Vino, Matarazzo: passaggio a Campania Doc limiterà frammentazione
Vino, Matarazzo: passaggio a Campania Doc limiterà frammentazioneMilano, 3 lug. (askanews) – “L’idea di trasformare Campania Igt in Campania Doc è in fase avanzata di studio: tutta la filiera è impegnata nella definizione delle possibili declinazioni utilizzabili, allo scopo di trovare il giusto compromesso tra esigenze attuali e future, e la necessità di addivenire ad una maggiore visibilità e identità delle produzioni di qualità. Il vantaggio sarà proprio quello di attenuare l’eccessiva frammentazione produttiva e l’articolazione delle Denominazioni, spesso fonte di confusione nei consumatori”. Lo ha spiegato in un’intervista ad askanews il direttore del Consorzio tutela vini del Sannio, Nicola Matarazzo, reduce da “Campania.Wine”, la manifestazione dedicata ai vini campani promossa da cinque Consorzi di tutela vini delle province di Avellino, Benevento, Caserta, Salerno e Napoli, insieme con quello del Pomodorino del Piennolo del Vesuvio, che si è tenuta con successo a Napoli nelle scorse settimane.
“In Campania ci sono 29 Denominazioni ma la stragrande maggioranza della produzione si concentra in poco meno di dieci” ricorda Matarazzo, sottolineando che “29 Denominazioni sono effettivamente troppe in relazione alla produzione e soprattutto per essere comprensibili fuori dai confini regionali, anche se rappresentano un patrimonio di biodiversità e ricchezza territoriale e culturale innegabili”. “Alcune delle Denominazioni sono poco rivendicate, mentre altre sono troppo piccole per essere visibili sul mercato” aggiunge il presidente ed esperto di viticultura campana, spiegando che “la filiera regionale ha una struttura polarizzata, con poche grandi aziende o associazioni di produttori e di trasformazione che collocano con un proprio marchio i loro prodotti sui mercati nazionali ed internazionali e che hanno un buon rapporto con la Gdo, e tante piccole aziende agricole con una cultura imprenditoriale poco orientata al mercato e verso forme di cooperazione”. Insomma il panorama produttivo campano appare molto frammentato ma, chiosa Matarazzo, “è giusto evidenziare che ci sono numerose piccole realtà che sono riuscite a superare i limiti legati alla loro dimensione ridotta con una organizzazione eccellente e con una straordinaria capacità di costruirsi un marchio autorevole e riconoscibile, sfida non sempre vinta da produttori più grandi”. A sorprendere di più nelle degustazioni degli oltre 600 vini delle 116 Cantine campane presenti a “Campania.Wine” sono stati i vini bianchi, risultati nel complesso di gran lunga più interessanti e “moderni” rispetto ai rossi, in particolare laddove si è lavorato sull’affinamento. Si vedano in questo senso due estremi per notorietà e posizionamento: da un lato il celebrato “Costa d’Amalfi Doc Furore Bianco Fiorduva 2020” (Fenile 30%, Ginestra 30%, Ripoli 40%) di Marisa Cuomo, e dall’altro la ben più accessibile ma di indiscutibile qualità “Falanghina del Sannio Dop Lazzarella 2021” di Vigne Sannite (Centro cooperativo agroalimentare sannita). Tra loro, non si può non citare almeno il “Lacryma Christi del Vesuvio Bianco Munazei 2021” di Casa Setaro e le tre Riserve dagli altrettanti cru di Greco di Tufo Docg di Cantine di Marzo, e in particolare il “Vigna Ortale 2020”. Del resto Greco, Falanghina e Fiano rappresentano ormai più della metà della produzione di vini di qualità regionali. “L’ecletticità di utilizzo di queste uve, unita all’eccelente capacità di evolversi nel tempo – precisa Matarazzo – sono state le motivazioni che hanno spinto i Consorzi di tutela alla modifica dei Disciplinari con l’inserimento delle menzioni ‘Riserva’, prevedendo così versioni con affinamenti più lunghi”. All’evento in Galleria Umberto I si è vista anche un’importante presenza di vini da vitigni autoctoni (dall’Asprinio al Casavecchia, dal Caprettone al Pallagrello, solo per citarne alcuni) di cui la Campania è uno tra i territori più ricchi al mondo, con varietà, cloni, e biotipi spesso conosciuti più con nomi dialettali che con quelli “tecnici”. Vitigni orgogliosamente riscoperti da qualche anno ma che non sempre, in purezza, paiono in grado di dare validi risultati in bottiglia. Più facile dal punto di vista commerciale, almeno sulla carta, il lavoro intrapreso da molti produttori sulla spumantizzazione (Martinotti e Metodo Classico): “Le sperimentazioni enologiche su Fiano, Greco e Falanghina hanno dato risultati ottimi – continua – anche in termini di preferenze di consumo, quindi in un mercato che attualmente ha ormai sdoganato la stagionalità di consumo degli spumanti, credo possa essere un’opportunità attuale e futura”.
La ricca viticoltura campana, spesso associata agli uliveti, si concentra nella zona interna del Beneventano e dell’Avellinese (quella con la maggiore produzione viticola a marchio comunitario), nella provincia di Salerno e nelle provincie di Napoli e Caserta. La vite è coltivata per il 70% (16.385 ettari) sulla “collina interna”, per il 17% (4.429 ha) in montagna, per il 9% (2.186 ha) sulla “collina litoranea”, e solo per il 4% in pianura. Se nell’ultimo trentennio si è registrata una progressiva riduzione della superficie vitata, negli ultimi nove anni la produzione di vini IG è in costante crescita, con il valore alla produzione che ammonta complessivamente a 106 milioni di euro (Benevento 56,4 mln, Avellino 27 e Napoli 8,4). “Nella filiera vitivinicola campana è in corso da anni un profondo processo di rinnovamento basato sulla riqualificazione dell’offerta, che ha avuto riscontri positivi dal mercato, come testimoniato soprattutto dal notevole incremento dell’export negli ultimi dieci anni: 15 mln di euro nel 2006, diventati 52 nel 2020” spiega ancora ad askanews il direttore del Consorzio vini del Sannio, evidenziando che “sul piano della produzione è in atto uno sforzo per valorizzare e migliorare nel suo complesso la piattaforma varietale attraverso ricerche e innovazioni, la digitalizzazione in viticoltura ed enologia e l’incremento verso l’alto la qualità dei prodotti nelle diverse fasce di prezzo. In particolare si sta puntando a rafforzare il legame con un mercato regionale molto ampio rispetto all’offerta – aggiunge – e a sviluppare il mercato nazionale e internazionale, dove è maggiore la capacità di assorbimento dei vini di pregio e a prezzi superiori”. “I prezzi dei prodotti finiti si sono comunque mantenuti stabili, se non in leggera crescita” continua Matarazzo, mettendo in luce che “il problema vero rimane il valore delle uve, del loro mancato adeguamento all’aumento generalizzato dei costi in vigna e della capacità di garantire un reddito equo ai vignaioli”. Un problema su cui i Consorzi “si stanno adoperando con grande impegno per studiare le più efficaci soluzioni”.