Come funziona la rielezione di PutinRoma, 13 mar. (askanews) – Totalmente immersa nello sforzo bellico per arrivare a prevalere nella guerra scatenata oltre due anni fa contro l’Ucraina, la Russia si appresta a rieleggere Vladimir Putin per un quinto mandato al Cremlino. Si vota dal 15 al 17 marzo e nessuna sorpresa è attesa dal risultato, che tuttavia lancerà la Federazione russa verso sei anni pieni di incognite, a cominciare dall’esito del conflitto, da cui dipende molto, se non tutto per il Paese. E a cui certamente è appesa la sorte della leadership putiniana e del sistema del potere che la esprime.
Vladimir Putin è pronto a diventare il leader russo più a lungo al comando – dopo Stalin – grazie alla mancanza di vere alternative tra gli altri candidati e anche in virtù di una forte popolarità, soprattutto tra l’elettorato ultracinquantenne e fuori dalle grandi città. Ma i tre giorni delle presidenziali tenute in tempo di guerra – e il cui risultato sarà tradotto anche in un nuovo mandato come comandante in capo – saranno sotto i fari di media, analisti e politici in tutto il mondo. L’affluenza è al momento la maggiore preoccupazione per il Cremlino. La pioggia di droni e le recenti incursioni di gruppi paramilitari di ‘patrioti’ russi anti-Putin dall’Ucraina qualche pensiero lo danno: della guerra Putin e compagni parlano continuamente, ma non della guerra ‘in casa’, delle minacce per il territorio russo. I funerali dell’oppositore Aleksey Navalny morto in carcere a metà febbraio hanno segnalato che decine di migliaia di persone (quantomeno a Mosca) sono disposte a sfidare i dettami ufficiali. I sondaggi registrano tassi di approvazione per Putin sempre molto alti, attorno all’80%, ma anche una crescente richiesta di porre fine alla guerra. Ecco come funzionano le elezioni presidenziali nella Russia di Putin, in guerra in Ucraina e in scontro frontale con ‘l’Occidente collettivo da oltre due anni.
CHI VOTA Gli aventi diritto al voto residenti in Russia sono 112,3 milioni di persone, da aggiungere a 1,9 milioni che abitano all’estero e a 12.000 registrati a Baikonur, sede del cosmodromo in Kazakistan affittato dalla Russia dopo la fine dell’Urss. L’affluenza media delle ultime presidenziali è stata attorno al 65%, nel 2028 del 67,5%. Ma questa elezione è inevitabilmente impostata come un referendum su Putin e la guerra, per cui le autorità mirano a una più consistente partecipazione. QUANDO E DOVE SI VOTA Le elezioni si tengono da venerdì 15 a domenica 17 febbraio, anche nei cosiddetti ‘Nuovi Territori’, ovvero nelle parti di Ucraina controllate dalla Russia e dichiarate annesse al settembre del 2022, dove il voto è iniziato in anticipo di alcuni giorni. Per la prima volta in un’elezione presidenziale 23 soggetti della Federazione e la Crimea possono votare via internet a distanza, cosa che alimenta timori di più facili brogli rispetto a risultati ed affluenza. Si vota anche all’estero, compresi i ‘Paesi ostili’ (l’italia è nella lista, come tutti i Paesi dell’Ue) anche se in un primo momento era stato ipotizzato il contrario.
Nei seggi le urne saranno aperte alle ore 8 del 15 marzo e chiuderanno alle 20 del 17 marzo sugli 11 fusi orari dell’immenso territorio della Federazione russa. I CANDIDATI 1+ 3 I candidati sono 4, Vladimir Putin più altre tre emersi senza sorprese da una folta rosa di aspiranti presidenti che si erano inizialmente presentati.
I nomi sulla scheda elettorale sono quindi quelli di Nikolay Karitonov, presentato dal senescente Partito Comunista (Kprf) ma membro iscritto solo dal 2007. Ha 75 anni ed è capo della commissione per lo sviluppo dell’Estremo oriente/Artico Leonid Slutsky, 56 anni, è candidato del partito Liberal-democratico (Ldpr, destra nazionalista) orfano dello storico leader Vladimir Zhrinovsky morto l’anno scorso. Il partito Nuova Gente candida il non più nuovo Vladislav Davankov, 39 anni, in politica dal 2020 e prima uomo d’affari, è vicino al campo ‘liberal’ ma da intendere come visione economica. Inserito a pieno titolo nel sistema politico ufficiale – è deputato e vicepresidente della Duma – è comunque la figura più vicina al concetto di alternativa. E potrebbe rappresentare la sorpresa di queste elezioni, se dovesse sorpassare Karitonov e ottenere il secondo posto dopo Putin, come alcuni sondaggi prospettano. I tre ‘sfidanti’ siedono in parlamento e fanno parte della cosiddetta opposizione sistemica che contrasta il partito governativo Russia Unita e quindi il Cremlino su pochi, singoli argomenti e non pone particolari problemi al potere. Dei candidati persi strada facendo, l’unico degno di nota è Boris Nadezhdin, 60 anni, apertamente critico nei confronti di Putin e opposto alla guerra in Ucraina: inizialmente il Cremlino sembrava tentato dal lasciarlo partecipare per veicolare un voto di protesta ritenuto comunque marginale, ma l’interesse che ha suscitato ha fatto cambiare idea ai vertici, con conseguente prevedibile bocciatura della sua candidatura per ragioni tecniche. Vladimir Putin si candida da indipendente, non ha fatto campagna elettorale in senso vero e proprio ma il discorso annuale all’Assemblea federale del 29 febbraio – durata record di oltre due ore – è stato presentato come quadro programmatico per i prossimi sei anni, ovvero come il suo manifesto elettorale. Ha 71 anni, la riforma costituzionale del 2020 gli permette in teoria di restare al potere sino al 2036. E’ stato eletto la prima volta nel 2000 con il 53% dei voti, ha toccato il punto più basso nel 2012 con il 63,6% dei voti (risultato contestato perché ritenuto frutto di brogli da organizzazioni di monitoraggio indipendenti) e quello più alto nel 2018 con il 76,7% delle preferenze. Per queste elezioni si vocifera di un obiettivo prefissato di ‘almeno 80%’ dei voti. LE INCOGNITE In un’elezione senza possibili sorprese nel risultato, con candidati deboli eccetto il predestinato alla vittoria e la generale certezza che nulla cambierà con il voto, l’affluenza è la prima incognita per la macchina del potere, che ha bisogno invece di una forte partecipazione. Sotto il 70% sarebbe un brutto risultato, sotto il 65% una débacle. In un clima di crescente repressione di ogni piccolo segnale di dissenso, è difficile immaginare azioni di protesta nei giorni delle elezioni. Anche l’appello di Yulia Navalnaya a presentarsi ai seggi il 17 marzo alle 12 come segnale di protesta – idea del marito morto in carcere il 16 febbraio – non è senza rischi, contrariamente a quanto sostengono i promotori. L’opposizione extraparlamentare è stata ridotta a un ruolo di marginalità con anni di progressive interdizioni, intralci e minacce. La guerra in Ucraina ha determinato una svolta in tal senso: chi si oppone alla guerra, e chi contesta in generale le politiche del Cremlino – e quindi la campagna militare in Ucraina – è iscritto nelle liste degli ‘agenti stranieri’ o degli ‘elementi estremisti’, con conseguenze amministrative e anche penali, in alcuni casi molto pesanti. Oltre a Navalny, che al momento della morte stava scontando una condanna a 19 anni per estremismo in una colonia penale dell’estremo Nord artico, molti attivisti anti-sistema sono finiti in carcere. I più noti, e più insidiosi in termini politici, sono Vladimir Kara Murza, cittadino russo-britannico condannato a 25 anni di carcere per tradimento e fake news sull’esercito russo, e Ilya Yashin, otto anni di prigione per discredito delle forze armate. (di Orietta Moscatelli).