La morte di Satnam Singh, il giudice: condotta disumana del datore di lavoro
La morte di Satnam Singh, il giudice: condotta disumana del datore di lavoroRoma, 2 lug. (askanews) – “Prescindendo da valutazioni etiche (irrilevanti per il diritto penale) che pure si imporrebbero a fronte di una condotta disumana e lesiva dei più basilari valori di solidarietà, non può sottacersi che l’indagato si è intenzionalmente e volontariamente disinteressato delle probabili conseguenze del suo agire”, così afferma il giudice del tribunale di Latina, Giuseppe Molfese, in un passo dell’ordinanza di custodia cautelare in carcere a carico di Antonello Lovato, responsabile dell’azienda agricola dove lavorava il bracciante indiano Satnam Singh. Il provvedimento, deciso dall’autorità giudiziaria, è stato eseguito stamane dai carabinieri di Latina.
“Il soccorso immediato” di Singh Satnam, il 17 giugno scorso, così come “più volte richiesto dalla
moglie” del bracciante indiano “avrebbe con ragionevole probabilità, prossima alla certezza, interrotto il decorso casuale verso la morte”. Così il gip di Latina, Giuseppe Molfese, in un passo dell’ordinanza di custodia cautelare a carico di Antonello Lovato, titolare dell`azienda agricola dove lavorava Singh. Il reato contestato è quello di omicidio doloso con dolo eventuale. Nel provvedimento di 13 pagine il giudice spiega: “E’ Lovato, che, contrariamente a quanto dovuto, carica il corpo nel furgone e separatamente l’arto amputato e, sempre il Lovato, abbandona il
corpo e l’arto a via Genova, dandosi alla fuga”. Insomma – si aggiunge – è di tutta evidenza la circostanza per la quale l’indagato non voleva la morte del suo bracciante indiano, ma per
la condotta posta in essere e le lucide modalità operative (sconfessate solo delle sue dichiarazioni, a tenore delle quali avrebbe agito nei termini descritti perché sotto shock) – è detto nell`ordinanza – ha ragionevolmente previsto il probabile decesso del Satnam, accettando consapevolmente il rischio”.Le condizioni di Satnam Singh “in stato di semi incoscienza, con un braccio amputato e copiosa perdita ematica, rendono, per la valutazione di chiunque, inevitabile l’evento mortale, soprattutto in assenza di un repentino intervento sanitario”. Secondo il giudice di Latina, i comportamenti successivi all’abbandono del corpo “argomentano e caratterizzano univocamente la condotta omicidiaria, proprio nei termini descrittivi del dolo eventuale”. Per il gip, Lovato ha omesso di chiamare i soccorsi, ma è scappato con il furgone ed ha poi provveduto a ripulire il sangue: “la principale finalità dell’indagato era di tutta evidenza quella di celare l’accaduto, d’altra parte, un suo lavoratore, irregolare sul territorio nazionale, privo di contratto, sguarnito di protezioni anti-infortunistiche e adoperando strumentazione da lavoro non certificata, si era amputato un braccio, perdeva copiosamente sangue e aveva subito altre gravi lesioni”.
Pur “di nascondere e dissimulare la realtà, con condotta intenzionale, ha posto in essere tutti gli accorgimenti descritti, anche a costo di concretizzare l’evento mortale che, progressivamente, si poneva dinanzi a lui”, spiega ancora il magistrato. Più avanti spiega: “Prescindendo da valutazioni etiche (irrilevanti per il diritto penale) che pure si imporrebbero a fronte di una condotta disumana e lesiva dei più basilari valori di solidarietà, non può sottacerti che l`indagato si è intenzionalmente e volontariamente disinteressato delle probabili conseguenze del suo agire”.