Fmi: politiche clima solo di spesa alzano debiti-Pil di 45-50 punti
Fmi: politiche clima solo di spesa alzano debiti-Pil di 45-50 puntiRoma, 2 ott. (askanews) – Le politiche di riduzione delle emissioni di CO2 mediante crescenti sussidi e investimenti pubblici sulle energie rinnovabili avranno costi pesantissimi sui bilanci pubblici: il Fondo monetario internazionale prevede che potrebbero far salire i livelli di indebitamento pubblico tra 45 e 50 punti percentuali di Pil, da qui al 2050. Per questo, in un articolo anticipato dell’imminente Fiscal Monitor – l’analisi semestrale sulle politiche di Bilancio – l’istituzione di Washington suggerisce che bisogna far ricorso a “un mix di misure”, che includa le sovracitate sovvenzioni ma anche meccanismi di aumento del prezzo in base alle emissioni (una tassa chiamata Carbon pricing) e altri provvedimenti.
I Paesi che intendono impegnarsi su queste politiche fronteggiano infatti quello che al Fmi chiamano un “trilemma”, un conflitto fra tre diversi aspetti: raggiungere gli obiettivi sul taglio delle emissioni, assicurare la sostenibilità dei bilanci pubblici e disporre della “fattibilità” a livello politico delle relative misure. “In altri termini, perseguire due di questi obiettivi avviene al prezzo di sacrificare parte del terzo”, affermano gli autori dello studio (Era Dabla-Norris, Ruud de Mooij, Raphael Lam, Christine Richmond). Secondo i tecnici del Fmi “sebbene nessuna singola misura possa da sola far raggiungere gli obiettivi climatici, il sistema di Carbon pricing è necessario, anche se non sempre sufficiente, a far ridurre le emissioni. Dovrebbe essere parte integrante di qualunque pacchetto di politiche”.
“Il prezzo del carbonio andrebbe complementato da altri strumenti di mitigazione per intervenire sulle incapacità del mercato e per promuovere l’innovazione e lo sviluppo di tecnologie a basse missioni”, prosegue l’articolo. Servirebbe poi un prezzo minimo carbonio su scala globale. Mentre i ricavi di bilancio di questa tassa “andrebbero condivisi in parte tra paesi per facilitare la transizione verde”. Peraltro “una transizione giusta e equa – affermano ancora al Fmi – includerebbe solidi trasferimenti fiscali a famiglie, lavoratori e comunità vulnerabili”.
Questi aspetti di “giustizia sociale” sono un elemento spesso citato nelle politiche di transizione verde e ecologica. Con scetticismi su chi alla fine sarebbe chiamato a sopportarne maggiormente i costi, e il crescente sospetto che si tratterebbe della classe media delle economie avanzate. Il tutto senza menzionare il fatto che lo stesso concetto di cambiamento climatico resta controverso e oggetto di contestazioni, anche se questo aspetto è poco presente sui media ha però una sua rilevanza tra gli esperti, come messo in rilievo dal recente appello che ha visto oltre 1600 scienziati firmatari, tra cui alcuni premi Nobel. Eloquentemente intitolato “Non c’è una emergenza climatica”, solleva critiche sulla narrativa dominante, denuncia le “esagerazioni”, i passati errori previsionali sulle temperature del Ipcc (Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico) e il fatto che le cause alla base delle variazioni climatiche sarebbero più naturali che antropiche.
Ad ogni modo secondo, i calcoli del Fmi “con il giusto mix di misure di spesa e di aumento dei ricavi” (cioè tasse) il debito pubblico nelle economie avanzate limiterebbe la crescita tra 10 e 15 punti di Pil per il 2050, posto che l’istituzione stessa riconosce che queste stime “sono soggette a elevata incertezza”. Mentre rinviare i sistemi di Carbon pricing farebbe salire i costi tra 0,8 e 2 di Pil per ogni anno di ritardo. Altro tema sensibile riguardo ai costi è il fardello che graverebbe sul settore privato. Lo studio cita le stime dell’Agenzia internazionale per l’energia secondo cui i progetti per mitigare i cambiamenti climatici necessitano di aumentare gli investimenti a 2.000 miliardi di dollari l’anno entro il 2030. E il settore privato deve coprire la maggioranza di questi investimenti, tra l’80 e il 90 per cento a seconda del fatto di includervi o meno la Cina. “Il settore privato dovrà colmare il grosso delle necessità di finanziamento sul clima”, afferma l’istituzione di Washington. E al tempo stesso serviranno forme di sussidio per i paesi emergenti e in via di sviluppo, oltre a quelle già esistenti, per supportare la transizione verde e anche per i trasferimenti e la condivisione di tecnologie a basse emissioni di carbonio.