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Monini: istituire categoria Alta Qualità in segmento olio Evo

Monini: istituire categoria Alta Qualità in segmento olio EvoRoma, 28 mag. (askanews) – Istituire la categoria Alta Qualità anche nel segmento dell’olio extravergine di oliva: è il messaggio lanciato da Zefferino Monini, presidente e amministratore delegato di Monini, in occasione della seconda edizione dello Zefferino d’Oro, il primo riconoscimento della qualità della materia prima promosso da una grande impresa olearia in Italia.


“Il settore – ha detto Monini nel corso dell’evento – sta affrontando un periodo complesso, anche legato alle conseguenze del cambiamento climatico, ma siamo convinti che proprio nelle difficoltà si nascondano le migliori occasioni. Dobbiamo rafforzare ancora di più la collaborazione tra industria e frantoiani, puntando con forza sulla sostenibilità e sulla straordinaria qualità che è in grado di esprimere la filiera italiana, ma anche offrendo al consumatore gli strumenti per orientarsi nella complessità dell’offerta”. Da qui la richiesta alle istituzioni di una nuova classificazione che disciplini e riconosca la categoria Alta Qualità nell’olio extravergine di oliva basata su parametri organolettici e analitici più stringenti di quelli attuali. Solo così sarà possibile garantire la vera qualità del prodotto e, attraverso l’adozione di segni identificativi, come un classico ‘bollino’, renderla immediatamente riconoscibile sugli scaffali.

Olio oliva: salgono prezzi Spagna, in Italia stabili: 9,5 euro/kg

Olio oliva: salgono prezzi Spagna, in Italia stabili: 9,5 euro/kgRoma, 28 mag. (askanews) – A inizio maggio sale nuovamente il prezzo medio all’origine degli oli extravergini di oliva prodotti in Europa. L’aumento, dopo la flessione degli ultimi mesi in tutte le piazze europee che si è sviluppata a seguito del crollo dei prezzi (fino al 10%) dell’olio EVO spagnolo, è sostenuto dall’incertezza dei mercati nei confronti dei volumi e della qualità delle scorte di materia prima che serviranno fino alla prossima campagna olearia.


Guardando all’area del Mediterraneo, l’Italia rappresenta un’eccezione: qui i prezzi all’origine sono rimasti pressoché stabili dallo scorso gennaio e la produzione nazionale non risulta in grado di soddisfare la domanda interna. È il quadro che emerge dall’Osservatorio mensile di Certified Origins, tra i principali produttori e distributori di olio d’oliva extravergine certificato (IGP e DOP), oli mono-origine e blend tracciabili a marchio privato. Le abbondanti piogge nella penisola iberica, dove si produce circa il 50% degli oli d’oliva consumati a livello mondiale, la prospettiva di una raccolta 2024-2025 abbondante e la diminuzione dei consumi interni di inizio anno, hanno contribuito a un generale ribasso del prezzo degli oli EVO, vergini e raffinati. L’insieme di questi fattori ha inoltre spinto i produttori spagnoli a immettere sul mercato parte delle scorte accumulate. E la Spagna e quindi l’Europa si stanno avvicinando alla prossima campagna con giacenze ridotte: nel territorio iberico risultano infatti disponibili circa 660mila tonnellate di olio d’oliva, di cui circa il 30% già riservato per i contratti con i grandi imbottigliatori. Sebbene ci sia ottimismo per la prossima campagna, persiste il rischio reale di un aumento significativo dei prezzi a livello mondiale in caso di imprevisti dovuti a eventi climatici o a variazioni nei consumi globali.


In Italia, il prezzo medio dell’olio EVO rimane sostenuto e pressoché invariato da gennaio (circa 9.50 €/Kg). Resta forte il divario tra la produzione nazionale, le giacenze a disposizione e la domanda interna e dei mercati esteri. I consumi nazionali, da soli, assorbono infatti tra le 400 e le 550mila tonnellate all’anno, ovvero un volume quasi doppio rispetto quanto viene prodotto da oliveti e frantoi italiani, che mediamente forniscono 290mila tonnellate tra olio extra vergine e categorie inferiori.

Oltre 9 italiani su 10 utilizzano prodotti surgelati

Oltre 9 italiani su 10 utilizzano prodotti surgelatiRoma, 28 mag. (askanews) – Oltre 9 italiani su 10 utilizzano prodotti surgelati e, tra questi, il 53% ne fa un uso abituale. Positivo il trend di consumo nell’ultimo quinquennio: 4 italiani su 10 dichiarano di aver incrementato gli acquisti di surgelati; in particolare, i più giovani e le famiglie con bambini (48%). Comodità, praticità, anti-spreco sono tra i driver d’acquisto di questi prodotti, consumati soprattutto a casa nella quotidianità familiare (68,7%) e oggi percepiti positivamente anche per gusto e per convenienza economica. I frozen food dimostrano quindi di essere apprezzati su tutto il territorio nazionale, con percentuali leggermente più elevate al Nord-ovest (55%) e tra la Generazione X (57%).


E, a sorpresa, al palato, per oltre la metà degli italiani, i prodotti surgelati sono preferiti ai freschi per bontà, consistenza e percezione di freschezza. E’ quanto emerso dal Blind Taste Test condotto da AstraRicerche, secondo cui il 61% degli intervistati preferisce il gusto del minestrone surgelato a quello fresco; il 64% quello del merluzzo e il 66% ritiene i fagiolini in versione frozen più buoni dei freschi. Anche in termini di convenienza economica, i surgelati abbattono un vecchio tabù, rivelandosi meno costosi dei freschi: se si considera il loro valore totale composto da costi, tempi di preparazione e spreco alimentare, i fagiolini freschi, ad esempio, “costano” il 53% in più dei surgelati; i filetti di merluzzo il 60% in più; e per preparazioni più complesse come la paella, si arriva addirittura a una differenza del 246% a favore del frozen.


Sono i prodotti ittici la tipologia di surgelati che gli italiani dichiarano di acquistare più spesso (30,2%), scelti soprattutto al Sud e seguiti dai vegetali (27,4%), apprezzati dalle donne Baby Boomers; poi pizze e snack (15,4%) con un picco tra i giovani Gen Z, e patate (13,6%). Ma nonostante sia cresciuta la consapevolezza dell’elevato valore qualitativo dei frozen food, permangono alcune credenze erronee: 2 consumatori su 10 considerano ancora “surgelato” e “congelato” come sinonimi; circa 1 su 3 non è ben informato sui corretti metodi di scongelamento; solo 4 su 10 sanno che gli alimenti surgelati non contengono conservanti.


I pasti a casa, nella quotidianità familiare di pranzi e cene, restano la principale occasione di consumo di surgelati per la maggioranza degli italiani (68,7%), ma c’è chi li sceglie anche nel weekend o per il ‘pranzo della domenica’, per portare in tavola qualcosa di buono e diverso in poco tempo (14,7%). “Gli ottimi risultati emersi dal blind test a favore dei frozen food – sottolinea Giorgio Donegani, pesidente IIAS – stridono in modo eclatante anche con l’immotivata persistenza, nella legislazione italiana, dell’obbligo di apporre un asterisco accanto agli alimenti surgelati nei menù dei ristoranti. L’asterisco è di fatto un’informazione retaggio di un mondo passato che non esiste più, che poggiava sull’implicita convinzione che un alimento surgelato fosse un prodotto di qualità inferiore rispetto al fresco. Una concezione – conclude – palesemente superata e anacronistica che finisce solo per penalizzare questi prodotti, che invece i consumatori prediligono”.

Microplastiche nelle telline: non ci sono rischi legati a consumo

Microplastiche nelle telline: non ci sono rischi legati a consumoRoma, 28 mag. (askanews) – Non ci sono rischi legati al consumo di telline per quanto riguarda la Il FishLab dell’Università di Pisa ha condotto uno studio sulla presenza di microplastiche nelle telline (specie Donax trunculus) sulle coste toscane da cui non emergono rischi legati al consumo di questo alimento. La ricerca è stata realizzata in collaborazione con l’Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Lazio e della Toscana, l’Università degli Studi di Messina e l’Istituto per i Processi Chimico-Fisici (IPCF) del Cnr di Messina.


I ricercatori hanno esaminato cinque siti lungo la costa toscana, da Viareggio a Tirrenia, da febbraio a dicembre 2021. Nei campioni analizzati, sono stati trovati 85 frammenti riconducibili a microplastiche. Successivamente, un’analisi più approfondita ha confermato la natura plastica solo per una parte di essi. In base a questa stima, i consumatori di telline potrebbero essere esposti ad una quantità molto esigua rispetto a quella che ingerirebbero consumando altre tipologie di alimenti; ad esempio, è stato dimostrato che il sale e l’acqua stessa ne contengono una quantità decisamente più elevata. “Le microplastiche sono ubiquitarie in ogni ambiente, per assumerle basta lasciare un bicchiere su un tavolo prima di berlo – spiega il professore Andrea Armani del dipartimento di Scienze Veterinarie dell’Università di Pisa – in base ai dati emersi e alle conoscenze attualmente disponibili, non ci sono rischi legati al consumo di telline, anche per le basse quantità di consumo di questo alimento”.


La presenza di microplastiche è stata documentata a tutti in tutti gli habitat marini, dagli oceani aperti ai mari chiusi, dalle spiagge, alle acque superficiali, in tutta la colonna d’acqua fino ai fondali più profondi. Le dimensioni ridotte che le caratterizzano facilitano il loro trasporto a lunga distanza attraverso le correnti. Una volta fatto il loro ingresso nell’ecosistema marino possono essere facilmente ingerite da molti organismi, entrando così nella catena alimentare, sino agli esseri umani. I molluschi bivalvi (come mitili, ostriche, vongole e capesante), essendo filtratori, sono spesso utilizzati per valutare l’inquinamento da microplastiche negli ambienti marini. Se consumati come alimenti, possono pertanto rappresentare una fonte di esposizione alle microplastiche per l’uomo.


“L’esposizione umana alle microplastiche è molto diversa tra paese e paese a causa delle differenze geografiche e culturali legate al consumo dei molluschi bivalvi – conclude Armani – Un rischio elevato, calcolato sulla base del consumo annuo di molluschi bivalvi e della quantità media di microplastiche per grammo, è stato riscontrato in Cina e Corea del Sud, mentre a livello europeo sono stati riscontrati rischi maggiori in Francia e Grecia”. La ricerca pubblicata sulla rivista Animals è stata finanziata dal Ministero della Salute italiano, dall’Unione Europea grazie al fondo NextGeneration EU e attraverso il progetto SAMOTHRACE del ministero dell’Università e della Ricerca.

Siccità, 20mila agricoltori siciliani in piazza a Palermo

Siccità, 20mila agricoltori siciliani in piazza a PalermoRoma, 28 mag. (askanews) – Oltre ventimila agricoltori e allevatori sono scesi in piazza a Palermo per chiedere interventi immediati contro una siccità devastante, che ha praticamente azzerato i raccolti e fa strage di animali nelle stalle, rimasti senza acqua né cibo. I manifestanti hanno invaso le vie della capitale isolana per riversarsi davanti a Palazzo d’Orleans, sede della Regione Siciliana, che Coldiretti Sicilia indica come prima responsabile della drammatica situazione.


Gli effetti della mancanza di pioggia sono stati, infatti, denuncia la confederazine agricola, aggravati dall’immobilismo delle istituzioni locali rispetto alla necessità di effettuare gli interventi necessari per garantire la disponibilità di acqua, tra strutture e tubazioni fatiscenti che disperdono anche quella poca presente. Sui cartelli dei manifestanti, giunti da tutte le province si legge “Stiamo macellando anni di lavoro”, “La Sicilia assetata non può più aspettare”, “Senza agricoltura non c’è cibo”, ma ci sono anche striscioni e migliaia di bandiere.


“Per salvare quello che resta dell’agricoltura siciliana – sottolinea Coldiretti – occorrono misure immediate per sostenere le aziende colpite dalla siccità e dal conseguente rincaro di tutti i costi di produzione, letteralmente triplicati, a partire dal prezzo dei foraggi per dare da mangiare agli animali, ma anche della stessa acqua, con le bollette che hanno raggiunto cifre astronomiche”. Coldiretti, assieme a Bonifiche Ferraresi, Consorzi Agrari d’Italia e Fedana, si è attivata per portare alle stalle dell’isola fieno per gli animali, un milione e mezzo di chili necessari per permettere alle aziende di andare avanti almeno per qualche altro giorno.


La scorsa settimana il ministro dell’Agricoltura ha annunciato, anche qui su sollecitazione di Coldiretti, lo stanziamento di 15 milioni di euro per aiutare gli agricoltori ma la sopravvivenza del settore è legata a una corsa contro il tempo per far arrivare i finanziamenti alle stalle e consentire di acquistare quanto nececessario per salvare gli animali.

Diminuisce del 25% produzione grano duro in Emilia Romagna

Diminuisce del 25% produzione grano duro in Emilia RomagnaRoma, 28 mag. (askanews) – Per il secondo anno consecutivo flette la produzione di grano in Emilia-Romagna portandosi sensibilmente al di sotto della media del quinquennio, su una estensione complessiva di 235.000 ettari circa tra tenero e duro. Causa l’ondata di maltempo, infatti, il 50% della superficie regionale si è allettata e in alcune province quali Ravenna, Ferrara e Bologna anche di più.


“In generale cala la resa media del grano in Emilia-Romagna, accompagnata in particolare da un vero e proprio crollo della superficie coltivata a duro, nell’ordine del -25% sul 2023. Un dato a dir poco preoccupante per la terza regione produttrice d’Italia che vanta una filiera d’eccellenza della pasta made in Italy” , spiega il presidente di Confagricoltura Emilia Romagna, Marcello Bonvicini. “L’allettamento appartiene alla normalità e non all’eccezione. E così sarà in futuro, quindi l’attività di adattamento al clima diventa cruciale”, aggiunge Bonvicini.


Temporali, raffiche di vento e grandinate hanno sferzato il grano nella delicata fase di formazione delle cariossidi, cioè nel momento in cui si determinano peso e caratteristiche qualitative, che sono aspetti rilevanti soprattutto per i grani duri e grani teneri di forza. L’allettamento provoca la stroncatura dello stelo riducendo l’assorbimento delle sostanze nutritive, bloccando quindi lo sviluppo della spiga e aumentando anche il pericolo di attacchi fungini.

Coldiretti: bene apertura Ue a etichetta di origine

Coldiretti: bene apertura Ue a etichetta di origineRoma, 28 mag. (askanews) – L’apertura della Commissione Ue alla proposta avanzata dalla Germania di introdurre l’indicazione dell’origine su tutti gli alimenti in commercio “riconosce il ruolo storico dell’Italia di apripista nelle politiche di garanzia verso il consumatore”. Ad affermarlo è la Coldiretti in riferimento agli esiti del Consiglio dei Ministri dell’Agricoltura e della Pesca dell’Unione Europea.


La delegazione tedesca, appoggiata da Francia, Portogallo, Estonia e Finlandia, alle quali si sono poi aggiunti altri Paesi tra cui la Spagna, ha presentato un documento per l’introduzione dell’etichetta d’origine obbligatoria sui prodotti alimentari venduti su tutto il territorio dell’Unione, sul quale la Commissione si è detta disposta a lavorare, anche se la questione sarà più probabilmente portata avanti dal prossimo esecutivo. Un cambio di rotta importante anche rispetto all’attacco arrivato dalla Corte dei Conti Ue nell’Audit concluso lo scorso dicembre in merito ai decreti italiani sull’etichettatura d’origine per pasta, riso, derivati del pomodoro, latte e formaggi, salumi, considerate ostacoli al libero commercio nonostante l’elevato e legittimo interesse dei consumatori a conoscere l’origine della materia prima di quanto mette nel piatto.


Grazie all’esempio dell’Italia “ci sono dunque le condizioni oggi per affermare una nuova stagione delle politiche alimentari nella Ue, che guardino alla trasparenza e alla naturtalità dei prodotti, rispetto ai troppi inganni permessi in passato e anche comntro i tentativi delle multinaziionali di indirizzarle verso i propri interessi”, conclude Coldiretti sottolineando che in questa ottica “è importante l’annunciata marcia indietro del Portogallo rispetto all’applicazione del sistema di etichettatura a semaforo Nutriscore”.

In Sicilia arriva miscuglio evolutivo frumento adatto a siccità

In Sicilia arriva miscuglio evolutivo frumento adatto a siccitàRoma, 28 mag. (askanews) – Una soluzione alla fragilità dei sistemi agricoli, in un areale, quale quello siciliano, tipicamente a clima semiarido, sempre più interessato da temperature alte e mancanza di acqua. Con questo obiettivo è nato il progetto Mixwheat, “Miscuglio evolutivo di frumento per l’adattamento ai cambiamenti climatici), inserito nella sottomisura 16.1 “Sostegno per la costituzione e la gestione dei gruppi operativi del PEI in materia di produttività e sostenibilità dell’agricoltura”, del PSR Sicilia 2014-2022, i cui risultati verranno presentati domani, martedì 28 maggio, a Catania.


Il progetto della durata di tre anni, ha visto protagonisti l’Università di Catania (Di3A) e Rete Semi Rurali per gli aspetti scientifici; le aziende agricole, tutte operanti in regime di agricoltura biologica certificata, Dara Guccione Biofarm, Agricola Cavalli, Green Bio di Terre di Sant’Agata, Società Agricola di Pietro e Filippo Riolo, Terre Frumentarie di Giuseppe Li Rosi, Antichi Granai dei f.lli Mirella Santa e Salvatore Passamonte, e il Molino Quaglia. Il progetto si è proposto l’obiettivo di adattare e diffondere la popolazione evolutiva di grano tenero denominata “Furat Li Rosi”, costituita in Siria, introdotta in Italia, più di un decennio fa e coltivata continuativamente in Sicilia dal 2010. Dal 2018 è disponibile come semente certificata dal CREA-DC.


Le popolazioni evolutive sono il risultato del miglioramento genetico evolutivo, una metodologia che ricolloca la ricerca dalle stazioni sperimentali alle aziende agricole, mantenendo lo stesso rigore scientifico, con lo scopo di adattare le piante all’ambiente senza che questo debba essere modificato. La popolazione “Furat Li Rosi” in origine era costituita da un miscuglio dei prodotti di circa 2000 incroci. Al termine del progetto l’innovazione di processo verrà gestita direttamente dagli agricoltori e diffusa con una licenza open source per garantirne il più ampio accesso.

Coldiretti Puglia: con siccità aumentano scorribande cinghiali

Coldiretti Puglia: con siccità aumentano scorribande cinghialiRoma, 28 mag. (askanews) – Con la siccità che ha fatto seccare i raccolti e asciuga canali e torrenti, aumentano le scorribande dei branchi di cinghiali a caccia di cibo e acqua, spostandosi da un territorio all’altro, tanto che sono capaci di percorrere fino a 40 chilometri alla volta. L’ennesima denuncia arriva da Coldiretti Puglia, dopo l’avvistamento di un branco di cinghiali in un’azienda agricola a Santeramo, con la necessità di adottare tempestivamente il piano regionale straordinario di contenimento e strumenti normativi efficaci per difendere il territorio da una vera e propria invasione.


I branchi di cinghiali si spingono fin dentro i centri urbani e”con le aree della Murgia barese e tarantina, del Gargano e del subappennino dauno – spiega il direttore di Coldiretti puglia, Pietro Piccioni – divenute l’eldorado dei cinghiali, con una frequenza preoccupante di incidenti stradali, ma devastano i raccolti divorando lenticchie di Altamura. cicerchie, fave, ceci e piselli, broccoletti, ortaggi, piantine appena seminate di favino e grano, uva soprattutto su vite a spalliera, frutta scuotendo gli alberi, tutto il sottobosco e la biodiversità dei boschi e dei parchi”. La situazione è diventata insostenibile in città e nelle campagne con danni economici incalcolabili alle produzioni agricole, denuncia Coldiretti, viene compromesso anche l’equilibrio ambientale di vasti ecosistemi territoriali in aree di pregio naturalistico con la perdita di biodiversità sia animale che vegetale.

Ortofrutta, mele e banane regine del carrello della spesa

Ortofrutta, mele e banane regine del carrello della spesaRoma, 28 mag. (askanews) – Mele e banane sono le regine del carrello della spesa degli italiani in materia di ortofrutta, complice la facilità di consumo. Ma avanzano anche prodotti esotici come ananas, avocado e zenzero.


Sono i risultati di una ricerca effettuata da Orsero, leader nell’Europa mediterranea per l’importazione e la distribuzione di prodotti ortofrutticoli freschi. L’indagine “Dare buoni frutti – Gli italiani e le ‘nuove’ abitudini di consumo di frutta”, fa il punto su opinioni, bisogni e meccanismi di consumo che guidano gli italiani nella scelta della frutta. Un’indagine approfondita e a tutto campo condotta in collaborazione con l’istituto di ricerche IPSOS e l’editore RCS e che ha coinvolto un campione di oltre 1.000 intervistati e intervistate, tra i 18 e i 65 anni. Il risultato? La frutta è immancabile nella dieta, a prescindere dallo stile alimentare, ed è riconosciuta importante per le sue proprietà nutrizionali, in particolare in termini di vitamine. Gli italiani in media consumano 7 tipi diversi di frutta al mese.


Accanto a mele (78%), banane (78%) e arance (69%) che rimangono le varietà più gettonate per prezzo e consuetudine di acquisito, hanno sempre maggior presenza nei carrelli degli italiani altre varietà che sfoderano il loro potenziale di crescita e gradimento come fragole (59%) e kiwi (40%), e poi ananas (31%), avocado (17%), zenzero (12%) e i frutti di bosco (21%), che hanno beneficiato di un lavoro della filiera agroalimentare su varietà, qualità percepita e gusto uniforme, permettendo al consumatore di poterli scegliere tutto l’anno. In merito alle quantità di frutta consumate rispetto al passato, il 45% degli italiani dichiara di non aver registrato cambiamenti, e il 45% che invece menziona un aumento, lo fa in relazione all’adozione di una dieta più sana, e all’aumento di occasioni di consumo durante la giornata. Gli italiani sono anche attenti alla stagionalità (51%), ma rapporto qualità-prezzo (44%) e gusto (42%) rimangono requisiti inderogabili.


“Negli ultimi quindici anni, in Italia, la quantità di frutta consumata è rimasta fondamentalmente costante; ciò che è cambiato è il mix di prodotti consumati. Abbiamo osservato uno spostamento dei volumi di consumo dai frutti tradizionali, come le pere, verso quelli esotici, come l’avocado”, commenta Raffaella Orsero, VP e CEO del gruppo.