Roma, 24 mar. (askanews) – E’ tempo che sulle Camere di commercio si faccia un investimento politico ed istituzionale più deciso, se ne rafforzi il ruolo come organismi autonomi di affiancamento e promozione di chi fa impresa. E’ quanto ha chiesto il presidente di Unioncamere, Andrea Prete, nel suo intervento alla Conferenza nazionale delle Camere di commercio “Progettare il domani con coraggio”, in corso a Firenze alla presenza del Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella. In poco più di 10 anni in Italia, ha osservato, sono scomparse circa 130 mila imprese guidate da under 35 (-20%), soprattutto nel Centro-Sud. Così oggi le aziende giovanili sono appena l’8,7% del nostro tessuto imprenditoriale. “Non c’è futuro senza un ambiente favorevole alle nuove generazioni”, ha detto Prete. “Occorre rendere più facile ai giovani imprenditori trasformare le idee in realtà produttive: garantire la libertà di iniziativa economica è un valore costituzionalmente tutelato. Su questi punti il sistema camerale può e intende fare molto, per aiutare i giovani a mettersi in proprio, orientandoli già durante il percorso scolastico e aiutandoli poi a mettere in pratica i loro progetti”. “Oggi siamo chiamati a progettare il futuro – ha sottolineato il presidente di Unioncamere – e per farlo occorre coinvolgere le energie di tutti. Dovremo fare scelte coraggiose, di cui assumerci le responsabilità”. Per questo sono stati identificati quattro temi prioritari. Il disallineamento tra formazione e mondo del lavoro genera un considerevole mismatch tra domanda e offerta di lavoro. Il sistema informativo Excelsior di Unioncamere e Anpal indica che la difficoltà di reperimento nella ricerca di figure professionali è passata dal 26% nel 2019 al 40% nel 2022. Uno spreco, che costa in termini di valore aggiunto delle imprese più di 30 miliardi l’anno. A mancare sono soprattutto i profili Stem, i più richiesti dal mercato. Un dato che penalizza in particolare le donne, meno propense a scegliere questi indirizzi. E’ necessario stimolare e favorire le iniziative imprenditoriali guidate da donne, e le nuove tecnologie abilitanti sono preziose alleate per questa sfida. Esse consentono infatti di connettersi da qualunque luogo all’economia globale, di coniugare meglio i tempi di vita e lavoro, di ampliare la platea di chi lavora. E consentono anche di ridurre i costi e aumentare l’efficienza. Occorre perciò continuare ad affiancare le imprese, in particolare quelle più piccole, a familiarizzare con la digitalizzazione. Le Camere di commercio lo stanno facendo attraverso la rete dei Punti Impresa Digitale, accompagnando oltre 500 mila imprese nel cammino della quarta rivoluzione industriale con migliaia di assessment sulla maturità digitale, con i servizi per la cybersecurity e l’accesso a finanziamenti. Se i Pid nei prossimi tre anni riuscissero ad affiancare altre 250 mila imprese l’impatto sul Pil sarebbe dello 0,9%. Export e turismo – sottolinea Unioncamere – sono traini fondamentali dell’economia italiana. Le piccole imprese hanno però maggiori difficoltà sono sempre meno presenti all’estero. Questo elemento rischia di indebolire il nostro tessuto produttivo oltre che la competitività dell’intera Italia. Le Camere di commercio, insieme alla rete delle Camere italiane all’estero – promotrici dell’italicità nel mondo – possono fare la differenza, perché sono in grado di accompagnare le piccole imprese nei percorsi dell’internazionalizzazione. Bisogna, perciò, rimuovere un provvedimento di qualche anno fa che ha ridotto la possibilità delle Camere di operare su questo fronte, in modo da portare sui mercati internazionali circa 45 mila imprese che sono potenziali esportatrici, con una crescita stimata di circa 40 miliardi di export. Apertura internazionale vuol dire anche turismo. Il sistema camerale vuol contribuire a promuovere anche un turismo sostenibile, attivando i flussi di ritorno degli italiani di seconda e terza generazione. Le Camere di commercio si impegneranno a diffondere le comunità energetiche rinnovabili e, con una rete di Energy Manager, ad orientare le Pmi all’uso più efficiente delle risorse, con l’obiettivo di raggiungere nei prossimi anni 200 mila imprese. Questo avrebbe un impatto sul Pil dello 0,3%. Troppo spesso, ancora, però la sostenibilità è vissuta come un costo dalle imprese, disorientate da una normativa farraginosa. Sul tema della semplificazione l’Unioncamere ha presentato nelle scorse settimane alcune proposte, raccogliendo i suggerimenti di tutte le Associazioni d’impresa, raccolti in un tavolo che opera permanentemente: per evitare sovrapposizioni in tema di controlli, per valorizzare le certificazioni volontarie, puntare sul Fascicolo elettronico d’impresa, gestito dalle Camere di commercio, per evitare la duplicazione degli adempimenti. Se si riuscisse a ridurre di un terzo il tempo che le PMI impiegano per gli adempimenti burocratici, l’impatto sul Pil in un triennio sarebbe dello 0,4%. “Le Camere di commercio sono esse stesse corpi intermedi nel pluralismo della democrazia che assicurano la partecipazione civile ed economica. Sono istituzioni di collegamento tra Stato e mercato, tra locale e globale nel segno della sussidiarietà richiamata nella nostra Costituzione”, ha ricordato il presidente Prete sottolineando che “i prossimi anni saranno cruciali per tutti noi. Le rilevanti risorse messe a disposizione dal Pnrr, dai programmi e dai fondi europei e dal mercato rendono l’obiettivo di uscire dalla bassa crescita degli scorsi decenni alla nostra portata. Occorre perciò coinvolgere le micro, le piccole e medie imprese del Paese nella misura più ampia possibile; facilitare l’afflusso delle risorse finanziarie verso validi progetti di investimento; irrobustire il livello delle competenze manageriali necessarie in un contesto così complesso; sostenere le aggregazioni, il rafforzamento e la crescita delle piccole e medie realtà imprenditoriali in un equilibrio più avanzato tra sostenibilità e competitività. È un autentico progetto Paese per il quale le Camere di commercio si candidano a svolgere un ruolo chiave e fare da pivot, grazie alla prossimità territoriale, alle esperienze maturate, al patrimonio di dati e di conoscenze di cui dispongono”.
In 10 anni si sono perse 130mila imprese giovanili
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