Teha: italian sounding agroalimentare ci costa 63 mld, vale più dell’export
Teha: italian sounding agroalimentare ci costa 63 mld, vale più dell’exportMilano, 7 giu. (askanews) – La Lombardia è la regione italiana più colpita dal fenomeno dell’italian sounding con un impatto economico negativo pari a 10,2 miliardi di euro l’anno, seguita da Veneto (10 miliardi di euro), ed Emilia-Romagna (9,9 miliardi di euro). I dati della ricerca di The european house – Ambrosetti, realizzata in occasione dell’ottavo forum “La roadmap del futuro per il Food&Beverage” di Bormio, evidenzia, inoltre, come l’imitazione all’estero di prodotti del territorio abbia precluso quasi nove miliardi di euro di vendite oltre-confine per il Piemonte (8,7), 5,5 per la Campania e 3,5 miliardi per la Toscana che vede colpiti soprattutto i suoi olii extra vergine di oliva e vini. Anche il Trentino-Alto Adige (3,3 miliardi di euro), è esposto più della Puglia (impatto di 2,8 miliardi di euro) che soffre per l’imitazione di olio e prodotti agricoli. La Sicilia (1,7 miliardi di euro) è più colpita del Friuli Venezia Giulia (1,6 miliardi di euro) a cui imitano soprattutto i prosciutti. L’impatto dell’italian sounding sulle altre regioni italiane si attesta complessivamente a 6,3 miliardi di euro nel 2023.
“Le regioni più colpite dal fenomeno sono quelle che concentrano la propria esportazione su prodotti ad alta intensità di italian sounding, come i prodotti a base di carne o i prodotti lattiero-caseari, così come verso i Paesi più sensibili al fenomeno (Giappone, Brasile e Germania) – spiega Valerio De Molli – managing partner & Ceo The European House – Ambrosetti – La tutela del made in Italy è una priorità e l’implementazione di nuovi regolamenti Dop e Igp a partire dal 2024 rappresenta un passo significativo in questa direzione. Nel 2023 il fenomeno dell’italian sounding nel mondo ha superato quello dell’export agroalimentare: 63 miliardi di euro contro i 62 di esportazioni”. Come analizzato da The european house-Ambrosetti, nel 2023 i consumatori esteri hanno acquistato 63 miliardi di prodotti tipici italiani “falsificati” che non provengono dal nostro Paese. Questo significa che il valore dell’export food&beverage italiano sarebbe più che raddoppiato a 126 miliardi di euro sommati ai 62 miliardi di export agroalimentare di vero made in Italy.
“L’italian sounding – ha aggiunto Benedetta Brioschi, partner Teha – è competitivo grazie a prezzi mediamente inferiori del 57% rispetto ai prodotti originali. Negli Stati Uniti, ad esempio, il prezzo del Parmigiano può essere ridotto fino al 38%, quello del mascarpone fino al 50% e della pasta secca fino al 54%”. In Cina, Giappone e Canada mediamente sette consumatori su 10 cercano prodotti italiani veri senza considerare gli aspetti legati al prezzo che risultano determinanti per poco più del 20% degli acquirenti. Anche in Germania il 72% dei consumatori desidera prodotti veramente italiani (il 28% ha, invece, la priorità di spendere meno), o in Australia (70%) e Brasile (69,1%). Più contenuta la quota nei Paesi Bassi (66% vuole il “vero italiano”), negli Stati Uniti (63%), in Francia (62,6%) e nel Regno Unito dove non si supera il 55% di consumatori che ricercano prodotti veramente made in Italy anche a fronte di una maggiore spesa. Ragù (61,4% italian sounding vs 38,6% vero prodotto italiano), parmigiano (61% vs 39%) e aceto balsamico (60,5% vs 39,5%) sono i tre prodotti più “imitati” sugli scaffali della grande distribuzione all’estero. Secondo i dati The European House-Ambrosetti, seguono pesto (59,8% italian sounding vs 40,2% vero prodotto italiano), pizza surgelata (59,3% vs 40,7%), prosciutto (59,2% vs 40,8%), pasta di grano duro (59,2% vs 40,8%), ma anche prosecco (58,9% italian sounding vs 41,1% vero prodotto italiano), salame (58,5% vs 41,5%), gorgonzola (57,0% vs 43,0%) e olio extra vergine di oliva (56,8% vs 43,2%).
“La riduzione delle barriere doganali e l’internazionalizzazione della filiera italiana della distribuzione possono essere fattori determinanti” per contrastare l’italian sounding ha concluso De Molli, c”osì come una forte disincentivazione all’indicazione fallace in etichetta, ma anche la creazione di ambasciatori del made in Italy e l’adozione di tecnologie che permettano una precisa tracciabilità del prodotto”.