Lavoro, l’Italia migliora ma resta sotto la media Ue, nodi Sud e donneBruxelles, 18 dic. (askanews) – “Nonostante una ripresa sostenuta dell’occupazione, l’Italia deve affrontare importanti sfide del mercato del lavoro. Mentre il tasso di occupazione ha raggiunto un record con il 66,3% nel 2023, nonostante un rallentamento della crescita economica, è ancora di 9,0 punti percentuali al di sotto della media Ue” ed è quindi “debole ma in miglioramento”. Lo afferma la Commissione europea nel capitolo sull’Italia della sua proposta, pubblicata oggi, per un “rapporto congiunto sull’occupazione” nell’Ue, che fa parte del pacchetto d’autunno del “Semestre europeo”.
“L’occupazione – rileva la Commissione – è particolarmente in ritardo nel Sud (52,5%) e nelle Isole (51,5%). Sebbene il tasso di disoccupazione (7,7%) e la sua componente a lungo termine (4,2%) siano diminuiti nel 2023, rimangono tra i più alti nell’Ue”, in una situazione che viene definita rispettivamente “da tenere d’occhio” e “critica”. Inoltre, il divario occupazionale di genere presenta una “situazione critica”, a 19,5 punti percentuali nel 2023, “più del doppio della media Ue e senza miglioramenti significativi nell’ultimo decennio. La bassa partecipazione al mercato del lavoro, in particolare di donne e giovani, rimane una sfida alla luce della pressante sfida demografica”, osserva la Commissione.
Positivo, tuttavia, il fatto che l’Italia rimane tra i “migliori performer” per quanto riguarda il divario occupazionale tra disabili. Va male, invece, il reddito familiare lordo disponibile pro capite, che “è ulteriormente diminuito al 94,0% in Italia nel 2023 rispetto al 2008 (rispetto a una media Ue del 111,1%)”, indicando una “situazione critica”, secondo la Commissione.
La situazione per i giovani “mostra segnali di miglioramento, ma l’Italia deve affrontare sfide nell’apprendimento degli adulti”. La quota di adulti che partecipano all’apprendimento era al 29,0% nel 2022 (rispetto al 39,5% Ue e al 33,9% nel 2016), un dato che secondo la Commissione è “da tenere d’occhio”. Così come è “da tenere d’occhio”, in particolare alla luce delle transizioni verde e digitale, il fatto che “nel 2023 solo il 45,8% degli adulti italiani aveva almeno competenze digitali di base”. Ancora “debole ma in miglioramento”, invece, la situazione dei giovani che abbandonano precocemente l’istruzione e la formazione e dei giovani che non studiano e non studiano (Neet), con una diminuzione rispettivamente di 1,0 e di 2,9 punti percentuali. Con il 16,1%, l’Italia ha ancora uno dei tassi Neet più alti nell’Ue (dove la media è dell’11,2%). Inoltre, “le scarse competenze di base degli studenti rimangono una sfida”.
La Commissione nota poi che “l’abbandono scolastico precoce è notevolmente più elevato tra i cittadini non Ue (29,5%) rispetto ai cittadini nazionali (9,0%). Nella situazione sociale, “sono stati registrati progressi, ma c’è spazio per ulteriori miglioramenti. Nel 2023, la quota sia della popolazione generale che dei bambini a rischio di povertà o esclusione sociale (Arope) è diminuita, rispettivamente di 1,6 e 1,4 punti percentuali, ed è quindi secondo la Commissione “migliore della media” e “debole ma in miglioramento”, rispettivamente. A determinare questi progressi c’è stata “una riduzione delle persone a rischio di povertà monetaria e di quelle che vivono in famiglie con un’intensità di lavoro molto bassa”. Tuttavia, in questi due casi entrambi i tassi rimangono al di sopra delle medie Ue, con il 22,8% e al 27,1%. I trasferimenti sociali diversi dalle pensioni, come l’assegno familaire per i figli, hanno ridotto la povertà monetaria del 30,5%, una situazione che per la Commissione è “migliore della media”). Tuttavia, sottolinea l’Esecutivo Ue, “le differenze regionali sono ampie e la quota di persone colpite da grave deprivazione materiale e sociale è aumentata, in linea con l’elevata e stagnante quota di persone che vivono in povertà assoluta, al 9,8% nel 2023 (il livello pre-pandemia era 7,6%)”. Alla luce dei risultati di quest’analisi di prima fase, e in particolare di sei indicatori contrassegnati come “critici” o “da tenere d’occhio”, l’Italia è identificata dalla Commissione come “un paese che affronta potenziali rischi per la convergenza sociale verso l’alto che richiedono un’ulteriore analisi in una seconda fase”. Il rapporto nota anche che in Italia (e anche in Grecia) il numero di lavoratori autonomi è particolarmente alto rispetto agli altri paesi Ue, dove negli ha seguito un andamento decrescente, con alcune variazioni tra Stati membri e nei diversi settori. Nel 2023, la quota di lavoratori autonomi si avvicinava o superava il 20% in Italia e Grecia, mentre restava al di sotto dell’8% in Germania e Danimarca. La quota di lavoratori autonomi nell’Ue rispetto all’occupazione totale è scesa dal 14,8% nel 2010 al 13,3% nel 2023. Durante questo periodo, le maggiori riduzioni si sono verificate nell’agricoltura e nel commercio, mentre si sono verificati aumenti significativi nei settori pubblico e quasi pubblico (tra cui pubblica amministrazione, istruzione e sanità) e tecnologie dell’informazione e comunicazione. Anche il profilo delle competenze dei lavoratori autonomi è cambiato, con il 39% di loro che ha un’istruzione terziaria nel 2023, rispetto a solo il 28,0% nel 2010. La Commissione rileva poi che “”i tassi di rischio di povertà tra i lavoratori autonomi (18-64 anni) sono più alti di quelli dei dipendenti (22,1% contro 9,6%). Nel 2023, i lavoratori in proprio costituivano la quota maggiore di lavoratori autonomi nell’Ue (circa il 70%) e nella maggior parte degli Stati membri. Tra il 2013 e il 2023, la quota di lavoratori in proprio nell’occupazione totale è scesa dal 10,3% al 9,0%, poiché un numero inferiore di giovani è entrato nel lavoro autonomo, senza compensare i lavoratori più anziani che lo hanno abbandonato”, conclude la Commissione.