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Al via World Cheese Award in Norvegia: si sfidano 4.504 formaggi

Al via World Cheese Award in Norvegia: si sfidano 4.504 formaggiRoma, 23 ott. (askanews) – Al via questa settimana la 34esima edizione del World Cheese Awards 2023/2024, che si svolgerà a Trondheim, sui fiordi norvegesi, da venerdì 26 a sabato 27 ottobre 2023: 260 giurati di una quarantina di paesi del mondo valuteranno 4504 iscritti a quello che è il più grande concorso al mondo di formaggi.

Dapprima i giurati individueranno tra i vari formaggi gli ori, gli argenti e i bronzi. Quindi i Supergold (il migliore tra gli ori del tavolo) e, infine, il vincitore assoluto. Lo scorso anno, in Galles, dei 98 Super Gold assegnati da questo mondiale ben due furono per la Nazionale italiana formaggi (Caciocavallo Silano DOP e Stracciatella affumicata del Caseificio Artigiana – D’Ambruoso Francesco), gruppo premiato con 16 medaglie in tutto, e due per la Nazionale del Parmigiano Reggiano (Centro Rubbianino e Gavasseto Roncadella), che ha incassato complessivamente 92 premi. Quest’anno per sfondare il muso del 50esimo riconoscimento internazionale, la Nazionale italiana formaggi ha portato una squadra di tutto rispetto: da un Grana Padano di 40 mesi allo Scamorzone Stagionato, dal Pecorino Romano Dop al Brenta, dall’Asiago al furmain di un tempo il “Nostrano” d’Appennino, dalla Burrata alla Gorgonzola Dop.

Nelle varie edizioni spagnole, inglesi e italiane del concorso sono già andate a premio eccellenze della tradizione lattiero casearia Italiana: la Fontina, lo Squacquerone, la Treccia, il Cremino, la Ricotta e molti altri. Sono inoltre 98 i caseifici della Nazionale del Parmigiano Reggiano, forte di 534 riconoscimenti internazionali in 22 anni di attività.

Sanpellegrino ottiene il riconoscimento di B Corp

Sanpellegrino ottiene il riconoscimento di B CorpMilano, 23 ott. (askanews) – Sanpellegrino, azienda di riferimento nel settore delle acque minerali e delle bibite non alcoliche, ha ottenuto il riconoscimento di B Corp, entrando a far parte di una comunità internazionale di oltre 7.500 aziende, che rispettano standard di performance sociale e ambientale, trasparenza e responsabilità.

“Siamo orgogliosi di essere una Certified B Corp – ha dichiarato Michel Beneventi, amministratore delegato del gruppo Sanpellegrino – un riconoscimento dell’impegno che portiamo avanti da anni come ‘force for good’. Essere B Corp non significa solo essere ‘una buona azienda’, ma anche impegnarsi costantemente a misurare e migliorare le nostre performance ambientali e sociali”. Il B Impact assessment (Bia) di B Lab misura l’impatto positivo di un’azienda su cinque aree chiave: la governance, i lavoratori, la comunità, l’ambiente e i clienti. Il gruppo Sanpellegrino, a cui fanno riferimento i brand di acqua minerale S.Pellegrino, Acqua Panna e Levissima, le bibite Sanpellegrino e gli aperitivi, ha dimostrato di soddisfare gli elevati standard richiesti per diventare Certified B Corp con aree di forza come l’impegno per le persone e il pianeta.

“Diventare una Certified B Corp è dimostrazione del fatto che un’azienda soddisfa standard elevati di impatto sociale, ambientale e trasparenza, dall’impronta di carbonio fino al coinvolgimento dei propri lavoratori nei processi decisionali, e agisce nell’interesse di tutti gli stakeholder – ha affermato Anna Puccio, managing director di B Lab Italia – Mi congratulo con il gruppo Sanpellegrino per questo traguardo raggiunto e per il loro impegno volto a migliorare continuamente il proprio impatto. Questo traguardo ispirerà altre aziende della filiera ad unirsi al movimento delle B Corp e ad avanzare verso il cambiamento sistemico di cui tanto abbiamo bisogno”.

Città della pizza: a Roma 32.000 visitatori e 26mila pizze

Città della pizza: a Roma 32.000 visitatori e 26mila pizzeRoma, 23 ott. (askanews) – Oltre 32mila visitatori e 26mila pizze sfornate: questo il bilancio della Città della Pizza di Roma, che con 20 laboratori e decine di incontri ha visto all’opera oltre 50 pizzaioli alla scoperta di tutti i segreti e tutti i sapori del mondo della pizza.

“Si è appena concluso il weekend romano dedicato alla pizza- commenta Emiliano De Venuti, ideatore e organizzatore de La Città della Pizza – un appuntamento che ha confermato la bontà del nostro format, che quest’anno si è arricchito con le tappe di un tour che ha attraversato l’Italia, registrando ovunque un grandissimo successo”. A conquistare il primo gradino del tour nazionale è stato Carmine Apetino, 24 anni, dell’Antica Pizzeria D’e’ Figliole di Casoria: un nome storico della pizza fritta partenopea di cui Carmine e il fratello Genny rappresentano la sesta generazione. E’ stato l’unico concorrente delle tappe di selezione a proporre la pizza fritta, conquistando prima la giuria e poi anche il pubblico dell’evento romano.

Il 24/10 Mortadella day, si festeggia al Mercato Centrale di Roma

Il 24/10 Mortadella day, si festeggia al Mercato Centrale di RomaRoma, 23 ott. (askanews) – La sostenibilità in cucina è il tema dell’XI edizione del Mortadella Day, che si terrà il 24 ottobre al Mercato Centrale di Roma. Un evento nato per celebrare l’anniversario del 1661, quando il Cardinal Farnese emise il Bando con cui si stabilivano le regole per la produzione della Mortadella, vero e proprio antesignano dell’attuale Disciplinare di produzione della Mortadella Bologna IGP.

Il tema di questa edizione sarà la sostenibilità in cucina: per questo tre chef proporranno ricette anti-spreco con ingredienti di recupero o desueti. Sul palco Marco Martini, il giovane chef, tre volte stella Michelin e titolare del ristorante romano che porta il suo nome, Horohiko Shoda, noto al grande pubblico come “Chef Hiro”, chef di origine giapponese e Max Mariola, lo chef romano diventato celebre su YouTube. Inoltre, le 14 botteghe artigiane del Mercato Centrale proporranno per tutto il giorno la loro originale ricetta a base di Mortadella Bologna IGP.

In 25 anni raddoppio pasta prodotta nel mondo, Italia prima con 3,6 mln ton

In 25 anni raddoppio pasta prodotta nel mondo, Italia prima con 3,6 mln tonMilano, 19 ott. (askanews) – Oggi nel mondo si producono 17 milioni di tonnellate di pasta (+1,8% sul 2021), quasi il doppio rispetto ai 9 milioni di 25 anni fa. Ma oggi come allora, l’Italia è il primo produttore al mondo, con 3,6 milioni di tonnellate nel 2022 (+3,2% sul 2021) pari al 21% della produzione mondiale e un fatturato che sfiora i 7 miliardi di euro (l’aumento a valore del 24,3% sul 2021 è legato all’aumento dei prezzi). L’Italia è anche il primo consumatore al mondo con 23 chili a testa ogni anno, davanti a Tunisia (17 chili) e Venezuela (12 chili), per un totale di 1,3 milioni di tonnellate di pasta mangiati nel 2022. E’ questo il quadro sul mercato della pasta che dipingono i dati elaborati da Unione Italiana Food e International pasta organisation a pochi giorni dal Giornata mondiale dedicata al prodotto simbolo della nostra cucina, giornata che quest’anno festeggia i suoi 25 anni dalla prima edizione.

Se è ormai risaputo che il 25% della pasta consumata nel mondo e il 75% di quella consumata in Europa sono prodotti da un pastificio italiano, quello che occorre sottolineate è che la geografia dei consumatori di pasta italiana nel mondo si è ampliata nell’ultimo quarto di secolo: oggi i Paesi destinatari sono quasi 200, il 6,4% in più con una quota di export che ha raggiunto 2,3 milioni di tonnellate: parliamo di una crescita che secondo Unionfood è del 210% in 25 anni dalle 740mila tonnellate del 1998 (+4,5% sul 2021) e di un 62,7% della produzione tricolore del 2022. Di questa Germania, Regno Unito, Francia, Stati Uniti e Giappone sono i primi Paesi destinatari, assorbendo complessivamente circa il 58% dell’export italiano di paste alimentari (2,187 miliardi di euro). Ma ci sono poi mercati emergenti che registrano tassi di crescita a doppia cifra che lasciano ben sperare, come Arabia Saudita (+51%), Polonia (+25%) e Canada (+20%).  E’ chiaro però che la partita si gioca anche sui consumi nazionali: lungo lo Stivale la mangiano praticamente tutti (99%) almeno una volta a settimana e oltre un italiano su due la porta in tavola ogni giorno, mentre uno su cinque (19,2%) la consuma 4-5 volte a settimana.

Vino, Uiv-Ismea: a settembre vendite in Gdo -3,4% in volume (2,1 mld)

Vino, Uiv-Ismea: a settembre vendite in Gdo -3,4% in volume (2,1 mld)Milano, 18 ott. (askanews) -Lieve miglioramento delle vendite di vino nella Grande distribuzione italiana (Gdo) nei mesi estivi, che portano il cumulato dei primi nove mesi di quest’anno, con un tendenziale in volume a -3,4% (nel semestre la perdita era del -3,9%) per un controvalore, sospinto dal caro prezzi, di 2,1 miliardi di euro che lascia la variazione a +3,4%. E’ quanto rileva l’Osservatorio Uiv-Ismea su base Ismea-Nielsen-IQ, precisando che i vini fermi segnano un -3,9% nei volumi (+2,6% i valori) mentre risale la tipologia spumanti, a +0,6% nelle quantità e a +6,2% nei valori (a 455 milioni di euro).

Secondo l’analisi dell’Osservatorio, permane un atteggiamento prudente dei consumatori tra gli scaffali, con acquisti “difensivi” che privilegiano i prodotti in promozione o alcune tipologie più convenienti a scapito di altre. È il caso degli spumanti “low cost” (“Charmat non Prosecco”, con 25 milioni di litri acquistati), che hanno ormai superato nelle vendite in volume anche il Prosecco Doc (24,8 milioni, comunque in risalita) e che si stanno sempre più affermando non più solo nei discount ma anche nei canali iper e super. Oppure Denominazioni importanti come il Chianti Classico (volumi a -13,2%), o ancora il Prosecco Docg (-14,5%) che cedono quote a indicazioni geografiche o vini comuni che propongono prezzi più accessibili. Nel complesso, i listini rimangono alti (+7% sul pari periodo 2022) e non è un caso se in generale si assiste a una maggior tenuta delle vendite laddove i costi sono più limitati. Per esempio, osserva l’analisi, l’unico formato a crescere tra gli scaffali, per i vini a Denominazione come per quelli comuni, è quello di plastica e bag in box che in media presentano un prezzo di 1,8 euro/litro. Tra le tipologie, in quantità fanno leggermente meglio della media (-3,9%) i vini bianchi (-3%), i rosati (-3,6%) mentre ancora in difficoltà risultano i rossi (-4,8%). Gli spumanti virano in positivo (+0,6%) ma la crescita riguarda, oltre all’Asti (+4,5%), solo i già citati “Charmat non Prosecco”, senza i quali anche il comparto bollicine pagherebbe un -3,6% nei volumi. Nel segmento IG, ancora segni meno per le principali tipologie; tra i primi dieci, solo il Vermentino di Sardegna, il Puglia Igp e il Cannonau in dinamica positiva (+4%, +2% e +3% rispettivamente in volume). Chianti in regressione (-4.4%), mentre migliora leggermente la situazione del Montepulciano d’Abruzzo, che da -14% di marzo è arrivato a -9% a giugno per risalire a -6.6% di settembre. In forte discesa il Nero d’Avola siciliano a -12%, così come la pattuglia dei Salento Igt (-9%), i Lambruschi emiliani (-11%), le Bonarde oltrepadane (-15%) e il Verdicchio di Jesi (-18,9%). Tra i veneti, Valpolicella a -2% e Bardolino a -3.4%, mentre il Soave continua a essere positivo, chiudendo il conto dei nove mesi a +5%. Tra i canali, oltre la media il gap nei discount, specie per il segmento Dop e Igp (-6,8%), segno che le tensioni sul carrello della spesa sono maggiormente percepite dai consumatori.

L’Osservatorio Uiv-Ismea sottolinea infine che un mercato interno debole e ai costi produttivi ancora alti, non fanno da contraltare le esportazioni: il dato Istat di oggi sui primi 7 mesi dell’anno evidenzia infatti una contrazione tendenziale sia nei volumi (-1,5%), che nei valori (-1,2%, a 4,45 miliardi di euro). Un peggioramento anche rispetto all’export del semestre, che segnava rispettivamente -1,4% e -0,4%, per effetto delle difficoltà nell’extra-Ue (volumi a -8,5%) non del tutto controbilanciato dalla domanda comunitaria (+5,4%). Tra i prodotti, è forte la domanda di sfusi (+13,1%), mentre sono in contrazione sia gli spumanti (-3,2%) che i vini imbottigliati (-4,9%), dove pesano le forti difficoltà dei rossi (-10%).

Unifol: olio extravergine, è allarme caos su concorrenza sleale

Unifol: olio extravergine, è allarme caos su concorrenza slealeRoma, 18 ott. (askanews) – Rischio caos per l’olio extravergine di oliva: dopo l’allarme sui prezzi e sulle (scarse) disponibilità, è la concorrenza “sleale” dei condimenti a generare preoccupazione nel settore. In molti scaffali della grande distribuzione, infatti, condimenti a base di oli vegetali e di oli extravergini di oliva arricchiti con qualche aroma vengono posizionati insieme agli oli extravergine di oliva, con il rischio di confondere i consumatori, attirati da prezzi molto convenienti.

La denuncia è di Unifol, l’Unione italiana delle famiglie olearie, associazione che raggruppa alcuni tra i più prestigiosi marchi del settore. “Sono sempre più numerosi i punti vendita dove la tutela del valore degli extra vergini sta venendo meno”, spiega il presidente Giuseppe Vacca, in rappresentanza dell’associazione. “La preoccupazione delle nostre aziende è che, in nome di guadagni facili, si giochi sulla poca chiarezza nei confronti dei consumatori e si presenti poi il conto ai produttori italiani onesti” aggiunge Vacca, sottolineando che l’associazione ha già sensibilizzato gli organi istituzionali di controllo, sul rischio di confusione ai danni dell’intero settore.

“L’olio extravergine di oliva sta attraversando un momento particolarmente delicato con i prezzi allo scaffale in forte aumento per la siccità che in Italia e nel bacino del mediterraneo ha colpito l’olivo nelle fasi di crescita più delicate, riducendo drasticamente le quantità di olive prodotte e aumentando i costi di produzione e di raccolta”, chiosa Zefferino Monini, Ceo dell’omonimo marchio spoletino. E per Giampaolo Farchioni, Ceo dell’omonima azienda, i condimenti a base di olii vegetali e oli extra vergini di oliva “non rappresentano un valore aggiunto in quanto mettono sullo stesso piano la raffinazione chimica degli olii vegetali con la naturale spremitura delle olive dell’extravergine. Un passo indietro nella trasparenza e comprensibilità, che sono diritti sacrosanti dei nostri consumatori”.

Unifol: nella grande distribuzione caos tra oli extravergini e condimenti

Unifol: nella grande distribuzione caos tra oli extravergini e condimentiMilano, 18 ott. (askanews) – Dopo la preoccupazione per i prezzi e l’annata con rese contenute, l’Unione italiana delle famiglie olearie punta il dito contro la concorrenza “sleale” dei condimenti. In molti scaffali della grande distribuzione, lamenta in una nota Unifol, condimenti a base di oli vegetali e di oli extravergini di oliva arricchiti con qualche aroma vengono posizionati insieme agli oli extravergine di oliva, con il rischio di confondere i consumatori, attirati da prezzi molto convenienti.

“Sono sempre più numerosi i punti vendita dove la tutela del valore degli extra vergini sta venendo meno – afferma il presidente Giuseppe Vacca, in rappresentanza dell’associazione – Una strategia che rischia di sacrificare un prodotto nobile e prezioso alleato della salute in nome del marketing e che rappresenta un passo indietro nella trasparenza a favore dei consumatori. Mettere sullo stesso piano prodotti frutto della raffinazione chimica con un prodotto figlio della spremitura di olive è infatti fuorviante”. “La preoccupazione delle nostre aziende è che, in nome di guadagni facili, si giochi sulla poca chiarezza nei confronti dei consumatori e si presenti poi il conto ai produttori italiani onesti” aggiunge Vacca, nel sottolineare che l’associazione ha già sensibilizzato gli organi istituzionali di controllo, sul rischio di confusione ai danni dell’intero settore.

“L’olio extravergine di oliva – sottolinea Zefferino Monini, Ceo dell’omonimo marchio spoletino – sta attraversando un momento particolarmente delicato con i prezzi allo scaffale in forte aumento per la siccità che in Italia e nel bacino del mediterraneo ha colpito l’olivo nelle fasi di crescita più delicate, riducendo drasticamente le quantità di olive prodotte e aumentando i costi di produzione e di raccolta”.

Cereali, in primi 7 mesi aumenta import e diminuisce export

Cereali, in primi 7 mesi aumenta import e diminuisce exportRoma, 18 ott. (askanews) – Aumentano rispetto al 2022 le importazioni di cereali, semi oleosi e farine proteiche in Italia nel primi sette mesi del 2023, sia in quantità (+6,7%) sia in valore (+6,9%), mentre le esportazioni calano del 14,2% in quantità e aumentano del 3,7% in valore. Sono i dati elaborati da Anacer sulla base di quelli provvisori Istat.

Nel dettaglio, sono in aumento le quantità importate di cereali in granella, complessivamente di 890.000 tonnellate (+11,4%), corrispondente a +237 milioni di euro (+9%): l’incremento è dovuto soprattutto al grano duro (+572.000 t, pari a +202,5 milioni di euro), ed in misura minore al grano tenero (+184.000 t) ed al mais (+170.000 t). Relativamente al riso, considerato nel complesso tra risone, semigreggio e lavorato, si registra una riduzione degli arrivi di circa 50.000 t (-20%), pari a -4,1 milioni di euro. L’import delle farine proteiche vegetali risulta in aumento del 3,7% (+53.000 t), quello dei semi e frutti oleosi registra un incremento del 2,5% (+42.000 t).

Sul fronte esportazioni dall’Italia, nei primi sette mesi del 2023 sono risultate in diminuzione nelle quantità di 435.000 tonnellate (-14,2%), ed in aumento nei valori di 124,3 milioni di euro (+3,7%), rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. Pur registrando una flessione nelle quantità esportate, risulta in aumento il valore delle vendite all’estero di riso (+93,2 milioni di euro), delle paste alimentari (+91,3 milioni di euro), dei prodotti trasformati (+25,5 mio) e della farina di grano tenero (+4,9 mio).

In calo l’export dei cereali in granella (-189.000 t nelle quantità e -140 milioni di euro nei valori), in leggero incremento invece le quantità esportate di semola di grano duro (+5,4%) e mangimi a base di cereali (+1,1%). I movimenti valutari relativi all’import/export del settore cerealicolo hanno comportato nei primi sette mesi del 2023 un esborso di valuta pari a 5.736,7 milioni di euro (5.364,5 nel 2022) ed introiti per 3.486,9 milioni di euro (3.362,7 nel 2022). Pertanto il saldo valutario netto è pari a -2.249,8 milioni, contro -2.001,8 milioni del 2022.

Coldiretti: un italiano su tre nel 2022 ha tagliato spesa alimentare

Coldiretti: un italiano su tre nel 2022 ha tagliato spesa alimentareMilano, 18 ott. (askanews) – Circa un terzo delle famiglie italiane (29,5%) ha dichiarato di aver provato a limitare nel 2022 la quantità e/o la qualità del cibo acquistato con il risultato che la vendita di beni alimentari ha fatto registrare un aumento tendenziale in valore (+4,6%) e una diminuzione in quantità (-4,3%). E’ quanto emerge dall’analisi della Coldiretti sulla base dei dati Istat relativi alla spesa per consumi della famiglie nel 2022 dalla quale si evidenzia che a fronte del marcato incremento dei prezzi di alimentari e bevande analcoliche (+9,3%) le spese delle famiglie per l’acquisto di questi prodotti sono cresciute solo del 3,3% rispetto all’anno precedente.

Gli italiani hanno speso 482 euro mensili per l’acquisto di prodotti alimentari pari al 18,4% della spesa totale. Il 21,5% della spesa alimentare, precisa la Coldiretti, è stato destinato alla carne per un totale di 104 euro al mese, il 21,4% a frutta, ortaggi, tuberi e legumi per un totale di 102 euro al mese, il 15,7% a cereali e a prodotti a base di cereali, il 12% a latte, altri prodotti lattiero-caseari e uova e il 7,9% a pesce e frutti di mare. Di fronte ad un aumento del 10% della spesa non alimentare, gli italiani hanno destinato meno di un euro su cinque del budget familiare per la tavola.