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Il nome del gruppo all’europarlamento riaccende discussione Pd

| Redazione StudioNews |

Il nome del gruppo all’europarlamento riaccende discussione PdRoma, 4 mag. (askanews) – L’unica cosa certa è che adesso il Pd si dice contrario al cambio del nome del gruppo dei ‘Socialisti e democratici’, una posizione messa nero su bianco anche su una nota del Nazareno, ma non è semplice ricostruire come si sia arrivati a questo corto circuito. Quella sorta di ‘referendum’ sul nome lanciato dalla capogruppo Iratxe Garcia Perez ha mandato in subbuglio i democratici, con i ‘riformisti’ che alzano le barricate e la sinistra che – come dimostrano le parole di Andrea Orlando – sembra condividere l’idea di eliminare il riferimento ai “democratici” e usare semplicemente la dicitura “Pse”, Partito socialista europeo. Potenzialmente una bomba che rischia di far riesplodere lo scontro interno, tanto più che molti sembrano convinti che dietro alla mossa della Garcia Perez possa esserci una qualche apertura dei vertici del Pd, come scrive il sito Politico.eu citando la stessa segreteria Elly Schlein.

Ricostruzioni che il quartier generale Pd smentisce subito: “Per il Partito Democratico il cambiamento del nome del gruppo dei Socialisti e democratici al Parlamento europeo non è mai stato in discussione. Le indiscrezioni giornalistiche sul presunto sostegno di Elly Schlein a questa ipotesi sono del tutto destituite di fondamento”. E il capodelegazione a Bruxelles Brando Benifei aggiunge: “Sono certo che da parte nostra ci sarà il supporto per il mantenimento dell’attuale denominazione di Alleanza Progressista dei Socialisti e Democratici che rappresenta per noi un valore e una storia che inizia quando la nostra delegazione italiana era guidata da David Sassoli”. Resta il fatto che, appunto, nella sinistra Pd tanti considerano quasi naturale la richiesta della Garcia Perez. Dice Orlando: “La denominazione socialisti e democratici fu concepita quando il Pd pur non aderendo a Pse intendeva far parte del gruppo parlamentare a Strasburgo. Successivamente il Pd ha aderito al Pse. Oggi,quindi, il gruppo si può tornare a chiamare socialista. Dove è il problema?”.

La risposta gliela danno in tanti dall’ala ‘riformista’ del partito, sono molti a leggere questa ipotesi come una negazione del Dna stesso del Pd. Lorenzo Guerini, sempre assai parco con le dichiarazioni, lo spiega su Twitter: “La nostra forza è nell’unità delle nostre differenze. È un valore che abbiamo portato come Pd al gruppo al Parlamento europeo. La famiglia progressista si deve allargare, non restringere. Per questo l’ipotesi di modificare il nome sarebbe uno sbaglio che non va commesso”. Più o meno sulla stessa linea sono, tra gli altri, Debora Serracchiani, Piero Fassino, Enzo Amendola, Pina Picierno, Walter Verini, Elisabetta Gualmini. Tutti esponenti dell’ala riformista del Pd che hanno alzato le barricate per dire che il nome del gruppo al Parlamento europeo non si deve toccare. Parlando con qualche europarlamentare si apprende che della faccenda sicuramente si era già parlato in una riunione dell’ufficio di presidenza di S&D, qualche settimana fa. Ma, viene precisato, “avevamo chiaramente detto che non siamo d’accordo con l’idea di cambiare il nome”. Insomma, c’era stato qualche scambio su questo argomento, ma niente più e, soprattutto, nessuna decisione. La ‘colpa’ di tutto viene attribuita alla presidente del gruppo Garcia Perez, spagnola. “In Spagna – dicono in molti nel Pd – vogliono connotarsi più nettamente puntando su una chiara identità socialista, è una questione che ha a che fare con le loro dinamiche interne”.

Una ricostruzione che certo potrebbe aiutare a chiudere la questione, insieme alla frenata della stessa Garcia Perez (“Non abbiamo ancora deciso, sarà un processo trasparente”), se non fosse che le parole di Orlando sono condivise da parecchi a sinistra. E lo stesso ex ministro in serata torna sull’argomento per rilanciare: “Chi vede nell’affermazione di questo termine (socialismo, ndr) una vittoria di un’anima del Pd sull’altra, trascura invece di considerare che socialista non è un sinonimo di ex-comunista (e lo dico da ex comunista)”. In generale, le dichiarazioni dell’ala riformista non sono piaciute molto ai vertici Pd, perché – spiega un dirigente – “il punto non è se noi aderiamo o no al Pse: lo abbiamo già fatto nel 2014”. Il Pd dirà no al cambio di nome non perché vuole distinguersi dal socialismo, ma perché l’obiettivo è continuare ad allargare il gruppo a Strasburgo, anche a sinistra, a forze come quella di Alexis Tsipras per esempio.

Domani sarà Giuseppe Provenzano, responsabile esteri del partito, a fare in videoconferenza il punto sulla questione con gli europarlamentari. L’ennesima conferma che l’equilibrio tra le due anime del Pd è sempre delicato e basta una discussione sul nome del gruppo all’europarlamento per rianimare la discussione.