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Ogyre: le iniziative ambientali in occasione dell’Oceans Month

Ogyre: le iniziative ambientali in occasione dell’Oceans MonthRoma, 5 giu. (askanews) – Raccogliere entro il 2024 1,5 milioni chili di rifiuti marini, pari a sette Colossei riempiti di bottiglie di plastica. Questo uno degli obiettivi che Ogyre, la startup italiana che ha implementato la prima piattaforma digitale di fishing for litter per pulire gli oceani dai rifiuti marini con l’aiuto dei pescatori, ha annunciato in vista del World Oceans Day e dell’Oceans Month.

Si terrà infatti l’8 giugno la Giornata Mondiale degli Oceani, istituita dalle Nazioni Unite nel 1992 per sensibilizzare le persone sull’importanza del mare come ecosistema fondamentale per la vita del pianeta, invitando ad agire per la sua conservazione durante tutto l’anno. Per tutto il mese di giugno, spiega una nota, Ogyre si impegna ad accendere i riflettori sul tema della salvaguardia del mare. Ogyre presenta Il mare parla a Milano, un evento aperto al pubblico in programma mercoledì 7 giugno presso Deus Portal Club a Milano. Nel corso dell’evento, sarà presentato in anteprima un video prodotto insieme a VD News che racconta il modello del fishing for litter e l’impegno di Ogyre a fronte dell’attuale situazione sulla Legge Salvamare. Con la Legge Salvamare, entrata in vigore il 10 giugno 2022, è finalmente possibile per i pescatori italiani recuperare i rifiuti raccolti in mare e portarli a riva per smaltirli correttamente. Prima della normativa, i pescatori che riportavano i rifiuti in porto rischiavano di essere multati o di pagare una tassa in quanto i materiali ripescati in mare venivano considerati rifiuti speciali da trattare solo previa apposita autorizzazione.

Attraverso la collaborazione con Comuni ed enti locali, Ogyre agevola il rispetto della legge, supportando e facilitando le azioni di recupero e riciclo dei rifiuti raccolti dai pescatori durante le regolari attività di pesca. “L’attuale Legge Salvamare è indubbiamente un buon inizio, perché, se prima i rifiuti accidentalmente pescati venivano ributtati in mare per non incorrere in sanzioni, adesso possono essere riportati a terra e conferiti adeguatamente agli impianti portuali di raccolta. Tuttavia, se questo è quello che avviene oggi, il merito è spesso delle diverse intese locali e della buona volontà dei pescatori”, spiega Andrea Faldella, co-founder di Ogyre. “Perché una legge sia pienamente valida, è infatti necessario che alla pubblicazione in Gazzetta Ufficiale seguano i decreti di attuazione e un’opportuna copertura finanziaria. Su questo però c’è ancora da lavorare”.

Sempre nel mese di giugno, parte una nuova e significativa collaborazione tra Ogyre e Acquario di Genova per una campagna di sensibilizzazione e divulgazione rivolta al pubblico sul tema dell’inquinamento dei mari. La collaborazione prende forma attraverso due iniziative: da un lato l’impegno a raccogliere insieme una tonnellata di rifiuti marini attraverso la community di pescatori di Ogyre e dall’altro l’allestimento di un’area all’interno dell’Acquario di Genova che per tutto il periodo estivo informerà i numerosi visitatori sul problema dell’inquinamento e sul progetto di raccolta congiunto.

Tramite appositi QR code posizionati nell’area espositiva, sarà infatti possibile collegarsi alla pagina dedicata alla collaborazione tra Ogyre e Acquario di Genova ed essere aggiornati in tempo reale sull’andamento della raccolta di rifiuti, visualizzando le quantità raccolte, le aree interessate e i pescatori coinvolti. “La nostra missione è ripensare i modelli di consumo e di business tra uomo e ambiente, permettendo a tutti di poter agire nel pieno rispetto del mare”, commenta Antonio Augeri, co-founder di Ogyre. “Coinvolgendo i pescatori per riportare a terra i rifiuti marini e compensandoli con un contributo economico per il loro lavoro, Ogyre riesce a raccogliere fino a 22 tonnellate di rifiuti marini al mese, generando al contempo un beneficio economico diretto e indiretto di circa 3 milioni di euro. Tutto questo grazie alla tecnologia che ci aiuta a rendere il processo più diretto, trasparente e alla portata di tutti”.

Dal 2020 ad oggi, l’attività di Ogyre ha permesso di raccogliere 298.343 chili di rifiuti marini (103.697 chili solo nel 2023) di cui circa il 12% viene reinserito nei circuiti di riciclo. La startup conta oggi sei porti in Italia (Cesenatico, Santa Margherita Ligure, Marina di Ravenna, Teulada, Salerno e Cagliari), altri porti in Brasile e Indonesia, coinvolgendo nella raccolta oltre una sessantina di pescatori. L’obiettivo è ora quello di ampliare ulteriormente la flotta e raggiungere entro il 2024 quota 1,5 milioni chili di rifiuti marini, pari a sette Colossei riempiti di bottiglie di plastica.

Ambiente, edilizia sostenibile certificata contro cambiamenti climatici

Ambiente, edilizia sostenibile certificata contro cambiamenti climaticiRoma, 5 giu. (askanews) – La sostenibilità dell’ambiente costruito nei grandi e piccoli insediamenti urbani è un obiettivo di primaria importanza in uno scenario globale nel quale, tra le tante crisi che stiamo vivendo, quella dei cambiamenti climatici mette sempre più alla prova la popolazione del pianeta e la nostra Nazione, ne sono in questo un esempio i recenti eventi meteorici devastanti che hanno afflitto differenti regioni del nostro territorio.

La filiera dell’edilizia e dell’immobiliare è da un lato uno dei maggiori responsabili dei problemi di impatto energetico-ambientale e al contempo uno dei principali vettori di possibile miglioramento. L’ambiente costruito, infatti, è responsabile di circa il 40% dei consumi finali di energia, del 37% delle emissioni di CO2, del 40% circa dei materiali di prima estrazione, di oltre il 30% della produzione di rifiuti, di oltre il 21% dei consumi idrici nonché figura tra i maggior responsabili del consumo di suolo a livello globale e dei problemi di confort e salubrità delle persone. “Il settore delle costruzioni e dell’immobiliare deve essere considerato come una componente imprescindibile e centrale per l’intera Nazione se si vogliono perseguire gli sfidanti obiettivi che sono stati siglati dai nostri governi a livello internazionale”, dichiara Marco Mari, Presidente di GBC Italia, che prosegue: “Dobbiamo accelerare il percorso per raggiungere gli obiettivi sullo Sviluppo Sostenibile che sono al centro della politica europea e nazionale e al contempo utilizzare correttamente le risorse finanziarie garantite dal PNRR. Per essere capaci di spendere correttamente tali risorse, serve un piano di sviluppo industriale a livello Paese che permetta azioni più efficienti, derogando per esempio a quegli aspetti formali che dilungano inutilmente le tempistiche, soprattutto in quei casi in cui il bene comune è oggetto di misurata rendicontazione e certificazione con i protocolli energetico-ambientali rating system. Solo in questo modo, infatti, saremo in grado di raggiungere gli obiettivi finanziari ed energetico-ambientali per i quali, oggi più che mai, abbiamo gli strumenti, le tecnologie e le competenze necessarie. Dobbiamo inoltre privilegiare le opere che prevedono un approccio integrato al sistema edificio, come nel caso ad esempio dei CAM Edilizia nel settore pubblico. In quanto, come è stato dichiarato anche da ANCE e ricalcolato nel nostro Impact Report, i dati di cui oggi disponiamo dimostrano che le strategie basate su un approccio “puntuale”, atte a risolvere una singola problematica senza adottare un approccio olistico di intervento sull’intero immobile (sistema edifício), sono scarsamente efficaci. Ne è un esempio il Superbonus 110%: alla luce del significativo impegno economico sostenuto (l’Ufficio Parlamentare di Bilancio stima oltre 75 miliardi di Euro di spesa in detrazioni e crediti d’imposta), il bonus ha portato a circa 385.000 interventi, di cui 211.000 su edifici unifamiliari, conseguendo in questo modo una riduzione complessiva annua di 338 GWh (pari allo 0,11% dei consumi elettrici nazionali); un dato contenuto rispetto a quanto si potrebbe ottenere attraverso l’applicazione di altri strumenti che possono giungere non solo a una riduzione di oltre i 1000 GWh ma anche a produrre benefici sulle ulteriori caratteristiche ambientali collegate. Come GBC Italia stiamo da anni facilitando il dialogo tra le tante parti interessate a supporto della giusta transizione dell’intera filiera, un valido strumento per comprendere le dinamiche e le tendenze in atto nel mondo del green building lo presenteremo il prossimo 13 giugno a Roma: il primo impact Report di GBC Italia”.

“GBC Italia – spiega una nota – nasce con l’obiettivo di promuovere un processo di trasformazione del mercato dell’edilizia e dell’immobiliare verso lo sviluppo sostenibile e consentire così a tutti di vivere in un ambiente che rispetti le esigenze dell’uomo e dell’ambiente. Seguendo la strada che abbiamo tracciato, potremo congiuntamente azzerare l’impatto ambientale del costruito, riconoscendo centralità alla persona e garantendo un miglior benessere per tutti. “Se oggi il nostro Paese si colloca al secondo posto in Europa per edifici registrati ai fini della certificazione e già certificati con i protocolli della famiglia LEED-GBC e nei primi dieci al mondo che utilizzano tali strumenti, è anche grazia al costante operato della nostra Associazione”. dichiara Francesco Bedeschi, membro del Comitato Esecutivo di GBC Italia e coordinatore dell’Impact report 2023, “ed è proprio a partire da questo percorso che GBC Italia è giunta oggi a compiere un ulteriore passo in avanti, giungendo a rispondere a un interrogativo chiave del nostro tempo: possiamo rendicontare in modo oggettivo e misurato gli impatti positivi di queste pratiche edilizie? A valle di un intenso lavoro di analisi effettuato sugli oltre diciannove milioni di metri quadrati di asset già certificati, o in via di certificazione, con i protocolli energetico-ambientali rating system della famiglia LEED-GBC, l’Associazione è giunta alla redazione del primo Impact Report dell’edilizia sostenibile certificata in Italia. Un documento capace di misurare e far apprezzare i benefici ambientali, economici e sociali generati dagli edifici LEED e GBC in Italia, dalla cui analisi si evidenzia un nuovo Made in Italy, quello dell’edilizia sostenibile certificata, capace di giungere a eccellenti risultati per il benessere dei cittadini e per ripristinare il naturale equilibrio di tutti gli ecosistemi”.

Il Primo Impact Report a cura di GBC Italia è stato sviluppato grazie alla partnership con USGBC (United States Green Building Council), GBCI (Green Business Certification Inc.) e Arc Skoru, in collaborazione con The European House – Ambrosetti e grazie al supporto di numerose imprese della filiera edilizia ed immobiliare italiana. L’evento di presentazione si svolgerà il 13 giugno 2023 dalle ore 11.30, è possibile partecipare al webinar di presentazione registrandosi al seguente link: https://register.gotowebinar.com/register/1974889340622525280

Bioplastiche compostabili, vola il riciclo. Superato l’obiettivo 2030

Bioplastiche compostabili, vola il riciclo. Superato l’obiettivo 2030Roma, 30 mag. (askanews) – L’Italia impegnata nel riciclo organico delle bioplastiche compostabili viaggia con oltre 8 anni di anticipo rispetto agli obiettivi: la quantità di imballaggi riciclati nei circa 155 impianti di trattamento italiani ha infatti raggiunto nel 2022 quota 60,7% (46.600 tonnellate a fronte di 76.800 immesse sul mercato, quasi 9 punti percentuali in più rispetto al dato 2021). Dieci punti in più rispetto all’obiettivo fissato per il 2025 (50%) ma, soprattutto, cinque punti in più rispetto a quello del 2030 (55%). È il dato più rilevante contenuto nella relazione annuale relativa alle attività 2022 di Biorepack, consorzio nazionale per il riciclo organico degli imballaggi in bioplastica compostabile.

“Questo risultato è motivo di grande orgoglio per tutta la filiera”, ha commentato il presidente di Biorepack, Marco Versari. “Essere riusciti già oggi a raggiungere e superare l’obiettivo 2030, peraltro dopo appena 18 mesi dall’inizio delle attività del nostro consorzio, dimostra l’impegno della nostra organizzazione e la sinergia virtuosa che siamo riusciti a innescare con le pubbliche amministrazioni e i soggetti deputati alla raccolta dei rifiuti”. I risultati avrebbero potuto peraltro essere ancora più significativi se la frazione umida raccolta fosse stata qualitativamente più pura. Purtroppo, la presenza di materiali non compostabili (soprattutto prodotti e imballaggi in plastiche tradizionali, vetro e metalli) erroneamente conferiti nell’umido domestico, oltre a costituire un grave problema per la raccolta, rimane un fattore di penalizzazione dei risultati di riciclo. L’eliminazione di questi materiali estranei, infatti, comporta sempre uno scarto anche delle bioplastiche compostabili in ingresso negli impianti, che nel 2022 si è attestato intorno al 14%.

Ma la relazione 2022, presentata ieri a Milano durante l’assemblea dei consorziati di Biorepack, contiene molti altri numeri significativi: le imprese consorziate – rappresentative di produttori, trasformatori, utilizzatori e riciclatori – hanno raggiunto quota 218 (+8% rispetto all’anno precedente). Inoltre, al 31 dicembre scorso sono pervenute 353 richieste di convenzionamento che portano a 3.777 i Comuni serviti (47,8% di tutti i Comuni italiani), nei quali risiedono oltre 38 milioni di persone, pari al 64,4% della popolazione nazionale (3 punti percentuali in più rispetto al 2021). Per i soggetti convenzionati un vantaggio anche economico non di poco conto: grazie alla convenzione con Biorepack sono stati infatti riconosciuti nel corso del 2022 corrispettivi economici pari a 9,3 milioni di euro, a copertura dei costi di raccolta, trasporto e trattamento degli imballaggi in bioplastica compostabile conferiti insieme ai rifiuti organici (1,8 milioni di euro in più rispetto al 2021).

Soggetti convenzionati, preoccupa la differenza tra regioni “Questi numeri, indubbiamente positivi, devono però rappresentare solo un punto di partenza per raggiungere rapidamente ulteriori traguardi”, ammonisce Versari. “Le differenze di copertura regionale sono ancora troppo marcate, nonostante la raccolta differenziata dell’umido urbano (con all’interno le bioplastiche) sia obbligatoria in tutta Italia dal 1° gennaio 2022”. Dalla relazione 2022 emerge infatti che, a livello regionale, le performance migliori sono quelle della Valle d’Aosta (100% della popolazione coperta), Emilia-Romagna (99%), Veneto (97%), Toscana (94%) e Puglia (93%). Ma la percentuale di Comuni convenzionati con Biorepack oscilla tra l’81% del Nord Est e appena il 23% delle Isole. Allo stesso modo, le convenzioni coprono il 90% della popolazione delle regioni nord-orientali, mentre nelle regioni meridionali si fermano al 53% e nelle isole scendono addirittura al 30%.

“Stiamo lavorando quotidianamente – ha aggiunto Versari – per colmare questo gap nelle regioni meridionali. Va infatti ricordato che convenzionarsi significa poter accedere a risorse economiche importanti, che possono aiutare molte realtà territoriali a migliorare la qualità e quantità della raccolta differenziata della frazione umida”. Proprio per sensibilizzare gli enti locali ma anche per aiutare i cittadini nel corretto conferimento degli imballaggi in bioplastica compostabile insieme ai rifiuti umidi, il consorzio Biorepack ha investito importanti risorse in campagne di comunicazione e iniziative di informazione ed educazione. L’ultima, in ordine di tempo, è stata presentata all’assemblea dei consorziati: una campagna integrata per TV, radio, stampa, social e digital firmata dall’agenzia Connexia. Gli spot televisivi, della durata di 15 secondi, saranno in onda fino al 17 giugno sui canali televisivi di RAI, Mediaset, CairoRCS Media, SKY, Warner Bros, Discovery e Netflix mentre lo spot radiofonico, in formato 30″, sarà emesso sulle frequenze radiofoniche del Gruppo Editoriale GEDI e sul circuito CNR. Lo spot sarà anche veicolato sulle piattaforme Google e Meta. Nei prossimi mesi sono inoltre previste pagine pubblicitaria sui maggiori periodici e quotidiani nazionali.

Inoltre, consapevole del tema della riconoscibilità degli imballaggi in bioplastica compostabile, il Consorzio nel 2022 ha avviato un progetto finalizzato a individuare la fattibilità di un marchio di riconoscibilità che in maniera univoca e immediata (attraverso un pittogramma) possa comunicare l’esatto riciclo del rifiuto di imballaggio in bioplastica compostabile assieme ai rifiuti organici. Obiettivo: rendere sempre più facile distinguere tali imballaggi, per aumentare non solo la quantità della raccolta ma soprattutto la sua qualità. I corrispettivi economici garantiti ai Comuni convenzionati infatti aumentano al diminuire delle frazioni estranee non compostabili che “sporcano” la raccolta della FORSU.

Altrettanto importanti, nell’ottica di ottimizzare la raccolta e il riciclo delle bioplastiche, sono le iniziative di contrasto all’illegalità. Un problema tutt’altro che marginale, visto che ancora oggi sono molto diffusi gli imballaggi – buste della spesa, in primis – in plastica tradizionale o contraffatti senza le caratteristiche tecnico-ambientali richieste dalla legge. Oltre ad arrecare danni economici alla filiera, in termini di concorrenza sleale e di aggravio di costi industriali, i fenomeni illeciti producono un chiaro impatto negativo sull’ambiente. Per questo, Biorepack ha sviluppato una piattaforma in collaborazione con l’associazione di categoria Assobioplastiche: i cittadini e le imprese possono utilizzarla per segnalare i fenomeni illeciti e permettere al Consorzio, dopo i doverosi controlli e l’istruttoria giuridica, di presentare denuncia alle autorità competenti.

Wwf: il ritorno della Lontra al Nord. Ma specie resta vulnerabile

Wwf: il ritorno della Lontra al Nord. Ma specie resta vulnerabileRoma, 30 mag. (askanews) – Continuano i segnali di ripresa della lontra (Lutra lutra), uno dei mammiferi più rari in Italia. Grazie infatti ad un monitoraggio promosso dal WWF in Italia in collaborazione con l’Università del Molise è stato possibile aggiornare la mappa della distribuzione, in particolare in quelle aree geografiche dove la specie risultava assente o con scarsi segnali di presenza. Territori abitati storicamente e poi abbandonati a causa dell’impatto diretto e del disturbo antropico. Fermo restando che la popolazione italiana è concentrata soprattutto nel Meridione (Campania, Basilicata, Puglia, Calabria e in aumento in Abruzzo e Molise), dove continua la fase di espansione grazie anche all’avvenuto contatto tra i nuclei presenti, lo studio ha voluto verificare se nel resto d’Italia – Centro-Nord – la situazione fosse in qualche modo cambiata rispetto al recente passato. Con il monitoraggio ancora in corso – si concluderà a fine estate – si può già avere un quadro della situazione, con notizie confortanti in alcune aree geografiche e con riscontri ancora negativi in altre.

In particolare la lontra è tornata in alcune regioni del Nord, da dove non era stata più segnalata da decenni. È il caso del Friuli Venezia Giulia, dell’Alto Adige, della Lombardia, della Liguria e per quanto riguarda il Centro, del Lazio. Segnalata anche nel Veneto, in provincia di Belluno. Si conferma invece assente in Piemonte – a parte un nucleo reintrodotto nel parco regionale del Ticino – in Emilia Romagna, in Toscana, in Umbria e nelle Marche. Il quadro che si può delineare è che si sta assistendo ad un ritorno della specie sull’arco alpino e man mano più a valle, grazie allo sconfinamento di esemplari provenienti dall’Austria, dalla Slovenia e dalla Francia. In quanto alla presenza nel Lazio, in numero più evidente rispetto alle altre regioni monitorate, è molto probabile che non sia conseguenza dell’espansione della popolazione residente nel Meridione, ma che si sia trattato di un arrivo dal mare. IN ITALIA POPOLAZIONE VULNERABILE Dopo che nel secolo scorso ha rischiato di estinguersi, si può quindi affermare che la lontra è in una fase di espansione, fermo restando che la popolazione italiana è ancora oggi tra le più minacciate e isolate d’Europa (classificata come Vulnerabile nella Lista rossa nazionale). La più grande criticità si riscontra – come confermato dal monitoraggio – nelle regioni centro-settentrionali. Il dato del Lazio fa ben sperare e qualche cauta speranza riguarda anche le Marche, al confine con l’Abruzzo, dove sono state riscontrate anche di recente alcune tracce. Un aspetto da non trascurare è quello che la lontra utilizza anche il mare per spostarsi. Sono sempre più frequenti infatti le segnalazioni di esemplari che sostano nei porti o nuotano vicino le spiagge. Tale consuetudine rappresenta quindi un potenziale canale di occupazione di nuovi territori. Attualmente, la popolazione stimata per l’Italia è tra gli 800 e i 1.000 individui, un numero ancora ben al di sotto del limite vitale minimo. E quindi fondamentale continuare in tutte quelle azioni di conservazione che hanno contribuito negli ultimi decenni a evitare l’estinzione. Il monitoraggio in corso arriva a circa 40 anni dal precedente Censimento nazionale, promosso sempre dal WWF Italia e con il contributo dell’allora Ministero dell’Agricoltura. Per realizzare il monitoraggio, il WWF si è avvalso del prezioso supporto scientifico dell’Università del Molise, che vanta una delle maggiori esperte mondiali sulla specie, con cui è stato messo a punto un protocollo standardizzato raccomandato dall’Otter Specialist Group dell’IUCN (Unione Internazionale per la Conservazione della Natura). Il censimento è coordinato da referenti regionali che stanno verificando sul campo i siti selezionati all’interno di celle di griglia di 10x10km, anche con il supporto di esperti, volontari e appassionati.

Il WWF in Italia è stato il primo a dare l’allarme sullo stato della lontra negli anni ’80, dando vita al Gruppo Lontra Italia e coordinando il primo e unico monitoraggio nazionale dalla primavera del 1984 all’autunno del 1985, in cui emerse che solo il 6% dei 1.300 siti monitorati erano effettivamente occupati dalla specie. Il WWF ha poi partecipato alla stesura del Manifesto del Gruppo Lontra Italia, sottoscritto nel 1993, che portò a identificare, tra le altre cose una serie di Centri Lontra tra cui quello dell’Oasi WWF di Penne. Inoltre ha partecipato, con i suoi esperti, alla stesura del Piano nazionale (PACLO), coordinato da ISPRA e che si è rilevato, ad oggi, in gran parte disatteso. LE OASI PER LA LONTRA Tra le azioni principali a salvaguardia della lontra da parte del WWF, c’è stata la creazione di una rete di aree protette fondamentali per la conservazione della specie, come l’Oasi di Persano, Grotte del Bussento e Lago di Conza in Campania, Pantano di Pignola e Policoro in Basilicata, Cascate del Verde in Abruzzo, e il sostegno alla realizzazione progetti di tutela più vasti come il parco nazionale del Cilento-Vallo di Diano e Monti Alburni.

LE MINACCE Se oggi si può quindi immaginare concretamente un ritorno al passato della lontra, quando abitava tutta la penisola, lo si deve alle tante azioni di tutela e conservazione messe in atto negli anni. Se un tempo era la distruzione diretta la causa di diminuzione – per la pelliccia in particolare – nel tempo è stata la perdita o il degrado degli habitat frequentati, quelle aree fluviali in particolare, che nel nostro Paese hanno subito drastiche trasformazioni. La sfida oggi è quella di favorire la connessione tra la popolazione vitale del Meridione e di parte del Centro, con quella Centro-Settentrionale. Non sarà facile e ci vorrà tempo, ma questo è lo scenario su cui si sta lavorando. Con un’attenzione anche a risolvere una minaccia sempre più frequente soprattutto dove le lontre si spostano con più frequenza, quella di finire investite sotto le auto. Almeno 50 negli ultimi anni.

Ambiente, esperti Sima: 8 italiani su 10 respirano aria “malsana”

Ambiente, esperti Sima: 8 italiani su 10 respirano aria “malsana”Roma, 30 mag. (askanews) – Circa l’81% della popolazione dell’Ue respira un’aria con una concentrazione di polveri sottili superiore alle soglie di sicurezza sanitaria fissate dall’Oms già nel lontano 2005. Applicando invece gli attuali limiti di legge, solo il 21% degli europei si trova in una situazione di rischio per la salute legata agli sforamenti di PM10 e PM2.5, ma lo stesso discorso vale anche per gli ossidi di azoto. Sono i dati elaborati dagli esperti della Società Italiana di Medicina Ambientale (Sima), sulla base del rapporto annuale dell’Agenzia Europea per l’Ambiente. intervenuta oggi all’evento ‘Liberi di Respirare’ organizzato da Consulcesi Group in vista della Giornata Mondiale dell’Ambiente del 5 giugno.

“La questione è ancora più preoccupante perché le soglie di sicurezza sanitaria OMS sono state più che dimezzate nel 2021. – commenta Prisco Piscitelli, epidemiologo e Vicepresidente Sima – La rete di monitoraggio della qualità dell’aria, capillarmente distribuita in tutte le nostre regioni, è tarata su limiti di legge, fissati dall’attuale direttiva europea sulla qualità dell’aria in corso di revisione, che oggi risultano quindi tre volte superiori alle soglie protettive per la nostra salute, rendendo quindi necessaria una maggiore attenzione alla lettura sanitaria dei dati ambientali”. Sima allerta la popolazione anche sui rischi per la salute connessi all’inquinamento: “L’impatto è diretto ed è oggi ben quantificabile sulla base di funzioni di rischio fondate sulle evidenze scientifiche acquisite dall’OMS: per ogni incremento di 10 microgrammi su metro cubo delle concentrazioni medie annuali di polveri sottili osserviamo un aumento della mortalità generale per tutte le cause pari al 7%. Nello specifico, – prosegue l’esperto – aumenta del 10% la mortalità per le malattie cardiovascolari o cause respiratorie, mentre l’incidenza di infarti sale del 26%. Appena più modesto (+7%) è l’aumento di mortalità legato ad ogni incremento di 10 microgrammi su metro cubo di biossido d’azoto (NO2)”. In questo contesto Consulcesi lancia la nuova iniziativa legale “Aria Pulita”. “L’azione legale – spiega l’avvocato Marco Tortorella di Consulcesi – ha lo scopo di accertare la violazione del diritto a vivere in un ambiente salubre, con conseguente richiesta di risarcimento del danno, in favore dei residenti delle zone in cui è stato accertato il superamento dei limiti delle particelle inquinanti contenute nell’aria ambiente”. Consulcesi stima che siano 3.384 i comuni italiani compresi nelle violazioni accertate dall’Europa per un totale di più di 40 milioni di residenti.

Nuovo Orto Botanico Università Parma: un polo culturale e ambientale

Nuovo Orto Botanico Università Parma: un polo culturale e ambientaleRoma, 29 mag. (askanews) – Sarà un Orto Botanico nuovo quello che scaturirà dai progetti di restauro e riqualificazione presentati questo pomeriggio nella storica sede di via Farini: progetti di ampio respiro che puntano a fare dell’Orto Botanico dell’Università di Parma non solo un rinnovato giardino ma un polo culturale, ambientale, sostenibile, risorsa e punto di riferimento per la città e non solo.

Lo si farà con fondi pubblici e privati, grazie all’impegno di una “squadra” in cui l’Ateneo è affiancato da istituzioni e realtà private del territorio. A presentare i progetti oggi c’erano il Rettore Paolo Andrei, il Sindaco Michele Guerra, il Direttore scientifico dell’Orto Botanico Renato Bruni, il Presidente di Fondazione Cariparma Franco Magnani, il Presidente di “Parma, io ci sto!” Alessandro Chiesi e Giovanna Usvardi, Global Communication & External Relations Head del Gruppo Chiesi, oltre naturalmente ai progettisti Guido Canali e Paola Cavallini, in rappresentanza dello Studio Canali Associati e di A+C_Architettura e Città Studio Associato.

Due diversi progetti per due linee d’intervento. Una d’ambito edilizio, incentrata sulle Serre e sulla Scuola di Botanica, e un’altra di sistemazione della componente verde. L’idea di fondo del duplice intervento è quella di aprire una nuova porta “verde” nel cuore della città: una piattaforma per le attività didattiche, di ricerca, divulgazione e diffusione della cultura connesse alle relazioni tra piante e persone. Apertura, dialogo, contaminazione, sostenibilità, complessità, coinvolgimento le parole chiave.

Si punta a superare il concetto di hortus conclusus e a valorizzare un compito moderno dell’Orto Botanico: da luogo di sola conservazione ed esposizione a piattaforma per comunicare e discutere di grandi temi con la società, in una crescita reciproca, anche attraverso la disseminazione di una corretta educazione ambientale, cercando di attrarre pubblico su scala sia locale sia nazionale. “Crediamo molto nell’idea moderna di Orto botanico che sta dietro a questi progetti: un vero polo culturale a 360 gradi capace di diventare punto di riferimento importante per la città e per il territorio, e non solo – ha osservato il Rettore Paolo Andrei -. I finanziamenti arrivati in ambito PNRR e dal Ministero dell’Università e della Ricerca testimoniano la qualità dei progetti presentati e la loro lungimiranza: il loro saper guardare lontano. E naturalmente ci fa molto piacere che ci affianchino e lavorino con noi realtà pubbliche e private che hanno accordato all’Università la loro fiducia e che credono a loro volta in questa riqualificazione come valore per la comunità. Siamo una squadra non solo coesa ma anche appassionata: è un tratto per me molto significativo, che ci accomuna e che sottolineo con convinzione. A tutte e tutti va il nostro più sincero ringraziamento”.

“Il progetto messo in campo per l’Orto Botanico di Parma – ha spiegato il Sindaco Michele Guerra – rappresenta un’ulteriore valorizzazione dello spazio pubblico, a partire da una cura scientifica e ambientale a vantaggio dell’intera cittadinanza. Un luogo che, come accade nelle città che hanno la fortuna di ospitare orti botanici, guarda e si offre agli studiosi, ai parmigiani e ai turisti, anche attraverso iniziative costruite ad hoc per questo spazio. La sinergia tra pubblico e privato, presente in questo e in molti altri progetti in città, ci dimostra una volta di più l’efficacia di un metodo di lavoro che funge da modello per lo sviluppo della nostra comunità”. “Da luoghi in cui le scoperte avvenivano – ha commentato il Direttore scientifico dell’Orto Renato Bruni – gli Orti Botanici sono diventati luoghi in cui esse sono condivise con il pubblico e questo ne cambia le esigenze materiali. Con gli interventi presentati oggi l’Orto Botanico di Parma non solo mantiene i suoi elementi scientifici, ma amplifica le sue potenzialità come modello e da cassa di risonanza per le migliori conoscenze. Sarà la nuova casa per tutte le prospettive esistenti sulle reazioni che l’umanità intrattiene con le piante: scientifiche, estetiche, umanistiche, ambientali e tecnologiche, senza distinzioni di discipline”.

“Le priorità strategiche della Fondazione Cariparma – ha spiegato il Presidente Franco Magnani – richiamano principalmente a obiettivi di sistema che garantiscano significativi cambiamenti nella logica temporale di medio e lungo periodo: in tale ambito si sono consolidati nel tempo gli interventi legati specificatamente alla cultura ed all’ambiente, favorendo il consolidarsi di identità collettive e lo sviluppo della ricchezza del territorio. Per questo l’importante sostegno della Fondazione al progetto di restauro e valorizzazione dell’Orto Botanico dell’Università di Parma accompagna molteplici obiettivi legati al ripristino di un luogo storico della città, dove cultura, attività scientifica, attenzione per l’ambiente e il bene comune trovano serie potenzialità di rivitalizzazione comunitaria, di scambio intergenerazionale, di interesse per la biodiversità e di inclusione sociale”.

“L’Orto Botanico non è solo un simbolo di Parma ma un vero e proprio asset strategico per la città – ha dichiarato Alessandro Chiesi, Presidente di “Parma, io ci sto!” -. La presentazione di oggi rappresenta per noi un passaggio significativo, in quanto costituisce un ulteriore passo avanti verso la rigenerazione di questo importante spazio urbano, in linea con la visione di futuro che abbiamo plasmato insieme attraverso il progetto #dieci: un luogo, quindi, di aggregazione, aperto alla comunità, capace di coniugare sostenibilità, cultura e formazione in un’ottica di valore sociale condiviso. Colgo infine l’occasione per evidenziare il generoso contributo dello Studio Canali Associati per la redazione del progetto definitivo”.

Per Giovanna Usvardi, Global Communication & External Relations Head del Gruppo Chiesi, “L’Orto Botanico di Parma è parte del patrimonio della città, tutela la biodiversità locale, custodisce un importante corpus culturale ed è un luogo dedicato alla conoscenza scientifica. È testimone anche dell’identità chimico-farmaceutica di Parma, di cui il Gruppo Chiesi è erede, se pensiamo che le piante, nei secoli passati, erano studiate e venivano fatte crescere per le proprietà curative. L’intervento di ristrutturazione dell’Orto Botanico è coerente con il nostro impegno come Società Benefit e certificata B Corp, che definisce il proprio business attraverso il valore condiviso con gli stakeholder con cui opera; siamo quindi estremamente orgogliosi di contribuire alla valorizzazione di questo ‘simbolo’, certi che avrà un impatto positivo sulla comunità e sul territorio”.

Parchi Agos Green e Smart, la stagione 2023 è ripartita da Milano

Parchi Agos Green e Smart, la stagione 2023 è ripartita da MilanoRoma, 29 mag. (askanews) – Sabato 27 maggio è ripartita da Milano l’edizione 2023 di Parchi Agos Green&Smart, il progetto per creare aree verdi più accoglienti, inclusive e tecnologiche all’interno delle nostre città, avviato nel 2021 da Agos – società leader nel credito al consumo – in collaborazione con Brand for the City e Fondazione Sport City.

L’obiettivo di Agos attraverso questo progetto è quello di rigenerare e valorizzare aree urbane grazie ad interventi di riqualificazione ed animazione di spazi verdi nei territori in cui è presente la società, in linea con i valori di Agos for Good, il concetto che ispira le iniziative sostenibili di Agos, con l’impegno di agire per un progresso condiviso. Parchi Agos Green&Smart prevede interventi in quattro aree: Green: la diffusione del verde in città e l’educazione alla sua cura; Smart: l’innovazione attraverso la tecnologia e il digitale a disposizione della comunità; Sport: la diffusione della pratica sportiva in città come fattore di salute, benessere e socialità; Art: le Arti Urbane come contributo alla riqualificazione di spazi e manufatti spesso poco curati o inutilizzati.

Il progetto è partito nel 2021 a Milano con la rigenerazione degli spazi verdi di Largo Balestra e del vicino parco del Giambellino: l’iniziativa si è inserita nel patto di collaborazione tra l’Associazione “Fate Largo” e il Comune di Milano, in un caso ben riuscito di collaborazione tra pubblico, privato e Terzo Settore. Il progetto ha voluto valorizzare le due aree verdi per contribuire a renderle poli di aggregazione e inclusione sociale, con l’installazione di orti condivisi, di attrezzature per attività sportiva soft, la creazione di un’opera di urban art e con sedute di design per favorire la socialità, oltre all’organizzazione di momenti ricorrenti di incontro informale e gioco.

E proprio al Giambellino a Milano si è aperta sabato 27 maggio la stagione 2023 di Parchi Agos Green&Smart. Si è trattato di un evento arricchito da tante attività, a partire dall’organizzazione di un pomeriggio di animazione, patrocinato dal Municipio 6 del Comune di Milano, che ha visto coinvolte varie realtà e associazioni del territorio. La comunità del quartiere ha avuto così l’opportunità di partecipare alle numerose attività sportive, laboratoriali e artistiche previste dal programma. (a conclusione del comunicato il dettaglio degli eventi). Le attività 2023 del progetto Parchi Agos Green&Smart proseguiranno con eventi di animazione delle aree verdi – già riqualificate nel corso del 2022 – di Catania il 10 giugno, di Lucca il 30 settembre e di Roma il 14 ottobre. È prevista inoltre l’inaugurazione di due nuovi parchi a Lecce il 24 giugno e a Padova il 16 settembre.

Il contesto in cui il progetto si inserisce viene così descritto da Laura Galimberti, Direttore Legal Affairs e Corporate Sustainability Agos: “Per noi la priorità è sempre stata quella di creare valore condiviso con il territorio di prossimità, che si realizza anche nel rimettere a nuovo uno spazio fruibile da tutti. Siamo quindi orgogliosi che i due parchi al Giambellino si siano riconfermati fulcro di comunità e che l’evento del 27 maggio abbia visto la partecipazione di tante associazioni e tanti abitanti del quartiere. La giornata ha rappresentato nel concreto i valori della cultura Agos, che unisce persone, natura, socialità, innovazione e bello”.  

Resiste il “made in vetro”: cresce nel 2022 produzione packaging

Resiste il “made in vetro”: cresce nel 2022 produzione packagingRoma, 25 mag. (askanews) – Salute, gusto e sostenibilità sono i tre driver che spingono il “made in vetro”. Nel 2022, nonostante la crisi energetica e l’onda lunga del Covid, la produzione di bottiglie e vasi è aumentata per rispondere ai bisogni di sicurezza e di sostenibilità ambientale richieste dai consumatori, ma anche per accompagnare il successo dei prodotti a marchio Italia che ha visto sempre più bottiglie di vino, e soprattutto spumante, prendere la via dell’estero. La produzione di bottiglie è aumentata dell’1,5% immettendo sul mercato oltre 2 miliardi di “pezzi”, e quella di vasetti del 2,5%. Ma per riportare il settore sulla strada della normalità ci sono ancora alcuni fattori critici: la volatilità dei prezzi energetici e l’aumento del prezzo del rottame a livelli mai raggiunti in precedenza, passando da circa 25 Euro/ton a 200 Euro/ton. Questo aumento, oltre ad incidere sul costo dei contenitori (il rottame rappresenta, nella media circa la metà delle materie prime usate per la produzione di vetro e  1/3 del costo di produzione), pone un rischio in termini di mantenimento degli obiettivi di riciclo e di circolarità del settore: il costo di utilizzo del rottame ha ormai superato, infatti, quello della materia prima.

L’aggiornamento dei dati di produzione del packaging in vetro e il check up sullo stato di salute del settore è stato fornito da Assovetro, l’Associazione nazionale dei produttori di vetro aderente a Confindustria. “Nonostante il perdurare di fattori critici, l’industria del packaging in vetro – ha dichiarato Roberto Cardini, Presidente della sezione contenitori di Assovetro – ha continuato a crescere. Il 2023 dovrebbe essere un anno di assestamento per permetterci di affrontare le sfide del futuro dell’industria del packaging in vetro, come quella della decarbonizzazione con la ricerca di nuovi vettori energetici”. Riciclo e riuso possono convivere per perseguire fino in fondo la circolarità nel settore del packaging alimentare in vetro. La bozza di Regolamento Ue sugli imballaggi si focalizza sul riuso, una sfida, questa, che deve rimodulare le abitudini dei consumatori, la logistica e la creazione di nuovi modelli di business. Nel 2021 il riuso ha interessato 186.000 tonnellate di contenitori in vetro. Proprio le caratteristiche del vetro – sicuro, lavabile e chimicamente resistente – lo rendono un ottimo packaging per il riuso, soprattutto in filiere come quelle dell’ acqua e del latte. Bisogna tener presente che il riutilizzo comunque genera un vantaggio ambientale solo per le distanze limitate (100 chilometri) e si adatta poco alla personalizzazione commerciale. In fatto di riciclo il vetro resta un’eccellenza italiana, il riciclo dei rifiuti di imballaggi in vetro provenienti dalle raccolte differenziate ha raggiunto 2,2 Mt ed ha un tasso di riciclo pari al 76,6%, al di sopra del target europeo del 75% al 2030. L’industria del vetro si è impegnata ad arrivare al 90% nel 2030.

Per le sue caratteristiche di sicurezza alimentare, sostenibilità e riciclabilità, il vetro oggi è un materiale che guarda al futuro per 8 consumatori europei su 10 (Fonte: Indagine InSites 2022). Per questi motivi è stato l’unico materiale da imballaggio ad aver registrato in Europa negli ultimi tre anni una crescita media dell’8% rispetto agli altri materiali da imballaggio, che hanno invece risentito di un calo tra il 24 e il 41%. Tre quarti dei consumatori europei raccomandano di acquistare prodotti confezionati in vetro, addirittura l’85% gli italiani, che sono anche, nel panorama europeo, i più “ricicloni”, con 9 su 10 che dichiarano di fare la raccolta differenziata. Un prodotto confezionato in vetro riscuote più fiducia per il 70% degli italiani. Il risparmio energetico è stato da sempre un obiettivo primario per l’industria del vetro che nel suo complesso consuma ogni anno circa 1,1 miliardi di metri cubi di gas (circa l’1,5 per cento del consumo nazionale). Per questo, anno dopo anno, è diminuito il peso delle bottiglie. Le bottiglie di vino hanno ridotto il loro peso del 12% e quelle di spumante del 18%, così da richiedere minor consumo di materie prime, di energia e, di conseguenza, producendo minori emissioni di CO2. Anche un sempre maggiore utilizzo del rottame di vetro per la produzione di bottiglie, che in molti casi oggi raggiunge il 90%, fa la differenza: ogni 10% di rottame utilizzato in sostituzione delle materie prime permette un risparmio del 2,5% di energia e una riduzione delle emissioni di CO2 del 5%. L’industria dei contenitori in vetro, prima manifattura europea, con 16 aziende e 39 stabilimenti è presente in quasi tutte le regioni d’Italia, da Nord a Sud, con una maggiore concentrazione al Nord. Conta 7.800 addetti, la quasi totalità con contratto a tempo indeterminato. Il fatturato è valutato in 2,5 miliardi di euro l’anno. Nel 2022 l’import di bottiglie e vasi è aumentato dell’11,3% e l’export è diminuito del 4,4%. Per far fronte alla domanda di contenitori è stato previsto un investimento di 400 milioni per 5 nuovi forni di fusione da realizzare entro il 2024 che garantiranno un incremento della capacità produttiva del 12%; tre di questi entreranno in funzione già nelle prossime settimane.

Operazione “Mare Libero”, a Giannutri recuperate maxi-reti fantasma

Operazione “Mare Libero”, a Giannutri recuperate maxi-reti fantasmaIsola Giannutri, 25 mag. (askanews) – Isola di Giannutri, I Grottoni, la punta più a sud dell’intero Arcipelago Toscano. Qui l’area è considerata livello 1, ovvero altamente protetta: interdetta alla navigazione, al bagno e alla pesca. Eppure, proprio in questo meraviglioso specchio di mare, viene abbandonato un numero incalcolabile di reti da pesca, ogni giorno, con enormi rischi per l’ambiente sottomarino e marino. Animali intrappolati, copertura dei fondali, perdita di piante e piccoli organismi. Effetti devastanti dovuti al cosiddetto fenomeno delle reti fantasma.

Per combattere il fenomeno, è partita l’operazione “Mare Libero”, ideata e sostenuta da Agnesi, il marchio della pasta che ha nel suo simbolo un veliero e che ha eliminato tutta la plastica nel suo packaging sostituendola con bioplastica compostabile e carta certificata FSC. Spiega Massimo Crippa, Direttore commerciale Agnesi, ad askanews: “E’ un progetto partito ormai da 2 anni, abbiamo lavorato con il Parco e da questa sinergia è nata la possibilità di recuperare in sette punti qui nell’Isola queste reti fantasma che causano una serie di problematiche alla flora e alla fauna marina”. “Riteniamo che un brand storico italiano possa essere un elemento importante per ricordare a tutta la collettività la problematica del mare e chi meglio di noi se ne può prendere cura”.

Insieme al Parco nazionale dell’Arcipelago Toscano, si è dato avvio a un’operazione di recupero di reti da pesca nell’area protetta. Un gruppo di subacquei e biologi, coordinati dal Parco Nazionale dell’Arcipelago Toscano, dopo aver effettuato un sopralluogo per mappare la presenza di reti intorno all’Isola di Giannutri e averne catalogato lo stato, si è immerso raggiungendo fondali compresi tra i 10 e i 60 metri di profondità per riportare a bordo un carico di reti. Maurizio Burlando, Direttore del Parco Nazionale Arcipelago Toscano: “Questa è una iniziativa molto importante per noi, perché intervenire per migliorare gli habitat marini, riqualificare i fondali, è quella di cercare di migliorare e ripulire da queste reti fantasma”.

Operazione Mare Libero si avvale del coordinamento scientifico del Parco Nazionale dell’Arcipelago Toscano e del Patrocinio del Comune dell’Isola del Giglio e con il supporto tecnico dello Studio Marea, di Isla Negra e di Underwater Pro Tour APS. Il video su askanews.it

ENEA, l’AI per evitare blackout elettrici da ondate di calore

ENEA, l’AI per evitare blackout elettrici da ondate di caloreRoma, 24 mag. (askanews) – Un gruppo di ricercatori ENEA, Politecnico di Bari e Università Roma Tre ha messo a punto un sistema basato sull’automazione e l’intelligenza artificiale per prevenire possibili blackout elettrici causati da ondate di calore. Sviluppato nell’ambito del progetto RAFAEL finanziato dal Ministero dell’Università e della Ricerca, questo approccio innovativo basato su tecniche di machine learning è stato testato su una grande rete di distribuzione elettrica nel Sud Italia e i risultati sono stati pubblicati sulla rivista scientifica IEEE Transactions on Industry Applications.

“Le infrastrutture di distribuzione dell’energia sono sistemi particolarmente vulnerabili a disastri naturali e a eventi meteorologici estremi, come le ondate di calore soprattutto nelle grandi aree urbane. Per questo risulta importante individuare nuove soluzioni di monitoraggio e di gestione della rete per la previsione di eventuali guasti, come ad esempio le tecniche di data analysis e di machine learning che utilizziamo nel nostro innovativo approccio”, spiega Maria Valenti, responsabile del Laboratorio ENEA Smart grid e reti energetiche e coautrice dell’articolo insieme a Mauro Atrigna, Amedeo Buonanno, Raffaele Carli, Graziana Cavone, Paolo Scarabaggio, Mariagrazia Dotoli e Giorgio Graditi. “Avere la possibilità di prevedere malfunzionamenti – aggiunge Valenti – consente potenzialmente all’operatore di rete di attuare azioni correttive orientate a minimizzare i disservizi per gli utenti del servizio elettrico”. In una prima fase – si legge nella notizia pubblicata sull’ultimo numero in italiano del settimanale ENEAinform@ – il team di ricerca ha ‘addestrato’ l’algoritmo sui dati relativi ai guasti intercorsi tra il 2015 e il 2020 in una grande rete elettrica del Sud, alle condizioni meteo (temperatura ambientale e umidità) e ai flussi di energia, con l’obiettivo di identificare le possibili correlazioni. Nella successiva fase operativa, i ricercatori hanno provato il sistema così addestrato per l’analisi di una serie di dati di input (non visti in fase di addestramento). Tra gli algoritmi testati, uno in particolare ha dato i risultati più accurati in termini di previsione di futuri guasti alla rete elettrica studiata in funzione sia delle condizioni meteorologiche che del fabbisogno energetico.

“I cambiamenti climatici hanno determinato un aumento delle ondate di calore, con una tendenza destinata a peggiorare nei prossimi anni a causa del riscaldamento globale. L’intensità e la durata di questi fenomeni stanno causando un numero crescente di guasti alla rete di distribuzione elettrica, soprattutto in ambito urbano con un conseguente impatto negativo sui costi di manutenzione, sui servizi e in generale sulla vita delle persone”, sottolinea Valenti. In città la rete è soggetta a maggiori sollecitazioni di carico, dovute all’aumento della domanda di energia elettrica concentrata in particolare nelle ore più calde della giornata, a causa del maggiore utilizzo degli impianti di climatizzazione. Di giorno la temperatura dell’aria supera spesso i 40°C e anche durante le ore notturne rimane al di sopra della media storica. “Dai nostri studi è emerso che la maggior parte dei guasti si è verificato a livello di giunti dei cavi e che, pertanto, tali elementi soffrono maggiormente le problematiche delle ondate di calore. Questo risultato fornisce un elemento utile agli operatori e ai produttori di componentistica elettronica, che potranno condurre così analisi più mirate per ottenere reti più resilienti”, aggiunge Valenti.

Negli ultimi anni è aumentato l’interesse per la sicurezza, l’affidabilità e la resilienza delle infrastrutture critiche, in particolare della rete di distribuzione dell’energia elettrica che è un sistema estremamente complesso, composto di elementi interconnessi, dove l’interruzione di un componente può determinare notevoli criticità sull’intero sistema. Ad esempio, la preparazione a eventi meteo estremi è fatta sia a livello operativo con una manutenzione continua che permette di mantenere la rete in buone condizioni che su un piano più ‘strategico’ attraverso un’analisi post-evento che mira a individuare le aree maggiormente a rischio, ossia quelle con la più alta possibilità di essere danneggiate durante le ondate di calore, ma senza dispiegare una funzione preventiva. “Grazie all’approccio proposto, invece, il gestore della rete potrà usare il nostro modello di previsione guasti adeguatamente ‘addestrato’, per effettuare azioni correttive sulla rete di distribuzione interessata ed evitare danni all’infrastruttura e disservizi per cittadini e imprese, in particolare nel periodo compreso tra maggio e settembre, quando si concentra la maggior parte dei guasti provocati dalle alte temperature e dalle ondate di calore”, conclude Valenti.