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Le cose per cui l’Ue ha iniziato l’iter di messa in mora dell’Italia

| Redazione StudioNews |

Le cose per cui l’Ue ha iniziato l’iter di messa in mora dell’ItaliaStrasburgo, 19 apr. (askanews) – La Commissione europea ha deciso, oggi a Bruxelles, di inviare diverse lettere di messa in mora e pareri motivati a 3 paesi membri, Italia, Grecia e Belgio per non aver applicato correttamente le norme previste dalla direttiva sui ritardi di pagamento da parte delle Pubbliche Amministrazioni ( Direttiva 2011/7/Ue). Per quanto riguarda l’Italia, in particolare, la Commissione scrive in una nota di aver avviato la procedura comunitaria d’infrazione, con una lettera di messa in mora riguardo alla legislazione nazionale che “costituisce una violazione della direttiva sui ritardi di pagamento, poiché prevede l’estensione del termine di pagamento dei debiti delle pubbliche amministrazioni oltre i termini previsti” dalla normativa, ossia entro 30 giorni. Inoltre, secondo la Commissione l’Italia non garantisce il rispetto della direttiva Ue” in particolare in un caso “riguardante il settore sanitario nella regione Calabria”.

La Commissione ha inoltre deciso di inviare all’Italia anche un parere motivato (secondo stadio della procedura d’infrazione) a seguito della “mancata inclusione, nell’ambitto della propria normativa nazionale, del noleggio di apparecchiature per intercettazioni telefoniche usate nelle indagini penali nella definizione di ‘transazioni commerciali’”, per le quali vale l’obbligo di pagamento entro le scadenze previste dalla direttiva Ue . “Escludendo queste operazioni dall’ambito di applicazione della direttiva sui ritardi di pagamento, le imprese interessate non possono beneficiare delle garanzie offerte” dalla normativa Ue, rileva l’Esecutivo comunitario. “I ritardi di pagamento – sottolinea la Commissione nella sua nota – hanno effetti negativi sulle imprese, riducendone la liquidità, impedendone la crescita, ostacolandone la resilienza e anche gli sforzi per diventare più ecologiche e più digitali. Nell’attuale contesto economico, le imprese, e soprattutto le Pmi, fanno affidamento su pagamenti regolari per continuare a operare e mantenere l’occupazione. La direttiva sui ritardi dei pagamenti obbliga le Pubbliche Amministrazioni a pagare le fatture entro 30 giorni (o 60 giorni per gli ospedali pubblici)”. Inoltre, “rispettando queste scadenze di pagamento, le pubbliche autorità danno il buon esempio nella lotta contro il malcostume dei pagamenti in ritardo (‘bad payment culture, ndr) nel mondo degli affari”. L’Italia ha ora due mesi per rispondere ai rilievi della Commissione. In caso di risposte non soddisfacenti, l’Esecutivo comunitario può decidere di passare allo stadio successivo della procedura d’infrazione, che nel caso del parere motivato è il deferimento dell’Italia alla Corte di Giustizia dell’Unione europea.

La Commissione europea ha inoltre deciso di avviare una procedura di infrazione, inviando lettere di messa in mora, su Italia, Lettonia e Portogallo per il non corretto recepimento della quinta direttiva antiriciclaggio. Con un comunicato, l’esecutivo comunitario rileva che i tre Stati membri avevano notificato il pieno recepimento della direttiva, laddove la stessa Commissione “ha individuato diversi casi di non corretto recepimento nell’ordinamento nazionale (mancata conformità), che riguardano tra l’altro aspetti fondamentali quali: l’obbligo di registrazione, licenza o regolamentazione dei prestatori di servizi (Italia e Lettonia), l’obbligo di istituire un registro dei conti di pagamento e conti bancari (Lettonia) e quello di garantire all’unità nazionale di informazione finanziaria e il corretto accesso alle informazioni pertinenti alle misure antiriciclaggio (Portogallo)”. Secondo Bruxelles le norme antiriciclaggio sono uno strumento importante nella lotta contro il riciclaggio di denaro e il finanziamento del terrorismo. Le lacune legislative di uno Stato membro si ripercuotono sull’insieme dell’Unione. L’Italia, la Lettonia e il Portogallo dispongono ora di 2 mesi per rispondere e adottare le misure necessarie, trascorsi i quali, ricorda l’Ue, la Commissione potrà decidere di deferire i casi alla Corte di giustizia dell’Unione.

Inoltre, la Commissione europea ha deciso, oggi a Bruxelles, di inviare un parere motivato all’Italia, secondo stadio della procedura comunitaria d’infrazione, per il recepimento non corretto nell’ordinamento nazionale della direttiva 1999/70/Ce del Consiglio Ue, che proibisce discriminazioni a danno dei lavoratori a tempo determinato nel settore pubblico e obbliga gli Stati membri a disporre misure atte a prevenire e sanzionare l’utilizzo abusivo di contratti o rapporti di lavoro a termine. La Commissione sottolinea in una nota che la normativa italiana “non impedisce né sanziona in misura sufficiente l’utilizzo abusivo di contratti a tempo determinato in successione per diverse categorie di lavoratori del settore pubblico e in particolare: insegnanti e personale amministrativo, tecnico e ausiliario della scuola pubblica, operatori sanitari, lavoratori del settore dell’alta formazione artistica, musicale e coreutica e del settore operistico, personale degli istituti pubblici di ricerca, lavoratori forestali, personale volontario dei Vigili del fuoco”. Inoltre, alcuni di questi lavoratori “hanno anche condizioni di lavoro meno favorevoli rispetto ai lavoratori a tempo indeterminato, situazione che costituisce una discriminazione e contravviene al diritto dell’Unione”.

Il caso non è nuovo. La Commissione aveva già avviato la procedura di infrazione inviando una prima lettera di costituzione in mora alle autorità italiane nel luglio 2019, seguita da una lettera complementare di messa in mora nel dicembre 2020. “Sebbene l’Italia abbia fornito spiegazioni sulle proprie norme nazionali, la Commissione le ha ritenute non soddisfacenti e dà ora seguito alla sua valutazione con un parere motivato”, nota l’Esecutivo Ue. L’Italia dispone ora di 2 mesi per rimediare alle carenze individuate nel parere motivato. In caso di risposta insoddisfacentre, la Commissione potrà decidere di deferire il caso alla Corte di giustizia dell’Ue.