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Dl elezioni in Aula, Lega ripropone emendamento per terzo mandato

Dl elezioni in Aula, Lega ripropone emendamento per terzo mandatoRoma, 13 mar. (askanews) – Sono 44 gli emendamenti depositati per l’aula del Senato sul ddl di conversione del decreto elezioni. Alcuni sono stati presentati da gruppi di maggioranza (tre FdI, due Lega, uno FI) ma la gran parte sono espressione di proposte delle opposizioni, più numerose dal M5S (11), 8 dal Pd, 6 da AVS e da Azione.


La Lega, come annunciato, ha ripresentato quello che se approvato introdurrebbe la possibilità di svolgere tre mandati per i presidenti della Giunta regionale. Proposta già bocciata in Commissione e sulla quale il governo si è rimesso al voto dell’Aula. La proposta di modifica interviene sulla previsione, contenuta all’articolo 2, comma 1, lettera f), della legge 2 luglio 2004, n. 165, che nell’attuale versione prescrive la “non immediata rieleggibilità allo scadere del secondo mandato consecutivo del Presidente della Giunta regionale eletto a suffragio universale e diretto”. Nell’emendamento della Lega si propone di sostituire le parole: “secondo mandato” con le parole “terzo mandato”. “Le disposizioni di cui al comma 1 si applicano con riferimento ai mandati successivi alle elezioni effettuate dopo la data di entrata in vigore delle leggi regionali di attuazione”, precisa ancora l’emendamento leghista, che quindi azzera i precedenti mandati e consentirebbe a qualche presidente uscente, quindi, di arrivare a quattro e più mandati consecutivi. Il Pd ha presentato anche una proposta di stralcio della norma che abolisce il limite dei mandati per i sindaci dei Comuni fino a 5000 abitanti e modifica il limite dei mandati, elevandoli a tre, per i primi cittadini dei Comuni fino a 15mila abitanti.

Schlein a Calenda: nessuno è autosufficiente per battere destra

Schlein a Calenda: nessuno è autosufficiente per battere destraRoma, 13 mar. (askanews) – Per battere la destra serve “un progetto” e un’alleanza che metta insieme “il più possibile le forze alternative”. Lo ha detto Elly Schlein in conferenza stampa, rispondendo al leader di Azione Carlo Calenda che ha nuovamente detto no al ‘campo largo’.


“Io – ha detto Schlein – posso rispondere per quello che fa il Pd” che “in tutti i territori sta cercando di agevolare un’alternativa alle destre che sia competitiva e che possa vincere. Nessuna delle forze politiche è autosufficiente”. Ha aggiunto la leader Pd: “Serve la coerenza del progetto, trovare insieme le candidature più credibili e raccogliere quel progetto e naturalmente raccogliere il più possibili le forze che alternative a questa destra. Noi continueremo a lavorare in questa direzione”.

Onorificenze, il Quirinale farà pulizia nell’elenco dei capi di Stato morti

Onorificenze, il Quirinale farà pulizia nell’elenco dei capi di Stato mortiRoma, 13 mar. (askanews) – Il Quirinale ha deciso di procedere ad una messa a punto generale sulle onorificenze, dopo le richieste di chiarimento e gli equivoci avvenuti negli anni. E’ solo l’ultima della lista infatti la querelle innescata alla Camera con una proposta, targata Fdi e Lega, che punta a revocare al maresciallo Tito, anche se defunto, la medaglia di Cavaliere di Gran Croce insignito della decorazione di Gran Cordone, e che ha, per tutta risposta, prodotto un emendamento Pd che tira in ballo Mussolini e i gerarchi fascisti.


Recentemente, sul sito del Quirinale, è stato puntualizzato che “le onorificenze sono legate alla esistenza in vita dell’insignito e decadono con la sua morte” e che “non possono essere concesse onorificenze alla memoria”. Nulla, quindi, per chi non è più in vita. Gli insigniti per le onorificenze dell’Ordine al Merito della Repubblica italiana hanno raggiunto la cifra ragguardevole di circa 2 milioni, di cui molti ormai defunti. Ma per quanto riguarda quelle più importanti, come la medaglia di Cavaliere di Gran Croce decorato di Gran Cordone, di solito riservato ai capi di Stato, si sta pensando, secondo quanto apprende Askanews, di togliere dal data base il nominativo dei defunti. Rimarrà traccia solo in un elenco sul sito dell’Archivio Storico.

Il G7 italiano parte da Verona: “Crescere insieme con IA e chip”

Il G7 italiano parte da Verona: “Crescere insieme con IA e chip”Verona, 13 mar. (askanews) – Intelligenza artificiale, chip e sviluppo digitale sostenibile: parte da qui la presidenza italiana del G7, con la ministeriale dedicata all’industria che ritorna sul tavolo dei Grandi dopo sette anni di assenza. Due giorni di lavori al via domani, prima a Verona e poi Trento, con focus sui temi sfidanti per il mondo delle imprese, chiamate a tenere il passo dell’innovazione tecnologica in un contesto geopolitico sempre più incerto. L’obiettivo del vertice è riflettere sulla necessità di far convergere le politiche industriali: “Growing together” (“Crescere insieme”) dice l’Italia ai partner internazionali, pensando anche allo sviluppo tecnologico dell’Africa.


A presiedere i lavori della ministeriale di Verona sarà il ministro delle Imprese e del made in Italy, Adolfo Urso. Oltre agli esponenti dei governi membri del G7 e dei paesi invitati (tra i quali l’Ucraina), è attesa al palazzo della Gran Guardia anche la vicepresidente della Commissione Europea, Margrethe Vestager. L’Italia, fa sapere il Mimit, cercherà di approfondire le rispettive strategie di investimento privato e gli strumenti di sostegno pubblico affinché le imprese colgano appieno tutte le potenzialità derivante dall’uso dell’intelligenza artificiale. Tecnologie che dovranno essere “funzionali a un incremento tangibile della produttività e della competitività dei sistemi industriali”. Per sostenere lo sviluppo tecnologico è necessario garantire sicurezza e resilienza delle catene di approvvigionamento e delle reti: “L’Italia vuole avviare una discussione a tutto tondo in ambito G7 sui semiconduttori, sulle politiche e sulle strategie da adottare per creare un coordinamento che riduca la dipendenza da Paesi terzi”, viene spiegato. “È necessario, a tal fine, garantire sicurezza e resilienza anche per lo sviluppo di connessioni attraverso lo sfruttamento dello spazio e delle aree sottomarine, per promuovere la realizzazione di una connessione globale”.


Non si può ‘crescere insieme’ senza che lo sviluppo digitale coinvolga l’Africa, in linea con il Piano Mattei del governo italiano. “Uno degli obiettivi del G7 Industria è di far sì che i partner globali, a iniziare dall’Africa, beneficino delle potenzialità dell’Intelligenza Artificiale e delle tecnologie emergenti. L’Italia proporrà ai partner G7 di condividere le proprie e dopo avvierà audizioni per realizzare un programma di intervento dedicato a colmare i divari esistenti in tema di elaborazione dati, risorse computazionali e capitale umano”.

Meloni: non penso e non dirò mai che le tasse sono bellissime

Meloni: non penso e non dirò mai che le tasse sono bellissimeRoma, 13 mar. (askanews) – “Non penso e non dirò mai che le tasse sono una cosa bellissima, sono bellissime le libere donazioni non i prelievi imposti per legge” e per questo motivo c’è “una grande responsabilità” nel “gestire quelle risorse che non possono essere usate in modo irresponsabile per garantirsi facile consenso immediato e lasciare chi viene dopo a ripagare quella irresponsabilità”. Lo ha detto la presidente del Consiglio Giorgia Meloni, in un convegno sula riforma fiscale alla Camera.


“Affrontiamo un momento storico particolarmente complesso a livello internazionale ma – ha proseguito Meloni – le crisi sono anche un’occasione. Ci viene imposto di dare risposte coraggiose e strutturali. Il fisco è una delle prime materie affrontate, ci poniamo l’obiettivo di disegnare una nuova Italia”. “La riforma fiscale – ha aggiunto – non è solo un ammasso di regole ma uno dei perni attorno ai quali ruota il tessuto economico della nazione, uno degli strumenti attraverso i quali lo Stato può prosperare, mettendo le aziende nelle condizioni migliori per produrre ricchezza”. “La riforma fiscale – ha sottolineato la premier – è lo strumento con cui lo Stato raccoglie le risorse necessarie ad erogare i servizi e a rendere la società più equa. Un sistema fiscale non nasce per soffocare la società ma per aiutarla a prosperare, non è uno strumento con cui lo Stato si impone sul cittadino ma è uno degli strumenti per dare risposte. Non deve opprimere le famiglie con norme astruse e un livello di tassazione ingiuste, ma deve chiedere il giusto e sapere usare ciò che chiede ai cittadini con lo stesso criterio che seguirebbe un buon padre di famiglia”.

Fisco, Meloni: non deve soffocare e opprimere ma sia padre famiglia

Fisco, Meloni: non deve soffocare e opprimere ma sia padre famigliaRoma, 13 mar. (askanews) – “La riforma fiscale è lo strumento con cui lo Stato raccoglie le risorse necessarie ad erogare i servizi e a rendere la società più equa. Un sistema fiscale non nasce per soffocare la società ma per aiutarla a prosperare, non è uno strumento con cui lo Stato si impone sul cittadino ma è uno degli strumenti per dare risposte. Non deve opprimere le famiglie con norme astruse e un livello di tassazione ingiuste, ma deve chiedere il giusto e sapere usare ciò che chiede ai cittadini con lo stesso criterio che seguirebbe un buon padre di famiglia”. Lo ha detto la presidente del Consiglio Giorgia Meloni, a un convegno sulla riforma fiscale alla Camera.

Fisco, Meloni: non dirò mai che le tasse sono bellissime

Fisco, Meloni: non dirò mai che le tasse sono bellissimeRoma, 13 mar. (askanews) – “Non penso e non dirò mai che le tasse sono una cosa bellissima, sono bellissime le libere donazioni non i prelievi imposti per legge” e per questo motivo c’è “una grande responsabilità” nel “gestire quelle risorse che non possono essere usate in modo irresponsabile per garantirsi facile consenso immediato e lasciare chi viene dopo a ripagare quella irresponsabilità”. Lo ha detto la presidente del Consiglio Giorgia Meloni, in un convegno sula riforma fiscale alla Camera.

Green Deal, maggioranza Italia divisa o sconfitta a Strasburgo

Green Deal, maggioranza Italia divisa o sconfitta a StrasburgoBruxelles, 12 mar. (askanews) – Brutta giornata, oggi a Strasburgo, per i partiti della maggioranza di governo italiano: su due voti cruciali del Green Deal al Parlamento europeo, sono usciti divisi o sconfitti. I partiti dell’opposizione, al contrario, sono rimasti uniti e compatti con i propri gruppi e hanno vinto in entrambe le votazioni, la prima sulla direttiva emissioni industriali (che comprende anche le grandi aziende zootecniche), e la seconda sull’efficienza energetica nell’edilizia (“case green”).


Più in generale, sono i gruppi del centro (Liberali di Renew) e del centro-destra (Ppe con Fi e Conservatori con Fdi) che si sono fortemente divisi nei due voti, mentre ne è uscita chiaramente sconfitta l’estrema destra del gruppo Identità e Democrazia, in cui siedono gli eurodeputati della Lega. La direttiva emissioni industriali, che era stata già fortemente emendata per escludere dal suo campo di applicazione gli allevamenti bovini (in base al dubbio argomento secondo cui l’inquinamento di suoli, aria e falde acquifere da parte di queste aziende zootecniche non può essere trattato allo stesso modo dell’inquinamento di origine industriale), ha sostanzialmente dimezzato le soglie relative alle dimensioni degli allevamenti suini e di pollame.


Queste aziende dovranno rispettare nuovi limiti obbligatori più stringenti per le emissioni, con nuove soglie di applicazione (350 “unità di bestiame vivo” per i suini, 300 per le galline ovaiole, 280 per il pollame in genere, e 380 per allevamenti che comprendono sia suini che pollame) che sono sostanzialmente più alte di quelle prospettate dalla Commissione europea nella sua proposta originaria (150 “unità di bestiame vivo”, che equivalgono a 150 unità per i bovini, con soglie proporzionalmente più alte per gli animali più piccoli), ma più basse di quelle che voleva il Parlamento europeo (750 “unità di bestiame vivo”). L’accordo raggiunto nel “trilogo” con il Consiglio Ue sulla direttiva emissioni industriali è stato approvato dalla plenaria con 393 voti favorevoli, 173 contrari e 49 astensioni. I partiti di governo italiano si sono spaccati in due fronti: favorevoli gli eurodeputati di Fi nel Ppe, contrari quelli di Fdi (del gruppo conservatore Ecr) e della Lega (con tutto il gruppo di estrema destra Id). Tutti gli altri eurodeputati italiani hanno votato a favore (con l’eccezione di Fabio Massimo Castaldo, ed M5s passato ad Azione, contrario).


Più in generale, il Ppe si è diviso in due fronti: 83 favorevoli e 66 contrari (più quattro astenuti). Il gruppo liberal democratico Renew si è espresso in grande maggioranza a favore (42 eurodeputati, compresi gli italiani Danti e Zullo), ma con 13 contrari (incluso l’italiano Castaldo). I Conservatori dell’Ecr si sono spaccati in due (29 a favore, 28 contrari, tra cui gli eurodeputati di Fdi, con in più cinque astenuti). Estremamente compatti per la direttiva i Verdi (tutti a favore), il gruppo S&D (nessun contrario, 6 astenuti), la delegazione del M5s (tutti a favore) e la Sinistra (28 favorevoli, quattro contrari, un astenuto). L’altra direttiva, quella sulle “case green”, prevede che tutti gli edifici privati di nuova costruzione siano a emissioni zero a partire dal 2030, e quelli pubblici due anni prima, a partire dal 2028. Per gli edifici residenziali esistenti, dovrà esserci una riduzione dell’energia primaria media utilizzata (rispetto al 2020) di almeno il 16% entro il 2030 e di almeno il 20-22% entro il 2035. Dovrà essere inoltre ristrutturato entro il 2030 il 16% degli edifici non residenziali che hanno le peggiori prestazioni in ogni Stati membro, e il 26% entro il 2033.


In questo caso, l’accordo raggiunto nel “trilogo” è stato approvato con 370 voti contro 199 e 46 astenuti. Hanno votato contro la direttiva tutti gli eurodeputati della maggioranza di governo italiana: oltre alla Lega (con tutto il gruppo Id) e agli europarlamentari di di Fdi (con tutto il gruppo dei Conservatori Ecr), anche quasi tutti quelli di Fi (con l’eccezione di Alessandra Mussolini, favorevole). Più in generale, qui il Ppe si è spaccato in tre (72 favorevoli, tra cui un altro italiano, l’altoatesino Herbert Dorfman, del Svp, 54 contrari e 25 astenuti), mentre nel gruppo liberale Renew hanno votato a favore 67 eurodeputati (tra cui i due di Italia Viva, Sandro Gozi e Nicola Danti, più l’indipendente Marco Zullo, ex M5s), con 19 contrari e un solo astenuto. Massicciamente a favore della direttiva, oltre ai Verdi e al M5s, anche i gruppi dei Socialisti e Democratici (solo due contrari e un astenuto) e della Sinistra (26 favorevoli, due contrari, quattro astenuti). Al Parlamento europeo, insomma, sebbene negli ultimi tempi l’onda montante della destra la stia erodendo, esiste ancora una maggioranza pro-Green Deal, che comprende, oltre a Socialisti, Verdi, Sinistra e M5s, anche una parte importante dei Liberali di Renew e una minoranza cospicua del Ppe. Che questa maggioranza si mantenga chiaramente o no è una delle scommesse più importanti per le prossime elezioni europee di giugno.

Campo largo prova con Valluzzi in Basilicata, ma dubbi Azione

Campo largo prova con Valluzzi in Basilicata, ma dubbi AzioneRoma, 12 mar. (askanews) – A pochi giorni dalla presentazione delle liste in Basilicata il “campo largo” prova l’intesa su un nuovo nome, una figura che dovrebbe andare bene sia al Pd che – in teoria – ad Angelo Chiorazzo, il ‘civico’, imprenditore delle coop bianche, che ha avanzato la propria candidatura sostenuto dal Movimento ‘Basilicata casa comune’ e dal Pd lucano ma che deve fare i conti col no dei 5 stelle. Le voci delle ultime ore parlano di una trattativa in corso su Nicola Valluzzi, sindaco di Castelmezzano, ex Pd, ora confluito proprio in ‘Basilicata casa comune’, un nome che dovrebbe avere l’ok di Giuseppe Conte e, al tempo stesso, potrebbe essere accettabile anche da Chiorazzo.


Le cose, però, sono ancora complicate. Proprio Chiorazzo non si sbilancia e, anzi, sembra ancora lasciare aperta l’ipotesi di una sua corsa solitaria, contro il resto del ‘campo largo’. “C’è un dialogo continuo e aperto con la segretaria Schlein, con il presidente Conte e con la vicepresidente del Senato Taverna e con altri esponenti del Pd, nelle prossime ore arriveremo a capire se ci sarà la possibilità di stare tutti insieme”. Quindi aggiunge: “A me la parola campo largo non piace proprio. Noi dobbiamo partire dai valori che ci accomunano, dalle idee del programma per rispondere ai bisogni dei lucani. Si può vincere anche da soli così come si può perdere tutti insieme, come è successo in Abruzzo”. Azione, poi, sembra tentata dalla rottura e in Basilicata e sarebbe un problema serio per il centrosinsitra, perché nel partito di Calenda sono entrati i fratelli Pittella, ex Pd, portando potenzialmente in dote un robusto pacchetto di voti. Matteo Richetti spiega: “Un nome che farebbe vincere le opposizioni c’è ed è quello di Marcello Pittella. Ma nella coalizione che hanno in testa Schlein e Conte non è previsto che il candidato non sia di loro espressione”. E non sarebbe nemmeno escluso alla fine un sostengo di Azione a Vito Bardi, il candidato del centrodestra, presidente uscente.


Angelo Bonelli, co-portavoce dei Verdi, non nasconde l’irritazione: “Per le elezioni regionali in Basilicata, bisogna scegliere il candidato o la candidata rapidamente: siamo in grande ritardo e va scelto o scelta in modo condiviso dalla coalizione”. E’ quello che il Pd vorrebbe, arrivare rapidamente a un’intesa. Ma i democratici devono anche fare i conti con il partito lucano e con Roberto Speranza, che erano schierati con Chiorazzo. Se l’imprenditore delle coop accettasse di fare un passo di lato le cose si semplificherebbero anche per Elly Schlein. Ma al momento, appunto, Chiorazzo prende tempo.

Meloni: su inchiesta Perugia ora lavora Antimafia, poi valuteremo Commissione

Meloni: su inchiesta Perugia ora lavora Antimafia, poi valuteremo CommissioneRoma, 12 mar. (askanews) – Sull’inchiesta di Perugia e la presunta attività di dossieraggio “ora lavora la Commissione Antimafia, poi valuteremo se servirà altro”. Lo ha detto la presidente del Consiglio Giorgia Meloni, rispondendo – al suo arrivo a Trento – alla domanda se la commissione d’inchiesta ad hoc sia tramontata, sottolineando che per istituirla “ci vuole almeno qualche mese”.


Alla domanda se la commissione d’inchiesta proposta dal ministro della Giustizia Carlo Nordio sia definitivamente archiviata, Meloni ha risposto: “No, non credo che la cosa vada vista così. Penso che oggi ci sta lavorando la Commissione Antimafia, che ha poteri di inchiesta, e quindi credo che bisogna vedere dove riesce ad arrivare la Commissione Antimafia e poi valutare se c’è bisogno di qualcos’altro perchè è anche un tema di tempistiche: per istituire una nuova Commissione ci vuole almeno qualche mese, temo. Per cui ad oggi abbiamo già una commissione che ci sta lavorando e penso che bisogna farla lavorare nel miglior modo possibile. All’esito del lavoro che farà la commissione Antimafia secondo me va valutato se serve qualcos’altro”. Tenendo presente che “bisogna andare fino in fondo”. “Il punto è che bisogna arrivare fino in fondo. Punto. Perchè quello che sta emergendo è obiettivamente incredibile e vergognoso per uno stato di diritto”, ha aggiunto Meloni.