Ue verso l’accordo sul Patto di stabilità, ma anche passi indietro
Ue verso l’accordo sul Patto di stabilità, ma anche passi indietroBruxelles, 9 dic. (askanews) – Il potenziale accordo che si prospetta per le nuove regole per i bilanci nazionali previste dalla revisione del Patto di stabilità dell’Ue, dopo i negoziati al Consiglio Ecofin di ieri e di giovedì, comporta una serie di complicazioni, di passi indietro e di nuove rigidità rispetto alla proposta inziale della Commissione, anche se ne mantiene in gran parte gli elementi nuovi più importanti. L’accordo dovrebbe essere concluso dopo il Consiglio europeo i capi di Stato e di governo della settimana prossima, dal quale ci si attende un impulso positivo per superare gli ultimi scogli, in modo che possa essere convocato un Consiglio Ecofin straordinario tra il 18 e il 21 dicembre, per l’approvazione formale da parte dei ministri delle Finanze, che poi dovranno comunque negoziare anche il testo finale con il Parlamento europeo.
La proposta originaria della Commissione era incentrata su due pilastri principali, riguardanti i percorsi di aggiustamento di bilancio per i paesi che non rispettano le due soglie previste dal Trattato di Maastricht: il 60% per il debito/Pil e il 3% per il deficit/Pil. Nel primo caso, quello del debito eccessivo, veniva indicato un percorso di aggiustamento ‘su misura’, individualizzato per ciascuno Stato membro, con tempi più lunghi e più realistici per le correzioni: quattro anni, con la possibilità di proroga a sette anni per ammortizzare i costi delle riforme e degli investimenti raccomandati dall’Ue (transizione verde e digitale, innovazione, difesa). Il percorso di aggiustamento (‘traiettoria tecnica’), è determinato tenendo conto di un’analisi della sostenibilità del debito, e originariamente si basava su un ‘singolo indicatore operativo’, basato sulla ‘spesa primaria netta’, che non prende in considerazione la spesa per gli interessi, la parte controciclica degli stabilizzatori automatici (come i sussidi di disoccupazione o la cassa integrazione in tempi di crisi), le spese che non dipendono dai governi, e la spesa nei programmi e progetti comunitari che sono co-finanziati dagli Stati membri.
La proposta originaria prevedeva semplicemente di tenere sotto stretto controllo la spesa primaria netta, senza definire una riduzione quantitativa annuale del debito/Pil uguale per tutti, ma tale da assicurare che, alla fine del periodo previsto dal piano di aggiustamento, il livello del debito pubblico fosse inferiore a quello iniziale, e avviato su un percorso stabile di riduzione. Il secondo punto della proposta della Commissione riguardava la regola del deficit: per i paesi con un rapporto deficit/Pil oltre il 3% è previsto uno sforzo strutturale annuale di bilancio pari almeno allo 0,5% del Pil per ridurre il disavanzo.
In questa semplificazione estrema delle regole attuali non venivano più considerati né il cosiddetto ‘Obiettivo di bilancio di medio termine’ (Mto), che per i paesi più indebitati esigeva di portare il deficit ben sotto la soglia del 3%, con target tra lo zero e l’1%, né una serie di fattori su cui erano basati i percorsi di aggiustamento del vecchio Patto di stabilità: il ‘saldo strutturale di bilancio’, la ‘crescita potenziale’ e il cosiddetto ‘output gap’, tutte ‘grandezze difficilmente osservabili’ (come le aveva definite lo stesso vicepresidente esecutivo della Commissione, Valdis Dombrovskis) che rendevano complicatissimo e in parte anche arbitrario il giudizio della Commissione sulle eventuali ‘deviazioni significative’ da parte degli Stati membri. Oltretutto, negli anni delle politiche di austerità si è dimostrato che la riduzione del deficit a tappe forzate non determina necessariamente una riduzione del debito/Pil (come pretendeva tutto l’impianto del vecchio Patto di stabilità, di ispirazione tedesco-nordica), ma, al contrario, può incrementarlo, perché deprime gli investimenti pubblici e quindi la crescita.
Il negoziato tra gli Stati membri ha vanificato in buona parte questa semplificazione, e riproposto proprio quel legame di causa effetto tra riduzione del deficit e riduzione del debito/Pil che non ha funzionato, anche se in questo caso si riconosce la necessità di preservare gli investimenti pubblici almeno in alcuni settori. La Germania, sostenuta da Olanda, Austria e Paesi nordici, è riuscita a ottenere l’inserimento di una serie di ‘salvaguardie’ nel nuovo quadro di regole: i paesi con un debito/Pil superiore al 90% (come l’Italia) dovranno ridurlo di almeno un punto percentuale all’anno, e dovranno inoltre continuare il proprio percorso di riduzione del deficit/Pil anche dopo che avranno raggiunto il 3%, puntando a portare il disavanzo all’1,5%, per mantenere un ‘cuscinetto’ (‘common resilience margin’) che permetta un margine di bilancio per gli investimenti e le riforme. In altre parole, invece della ‘golden rule’ che chiedeva l’Italia, ovvero lo ‘scorporo’ della spesa per determinati investimenti dal calcolo del deficit (ai fini del rispetto della regola del 3%), si dovrà tagliare ulteriormente la spesa pubblica per finanziare gli investimenti restando comunque sotto la soglia del 3%. Le ‘salvaguardie’ sono un po’ meno rigorose per i paesi con un debito/Pil tra il 60 e il 90 per cento, che dovranno puntare a ridurre il deficit fino al 2%, e quindi con un ‘margine di resilienza’ dell’1%; per questi Stati membri sarà richiesta poi una riduzione del debito pari ad almeno mezzo punto percentuale di Pil. Sostanzialmente, il vecchio ‘Obiettivo di medio termine’, che era stato messo fuori dalla porta, rientra dalla finestra, anche se meno rigoroso (deficit tra l’1 e il 2 per cento invece che tra lo zero e l’1 per cento). Inoltre, per tutti gli Stati membri in procedura di deficit eccessivo viene aggiunto anche un obbligo di ‘miglioramento annuale del bilancio strutturale primario’ pari allo 0,3% nei percorsi di aggiustamento di quattro anni, che sarà ridotto allo 0,2% in caso di prolungamento del percorso a sette anni. Nel negoziato che si è svolto innanzitutto tra la Francia e la Germania, il ministro francese Bruno Le Maire ha accettato tutto questo, sperando di ricevere in cambio almeno una riduzione dello sforzo strutturale per la riduzione del disavanzo, richiesta ai paesi sotto procedura per deficit eccessivo, che escludesse la spesa per gli investimenti e le riforme. Ma si è scontrato con l’irremovibilità del collega tedesco, Christian Lindner, che alla fine si è mostrato disponibile a prendere in considerazione, come fattore mitigante, solo l’aumento della spesa per gli interessi sul debito contratto per finanziare gli investimenti e le riforme, e solo temporaneamente, per gli anni 2025, 2026 e 2027. In questi tre anni, questo compromesso sulla ‘flessibilità’ (che comunque deve ancora essere accettato formalmente dalla Germania e dagli altri paesi ‘frugali’, Austria, Finlandia, Svezia, Olanda e Danimarca) dovrebbe permettere di diminuire di qualche decimo di punto percentuale (per il Francia si calcola lo 0,2%) la correzione annuale di 0,5 punti percentuali di Pil prevista per i paesi con deficit superiore al 3%. L’Italia ha sostenuto questa proposta di compromesso; tuttavia, il ministro Giancarlo Giorgetti, parlando ieri ai giornalisti a Bruxelles, ha puntualizzato che si tratta solo di ‘un passo nella giusta direzione’, ma ‘non è l’accordo’, per il quale d’altra parte manca ancora il consenso della Germania e di altri paesi. Inoltre, Giorgetti ha fatto capire chiaramente che, ‘non abbiamo raggiunto il risultato’, perché così come si profilano le nuove regole non sarebbero pienamente in linea con ‘le ambizioni’ e con ‘le finalità strategiche che l’Europa si è data in termini di sicurezza e in termini di transizione digitale ed energetica e ambientale. Queste finalità politiche – ha ricordato – richiedono delle regole di bilancio coerenti per poterle finanziare, altrimenti rimangono dei nobili principi, auspici, ma senza possibilità concreta di traduzione. Quindi le regole di bilancio – ha sottolineato – sono un mezzo per realizzare questi fini, e non un fine esse stesse’. Da questo punto di vista, ha aggiunto Giorgetti, se al Consiglio europeo di giovedì e venerdì prossimi ‘i capi di governo decidono che bisogna difendere i valori di libertà dell’Occidente, i ministri delle Finanze devono dargli le risorse per poter svolgere questo ruolo; se i capi di governo mi dicono che bisogna affrontare la sfida della transizione energetica, allora bisogna mettere centinaia di milioni di euro, come fanno gli Stati Uniti per raggiungere quella finalità, e io come ministro delle finanze devo mettere a disposizione queste risorse’. Il ministro, infine, ha indicato che ‘dal punto di vista italiano, se l’accordo trovato in una fase transitoria diventasse definitivo sarebbe, diciamo così, logico e coerente con le aspirazioni europee’. Durante la conferenza stampa di ieri al termine dell’Ecofin, il vicepresidente esecutivo della Commissione, Valdis Dombrovskis, ha sottolineato: ‘Abbiamo compiuto notevoli progressi e un accordo è sicuramente a portata di mano. Sono abbastanza fiducioso – ha continuato – che riusciremo a portare a termine questo lavoro nei prossimi giorni e ad arrivare a un accordo, come previsto, entro la fine dell’anno, sotto la presidenza spagnola’ di turno del Consiglio Ue’. ‘È un momento essenziale – ha rilevato Dombrovskis -, date le importanti sfide economiche e di bilancio che dobbiamo affrontare. Dobbiamo preservare la sostenibilità delle finanze pubbliche e sostenere la crescita sostenibile. Da questo punto di vista, il passaggio al nuovo quadro di bilancio è essenziale, e penso che le proposte di riforma della Commissione contengano gli elementi giusti per raggiungere tali obiettivi’, in particolare, ‘la differenziazione basata sul rischio’ per i percorsi di aggiustamento di ciascuno Stato membro, e poi ‘la semplificazione, e gli incentivi agli investimenti e alle riforme’. ‘Pertanto – ha aggiunto -, è importante che l’accordo finale che sarà raggiunto dal Consiglio, e poi alla fine del processo legislativo anche dal Parlamento europeo, mantenga i parametri fondamentali di questo nuovo quadro’. Rispondendo ai giornalisti, Dombrovskis ha poi osservato: ‘Ovviamente alla Commissione non avevamo nulla contro il fatto che gli Stati membri prendessero le nostre proposte e le approvassero’ senza ulteriori modifiche. ‘Ma sappiamo che le realtà politiche sono difficili. Abbiamo avuto mesi di negoziati tra gli Stati membri e ancora dovremo negoziare con il Parlamento europeo. Stiamo ora finalizzando il lavoro con gli Stati membri’. Questa che c’è sul tavolo ‘è una proposta di compromesso. Introduce alcuni elementi aggiuntivi in termini di salvaguardia rispetto alla proposta della Commissione. Ma abbiamo fatto simulazioni e valutazioni, e – ha sottolineato -l’applicazione delle salvaguardie non stravolge la logica della proposta della Commissione’. Dombrovskis ha riconosciuto che ‘certi elementi e specificità che sono stati aggiunti rendono in effetti questa proposta meno semplice: non raggiunge tutte le semplificazioni che la Commissione aveva inizialmente prospettato, perché gli stati membri volevano riflettere le specificità di situazioni nazionali di cui tenere conto. Ciò non di meno, pensiamo che la direzione principale, il nucleo centrale nella proposta della Commissione siano preservati’. A un giornalista che chiedeva se con questa riforma le nuove regole saranno più o meno rigorose delle vecchie, e se si potranno conseguire gli obiettivi che erano stati indicati di preservare gli investimenti, e di avere regole più chiare ed effettivamente applicabili, che i cittadini possano capire, il vicepresidente esecutivo della Commissione ha replicato: ‘E’ facile rispondere: il nuovo sistema e meno rigoroso del sistema attuale; ad esempio, non c’è più la regola riguardante la riduzione del debito/Pil di un ventesimo’ annuale dell’eccedenza rispetto alla soglia del 60%; ‘ma anche, al di là di questo, stiamo discutendo di alcuni aggiustamenti e flessibilità nel ‘braccio correttivo’, mentre nel ‘braccio preventivo’ ci stiamo allontanando dal requisito dell’Obiettivo di medio termine più rigoroso, che nelle regole attuali esige un deficit/Pil tra lo zero e l’uno per cento’. Insomma, ‘ci stiamo muovendo verso un sistema meno esigente rispetto a quello attuale’. E questo vale ‘anche per le salvaguardie riguardo al deficit, che stiamo ancora discutendo come calibrare esattamente, ma direi che anche qui ci avviamo a dei requisiti meno rigorosi rispetto a quelli attuali’, ha concluso Dombrovskis. (di Lorenzo Consoli)