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Valore aggiunto agricolo Italia cresce meno dei competitor

Valore aggiunto agricolo Italia cresce meno dei competitorRoma, 12 mar. (askanews) – Negli ultimi cinque anni, la crescita del valore aggiunto agricolo in Italia, in termini reali, non ha seguito il trend di quelli correnti, alla luce di una sensibile riduzione delle quantità prodotte determinata da avverse condizioni climatiche. Anche in termini correnti, comunque, il tasso di crescita del valore aggiunto agricolo italiano (27%) è risultato inferiore a quello dei diretti competitor come Spagna (+41%), Polonia (+39%) e Germania (+34%) in considerazione di una maggior dinamicità competitiva delle aziende agricole degli altri paesi Ue.



E’ uno dei dati che delineano lo stato di salute del settore primario messi in luce nel report di Nomisma presentato in occasione della X Conferenza economica di Cia-Agricoltori Italiani a Roma e illustrato dal responsabile Agroalimentare Denis Pantini alle istituzioni e ai delegati riuniti in Auditorium della Tecnica. Con quasi 75 miliardi di euro, l’Italia rappresenta la terza agricoltura europea per valore della produzione, ma la prima per valore aggiunto generato. Questo discende da una forte specializzazione e vocazionalità del proprio modello agricolo (incentrato su prodotti distintivi di alta qualità e spesso inseriti in filiere Dop e Igp) che conduce a una valorizzazione media unitaria per ettaro tra le più alte a livello europeo: 3.400 euro a ettaro di valore aggiunto contro una media Ue di meno di 1.500 euro a ettaro.


La dinamicità competitiva degli altri Paesi Ue, però, deriva anche da una differente struttura imprenditoriale che per l’Italia presenta una forte polverizzazione e che rende più difficile recuperare divari di inefficienza. Basti infatti pensare che, mentre in Francia o Germania le aziende agricole con superficie superiore ai 50 ettari sono rispettivamente il 43% e il 31% del totale nazionale, in Italia tale incidenza è appena pari al 4%. Parallelamente, le aziende con valore della produzione superiore ai 100.000 euro raggiungono il 36% in Germania e il 46% in Francia, mentre in Italia non superano il 10%. Inoltre, prosegue l’analisi di Nomisma, i limiti strutturali aziendali incidono sulla redditività del settore e spiegano, in larga parte, la minor presenza di giovani imprenditori (sotto i 35 anni) nell’agricoltura italiana rispetto agli altri paesi Ue: il 5% contro l’8% in Germania e il 10% in Francia. Una bassa incidenza che appare “comune” alle diverse aree del Paese, ma che ha visto gli ultimi cinque anni condurre a un maggior calo nelle regioni del Sud (-15% la presenza di imprese giovanili contro il -3,4% del Nord Italia tra il 2019 e il 2024).


Proprio per ovviare a questi limiti strutturali, le imprese agricole italiane sono andate a cogliere le diverse opportunità di mercato (anche al di fuori del core business produttivo) che si sono presentate, sia in virtù di nuovi trend di consumo che di “spazi” aperti da politiche europee e nazionali di sviluppo. Le cosiddette attività di supporto e secondarie pesano oggi per il 19% sul valore della produzione agricola nazionale. Tra queste, il valore della produzione di energia rinnovabile è cresciuto del 18% negli ultimi quattro anni, mentre quello dell’agriturismo del 24%. Oltre alla polverizzazione aziendale, il settore primario italiano da svariati anni deve fare i conti con effetti devastanti sulla produzione agricola derivanti dai cambiamenti climatici. In primis, da temperature medie sempre più alte e con deficit idrici che toccano tutte le regioni. Senza tralasciare gli impatti che i disastri da avversità climatiche (cresciuti in Europa del 221% tra il 2015 e il 2023) producono su un suolo, come quello italiano, estremamente fragile e per il 47% definito “in cattivo stato di salute”, dove proprio l’erosione rappresenta il principale fattore di degrado.