
”Zero Tolleranza per il Silenzio”: il Ruzzese di Ca’ du Ferrà si fa voce
”Zero Tolleranza per il Silenzio”: il Ruzzese di Ca’ du Ferrà si fa voceMilano, 30 mar. (askanews) – “Zero Tolleranza per il Silenzio” nasce a Bonassola (La Spezia), nel Levante ligure, tra le vigne affacciate sul mare di Ca’ du Ferrà, dalla volontà di recuperare un vitigno dimenticato come il Ruzzese e il desiderio di “dare forma nuova a un’identità”: uva autoctona dalle radici profonde, per la prima volta si veste da bianco fermo. Dopo la prima vinificazione in versione passito con il progetto “Diciassettemaggio”, i produttori Davide Zoppi e Giuseppe Luciano Aieta hanno infatti deciso di esplorare una nuova via, affiancati dall’enologa Graziana Grassini. L’intuizione nasce dal passato ma guarda dritta al futuro: il Ruzzese, con la sua acidità fissa e la maturazione tardiva, è un vitigno contemporaneo nella sua essenza e resilienza, resistente alla siccità e al cambiamento climatico.
Il progetto si inserisce nella missione della “Comunità Slow Food per la protezione e valorizzazione del Ruzzese del Levante Ligure”, di cui Ca’ du Ferrà è parte attiva. Un impegno condiviso che unisce agricoltura, etica e territorio in un’ottica di tutela e rigenerazione. Con sole 635 bottiglie prodotte per l’annata 2023, questa referenza si colloca all’apice della gamma aziendale, ma soprattutto, “segna l’inizio di un nuovo percorso”. “Siamo partiti da una sensazione, il desiderio di raccontare il nostro territorio attraverso un linguaggio che unisse bianco e nero, passato e presente, il gesto antico della vigna e l’urgenza moderna di farsi sentire” raccontano Zoppi e Aieta, aggiungendo che “questo vino è la sintesi di un percorso fatto di studio, sperimentazione e ascolto, è il nostro modo per dire che il silenzio non fa per noi, che ogni bottiglia può essere una voce. E che la bellezza sta anche nel rompere gli equilibri, per crearne di nuovi”.
“Il nome, ‘Zero Tolleranza per il Silenzio’, è una provocazione culturale prima ancora che estetica” spiegano, parlando di “un messaggio rivolto al mondo ma anche un invito alla responsabilità individuale contro l’omertà, l’indifferenza, la paura di esporsi. Anche il vino, nella sua espressività, diventa vibrante e diretto – concludono – non rimane mai muto nel calice ma dialoga, sorprende, stimola”. Anche l’etichetta racconta una storia: con uno strappo netto, svela il nome come una dichiarazione. “Il Ruzzese è un vitigno meraviglioso, capace di raccontarsi prima ancora che diventi vino” afferma Grassini, evidenziando che “il risultato è un riflesso limpido dell’uva, come se la vite avesse già scritto, con il suo gesto, la storia nel calice”.