formazione ed è inserita la distinzione – dopo anni di home working – tra lavoro agile e lavoro da remoto. Nelle PA, nonostante le assunzioni, nel 2021 l’età media del personale stabile è 50,7 anni (49,9 anni per gli uomini, 51,4 per le donne). Nel 2001 era di 44,2 anni. L’età media di entrata è passata in vent’anni da 29,3 a 34,3 anni. Gli impiegati pubblici con meno di trent’anni sono il 4,8%, si riducono al 3,6% solo tra il personale stabile. Nei Ministeri, negli enti locali e nella scuola abbiamo solo due giovani di meno di trent’anni assunti stabilmente ogni cento impiegati. Il confronto con i dipendenti stabili che hanno più di 60 anni è impietoso: nei Ministeri abbiamo lo 0,7% persone di meno di trent’anni, ma il 29,3% sopra i 60 anni. Nelle funzioni locali sono l’1,8% contro il 20,8% di ‘anziani’, nella scuola addirittura lo 0,3% contro il 22,8% di persone sopra i 60 anni.
L’Italia continua ad avere un numero totale di impiegati pubblici nettamente inferiore a quello dei principali paesi europei, sia in proporzione alla popolazione (5,5 impiegati pubblici ogni 100 abitanti, mentre sono 6,1 in Germania; 7,3 in Spagna; 8,1 in UK; 8,3 in Francia), che in proporzione agli occupati (14 impiegati pubblici ogni 100 occupati contro il 16,9 in UK, il 17,2 in Spagna, il 19,2 in Francia).
Dai dati a consuntivo del Conto Annuale della Ragioneria dello Stato si rileva che in tredici anni, dal 2008 al 2021, la spesa per la formazione dei pubblici dipendenti è quasi dimezzata, da 301 milioni di euro reali del 2008 ai 158,9 del 2021. Il numero di giorni di formazione è sceso dal massimo di 4,9 milioni del 2008 ai 2,9 milioni del 2021, meno di un giorno in media per dipendente. Il piano straordinario del ministro Brunetta non ha raggiunto, per ora, gli obiettivi annunciati: a settembre 2022 si contano poco più di 55.000 dipendenti entrati in formazione su 3,2 milioni e solo 2.500 dipendenti immatricolati nelle 65 università aderenti al piano ‘PA 110 e lode’. La PA però è composta da sempre più laureati che sono ora il 43,8% del totale, con una crescita di ben il 27,3% rispetto al 2011. Un dato destinato a crescere perché il 90% dei concorsi sul portale InPA richiede la laurea (esclusi quelli per Forze dell’ordine, di vigilanza e Forze armate).
E’ il maggio più piovoso degli ultimi 20 anni, previsti altri 10 giorni di instabilitàRoma, 16 mag. (askanews) – Un mese di maggio così piovoso non si ricorda negli ultimi 20 anni, per lo meno su alcune zone italiane, se escludiamo annate eccezionali come il 2013 ed il 2019. Ma per ora siamo solo a metà mese e tanta altra pioggia arriverà. Ci aspettano altri 10 giorni di tempo instabile e non caldo, tutto il contrario dello scorso anno con un maggio 2022 secco e bollente.
Lorenzo Tedici, meteorologo del sito www.iLMeteo.it, indica 2 zone principali: Basso Tirreno ed Emilia Romagna. Su queste aree del nostro Paese è piovuto, piove e pioverà in modo eccezionale. I terreni sono saturi, non assorbono più la pioggia e le alluvioni lampo sono una realtà. L’allerta è rossa da giorni sull’Italia, per maltempo a macchia di leopardo che colpisce a ripetizione. Prima c’era poca acqua con una drammatica siccità, adesso ce n’è troppa. Colpa probabilmente anche dei cambiamenti climatici. Intanto però, purtroppo, il ciclone tunisino, che ieri ha colpito la Sicilia e gran parte del Sud, ha raggiunto anche le regioni centro-settentrionali con un occhio di 995 hPa di pressione. Un ciclone dunque violento e profondo con venti di tempesta e nubifragi associati; ovviamente i venti portano mareggiate e i nubifragi allagamenti. Prestiamo dunque attenzione almeno fino a domani, poi giovedì è prevista una tregua meteo anche se permarrà il rischio idrogeologico.
Nelle prossime ore pioverà in modo incessante in Emilia Romagna, come avvenuto ad inizio mese: sono previste precipitazioni simili per persistenza ed intensità, si teme dunque una situazione complessa anche perché il vento di scirocco e di levante rallenterà il deflusso in mare delle onde di piena fluviale. Oggi avremo più di 100 mm di pioggia cioè 100 litri per metro quadrato in Emilia Romagna, accumuli simili non sono esclusi anche tra Campania e Calabria tirrenica, mentre dovrebbe migliorare in modo deciso in Sicilia. Il maltempo colpirà in pratica tutta l’Italia, con minor intensità solo sulle Isole Maggiori e parzialmente al Nord-Ovest. Un martedì 16 maggio che ricorderà una giornata di inizio autunno.
Domani il ciclone tunisino, nato appunto tra Algeria, Tunisia e Libia con temporali anche nel Sahara, si porterà sul medio Adriatico e causerà ancora forte maltempo: le piogge più intense sono attese di nuovo su Romagna, Alte Marche e Basso Tirreno. Giovedì 18 maggio invece è previsto un timido miglioramento con una fase interciclonica, cioè tra due cicloni: il ciclone tunisino si sarà allontanato verso i Balcani, mentre un nuovo ciclone algerino proverà a seguire le orme del compagno maghrebino; in pratica dal weekend non sarà impossibile ritrovare una fedele replica di ciò che sta accadendo ora, con la risalita dal nordafrica di un nuovo vortice tempestoso.
Prudenza dunque da Nord a Sud, restiamo tutti uniti nella prevenzione, nella mitigazione del rischio, e seguiamo sempre gli avvisi della Protezione Civile: d’altronde ‘non può piovere per sempre’.
Al via oggi a Reykiavik il Consiglio d’Europa (parleranno anche Meloni e Zelensky)Reykjavik, 16 mag. (askanews) – Due giorni per parlare di Europa e, soprattutto, di Ucraina. Comincia oggi a Reykjavik il quarto vertice dei capi di Stato e di governo dei 46 Paesi aderenti al Consiglio d’Europa (la Russia non ne fa più parte dal 2022), organizzazione nata nel 1949 con l’obiettivo di promuovere la democrazia, proteggere i diritti umani e lo stato di diritto.
Il summit, a cui è attesa anche la presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, comincerà alle 16.30 ora locale (le 18.30 in Italia) con l’arrivo dei leader che saranno accolti dalla premier islandese, Katrín Jakobsdóttir, e dalla segretaria generale del Consiglio d’Europa, Marija Pejcinovic Buric. Il titolo del vertice è Uniti ‘attorno ai nostri valori’ e ad ospitarlo e l’Harpa, sala concerti e centro congressi. Dalle 17.45, dopo l’esecuzione dell’Inno alla gioia, è previsto l’inizio dei lavori con un discorso di apertura del primo ministro dell’Islanda. Quindi, a seguire, gli interventi del presidente dell’Ucraina, Volodymyr Zelensky, del presidente francese, Emmanuel Macron, del Cancelliere tedesco, Olaf Scholz, della presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, e del primo ministro britannico, Rishi Sunak.
La giornata sarà conclusa da una cena di lavoro dall’emblematico titolo ‘United for Ucraine’. Nella seconda giornata, che comincerà alle 8 del mattino, sono previste due sessioni di lavoro, il dibattito generale ‘United for Europe’ e la sessione conclusiva ‘United around our values’. Il vertice sarà concluso alle 13 da un pranzo di lavoro e poi da una conferenza stampa del presidente e del segretario generale del Consiglio d’Europa.
Elezioni comunali, Piantedosi: le operazioni elettorali si sono svolte in maniera regolareRoma, 16 mag. (askanews) – “La complessa macchina organizzativa che fa capo al Viminale ha consentito il corretto svolgimento della tornata amministrativa appena conclusa, che ha visto coinvolti 595 comuni delle regioni a statuto ordinario e oltre 4,5 milioni di elettori”. Lo ha dichiarato il ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi.
“Grazie all’impegno corale del Dipartimento Affari interni e territoriali, delle Prefetture, dei Comuni, dei Tribunali e delle Corti d’Appello, delle Forze di polizia, dei presidenti di seggio e degli scrutatori è stato garantito il diritto di voto su tutto il territorio. Si tratta di un momento importante per la vita politica delle nostre comunità locali, che ancora una volta è stato gestito con professionalità ed efficienza consentendo il regolare esercizio di tutte le operazioni elettorali”, ha aggiunto il titolare del Viminale.
Elezioni comunali, al primo turno quattro capoluoghi vanno al centrodestra e 2 al centrosinistraRoma, 16 mag. (askanews) – Sondrio, Treviso, Latina, Imperia al centrodestra, Brescia e Teramo al centrosinistra. Sono questi i capoluoghi di provincia al voto che al primo turno, nonostante in alcuni casi manchi ancora qualche sezione da scrutinare, fanno segnare un risultato definitivo sul nome del primo cittadino. Clamoroso il dato di Pisa, dove veniva data per certa la vittoria del centrodestra al primo turno ma al termine delle operazioni di scrutinio il candidato del centrodestra Michele Conti ha mancato di un soffio la vittoria, fermandosi al 49,96% dei consensi. Paolo Martinelli, del centrosinistra, lo sfiderà al ballottaggio partendo da un più modesto 41,12%.
Ad Imperia viene confermato il sindaco uscente, l’ex ministro Claudio Scajola, con il 62,9% dei voti, davanti al vicecommissario Ivan Bracco, espressione del centrosinistra, al 22,5%. La candidata del centrodestra, Matilde Celentano, ha fatto man bassa di voti a Latina, surclassando, con il 70,4% delle preferenze, Damiano Coletta, ex sindaco di centrosinistra, fermo al 29,5%. Non cambia l’inquilino al comune di Sondrio, Marco Scaramellini, sindaco uscente del centrodestra, è stato confermato con il 57,8% dei voti. Staccato il candidato del centrosinistra Simone Del Curto, che si è attestato al 39,2%. Anche al comune di Treviso non cambia il primo cittadino: Marco Conte, sindaco uscente del centrodestra ha ottenuto il 64,7% dei voti. Distaccato di molto Giorgio De Nardi, del centrosinistra, fermo al 28,2%. A Brescia, affermazione di Laura Castelletti, attuale vicesindaco, del centrosinistra, che con il 54,8% dei voti ha superato Fabio Rolfi (41,6%)del centrodestra e che per l’evento conclusivo della campagna elettorale aveva avuto il sostegno in presenza anche della premier Giorgia Meloni.
A Teramo la coalizione Pd-M5s ha portato a casa il successo del sindaco uscente, Gianguido D’Alberto, grazie al 54,4% dei voti. Carlo Antonetti, del centrodestra, si è fermato al 36,4%. Oltre all’inaspettata Pisa vanno al ballottaggio, in programma il 28 e 29 maggio, gli altri sei capoluoghi, a cominciare da Ancona, con il candidato del centrodestra, Daniele Silvetti in testa con il 45,1% delle preferenze, davanti alla sindaca uscente del centrosinistra, Ida Simonella, con il 41,2%. A Brindisi la lotta per la poltrona di primo cittadino sarà tra Giuseppe Marchionna del centrodestra al 43,7% e Roberto Fusco, espressione di Pd e M5s, al 33,5. A Siena, il duello vedrà la candidata del centrodestra Nicoletta Fabio (30,51%) e quella del centrosinistra Anna Ferretti (28,75%).
A Massa, dove il centrodestra si è presentato diviso, sono stati premiati il candidato di Lega e Forza Italia, Francesco Persiani (35,42%), ed Enzo Ricci (29,95%), sostenuto dal centrosinistra. Fuori dal ballottaggio Marco Guidi (19,99%) con Fratelli d’Italia, Noi Moderati e Nuovo Psi. Le urne di Terni hanno premiato Orlando Masselli del centrodestra con 35,7%, e Stefano Bandecchi, di Alternativa popolare. Il patron di Unicusano e della Ternana calcio ha ottenuto il 28,2%. Resta fuori dal ballottaggio, per la prima volta il centrosinistra che con Josè Maria Kenny si è fermato al 21,9%.
A Vicenza il ballottaggio sarà tra Giacomo Possamai, capogruppo Pd alla Regione Veneto, sostenuto da quattro liste civiche, arrivato al 46,1% e Francesco Rucco, espressione dal centrodestra con il 44,1%.
Zangrillo: in due anni faremo 320mila assunzioni nella PaRoma, 16 mag. (askanews) – “Abbiamo previsto un piano di assunzioni di circa 3mila persone, due terzi delle quali per il comparto difesa e sicurezza. Numeri che vanno oltre al turnover per il quale abbiamo inserito circa 157mila persone nel 2022 e nel 2023 abbiamo come obiettivo quello di assumerne oltre 170mila. Sono 320 mila dipendenti in due anni”. Lo dice a Il Messaggero, Paolo Zangrillo, ministro della Pubblica Amministrazione.
“L’investimento più grande che possiamo fare è sulle competenze. Trovo assurdo che il tempo medio dedicato alla formazione dai nostri dipendenti sia di appena un giorno pro-capite l’anno”, sottolinea. Si tratta di “un dato insufficiente, soprattutto se consideriamo le grandi sfide che abbiamo di fronte. Per questo è stata emanata una direttiva, che triplica il tempo medio dedicato alla formazione e che la lega a vantaggi professionali e percorsi di carriera”.
Al primo turno 4 capoluoghi al centrodestra e 2 al centrosinistraRoma, 16 mag. (askanews) – Sondrio, Treviso, Latina, Imperia al centrodestra, Brescia e Teramo al centrosinistra. Sono questi i capoluoghi di provincia al voto che al primo turno, nonostante in alcuni casi manchi ancora qualche sezione da scrutinare, fanno segnare un risultato definitivo sul nome del primo cittadino. Clamoroso il dato di Pisa, dove veniva data per certa la vittoria del centrodestra al primo turno ma al termine delle operazioni di scrutinio il candidato del centrodestra Michele Conti ha mancato di un soffio la vittoria, fermandosi al 49,96% dei consensi. Paolo Martinelli, del centrosinistra, lo sfiderà al ballottaggio partendo da un più modesto 41,12%.
Ad Imperia viene confermato il sindaco uscente, l’ex ministro Claudio Scajola, con il 62,9% dei voti, davanti al vicecommissario Ivan Bracco, espressione del centrosinistra, al 22,5%. La candidata del centrodestra, Matilde Celentano, ha fatto man bassa di voti a Latina, surclassando, con il 70,4% delle preferenze, Damiano Coletta, ex sindaco di centrosinistra, fermo al 29,5%. Non cambia l’inquilino al comune di Sondrio, Marco Scaramellini, sindaco uscente del centrodestra, è stato confermato con il 57,8% dei voti. Staccato il candidato del centrosinistra Simone Del Curto, che si è attestato al 39,2%. Anche al comune di Treviso non cambia il primo cittadino: Marco Conte, sindaco uscente del centrodestra ha ottenuto il 64,7% dei voti. Distaccato di molto Giorgio De Nardi, del centrosinistra, fermo al 28,2%. A Brescia, affermazione di Laura Castelletti, attuale vicesindaco, del centrosinistra, che con il 54,8% dei voti ha superato Fabio Rolfi (41,6%)del centrodestra e che per l’evento conclusivo della campagna elettorale aveva avuto il sostegno in presenza anche della premier Giorgia Meloni.
A Teramo la coalizione Pd-M5s ha portato a casa il successo del sindaco uscente, Gianguido D’Alberto, grazie al 54,4% dei voti. Carlo Antonetti, del centrodestra, si è fermato al 36,4%. Oltre all’inaspettata Pisa vanno al ballottaggio, in programma il 28 e 29 maggio, gli altri sei capoluoghi, a cominciare da Ancona, con il candidato del centrodestra, Daniele Silvetti in testa con il 45,1% delle preferenze, davanti alla sindaca uscente del centrosinistra, Ida Simonella, con il 41,2%. A Brindisi la lotta per la poltrona di primo cittadino sarà tra Giuseppe Marchionna del centrodestra al 43,7% e Roberto Fusco, espressione di Pd e M5s, al 33,5. A Siena, il duello vedrà la candidata del centrodestra Nicoletta Fabio (30,51%) e quella del centrosinistra Anna Ferretti (28,75%).
A Massa, dove il centrodestra si è presentato diviso, sono stati premiati il candidato di Lega e Forza Italia, Francesco Persiani (35,42%), ed Enzo Ricci (29,95%), sostenuto dal centrosinistra. Fuori dal ballottaggio Marco Guidi (19,99%) con Fratelli d’Italia, Noi Moderati e Nuovo Psi. Le urne di Terni hanno premiato Orlando Masselli del centrodestra con 35,7%, e Stefano Bandecchi, di Alternativa popolare. Il patron di Unicusano e della Ternana calcio ha ottenuto il 28,2%. Resta fuori dal ballottaggio, per la prima volta il centrosinistra che con Josè Maria Kenny si è fermato al 21,9%.
A Vicenza il ballottaggio sarà tra Giacomo Possamai, capogruppo Pd alla Regione Veneto, sostenuto da quattro liste civiche, arrivato al 46,1% e Francesco Rucco, espressione dal centrodestra con il 44,1%.
Meloni al Consiglio d’Europa.Focus Ucraina(E forse vede Macron)Reykjavik, 15 mag. (askanews) – In primo piano ci sarà l’Ucraina. E non potrebbe essere altrimenti visto che è stata proprio la necessità di aumentare la “capacità di contribuire alla nostra sicurezza democratica condivisa” e dare una risposta alla “barbara” aggressione russa, ad aver dato la spinta decisiva per convocare la riunione. Domani a Reykjavik si incontreranno i 46 capi di Stato e di governo che aderiscono al Consiglio d’Europa, di cui non fa più parte proprio Mosca: già il 25 febbraio, poche ore dopo l’invasione dell’Ucraina, il comitato dei ministri del Consiglio ha deciso la sospensione della Russia mentre l’espulsione vera e propria è avvenuta il 16 marzo.
Si tratta del quarto vertice della storia di questa organizzazione, che pure esiste dal 1949. L’ultimo summit di questo livello si è tenuto nel 2005, ben 18 anni fa a Varsavia, peraltro esattamente negli stessi giorni: 16 e 17 maggio. La presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, è attesa – insieme agli altri leader – a partire dalle 17, all’Harpa, la sala concerti e centro congressi che ospiterà il vertice. Ci arriverà con il biglietto da visita di un sostegno all’Ucraina e della collocazione atlantista che sin dall’inizio è stato uno dei capisaldi della politica estera del suo governo, nonostante gli atteggiamenti ambigui dei suoi alleati, in primis della Lega e di Matteo Salvini. Un sostegno che è stato rinsaldato durante la recente visita del presidente Zelensky a Roma durante il tour europeo che lo ha portato anche a Berlino, Parigi e Regno Unito. Momento centrale del vertice sarà la sessione inaugurale che, spiegano fonti italiane, “rappresenta l’occasione per ribadire l’unità intorno ai valori democratici”. Alla cerimonia di apertura interverrà proprio il presidente dell’Ucraina, seguiranno poi i discorsi del presidente francese, Emmanuel Macron, del Cancelliere tedesco, Olaf Scholz, della presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, e del primo ministro britannico, Rishi Sunak. Subito dopo si terranno cinque tavole rotonde che si svolgeranno in contemporanea: la premier parteciperà e interverrà a quella dedicata al ‘Contrasto alle sfide derivanti dai nuovi diritti umani emergenti’. In serata dovrebbe ripartire alla volta del Giappone per partecipare al G7.
Ma vista la platea dei partecipanti, il vertice sarà occasione anche per incontri bilaterali. Uno tra tutti, quello con il presidente francese Emmanuel Macron che, come confermato anche dall’Eliseo, si dovrebbe tenere nel corso di questa settimana, già a Reykjavik o più probabilmente a margine del vertice dei 7 Grandi ad Hiroshima del prossimo fine settimana. Una opportunità forse di disgelo dopo l’ennesimo scontro tra i due Paesi sul tema dei migranti, alimentato dalle recenti dichiarazioni prima del ministro dell’Interno di Parigi Gerald Darmanin e poi di Stephane Sejournè, capo di Renaissance, il partito di Macron. Accuse di “disumanità” nel gestire la questione che Giorgia Meloni ha bollato come attacchi strumentali fatti a “uso interno”. Ma è sul fronte del sostegno all’Ucraina che il vertice porterà a casa il suo risultato più significativo. Durante la due giorni, come confermato nella dichiarazione congiunta al termine dell’incontro tra Meloni e Zelensky, ci sarà l’annuncio dell’istituzione di un ‘Registro dei danni’ causati dall’aggressione russa in Ucraina. L’accordo – sottolineano fonti italiane – è uno “strumento di cooperazione intergovernativa, aperto anche a Stati terzi”, tanto che ci si attende, tra le altre, anche l’desione di Stati Uniti e Giappone.
Il registro – si rimarca – è un “primo passo verso la creazione di un meccanismo di internazionale di compensazione economica dei danni subiti dall’Ucraina che consentirà di chiamare la Russia a rispondere delle sue responsabilità e una prova concreta di assistenza a Kiev”. Ma ci sono altri due punti che sono stati esplicitati recentemente dalla segretaria generale dell’organizzazione, Marija Pejcinovic Buric. Uno è “il sostegno dell’Ufficio del Procuratore generale nelle indagini sui crimini di guerra e su gravi violazioni dei diritti umani”, l’altro “il sostegno a sforzi internazionali per istituire un Tribunale speciale sul reato di aggressione”. “Il Consiglio d’Europa – ha spiegato – si mobilita e continuerà a mobilitarsi per riconoscere le responsabilità della Russia per i reati e le azioni illegali che ha commesso. Operando insieme, garantiremo che venga fatta giustizia”.
Ma a 18 anni dall’ultimo vertice dei capi di Stato e di governo, il summit di Reykjavik sarà occasione per il Consiglio d’Europa di ripensare se stesso e di proiettare il suo ruolo nel futuro. Negli anni ha spesso scontato la confusione dei non addetti ai lavori con il Consiglio europeo. D’altra parte, il dibattito sul rapporto tra l’organizzazione e le istituzioni di Bruxelles non è nuovo. Già nella riunione di Varsavia, infatti, Jean Claude Junker, all’epoca primo ministro del Lussemburgo, spiegava che “le rivalità tra il Consiglio d’Europa e l’Unione Europea non hanno ragione di esistere, quando si tratta di istanze fondamentali” e anzi “le due organizzazioni sono “di grande complementarità”. Nel frattempo, però, all’elenco se n’è aggiunta un’altra, che peraltro conta più o meno sull’adesione degli stessi Stati, ossia la Comunità politica europea, nata nel 2022 su proposta di Macron: per il 1 giugno è in programma un vertice e Chisinau, in Moldova. Non a caso, dunque, tra i propositi del vertice di Reykjavik c’è quello di “riorientare la sua missione alla luce delle nuove minacce ai diritti umani, la promozione della democrazia e la tutela dello stato di diritto”.Al termine del vertice verrà adottata una dichiarazione politica, dunque l’Islanda cederà la presidenza del Comitato dei ministri del Consiglio d’Europa alla Lettonia.