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Centromarca-Ibc: il protocollo anti-inflazione è impraticabile

Centromarca-Ibc: il protocollo anti-inflazione è impraticabileMilano, 3 ago. (askanews) – Centromarca e l’associazoine delle Industrie di beni di consumo in una nota comunicano di aver “ritenuto non praticabile la sottoscrizione del protocollo” anti-inflazione promosso dal governo attraverso il Mimit che impegnerebbe le organizzazioni a promuovere, presso le aziende associate, azioni per offrire prezzi calmierati su una selezione di articoli, compresi quelli rientranti nel cosiddetto carrello della spesa, e a “non aumentare il prezzo” di tale selezione in un trimestre di riferimento (primo ottobre – 31 dicembre 2023) eventualmente prorogabile. “Pur non mettendo in dubbio la validità delle motivazioni che portano il governo, attraverso il Mimit, a promuovere interventi a sostegno del potere d’acquisto delle famiglie” le due realtà che riuniscono l’industria di marca e quella dei beni di largo consumo hanno deciso di non aderire ritenendo impraticabile l’iniziativa, “tenuto conto sia di aspetti sostanziali sia di valutazioni di carattere formale e giuridico”.

Tuttavia, hanno ribadito la volontà di continuare col dialogo al governo, al ministero delle Imprese e alle aziende della moderna distribuzione, con l’obiettivo di affrontare a un tavolo condiviso e in modo organico le inefficienze presenti nella filiera del largo consumo che si traducono in costi per il consumatore finale. E hanno, inoltre, auspicato una riduzione sensibile dell’iva sui beni di consumo, ulteriori tagli al cuneo fiscale e azioni che portino la concorrenza nei settori in cui non è presente. Nella nota le due associazioni spiegano nel dettaglio le ragioni che le hanno portate a non sottoscrivere il protocollo. Il primo punto sono i costi delle materie prime. La gran parte delle industrie è impegnata nella definizione di contratti di acquisto delle materie prime con prezzi che oscillano costantemente. A titolo di esempio, scrivono, Nomisma, per le commodity agricole, su base indice Fao, registra le seguenti variazioni tendenziali (giugno 2023 rispetto gennaio 2020): zucchero +74%, cereali +26%, carne +14%, lattiero caseari +12%, olii vegetali +6%. Rispetto a gennaio 2021 il costo del vetro è cresciuto dell’88%, la carta del 65%, il pet del 37%. I costi logistici si mantengono alti. La marginalità delle aziende si è deteriorata a causa del forte aumento del tasso di sconto. Il quadro complessivo non consente previsioni realistiche sulla dinamica dei conti economici e sulle linee delle politiche commerciali dei prossimi mesi. Un’azione di controllo dei prezzi, a prescindere da queste variabili e dalle differenti condizioni delle singole aziende, rischia di pregiudicare la tenuta del tessuto produttivo (soprattutto delle piccole e medie imprese) e la continuità dei fondamentali investimenti a presidio di qualità, sicurezza, sviluppo, occupazione e sostenibilità.

Il secondo punto, riguarda il graduale aumento dei prezzi per il consumatore finale che ha già generato una contrazione della marginalità. I bilanci industriali registrano riduzioni dei margini, a conferma del fatto che – consapevoli della debolezza del potere d’acquisto delle famiglie – i produttori di beni di largo consumo hanno fatto quanto era in loro potere per trasferire con gradualità a valle gli extracosti (materie prime, energia, imballaggi, trasporti) anche incamerando negli anni scorsi contrazioni significative dei profitti. Nell’alimentare i margini per unità di prodotto hanno registrato una riduzione del 41,6%. L’Osservatorio Congiunturale Centromarca – Ref Ricerche evidenzia che lo scorso anno il 43,5% dei manager delle aziende alimentari e non food ha riscontrato profitti in diminuzione e il 6,2% ha prodotto in perdita. Nel 2022 le tensioni al rialzo dei costi, già in atto nel 2021, si sono accentuate. Per la media dell’industria del largo consumo, secondo elaborazioni di Prometeia, l’incremento è stato del 15,4%, superiore al manifatturiero. L’industria ha trasferito solo parzialmente i costi sui prezzi: in media d’anno, nel 2022, i prezzi al consumo del largo consumo sono aumentati meno del 10% (8,8% per alimentare e bevande, 5,5% per il chimico casa e circa il 3% per gli articoli di igiene personale e prodotti di bellezza). L’impegno delle aziende industriali nel contenimento dei prezzi è confermato anche dal fatto che nel 2022, a fronte di un impatto dell’inflazione che ha determinato una crescita della spesa complessiva delle famiglie pari a 446 euro mensili (rispetto al 2021, dato Istat) l’impatto del carrello della spesa stimato da Nielsen è stato di 35 euro. Infine c’è anche un aspetto giuridico. Verifiche legali, spiegano, hanno appurato che la normativa Antitrust non consente a Centromarca e a Ibc di promuovere presso le aziende associate gli impegni oggetto del protocollo. Ogni industria, nel rispetto della legge, agisce in autonomia sia nel rapporto con fornitori e clienti sia nella definizione delle politiche commerciali. Un’intesa che “controlli” i prezzi (anche al ribasso) costituirebbe un potenziale cartello, sanzionabile da parte dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato. L’attuazione del contenuto del protocollo determinerebbe, inoltre, interferenze nelle relazioni di filiera e una distorsione della concorrenza tra le imprese, che competono tra loro sulla base di posizionamenti, margini e politiche di prezzo differenziate.