Reddito cittadinanza, Ue avvia procedura infrazione contro Italia
Reddito cittadinanza, Ue avvia procedura infrazione contro Italia
Inviata lettera di messa in mora. Governo ha 2 mesi per intervenire
Roma, 15 feb. (askanews) – La Commissione europea ha deciso di avviare una procedura di infrazione contro l’Italia sul Reddito di cittadinanza. L’esecutivo comunitatario ha annunciato di aver inviato una “lettera di messa in mora” al governo, in cui muove una serie di rilievi su questa misura. Il Reddito “non è in linea con le normative Ue sulla libera circolazione dei lavoratori, sui diritti dei lavoratori e sulla tutela dei residenti esteri di lungo termine”, afferma la Commissione con un comunicato.
L’accesso al reddito di cittadinanza prevede tra i requisiti la residenza legale per 10 anni in Italia, inclusi due anni consecutivi prima di poter fare domanda. Secondo la commissione europea, sulla base di un regolamento del 2011 (492) e di una direttiva del 2004 (38) i benefici sociali e di welfare, come il Reddito di cittadinanza dovrebbero essere pienamente accessibili a tutti i cittadini residenti dell’Ue in un paese, che siano lavoratori, autonomi o che abbiano perso l’occupazione, indipendentemente dallo storico della loro residenza. Inoltre i cittadini Ue che non lavorano per altre regioni dovrebbero essere ammissibili alla prestazione con l’unica condizione che siano stati legalmente residenti in Italia per più di tre mesi.
Sempre secondo l’esecutivo comunitario una direttiva del 2003 (la 103) richiede che i residenti di lungo termine extracomunitario abbiano a loro volta accesso a questo tipo di sussidi. “Quindi il requisito di 10 anni di residenza appare come una discriminazione indiretta – dice Bruxelles – dato che è più probabile che i non italiani non raggiungano questo criterio”.
Lo schema, poi “discrimina direttamente i beneficiari di protezione internazionale che non sono ammissibili al reddito in violazione della direttiva del 2011 numero 95”. Peraltro il requisito sulla residenza “potrebbe prevenire i cittadini italiani dall’andare a cercare lavoro fuori dal Paese, dato che non sarebbero ammissibili per il Reddito una volta rientrati”, rileva ancora l’Ue.
La commissione spiega che ora il governo ha due mesi di tempo per intervenire sui rilievi che sono stati mossi, altrimenti procederà ad inviare stavolta un “parere motivato”, che sarebbe il secondo stadio della procedura di infrazione e prelude, in caso di mancata risposta soddisfacente, il ricorso alla Corte di giustizia Ue.
L’accesso al reddito di cittadinanza prevede tra i requisiti la residenza legale per 10 anni in Italia, inclusi due anni consecutivi prima di poter fare domanda. Secondo la commissione europea, sulla base di un regolamento del 2011 (492) e di una direttiva del 2004 (38) i benefici sociali e di welfare, come il Reddito di cittadinanza dovrebbero essere pienamente accessibili a tutti i cittadini residenti dell’Ue in un paese, che siano lavoratori, autonomi o che abbiano perso l’occupazione, indipendentemente dallo storico della loro residenza. Inoltre i cittadini Ue che non lavorano per altre regioni dovrebbero essere ammissibili alla prestazione con l’unica condizione che siano stati legalmente residenti in Italia per più di tre mesi.
Sempre secondo l’esecutivo comunitario una direttiva del 2003 (la 103) richiede che i residenti di lungo termine extracomunitario abbiano a loro volta accesso a questo tipo di sussidi. “Quindi il requisito di 10 anni di residenza appare come una discriminazione indiretta – dice Bruxelles – dato che è più probabile che i non italiani non raggiungano questo criterio”.
Lo schema, poi “discrimina direttamente i beneficiari di protezione internazionale che non sono ammissibili al reddito in violazione della direttiva del 2011 numero 95”. Peraltro il requisito sulla residenza “potrebbe prevenire i cittadini italiani dall’andare a cercare lavoro fuori dal Paese, dato che non sarebbero ammissibili per il Reddito una volta rientrati”, rileva ancora l’Ue.
La commissione spiega che ora il governo ha due mesi di tempo per intervenire sui rilievi che sono stati mossi, altrimenti procederà ad inviare stavolta un “parere motivato”, che sarebbe il secondo stadio della procedura di infrazione e prelude, in caso di mancata risposta soddisfacente, il ricorso alla Corte di giustizia Ue.