Virginia Stagni: stretta fiscale messaggio dissuasivo per rientro cervelli
Virginia Stagni: stretta fiscale messaggio dissuasivo per rientro cervelliMilano, 21 nov. (askanews) – Nelle scorse settimane la notizia della stretta fiscale sui lavoratori che decidono di rientrare in Italia dall’estero ha fatto sobbalzare sulla sedia molti expat che già facevano i conti in tasca per tornare. Ma al di là della convenienza economica, quello che viene da più parti criticato è anche il messaggio che passa con una decisione come questa. Un tema che sta particolarmente a cuore a uno dei tanti talenti italiani in fuga all’estero, oggi rientrato a lavorare in Italia. Virginia Stagni, infatti, è da un paio di mesi Chief marketing officer di The Adecco Group Italia ma per circa otto anni è stata Head of business development e talent director al Financial Times, la più giovane manager della storia del giornale. Per lei la questione del rientro dei cervelli è “importantissima più che per l’effettiva numerica delle persone coinvolte per il messaggio che lancia: un investimento su persone che sono uscite non solo per trovare miglior fortuna monetaria ma soprattutto per l’apprendimento di competenze nuove da Paesi diversi, per essere contaminati da altre culture, industrie e opportunità e poi riportarle in Italia”. “La riforma fiscale – ha detto in questa intervista ad askanews – credo aiuti la riflessione rispetto al rientro di un cervello italiano dall’estero che poi si deve reintegrare in un nuovo sistema aziendale. Ecco perché è importante più il messaggio del volume, perché quando si ritocca questo strumento al ribasso abbiamo un effetto non dico negativo ma dissuasivo”.
Guardando ai risultati di una ricerca sviluppata dal gruppo Adecco, in effetti, gli sgravi fiscali, considerati fondamentali dall’11% dei rispondenti, sono una leva importante, a volte vincolante, per convincere i talenti a rientrare in Italia, ma le vere motivazioni del rimpatrio sono legate alla vicinanza a famiglia e amici (43% dei voti) e la qualità della vita (27%). Ma, a tal proposito Stagni sottolinea anche l’importanza di “quanto venga fatto per rendere competitive e attrattive le nostre aziende, sulla capacità di crescita della persona che nel contesto anglosassone, come è stato nel mio caso, è molto agevolata, indipendentemente dalla età a vantaggio effettivamente dell’aspetto meritocratico”. La molla che ha fatto maturare in lei la decisione di rientrare è stata “principalmente una buona opportunità di lavoro che mi permetteva di reintegrare alcune cose imparate all’estero, in un settore diverso come l’editoria, in un una narrativa sul mondo del lavoro e sulla dinamica del capitale umano in Italia. Io già mi stavo focalizzando su questo all’interno del Ft perché quando si lavora sulla parte commerciale e sull’innovazione si lavora sulle persone, quindi c’era un good match con l’opportunità di lavoro che mi era stata proposta”. Ma accanto a questo è maturata anche un’altra riflessione: “Dal punto di vista civico mi sono detta: ho 30 anni e quasi un decennio tra Londra e New York, posso portare tutto quello che ho imparato nel mio Paese. Per cui la ragione è anche quella di dare un segnale, dimostrare come la forza under 40 in un certo senso possa avere uno spazio e creare nuovi ecosistemi e nuovi modi di vedere la cultura aziendale”.
Dell’esperienza fatta all’estero la cosa che più l’ha formata e che vorrebbe riportare in Italia è “l’aspetto collaborativo rispetto alle progettualità dell’azienda, un approccio molto meno gerarchico rispetto alla definizione del valore del tuo prodotto e della tua azienda. Con questo intendo un dialogo molto aperto anche su temi caldi e sostanziali”. Un esempio? “Al Financial Times il futuro del giornale non lo decide solo il consiglio di amministrazione ma è un meccanismo che prevede la condivisione e il lavoro di tutti i dipendenti, su cui tutti vogliono parlare: giornalisti, commerciali, marketing. Questo significa mettere tutti a fattore comune rispetto ai valori della tua azienda. Invece in Italia si opera secondo la logica ‘il capo decide e gli altri fanno’. Questo approccio oltre a essere antico non permette alle nuove generazioni, non perché sono più cool ma perché sono native digitali e quindi culturalmente molto diverse dalle altre, di essere integrate nei nuovi meccanismi aziendali, anche se si producono bulloni. Noi non pensiamo: giovane in azienda, nuove skill uguale asset, piuttosto pensiamo all’operatività: ripete quello che ha fatto un altro prima di lui”. Un altro aspetto che ha apprezzato durante l’esperienza estera riguarda l’ingresso dei cervelli nel mondo del lavoro che “è più efficiente nel sistema anglosassone perché una Thatcher che ha fatto chimica decide di fare politica e riesce a entrare nel sistema politico perchè c’è una maggiore apertura mentale rispetto alla radice dello studio. Io ho lavorato con gente che si è laureata in Geografia a Oxford e faceva il giornalista a Ft perchè c’è una apertura sulla prospettiva che possono aprire nel mondo del lavoro. Questa è un’apertura totalmente mancante in Italia: non hai fatto il percorso perfetto da consultant? You are not fitting for my team”.
Alla luce della sua esperienza, dunque, in che modo si può accelerare questo cambiamento? “Di certo una riforma fiscale aiuta tantissimo, incentiva a fare questo investimento – ci ha detto – non nascondo che se ci fosse il cuscinetto del rientro che dà una certa sicurezza a un investimento sul lungo termine mi posso focalizzare di più sul lavoro dal punto di vista etico e sociale. C’è poi un cambiamento da fare soprattutto nelle università, penso alle business school: quando insegniamo come si fa profitto, come si costruiscono team e business plan, occorre inserire un aspetto etico-sociale sull’impatto che certe decisioni hanno anche su un team di 10-15 persone. E poi dovremmo riprendere in mano la nostra cultura politecnica e insegnarla. Va bene il numero, il profitto, le logiche aziendali ma non bisogna dimenticarsi del nostro asset meraviglioso che è l’umanesimo: come italiani abbiamo una sensibilità che può cambiare l’approccio al mondo del lavoro soprattutto per chi rientra, che poi è quello che manca di più quando sei fuori”.