Quando Glenda Jackson diventò Re LearRoma, 15 giu. (askanews) – Due volte vincitrice di un Oscar, Glenda Jackson se ne è andata a 87 anni. Fu icona della sinistra britannica da parlamentare dal 1992 al al 2015; ma prima ancora come interprete di film irregolari e scomodi di Joseph Losey, Peter Brook, Ken Russell (in Domenica Maledetta Domenica di John Schlesinger contendeva a un giovane amante il bisessuale Peter Finch): il Gotha del cinema britannico, ma anche americano con Robert Altman; anche tanta tv, e naturalmente qualche ruolo da regina Elisabetta. Abbandonò cinema e tv per la carriera politica; ma in tarda età tornò al teatro.
Fu lì che la conobbi, per modo di dire. Nel 2016 andai a Londra proprio per vederla sulla scena dell’Old Vic – allora nel regno decennale di Kevin Spacey – dove sfidava uno dei più grandi ruoli shakesperariani, re Lear. Tutte le grandi attrici sognano di interpretare Shakespeare; ma non i ruoli femminili (scritti in era elisabettiana per i ragazzini perché le donne in scena non andavano), fra cui pochi hanno mordente, come Lady Macbeth. Non la pallida Ofelia e la lagnosa Giulietta; le attrici sognano Amleto, Prospero e Lear. La grande Sarah Bernhardt infatti andò in scena come Amleto, prima ma non ultima. Glenda Jackson scelse Lear e ci arrivò a 78 anni. Una produzione tutta bianca di questa crudelissima tragedia in cui il re che sceglie male fra le tre figlie femmine impazzisce (o forse no?) e va a una triste fine mentre prima e secondogenita coi mariti seminano sangue e la terza, Cordelia, gli rimane fedele. Ero andata a Londra proprio per vederla, e ne rimasi così trafitta nonostante le quattro ore di spettacolo in inglese shakespeariano che la sera dopo ci tornai e mi comprai un altro biglietto.
In scena, la donna un tempo bellissima emanava carisma come un fascio di luce, urlava e saltava, e il suo Lear non era maschio: era anziano, in quella fase dell’esistenza dove il corpo si scarnifica e non c’è più sesso, o si va oltre il sesso, mero dettaglio dell’umanità. Incarnava non solo la tragedia di Lear ma quella di tutti i potenti di fronte alla vecchiaia, o di tutti gli umani, di tutte le crudeltà, di tutto lo scandalo della storia. Comprato il secondo biglietto, feci una cosa adolescenziale: mi appostai fuori dalla porta degli artisti con una lettera in mano. Mi faceva compagnia un signore dello Yorkshire patito di teatro che nell’attesa mi raccontò la sua vita, certe disgrazie oncologiche, la necessità di tornare al nord per farsi curare perchè a Londra costava troppo. In questa atmosfera surreale la porta si aprì, ne uscì lei, vestita di bianco, diafana. Sulla scena sembrava gigantesca, dal vivo era bassina e fragile. Uscì impetuosamente e si accese una sigaretta. La chiamai, si girò, le dissi che l’ammiravo, le consegnai la mia lettera, l’accolse più con stupore che con regale indifferenza. Me ne andai subito, un po’ imbarazzata. Mi aveva dato la mano, sottile che si sentivano le ossa.
Lo spettacolo ebbe grande successo a Londra, meno l’anno dopo a Broadway dove l’unica cosa che funzionava pare fosse lei. Tornò, dopo, anche al cinema (il film è Secret Love di Eva Husson, 2021); che privilegio, fare fino in fondo quello che si è voluto.