Michela Murgia e la malattia che lascia attonita l’Italia
Michela Murgia e la malattia che lascia attonita l’ItaliaRoma, 6 mag. (askanews) – Michela Murgia lo dice fin dall’inizio dell’intervista al Corriere della Sera con cui racconta ad Aldo Cazzullo di avere un tumore, “un carcinoma renale al quarto stadio; dal quarto stadio non si torna indietro”. Dice, dunque, di rifiutare “il registro bellico; parole come lotta, guerra, trincea… Il cancro è una malattia molto gentile. Il cancro non è una cosa che ho; è una cosa che sono. Non posso e non voglio fare guerra al mio corpo, a me stessa”. La retorica del ‘guerriero’, della ‘battaglia’, porta a pensare che chi muore non abbia lottato abbastanza, cosa tristemente falsa.
In ogni caso, la scrittrice spiega che una cura aggressiva “non avrebbe senso. Le metastasi sono già ai polmoni, alle ossa, al cervello”. E quindi segue una immunoterapia, per guadagnare quanti più mesi possibile. Ma c’è molto di più in questa intervista lucida e senza sconti, che ha lasciato attonita l’Italia e campeggia su tutti i social media. C’è una persona religiosa che dichiara la sua fede cristiana, ma insiste nel lottare per i diritti civili di tutti: quando racconta di aver comprato una casa “con dieci posti letto, dove stare tutti insieme, per la mia famiglia queer”; quando parla del suo ultimo romanzo, “Tre ciotole”, in cui racconta dall’esterno anche questa esperienza (“mi sono resa conto che la letteratura mi permette di dire cose meno assertive di un saggio; anche cose contrarie a quelle che penso”); e quando proclama il suo diritto di decidere fino in fondo della sua vita: “Posso sopportare molto dolore, ma non di non essere presente a me stessa. Chi mi vuole bene sa cosa deve fare. Sono sempre stata vicina ai radicali, a Marco Cappato”.
“Accabadora”, con cui vinse il Campiello, è la storia di una tradiziona antica della sua terra, la Sardegna, una storia di eutanasia. Murgia – che di Sardegna nell’intervista parla molto – ha risolto diversamente: “Ora mi sposo. Lo Stato alla fine vorrà un nome legale che prenda le decisioni”. Risplende la sua tagliente intelligenza anticonvenzionale: “Non ho mai creduto nella coppia, l’ho sempre considerata una relazione insufficiente. Lasciai un uomo dopo che mi disse che sognava di invecchiare con me in Svizzera in una villa sul lago. Una prospettiva tremenda”. Non avrebbe voluto morire all’improvviso, dice: “Il dolore non si può cancellare, il trauma sì. Si può gestire. Hai bisogno di tempo per abituare te stessa e le persone a te vicine al transito”. Non ha paura: “Ho cinquant’anni, ma ho vissuto dieci vite. Ho fatto cose che la stragrande maggioranza delle persone non fa in una vita intera”. Inclusi lavori difficili e sottopagati, dai call center al portierato notturno; vite di incontri multiculturali e di apertura alla diversità.
Murgia aveva già avuto un cancro, a un polmone, da cui pensava di essere guarita. Questa volta se ne è accorta tardi. Impossibile non pensare anche alla vita difficile che l’odio sui social ha riservato a questa intellettuale centrale nel dibattito italiano; troppo femminista, troppo caustica, troppo paradossale ed eccentrica per essere accettata. “Prima dell’arrivo di Elly Schlein mi sono trovata, con pochi altri scrittori come Roberto Saviano, a supplire all’assenza della sinistra, a difendere i diritti e le libertà nel dibattito pubblico. Il vomito l’ho vissuto, ma legato alla mia ostensione pubblica, all’essere diventata un bersaglio. Era la reazione per l’odio che ho avvertito nei miei confronti”. E adesso avrebbe un desiderio: “spero solo di morire quando Giorgia Meloni non sarà più presidente del Consiglio. Perché il suo è un governo fascista. Mi ritengo molto fortunata. Ho incontrato un sacco di persone meravigliose. Non è vero che il mondo è brutto; dipende da quale mondo ti fai. Quando avevo vent’anni ci chiedevamo se saremmo morti democristiani. Non importa se non avrò più molto tempo: l’importante per me ora è non morire fascista”. Meloni da parte sua ha reagito seccamente: “Non l’ho mai conosciuta e non ho mai condiviso le sue idee ma voglio mandarle un abbraccioà spero davvero che riesca a vedere il giorno in cui non sarò più Presidente del Consiglio perché punto a rimanere a fare il mio lavoro ancora per molto tempo”. Mentre sui social, dove tanto è stata attaccata, Murgia oggi è circondata di elogi al suo coraggio; chissà quanto durerà. (di Alessandra Quattrocchi)