
Vino, biodinamica e recupero vitigni autoctoni: un binomio naturale
Vino, biodinamica e recupero vitigni autoctoni: un binomio naturaleMilano, 11 mar. (askanews) – Il recupero dei vitigni autoctoni rappresenta un aspetto fondamentale per la valorizzazione del territorio e la tutela della biodiversità. Queste varietà, frutto di secoli di adattamento all’ambiente circostante, custodiscono l’identità culturale e agronomica delle regioni vinicole italiane e salvaguardarle non significa solo preservare la storia del vino ma anche offrire un modello di agricoltura sostenibile, resiliente ai cambiamenti climatici. Il recupero di questi vitigni è uno degli impegni dei vignaioli biodinamici Demeter, come nel caso delle Comunità biodinamiche regionali dell’Emilia-Romagna, dove le antiche vigne divengono simbolo della storia delle comunità locali.
“Oggi, recuperare e reintrodurre queste varietà – sintetizza Francesco Bordini, titolare di Villa Papiano Modigliana (Forlì Cesena) – significa garantire stabilità ai vigneti, resistenza ai cambiamenti climatici e una maggiore complessità nei vini”. La storia della viticoltura italiana dimostra inoltre come il concetto di monovarietale sia relativamente recente perché, in passato, vitigni come il Trebbiano, il Ciliegiolo o il Negretto venivano coltivati insieme, “creando blend naturali che contribuivano all’equilibrio del vino”. “Queste varietà, un tempo trascurate per la loro scarsa resa alcolica – aggiunge Bordini – oggi tornano di grande attualità, permettendoci di produrre vini con un minore tenore alcolico senza interventi artificiali. In più – prosegue – i vitigni autoctoni si sono già adattati al loro ambiente naturale e richiedono meno trattamenti, contribuendo a una viticoltura più sostenibile”. Danila Mongardi, vignaiola dell’azienda agricola “Al di là del Fiume” di Marzabotto (Bologna), ricorda come nell’Ottocento la sola area bolognese contasse oltre 80 varietà autoctone, molte delle quali scomparse a causa della fillossera. “Recuperare questi vitigni significa ridare voce alla nostra storia e alle nostre radici contadine” spiega Mongardi, sottolineando che “l’Albana e la Barbera erano il cuore della viticoltura locale, affiancate da ecotipi minori come Montuni, Aglionza e Sciaslà, che donavano aromi unici ai vini: ripartire da queste varietà significa anche riscoprire un legame profondo con il territorio e anche con noi stessi, perché essendo piante in grado di crescere e prosperare nel proprio ambiente anche di fronte alla difficoltà, hanno qualcosa da insegnarci”.
Secondo Paride Benedetti della Tenuta Santa Lucia di Mercato Saraceno (Forlì Cesena), il recupero di varietà locali come il Famoso può rappresentare anche un valore aggiunto per il mercato del vino: “Un vitigno autoctono non ha concorrenza, presentarlo all’estero significa offrire un prodotto unico, con una forte identità territoriale e una capacità distintiva sul mercato”. “Il terroir è fatto di uomini: conservare le varietà autoctone significa custodire la nostra storia, il nostro paesaggio e la nostra cultura” chiosa il direttore di Demeter Italia, Giovanni Buccheri, concludendo che “la viticoltura biodinamica non è solo un metodo agricolo ma una visione olistica che ci permette di interpretare la complessità della natura e di valorizzare le caratteristiche uniche dei nostri vitigni”.
Foto di Demeter Italia