Milano ultima in Italia per potere d’acquisto, peggio di Roma
Milano ultima in Italia per potere d’acquisto, peggio di RomaMilano, 19 nov. (askanews) – Dalla Milano città simbolo di emancipazione, opportunità e lavoro a ultima tra le città italiane per potere d’acquisto. Da metropoli meta per decenni di immigrati dal Meridione d’Italia, attratti dalla possibilità di migliorare le proprie condizioni al più complicato luogo della Penisola in cui sbarcare il lunario. Con stipendi medi troppo bassi (e fermi) in rapporto a un costo della vita in costante crescita, Milano risulta, secondo la graduatoria stilata dal sito Numbeo e basata su milioni di dati forniti dai cittadini di tutto il mondo, la città italiana in cui la capacità d’acquisto di beni e servizi calcolata in base allo stipendio medio è la più bassa in assoluto. Se Milano è considerata ancora la capitale economica d’Italia e la città meta per chi cerca lavoro, crolla il mito di luogo ideale per i lavoratori, anzi. Cifre alla mano, è la città più delle altre da evitare, se si guarda al costo della vita in rapporto allo stipendio medio percepito.
Milano perde il confronto non solo con l’eterna rivale Roma e tutti i capoluoghi di regione ma sprofonda in coda alla classifica europea, dopo Bucarest, a pari merito di Sarajevo e davanti solo a città dell’Est Europa e di alcuni centri di Grecia e del Portogallo. Stipendi troppo bassi rispetto al costo della vità è il mix che rischia di rendere il capoluogo lombardo “una città che prende più di quello che riesce a dare”, secondo la definizione di un rapporto recentemente pubblicato sui cambiamenti del mercato immobiliare dopo l’Expo 2015 (Oca). Un’analisi che conferma il quadro delineato dalle cifre fornite da Numbeo, che attribuiscono alla città un punteggio di 48,6 e che relegano Milano all’ultimo posto per potere d’acquisto, il cosiddetto indice ‘local purchasing power”.
Nel caso del capoluogo lombardo, che si attesta al 197esimo posto in Europa su una classifica che comprende 258 città, significa che i residenti che percepiscono un salario medio possono acquistare, in media, meno dalla metà dei beni e servizi, appunto 48,6, dei residenti con salario medio di New York city, che in questa classifica funge da riferimento con un indice fissato a 100. In generale, è l’Italia nel complesso ad avere un potere d’acquisto basso rispetto ai Paesi industrializzati (63,8), attestandosi 42esimo posto nella classifica mondiale e al 20esimo posto in Europa dopo la Repubblica Ceca e molto più basso rispetto a nazioni come la Spagna (83,6), la Francia (81,5), il Sudafrica ( 78,1) o il Belgio 90,7, per non parlare della Svizzera, Olanda, Germania , tutte sopra quota 100.
Per la città di Milano, il distacco dalle grandi città europee è ancora più netto: una persona con salario medio che vive nella “capitale economica d’Italia” può permettersi di acquistare meno della metà di beni e servizi di un residente con salario medio di Birmingham o Madrid o Helsinki o Vienna, rispettivamente con indice di potere d’acquisto pari a 99, 103,2, 103,6, 104. Seppur non così elevata, anche la differenza con le altre città italiane è notevole. Genova, per esempio, ha un indice di 67.1 e quindi un potere d’acquisto locale considerevolmente maggiore di quello di chi vive a Milano, e di quasi il trenta per cento; Bari si attesta su una cifra analoga a Genova, 65,2; e città come Verona, Parma, Brescia, Rimini, Torino, Trieste superano l’indice di 60, tutte quindi con un potere d’acquisto che supera del 20% quello dei milanesi. Ma anche Palermo (58,8), Cagliari (55,6), Bologna (55, Firenze (52,2), Napoli (50,9). Anche chi vive a Roma (57,5) ha un potere d’acquisto maggiore del 15% circa di chi si trova a Milano.
Le difficoltà di arrivare alla fine del mese per chi vive e lavora nella storica meta di chi cerca migliori condizioni migliori di vita, sembra confermata anche dal report recentemente pubblicato dell’Osservatorio Casa Abbordabile promosso da Consorzio Cooperative Lavoratori, Delta Ecopolis in partnership con il Dipartimento di Architettura e Studi Urbani del Politecnico di Milano, secondo cui ‘Milano non è una città per chi lavora”: il 34% dei contribuenti dichiara un reddito lordo inferiore ai 15mila euro ma i prezzi medi di abitazioni e affitti sono cresciuti del 41% e del 22% dal 2015 al 2021, mentre la retribuzione media di operai e impiegati è cresciuta rispettivamente solo del 3% e 7%. E con 1.500 euro di retribuzione si possono comprare 23 metri quadri’. Il rapporto è una sintesi di un lavoro più articolato contenuto nel volume Bricocoli M., Peverini M. (2023, in pubblicazione) “Milano per chi? Se la città attrattiva è sempre meno abbordabile”, Siracusa, LetteraVentidue. Secondo il rapporto, il 2015, anno di Expo, ‘ha segnato un punto di svolta per la città, con dinamiche urbanistiche, sociali ed economiche che sono andate inevitabilmente a modificare l’assetto del capoluogo lombardo, con conseguenze sul lungo termine. Il rialzo dei valori immobiliari in zone sempre più lontane dal centro ha pesato progressivamente sulle spalle dei lavoratori a reddito medio basso, costringendoli a cercare un’abitazione in zone più periferiche; ma oggi, sempre di più, ad essere in difficoltà sono profili anche più qualificati’. Sempre stando al rapporto, i prezzi delle abitazioni crescono tre volte più rapidamente di redditi e retribuzioni, gli affitti quasi due volte più rapidamente. Ma se guardiamo alle retribuzioni stagnanti delle categorie medio-basse, nella classificazione Inps denominate ‘operai'(in media 1.410 euro di retribuzione mensile lorda) e ‘impiegati’ (in media 2.435 euro) – che insieme rappresentano il 61% dei lavoratori milanesi – i prezzi di acquisto crescono ben 13,6 volte più velocemente delle retribuzioni degli ‘operai’ e 5,8 volte di quelle degli ‘impiegati’; i canoni di locazione crescono rispettivamente 7,3 e 3,1 volte più velocemente delle retribuzioni medie delle stesse categorie. I dati descrivono una città in cui per molti, soprattutto per i nuovi arrivati (chi non era già in possesso di un immobile a Milano) e per i profili reddituali medio bassi, il reddito da lavoro non è più sufficiente a garantire una vita quanto meno dignitosa: il 57% dei contribuenti milanesi dichiara un reddito lordo inferiore a 26.000 euro l’anno e il 34% un reddito lordo inferiore a 15.000 euro l’anno. Tradotto in possibilità effettive, calcolando l’indice di metri quadri di abitazione teoricamente abbordabili in acquisto in tre fasce del territorio comunale – pur semplificando molto: centro, semicentro, resto della città (individuate in relazione alle zone OMI) – si evince come il lavoratore medio della categoria ‘operaio’ (con retribuzione media annua lorda di 16.919 euro) vede un indice di metri quadri teoricamente abbordabili pari a 12 nei quartieri del centro storico, 17 metri quadri in quelli semicentrali, e 30 metri quadri nel resto della città. L’impiegato medio (retribuzione media annua lorda di 29.219 euro) invece vede un indice di metri quadri teoricamente abbordabili di 16 metri quadri nei quartieri del centro storico, 23 metri quadri in quelli semicentrali, e 40 metri quadri nel resto della città. Ciò significa che, anche nelle zone periferiche, il mercato residenziale fatica ad offrire alle retribuzioni più diffuse una offerta abitativa adeguata. Il risultato è ‘una progressiva espulsione di individui e nuclei a reddito basso e bassissimo dal perimetro comunale verso i comuni dell’hinterland. La mancata immigrazione di individui e nuclei a basso reddito e l’allargamento della fascia della povertà dovuta ai costi abitativi fa pensare che Milano si stia allontanando dall’essere una città per lavoratori: il reddito da lavoro non è più garanzia di emancipazione, di autonomia e di una qualità della vita proporzionata alle energie spese’, si legge nella presentazione del Rapporto. Per questo, secondo OCA, ‘se le attuali condizioni politiche e sociali non preludono a una riforma sostanziale in materia di politiche urbane e abitative quello che si prefigura è un cambiamento profondo degli equilibri, delle condizioni di vita e delle relazioni sociali, con fenomeni di polarizzazione ed esclusione rappresentativi di una dipartita netta dal modello della ‘città europea”. (di Marco D’Auria)