Milano, 27 mar. (askanews) – Il teatro contemporaneo è uno spazio nel quale ciò che accade sul palco ha una relazione più diretta, più compromessa per molti versi, con chi sta di fronte a esso. È una questione biunivoca in modo molto più profondo rispetto alla normale dinamica spettacolo-spettatore. Perché molto spesso a essere messe in scena, più che una storia nella quale è più o meno possibile identificarsi, sono delle vere e proprie varianti di noi stessi, delle letture dei nostri comportamenti, come specie, è ovvio, ma anche come singoli specifici individui. E questo rende scomoda, ma anche estremamente interessante, quella poltrona rivestita di rosso in platea. Succede anche con “Apple Banana”, lo spettacolo progettato per il teatro Elfo Puccini di Milano da un gruppo informale di artisti, La variante umana, e interpretato da uno di loro, Marco Bonadei, che costruisce, più che un monologo, un dialogo asimmetrico con se stesso, con le dinamiche comunicative della società, ma anche con la messa in scena, nella quale le luci e la scenografia, nella loro sofisticata semplicità, giocano un ruolo decisivo.
Il protagonista si chiama George ed è una scimmia-umana, è la scimmia che fuma per divertire le persone che lo guardano in gabbia allo zoo. Ma è anche qualcuno che vive dentro un sistema sociale che è fatto di voci melliflue da annunciatori televisivi, di voyeurismo e di una narcosi tecnologica rappresentata dall’unico oggetto che resta sempre in scena, oltre alle banane: un cellulare. George da subito ci informa di non sapere scegliere tra un nuovo cellulare e una banana e questa incapacità di scelta è la sua (e nostra) condizione ontologica principale. George (e noi come membri di un sistema sociale ormai dominato da ossessioni tecnologiche) non può scegliere, non ha più nessuno strumento per farlo e in questa sospensione riemergono i ricordi della giungla, il perenne conflitto tra la componente più selvaggia della nostra specie e la razionalità che abbiamo faticosamente acquisito. Ma la sensazione, guardando “Apple Banana”, è che per questa razionalità ci sia sempre meno spazio, sembra essere diventata inutile, superflua. Incapace di sciogliere i continui e costanti dilemmi di fronte ai quali un mondo che vuole solo risposte nette a domande impossibili pone George e ciascuno di noi. Marco Bonadei sa muoversi sul palco, sa controllare senza ammiccamenti le situazioni e le contraddizioni, il suo discorso autoriale e attoriale è efficace, fa da collante a tutti i momenti dello spettacolo. In sala il pubblico ride, come spesso accade quando è in difficoltà, ma sul palco ogni passaggio è coerente e gestito, ogni battuta è vera, ma può essere contemporaneamente smentita, con la stessa assertività, poco dopo. È qui che lo spettacolo funziona di più: nel suo mettere tutto sul piatto – Bonadei gioca a carte scoperte, non potrebbe fare altrimenti, è una scimmia -, ma al tempo stesso non c’è nessuna interpretazione preconfezionata, tutte le contraddizioni restano, e come tali sono il tema della messa in scena. Senza consolazione, ma con lucidità. E la lucidità appare più importante, senza dubbio. George non sa scegliere tra banana e cellulare, ma Marco Bonadei sa benissimo che il suo corpo di attore deve essere parte di questa impossibilità. Sa che deve impersonare questa impossibilità, e lo fa con grande pulizia e dedizione. (Sa anche che quello che sta interpretando è pure un capitolo della infinita conflittualità tra la specie umana e la natura, che oggi si manifesta in modi clamorosi e devastanti. Questa è attualità, verrebbe da dire).
Le voci fuori campo, come annunci al supermercato; le varie forme di lusinghe più o meno triviali che il mondo offre (un po’ alla “Blade Runner” ho pensato in un paio di momenti); perfino la malinconia della vita libera nella giungla: sono tutte forme di un modo di pensare che ci arriva da fuori, che se lo guardiamo con onestà ci si svela per quello che è: alieno. È Ballard oppure la Società dello spettacolo aggiornata all’uomo-scimmia digitale del XXI secolo, fin troppo banale sottolinearlo. O forse no, forse si tratta solo di giocare con i codici della comunicazione contemporanea, e lo spettacolo lo fa magistralmente, senza ulteriori interpretazioni, lasciando che sia il grado zero della storia a emergere, per poi generare, in un secondo momento, le altre sensazioni. Come in ogni opera d’arte contemporanea sono possibili molti discorsi, che non si escludono l’un l’altro, pur nella diversità. Ecco, “Apple Banana” forse mette in scena esattamente questo aspetto, che è cruciale per chiunque voglia provare a guardare a occhi aperti il nostro presente, la cultura e la nostra stessa vita di individui all’inizio del terzo millennio. Il principio di indeterminazione, in fondo, è uno di quelli su cui si fonda anche la ricerca scientifica oggi, ogni tanto è utile pensarci. Anche davanti a un contraddittorio uomo scimmia all’Elfo Puccini.
(Leonardo Merlini)