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La Valle d’Aosta del vino vola alto puntando su autoctoni e qualità

La Valle d’Aosta del vino vola alto puntando su autoctoni e qualitàMilano, 2 mag. (askanews) – Vincenzo Grosjean è quello che si dice ‘uno che la sa lunga’ sul vino e sulla sua Valle d’Aosta dove è nato 70 anni fa. Viticoltore a Quart e per quasi 30 anni responsabile della consulenza nel settore viticultura dell’assessorato regionale all’Agricoltura, è dal maggio 2023 il presidente del Consorzio Vini Valle d’Aosta, dopo essere stato fino al 2013 presidente dell’Association Viticulteurs Encaveurs, poi diventata associazione Vival e oggi appunto Consorzio. ‘L’ente consortile è nato due anni fa dopo una lunghissima gestazione partita negli anni Settanta, quando le associazioni di viticoltori, una ventina dato che ce ne era una ogni paio di Comuni, hanno fatto ripartire il settore in Valle d’Aosta’ spiega ad askanews, ricordando che ‘la vigna allora non era un mestiere ma una passione di famiglia, poi c’è stata un’evoluzione soprattutto con l’introduzione della Doc e la nascita delle cooperative dove sono entrati grande parte di questi viticoltori’.



La più piccola (poco più di 3.200 kmq complessivi) e tra le meno piovose regioni italiane ha circa 500 ettari di vigneti, di cui più o meno 390 a Doc e gli altri composti da vigneti familiari utilizzati per autoconsumo. Vigne che vanno dai 300 metri di Pont San Martin ai 1.200 di Morgex. ‘Abbiamo quasi mille metri di dislivello e questo ha creato nel tempo l’esigenza di avere molti vitigni autoctoni che si ambientassero ad ogni microzona’ continua Grosjean, precisando che, ‘abbandonati quelli ‘di quantità’, oggi ne utilizziamo una decina ma a questa selezione ce ne manca ancora qualcuno su cui stiamo lavorando con i ricercatori’. Vincenzo Grosjean è ‘l’uomo giusto al posto giusto nel momento giusto’: ha la memoria di quello che è stata la viticultura qui, conosce la realtà produttiva e la burocrazia regionale, ha una grande passione e la voglia di vedere crescere questo territorio. ‘Da un po’ di anni stiamo assistendo all’arrivo di diversi giovani che, o prendono in mano l’azienda di famiglia o danno vita a nuove realtà’ prosegue, sottolineando che ‘si tratta di ragazzi che hanno studiato agricoltura e enologia, che sono formati, cosa che ai nostri tempi mancava’. La spinta delle nuove generazioni è uno dei motivi della crescita qualitativa che negli ultimi decenni ha caratterizzato la produzione enologica italiana e la Valle d’Aosta non fa storia a sé. La spinta qui però deve essere più forte che altrove, perché nonostante in questo splendido territorio racchiuso tra le montagne più alte d’Europa la viticultura affondi le sue radici nell’età del Bronzo e ci siano una biodiversità e un patrimonio ampelografico straordinari, il vino non ha ancora l’attenzione e lo spazio che merita. Serve includerlo nel progetto di comunicazione turistica regionale e promuoverlo attraverso un piano dedicato all’enogastronomia, visto anche il crescente successo dell’enoturismo sperimentato da alcune Cantine. E serve soprattutto fare squadra tra tutti gli attori del mondo enologico e delle eccellenze gastronomiche locali (così ben raccolte da Stefano Lunardi all”Erba Voglio’ di Aosta) per un’azione continuativa di comunicazione e marketing che racconti il vino e il cibo per quello che sono, elementi imprescindibili del territorio, della sua storia, della sua cultura e dell’identità locale. Puntando per il vino, se possibile, su pochi vitigni facilmente riconoscibili nel bicchiere. L’essere piccoli è strutturalmente un limite ma paradossalmente potrebbe facilitare la coesione di intenti basata su qualità, rispetto per l’ambiente, sostenibilità e giusto valore. Il Consorzio può giocare in questo senso un ruolo importante, così come l’impegno per l’eccellenza e il futuro della propria terra profuso dalle più grandi realtà private e cooperative regionali, Les Cretes e Cave des Onze Communes, a cui si aggiungono la passione e la ricerca senza compromessi del giovane Didier Gerbelle, ma anche l’esperienza di Elio Ottin, passando per la raffinata pulizia di Les Granges, La Vrille, Cave Gargantua, Grosjean e Rosset Terroir con i suoi ottimi Petite Arvine, fino all’eleganza del solitario (Maison) Anselmet, solo per citare alcune delle Cantine più interessanti. C’è poi la micro Cantina Cave Monaja dell’enologo valdostano Chul Kyu ‘Andrea’ Peloso, riuscito in meno di cinque anni a portare le sue (pochissime) bottiglie, frutto di un faticoso quanto meritorio recupero di vigne storiche abbandonate, sui tavoli dei principali ristoranti stellati italiani, a partire naturalmente dal Caffè Nazionale di Paolo Griffa ad Aosta. Nel frattempo, i vignaioli locali si godono i frutti della vendemmia 2023 che è stata qualitativamente molto buona e in quantità superiore a quella del 2022: con circa 2,5 mln di bottiglie contro l’1,8 mln dell’anno precedente, oltre a qualche altro centinaio di migliaio che viene vendute come vini da tavola o comunque non Doc. Nonostante l’incremento, il numero di bottiglie prodotto in Valle d’Aosta è tale da fare oggettivamente fatica ad essere esportato fuori regione e ancor di più all’estero, rimanendo sostanzialmente appannaggio del mercato locale, visto anche il grande afflusso di turisti ‘che ne consumano una grossa fetta grazie alla ristorazione regionale: in tutti i ristoranti e locali c’è una discreta, se non buona, carta dei vini valdostani e questo per le piccole aziende agli inizi è estremamente importante’. Della sessantina di Cantine che producono vini che rientrano nelle Doc, 52 fanno parte del Consorzio. Le aziende imbottigliatrici sono 55, le cooperative sono sei (oltre a Cave des Onze Communes, ci sono Cave Mont Blanc de Morgex et La Salle, Cantina de La Kiuva di Arnand, Caves Cooperatives de Donnas, Cave Cooperative de l’Enfer (CoEnfer) di Arvier e La Crotta di Vegneron di Chambave) e le famiglie che si occupano di coltivare il vigneto sono circa 800. ‘Quello della parcellizzazione è uno dei problemi della viticultura valdostana: anticamente si abitava nelle valli laterali ma tutti avevano il vigneto nel fondovalle: ad esempio, i miei antenati, a Quart, affittavano la loro azienda in cambio di vino e castagne’ racconta ad askanews Vincenzo Grosjean, evidenziando che ‘questo ha fatto sì che poi, nelle famiglie numerose, ad ogni passaggio generazionale ognuno voleva un pezzo di vigneto, che è stato quindi frazionato in maniera impressionante dalla fine del ‘800 ad oggi’. ‘L’altro grosso problema è che per tanti anni c’è stata la possibilità di costruire praticamente ovunque, mentre adesso finalmente abbiamo dei piani regolatori molto più definiti e rigidi, e le nuove generazioni stanno affittando o vendendo questi terreni e si incomincia a fare degli accorpamenti’ continua, ricordando che ‘spesso gli accorpamenti sono comunque difficili, perché molti sono emigrati e quindi ci sono dei proprietari di terreni che sono introvabili: io per mettere insieme il vigneto Rovetta, il cui primo lotto è intorno ai 4,5 ettari, ho fatto 36 atti di acquisto e sono andato fino a Parigi per incontrare il nipote di una signora che era emigrata negli Stati Uniti’.


Il vitigno bianco più utilizzato è il Prié Blanc, che la fa da padrone nei circa 32 ettari di Morgex e La Salle. Nel resto della valle, ci sono Muscat Blanc di Chambave, Petite Arvine e Chardonnay che si attestano intorno ai 25 ettari l’uno, e poi rimangono tracce di Muller Thurgau e Traminer. Nei rossi il vitigno predominante è il Petit Rouge, coltivato in un centinaio di ettari, che rientra in cinque sottozone e può prendere il nome ad esempio di Torrette, che è il vitigno principe della famiglia degli ‘Orious’ che una volta rappresentava gran parte della viticultura regionale. ‘Poi c’è il Fumin che fino a pochi anni fa non era considerato perché è un vitigno particolare, molto rustico, e che finché era utilizzato in assemblaggio con altre uve dava problemi perché veniva vendemmiato troppo presto’ prosegue Grosjean, evidenziando che ‘adesso che abbiamo fatto una selezione e abbiamo delle piante nelle zone più vocate, è diventato un vitigno molto interessante. Infine – continua – non va sottovalutato il Cornalin, di cui al momento non c’è una grande quantità ma che sta crescendo, e altri vitigni minori’. Un capitolo a parte quello della bassa valle, dove troviamo il Picotendro, una sottovarietà di Nebbiolo ‘coltivato da sempre nella difficile ed eroica zona di Donnas e che ci fa ben sperare’. Poi ci sono Pinot Noir e Gamay, i primi vitigni introdotti negli anni Settanta dal canonico Joseph Vaudan. ‘Il Pinot Noir sta avendo un bel successo e ci sta dando grandissime soddisfazioni, anche perché si è finalmente capito che va piantato nelle zone più alte e più fresche per avere delle maturazioni più delicate’ continua, precisando che ‘il Gamay rimane un vitigno poco sfruttato ma è il vitigno più facile: matura sempre, è molto produttivo e non patisce alcuna malattia, fa un vino buono ma con poco charme, è un po’ il nostro rosso di partenza. Infine abbiamo vitigni minori come il Mayolet, il Vuillermin e il Neyret che stanno un po’ per volta prendendo piede’. Il presidente racconta infine le importanti novità che riguardano il Disciplinare di produzione del 1985, che saranno discusse e approvate entro maggio. ‘Abbiamo presentato in via formale la richiesta di arrivare a piantare vigna fino a mille metri, quindi salendo di circa 200 metri di media’ racconta Grosjean, precisando che la decisione è stata presa ‘alla luce dei cambiamenti climatici e per le nuove tipologie di vino come il Pinot Nero da spumante’, ma anche perché ‘ci sono tanti terreni che sono sempre stati coltivati a vigneto che sono a riposo da almeno settant’anni, e sarebbe importante poterli recuperare’. ‘Puntiamo poi ad avere la Doc Valle d’Aosta anche per gli spumanti, perché è un mercato in forte crescita e stiamo vedendo dei risultati qualitativi estremamente interessanti’ evidenzia, aggiungendo che ‘le aziende sono una quindicina, la stragrande maggioranza delle quali produce Metodo Classico’.