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Vino, Alois Lageder: cambio clima? Compreremo terreni da 1.000 mt in su

Vino, Alois Lageder: cambio clima? Compreremo terreni da 1.000 mt in su


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Bolzano, 12 apr. (askanews) – Se letteralmente sta per ‘la parte più alta’, il termine latino Summa in italiano significa ‘compendio di saperi’. Queste due definizioni racchiudono insieme il senso della due giorni che si tiene ogni anno nel delizioso Casòn Hirschprunn & Tòr Löwengang della Tenuta della storica azienda agricola Alois Lageder. La cornice è quella di Magré, piccolo comune dell’Alto Adige, poco più vicino a Bolzano che a Trento, a 250 metri sul livello del mare, sotto il quale si estende un immenso meleto, esempio lampante del peso dell’agricoltura industriale. Da 24 anni Summa è un crocevia di vignaioli ‘alternativi’, un luogo di incontro e confronto su buone pratiche in vigna e in cantina, in un borgo isolato e protetto dalle montagne. Qui prima del vino ci sono l’uva, le piante, il suolo, l’aria, l’acqua, le bestie (dalle galline ai buoi), la frutta, la verdura, le erbe aromatiche, i cereali, gli uomini e le donne: la natura e le persone che la abitano e la vivono rispettandola. Qui il vino è una parte del tutto: ‘microcosmo e macrocosmo’ storpiando il fondatore dell’Antroposofia, Rudolf Steiner, da cui nasce la biodinamica che caratterizza da oramai trent’anni la Cantina Lageder, che di Summa è l’artefice.

‘L’intuizione è stata quella di portare i nostri ospiti qui invece che continuare ad andare noi a Vinitaly’ racconta ad askanews Alois Lageder, quinta generazione della famiglia di vignaioli altoatesini, ricordando che l’idea nacque trent’anni fa nell’ambito di Vinexpo (il salone del vino che si tiene a Bordeaux dal 1981, ndr ). ‘La cosa interessante non era la fiera, quanto essere invitati a cena in uno Chateau a fare le degustazioni’ spiega, aggiungendo che ‘nel 1999, con alcuni produttori, abbiamo messo insieme cinque cantine francesi con altrettante tedesche, austriache e italiane per fare una presentazione tutti insieme in uno Chateau che credo fosse Gazin’. ‘Quell’anno chiamai Castello di Ama, Conti Costanti, Jermann e Bruno Giacosa e poi l’anno dopo decisi di organizzare l’incontro da me e così è iniziato tutto’. Da venti cantine, si è arrivati alle 110 dell’edizione che si è da poco conclusa, scelte per la loro indiscutibile qualità. Un criterio che però inizia a stare stretto. ‘Oggi potremmo averne anche 300, abbiamo tantissime richieste’ spiega Alois, rivelando però ‘che l’anno prossimo vorremmo concentrarci ancora di più su aziende biodinamiche o biologiche, realtà che interpretano l’agricoltura come noi, con i nostri stessi valori’. ‘Anche perché nel 2024 non solo tutti i nostri vini saranno biologici o biodinamici – evidenzia – ma lo saranno anche le uve conferite dai nostri 80 vignaioli: un sogno che si realizza’. L’edizione che andrà in scena il 13 e 14 aprile 2024 potrebbe segnare comunque un nuovo record di Cantine, che potrebbero salire fino a 130, probabilmente non di più per motivi di spazio. A Summa si viene accolti in un grande cortile, un luogo privato che diventa di tutti, come l’intero borgo che prende vita e si anima tra viuzze e palazzi. Il vino è appunto una parte del tutto, elemento vitale che, per dirla con Alois ‘non è solo un prodotto della natura ma anche l’espressione del nostro atteggiamento spirituale’. Nonostante la costante crescita di produttori, di addetti ai lavori, di pubblico e di interesse generale registrati in questi anni, Summa ha mantenuto un ‘allure’ di esclusività, per le quinte incantate che lo delimitano e lo proteggono, per il concentrato di eccellenze che lo compongono, per i modi aristocratici di chi lo organizza. Un’affascinante ‘elite’ a cui si sente di appartenere per il solo fatto di frequentarlo. ‘Credo che per chi viene qui sia molto importante respirare il senso del gruppo’ dice Alois, quindi ‘un senso di appartenenza, di condivisione e di valori’ destinato a rafforzarsi si se arriverà a restringere il campo a chi ha scelto biologico e/o biodinamico non solo come metodo di lavoro ma come visione della vita.

L’azienda, fondata nel 1823, conta oggi su oltre 55 ettari di vigneti coltivati con approccio olistico, sostenibilità e circolarità. E’ da anni una realtà solida e riconosciuta sia in Italia che all’estero, che ha chiuso il 2022 con un fatturato di 19,6 milioni di euro, il 60% del quale rappresentato dall’export in 65 Paesi. La sua forza sono vini di grande personalità che rappresentano le diverse anime dell’Alto Adige, territorio dove le vigne condizionano sempre più il paesaggio e l’economia. Regione ricca, ancorata alle tradizioni ma capace, tra le prime, di scommettere su bioedilizia, architettura sostenibile e energie alternative, con giovani che scalpitano per fare bene. Come Clemens, Anna e Helena, i tre figli di Veronika e Alois Lageder, sesta generazione che oggi gestisce l’azienda. ‘Vedo con grande piacere i miei figli andare avanti’ dice Alois con una punta di orgoglio e commozione, spiegando ‘tu arrivi fino ad un certo punto, fai una grande curva verso l’alto che poi si appiattisce e non riesce più a salire, è normale, probabilmente è un fatto di età, e invece loro partono da quel livello e riescono ad andare ancora più in alto. Sono molto contento che ci sia stato il passaggio generazionale – chiosa – lo abbiamo fatto bene, e questo permetterà all’azienda di fare un altro salto di qualità’. “Quando ho preso in mano l’azienda nel 1974, l’Alto Adige era noto solo oltralpe come fornitore di vini rossi, perché storicamente eravamo la zona viticola più a Sud dell’impero austroungarico’ ricorda Alois, aggiungendo che fu la sorella (con il marito che per 40 anni è stato l’enologo dell’azienda), a vedere l’altra faccia della medaglia e cioè che, al contrario, ‘per il mercato italiano eravamo la zona viticola più a Nord e quindi quella più adatta ai vini bianchi’. Prima di sua sorella e pochissimi altri vignaioli, lo avevano intuito solo gli spumantisti che compravano i bianchi sfusi, mentre gli altri produttori altoatesini capirono che era necessario puntare sui bianchi negli anni Novanta, quando al centro del loro lavoro misero prima di tutto quella qualità che oggi è un marchio di fabbrica riconosciuto.

‘Di strada ne abbiamo fatta tanta in questi cinquant’anni ma le cose sono sempre in continua evoluzione e bisogna trovare nuove strade per raggiungere livelli ancora più alti’ continua Alois, che ricordando quanto fosse tradizionalista il mondo vitivinicolo in cui è cresciuto (‘non si poteva toccare nulla’), rivela l’importanza dell’incontro con il celebre produttore della Napa Valley, Robert Mondavi. ‘Lui mi ha insegnato due cose, la prima è che non si può dire che una cosa va bene se non si provato a fare il contrario, e la seconda è che non si deve mai essere soddisfatti perché si possono sempre fare dei vini più buoni’. ‘Questo mi ha portato a capire che la tradizione è il punto di partenza e non di arrivo, e che sperimentare è essenziale per andare avanti e continuare a crescere’ prosegue, evidenziando che ‘in Alto Adige noi abbiamo sempre preso una strada un po’ diversa da quella degli altri e anche questo forse è una mia, una nostra, caratteristica, non mi è mai piaciuto seguire la massa ma trovare una mia strada’. ‘Ad esempio non credo nei vini ‘potenti’, ‘muscolari’, di 15 gradi, per me questo non è il vino’ si scalda, sottolineando che ‘il vino deve essere piacere, deve poter essere abbinato ai piatti leggeri che siamo soliti mangiare, e quindi dobbiamo cercare di fare vini freschi, pieni di tensione, di vitalità e non troppo alcolici: meglio meno che più alcol’. Quinta o sesta generazione che sia, i Lageder continuano a guardare lontano e in alto. Già, perché il cambiamento climatico che imperversa, spinge i vignaioli a puntare verso altitudini una volta impensabili, non più colline ma montagne. ‘Siamo intenzionati ad acquistare dei terreni a mille metri e oltre’ rivela Alois, spiegando che ‘non faremo lo sbaglio che è stato fatto qui nella valle, dove ci sono monocolture intensive inaccettabili’. ‘Spero che la politica dia delle direttive precise, ad esempio se uno vuole impiantare dei vigneti in montagna li deve togliere dalla pianura, quella pianura che un secolo fa era piena di prati dove i pastori portavano a far pascolare i loro greggi d’inverno. Oggi invece il prato non esiste più’ dice amareggiato, spiegando che ‘noi porteremo un approccio diverso, vigneti certo, ma anche prati, campi, bosco, delle culture miste come abbiamo fatto qui, dove insieme con le viti ci sono alberi da frutto, prati e grano’. ‘Bisogna insomma ripensare completamente questo modello di monocoltura in pianura’ aggiunge, concludendo ‘trovo i giovani di oggi molto più preparati, più seri e con un approccio molto più professionale di quello che avevamo noi alla loro età e quindi sono molto fiducioso ma è drammatico che si trovino a dover salvare il mondo che la generazione di mio padre e la mia hanno devastato’.