Nordcorea: siamo disponibili a colloqui con il Giappone
Nordcorea: siamo disponibili a colloqui con il GiapponeRoma, 29 mag. (askanews) – Il viceministro degli Esteri della Corea del Nord ha dichiarato che Pyongyang è disposta a tenere colloqui ad alto livello con Tokyo se il Giappone mostrerà un cambiamento di posizione su altre questioni in sospeso, come la vicenda dei cittadini giapponesi rapiti negli anni ’70-’80 del secolo scorso da parte dei servizi nordcoreani. Lo riferiscono oggi i media di stato norcoreani, evidenziando una posizione che rappresenta in realtà un ostacolo alla possibilità di un vertice tra Kishida e il leader nordcoreano Kim Jong Un.
La dichiarazione del viceministro degli Esteri del Nord Pak Sang Gil arriva dopo che il primo ministro giapponese Fumio Kishida ha espresso il desiderio di avviare colloqui con Pyongyang per organizzare un vertice con Kim. Secondo l’agenzia di stampa ufficiale KCNA, Pak ha detto che “non c’è motivo per cui la Repubblica democratica popolare di Corea e il Giappone non si incontrino”, se Tokyo non è “cristallizzata sul passato e cerca invece una via d’uscita per migliorare le relazioni”. In particolare, Pak ha segnalato che il Giappone continua a “chiedere a gran voce un accordo sulla questione dei rapimenti”, che per Pyongyang “è già stata risolta”.
Pak ha sostenuto che Kishida ha costantemente espresso il desiderio di un vertice “senza precondizioni” dopo il suo insediamento, ma ha aggiunto che “non sappiamo cosa voglia realmente ottenere”. Kishida, in una conferenza stampa, ha ribadito ai giornalisti la sua volontà di impegnarsi con il Nord, affermando di voler affrontare la questione dei rapimenti con determinazione, in maniera diretta, per fare progressi concreti.
La vicenda dei rapimenti è fortemente sentita dall’opinione pubblica giapponese. Negli anni ’70-’80 i servizi nordcoreani misero in atto un programma di rapimenti di ignari cittadini all’estero, in particolare in Giappone, da utilizzare a diversi scopi: l’addestramento delle spie nordcoreane, matrimoni con altri rapiti o fuoriusciti sudcoreani o di altre nazionalità (tra i quali quattro disertori statunitensi), ecc. Tra questi rapimenti, diventati di pubblico dominio solo nella seconda metà degli anni ’90, fece particolare scalpore il caso di Megumi Yokota, rapita a 13 anni nella città di Niigata nei 500 metri che dividevano la sua scuola media da casa.
In seguito, l’allora leader nordcoreano Kim Jong Il – padre di Kim Jong Un – ammise con qualche ambiguità i rapimenti di 13 persone (mentre ce ne sono molti di più il cui stato non è definito ufficialmente). Dopo un po’ cinque di questi rapiti, con le loro famiglie, poterono tornare in Giappone. Altri otto – tra in quali Megumi Yokota – furono dichiarati morti da Pyongyang, senza che però il regime nordcoreano abbia mai fornito prove effettive del loro decesso. Tokyo continua a chiedere elementi concreti sulla sorte dei rapiti, non manca di far inserire in tutti i documenti internazionali che riguardino anche la Corea del Nord (compreso il recente comunicato congiunto del summit G7 di Hiroshima) un riferimento ai rapiti e pone come condizione per un processo di normalizzazione con Pyongyang la soluzione della vicenda dei rapimenti.