Milano, 2 apr. (askanews) – Il vigneto Italia vale 56,5 miliardi di euro, per un corrispettivo a ettaro di 84mila euro, quattro volte più della media delle superfici agricole. Lo rileva l’analisi dell’Osservatorio Uiv-Vinitaly con una ricognizione sui valori dei 674mila ettari del vigneto nazionale che da Nord a Sud della Penisola generano un’economia da oltre 30 miliardi di euro l’anno e rappresentano al contempo uno degli investimenti più redditizi in assoluto sul piano fondiario. Con il mercato che risponde con un boom di transazioni, dettate in particolare da fondi e family office interessate soprattutto alle regioni a maggior vocazione enologica e di conseguenza a maggior tasso valoriale, come Alto Adige, Trentino, Veneto, Toscana e Piemonte.
Le quotazioni massime più alte dei filari italiani (a volte sopra il milione di euro per ettaro) si riscontrano in provincia di Bolzano, nella zona di Barolo e Barbaresco, sulle colline di Conegliano e Valdobbiadene e a Montalcino. Si va dai 300-500mila euro a ettaro per la zona di produzione del Trento Doc, la Valpolicella, Bolgheri e la Franciacorta. Stime di poco inferiori per le aree del Prosecco Doc, del Lugana, del Chianti Classico e Montepulciano. Negli ultimi 15 anni, secondo le rilevazioni elaborate dal Crea, la grande maggioranza delle denominazioni ha incrementato le proprie punte di valore: si va da Montalcino (+63%) a Valdobbiadene (+16%), da areali nel bolzanino come Caldaro (+75%) o Canelli nell’astigiano (+58%) fino al Collio (+50%), all’Etna (+57%), ai filari montani della Valle d’Aosta (+114%). L’alto valore medio a ettaro (dato dalla presenza di ampi territori vocati a produzioni di successo, come Prosecco, Valpolicella, Lugana, Pinot grigio, Valdadige) associato all’estensione del vigneto (100mila ettari circa), pone il Veneto in testa alla classifica generale dei valori fondiari. “Il vigneto Italia è ormai un brand globale specie nei suoi territori più vocati, e questo è un elemento di forza a cui gli investitori non possono sottrarsi” ha dichiarato il presidente di Unione italiana vini (Uiv), Lamberto Frescobaldi, aggiungendo che “notiamo come in genere l’ingresso di fondi internazionali o di famiglie facoltose nelle aree simbolo della viticoltura italiana sia in primo luogo una questione di prestigio, poi certamente un bene rifugio o un elemento di diversificazione degli asset”. “Ma alla base c’è la consapevolezza di investire sul valore nel senso più etimologico del termine, più che di aderire a un progetto remunerativo nel breve-medio periodo con il solo valore della produzione” ha proseguito Frescobaldi, concludendo “in Italia si assiste a questo e non è un caso se Bernard Arnault, presidente del gruppo Lvmh, ha recentemente acquistato Casa degli Atellani di Milano, vigna di Leonardo compresa”.
Per l’ad di Veronafiere, Maurizio Danese “il vino italiano è un capitale strategico del Paese e Vinitaly lo ha ribadito con un rapporto realizzato dall’Osservatorio assieme a Prometeia con i nuovi numeri di una filiera da 31,5 miliardi di euro l’anno”. Il settore, che vanta la miglior bilancia commerciale tra tutti i comparti del made in Italy tradizionale, ha una propensione all’export doppia rispetto all’agroalimentare e questo ha un peso anche sul valore fondiario di un prodotto sempre più globale, sempre più riconosciuto come bandiera dell’Italian style” ha precisato, evidenziando che “non è un caso se per il Cbre, leader mondiale nella consulenza nel settore real estate, il volume degli investimenti nel vigneto tricolore è segnalato in crescita in tripla cifra nell’ultimo biennio”. Secondo l’Osservatorio Uiv-Vinitaly, inoltre, la viticoltura in Italia costituisce da sempre un baluardo a difesa del paesaggio: nonostante la crescita della viticoltura in pianura, tutt’oggi poco più della metà dei vigneti nazionali si colloca sopra i 300 metri di quota, con il 42% in collina (301-700 metri) e il 9% in montagna (sopra i 700 metri). Montagna che, in alcuni areali come Valle d’Aosta e Liguria, è il luogo di maggiore presenza della viticoltura con quote superiori al 60%, ma che raggiunge incidenze ragguardevoli (pari o superiori al 30%) anche in altre regioni, come Campania, Basilicata, Calabria, Molise e Piemonte. In totale sono 62mila gli ettari vitati in montagna, dato destinato a crescere in futuro per via dell’innalzamento delle temperature medie. Viticolture prevalentemente di collina (281 mila gli ettari complessivi) sono quelle abruzzese (96%), umbra (89%), marchigiana (85%) e toscana (81%), a cui si aggiungono le produzioni di alta collina in provincia di Bolzano (86%) e Trento (40%). Prevalenza di viticoltura pianeggiante in Veneto, Emilia-Romagna, Puglia, Sicilia e Friuli Venezia Giulia.