Vino, Cellai: delle mie 35 vendemmie la 2023 è stata la più complessa
Vino, Cellai: delle mie 35 vendemmie la 2023 è stata la più complessaMilano, 11 ott. (askanews) – “Delle mie 35 vendemmie questa è stata la più complessa, che, sia chiaro, non vuol dire la peggiore. Nel suo complesso sarà infatti un annata positiva ma che ha creato soprattutto nelle aziende di valore qualitativo importante, grandissima apprensione e ansia, e soprattutto molto lavoro nel dover andare continuamente in vigneto per selezionare gli acini migliori all’interno non solo della stessa vigna, ma anche dello stesso filare, della stessa vite e persino dello stesso grappolo”. Lo dice ad askanews Alessandro Cellai, enologo del Gruppo Domini Castellare di Castellina (DCC, di cui è anche vicepresidente) e Vallepicciola di Castelnuovo Berardenga, nonché consulente di Panizzi di San Gimignano e di Podere La Villa di San Casciano in Val di pesa, la Cantina di Ilaria Tachis, figlia del più famoso enologo italiano, maestro proprio di Cellai.
Nei giorni in cui nel Chianti Classico si chiude la vendemmia, Cellai fa il punto con askanews sull’annata 2023 in un territorio straordinario che produce alcuni dei vini italiani più famosi al mondo. “Ci sono stati una serie di fenomeni atmosferici che hanno creato un forte disequilibrio all’interno del ciclo vegetativo della pianta, in particolare le intense piogge che si sono avvicendate a maggio e giugno a cavallo della fioritura e della legagione, quello che è il momento più critico per la vite, ha creato delle disimogenità nel processo di maturazione”. “Inoltre queste piogge hanno scatenato dei pesantissimi fenomeni di peronospera, tanto che molti produttori, soprattutto quelli biologici, si sono trovati in grandissima difficoltà, perché il rame non è stato sufficiente a gestire le infezioni che si sommavano quotidianamente” prosegue Cellai che è anche produttore con il piccolo ma già premiatissimo Podere Monastero a Castellina in Chianti, evidenziando che “quando si sono fermate le piogge, le infezioni sono aumentate”. “Il grande caldo di inizio luglio ha infatti creato un effetto piscina sul terreno” continua l’enologo, spiegando che il sole faceva evaporare l’acqua che poi ricadeva a terra “con il delta termico basso della notte, con il risultato che la mattina le viti erano bagnate. La peronospora larvata ha così colpito fino all’invaiatura, quindi a grappolo formato e già chiuso – rivela – quando sui libri di testo di agronomia e viticultura si dice che questa terribile forma interrompe la sua pericolosità quando l’acino raggiunge la dimensione del chicco di pepe”. In questi ultimi anni in cui il cambiamento climatico sta modificando le condizioni standard della vite, figure come quelle dell’agronomo e dell’enologo diventano sempre più importanti. “Bisogna cambiare un po’ la filosofia di gestione del vigneto che è la base di tutto, molto di più che la Cantina, dove purtroppo si può fare ben poco se ti arriva un’uva con caratteristiche tali che devi soltanto gestire” spiega Cellai, precisando che “in vigna si deve cercare di andare incontro alle criticità climatiche: per esempio io ho messo in tutte le vigne un ulteriore filo d’appoggio per far sviluppare ancora di più la parete fogliare per dare maggiore ombraggiamento e proteggere anche da un’eccessiva produzione di zucchero all’interno dell’acino”. Con un caldo così intenso e prolungato, una delle fasi più delicate nel vigneto è infatti quella che riguarda il rapporto tra maturità fenolica e zuccherina. “Serve gestire la pianta a che tenga sempre una buona acidità e contenga il ph – dice – e che non ecceda il grado zuccherino”. “L’importante secondo me è portare in bottiglia grandissimo equilibrio, perché si può anche eccedere leggermente con l’alcol ma ci devono essere le relative acidità, ph, struttura e carica polifenolica perché si bilanci” prosegue, sottolineando che “se c’è una complessità generale, una bellissima acidità che gli dona freschezza e mineralità e quindi profondità di degustazione, quel lieve incremento alcolico è sicuramente meno evidente”.
Nonostante tutto, Cellai si dice mediamente preoccupato per gli effetti del cambiamento climatico sulla produzione vitivinicola, spiegando che “per adesso sono fiducioso perché vedo che le vigne rispondono bene alle gestioni diverse che facciamo e quindi sono moderatamente convinto che proseguendo a lavorare in una certa direzione si possono continuare ad ottenere risultati positivi”. Nel Chianti e più in generale in Toscana il mondo del vino continua a lavorare per migliorarsi, puntando sempre più sul legame con il proprio territorio. “Penso che un valore importantissimo oggi in Toscana sia la riconsiderazione del Sangiovese come vitigno principe della nostra zona: per tanti anni, molte aziende del Chianti Classico presentavano le loro migliori versioni con blend di Merlot, Cabernet Sauvignon, Cabernet Franc e Syrah, come se il Sangiovese non fosse sufficientemente capace di mostrare tutta la sua bellezza da solo e avesse sempre bisogno di una spalla” spiega l’enologo ad askanews, ricordando che “fin dal principio a Castellare portavamo avanti la bandiera del Sangiovese che se coltivato, vinificato e gestito come è giusto, è un vitigno che da grande soddisfazione, e oggi per fortuna molte Cantine seguono questa strada”. “Questo non vuol dire che nel Chianti non possa essere concepita una grande produzione di vitigni internazionali che qui si adattano benissimo – ha chiosato – ma il Sangiovese deve essere il vitigno principe e secondo me è sbagliato immaginare di ‘blendarlo’”.