È morto Alberto Garutti: un artista tra soglie, visioni, comunità
È morto Alberto Garutti: un artista tra soglie, visioni, comunitàMilano, 25 giu. (askanews) – “L’arte ha la sua ragion d’essere in questo bisogno di superare limiti, di andare oltre una certa soglia”. Lo aveva detto Alberto Garutti ad askanews qualche anno fa, in una lunga intervista sul senso dell’arte, dell’insegnamento, dello stare davanti al mondo. Garutti, artista decisivo della contemporaneità, in Italia – dove è stato anche professore a Brera con un’aura leggendaria per i risultati poi ottenuti da molti dei suoi studenti, diventati artisti importanti – ma anche sulla scena internazionale, è morto ieri sera a 75 anni. La soglia, come limite, certo, ma anche come spazio di opportunità, è sempre stata al centro del suo lavoro e del suo ragionamento su cosa possa essere oggi l’arte. Che per lui, pur docente di pittura, è sempre stata più una pratica che un oggetto, più una forma che un contenuto. Poi i contenuti arrivavano, pretendo però spesso l’aspetto di opere d’arte pubblica dedicate a delle comunità, quindi, una volta di più, inserite in un conto reale più che museale. Come per esempio il restauro del teatro di Peccioli, nel Pisano, luogo dove i giovani del posto un tempo andavano per innamorarsi – come recitava la bellissima didascalia del lavoro – oppure sotto forma di intervento che modificava leggermente la realtà, come le luci che si accendevano in una piazza di Bergamo in corrispondenza di una nuova nascita, o ancora per la caduta di in fulmine da qualche parte nel mondo, e quest’opera l’abbiamo rivista anche in Triennale. Garutti registrava i fatti, gli forniva una via di manifestazione, quindi interveniva, anche con un senso dell’effimero, che era un’altra delle qualità molto contemporanee del suo lavoro. Con un senso di leggero straniamento che oggi è profondamente amplificato dalla notizia della sua morte.
“Io penso – ci aveva detto anni dopo, in occasione della vittoria di un concorso per la tenuta di Geneagricola a Caorle – che l’artista debba imparare a scendere dal piedistallo un po’ retorico che il sistema dell’arte gli mette sotto i piedi, e debba scendere per mettersi al servizio della città”. Se “pratica” potrebbe essere la prima, o una delle prime, parole per raccontare chi era Alberto Garutti, la seconda potrebbe essere “servizio”, nel senso che tutti i suoi lavori pubblici hanno cercato di portare qualcosa di più alle comunità dove ha lavorato. Il punto, forse, era proprio questo: credere in un’idea e portarla oltre la soglia, che talvolta è sottile, ma per l’artista potrebbe essere infinita, oltre la soglia, si diceva, dello spazio tradizionale dell’arte per arrivare ovunque, e trasmettere qualcosa alle persone che si fermeranno a leggere le sue didascalie, “dispositivi attivatori del lavoro”, come amava ripetere, che contengono anche una delle sue frasi più famose: “Tutti i passi che ho compiuto nella mia vita mi hanno portato qui, ora”. Chiarissima, forse anche vagamente banale, ma perfetta, indiscutibile, eppure sospesa sopra noi e il nostro renderci conto del peso che, muovendoci, a volte ci portiamo dietro. Il peso del tempo, degli spostamenti, dell’imprevedibilità delle cose. Fino ad arrivare lì, in quel preciso momento, ma con tutta la nostra storia dietro. La constatazione dell’imprevedibile ineluttabilità (e profondità) della vita di ogni giorno. Chiudiamo con un’altra immagine, legata al cielo, quel luogo verso il quale – ci diceva Garutti – a volte “desiderava di precipitare vorticosamente, ma verso l’alto”. Il cielo è stato lo sfondo di molte delle sue installazioni, delle sue scritte luminose, e tornava spesso nelle sue didascalie. “Il cielo è una cosa complessa – ci ha detto ancora – è un grande enigma che sta sopra le nostre teste, che ha a che fare con l’arte, ma anche con la leggenda mitologica di Zeus, ha a che fare con il Padreterno per chi ci crede. Però io ho scritto una cosa che tengo molto a ripetere: che l’arte contiene il senso mistico della natura”.
Ecco, forse anche la lezione di Garutti, da docente come da artista, la sua visione in anticipo sui tempi sta proprio in questa tensione verso una sorta di misticismo naturale, in questa volontà di essere ancora parte di un dialogo complesso, ma indispensabile, ancorato al nostro presente, che è rigorosamente il tempo nel quale si colloca il lavoro dei Garutti, né più ne meno. (Leonardo Merlini)