Skip to main content
#sanremo #studionews #askanews #ciaousa #altrosanremo

Nayma Diomedi vince 31esima edizione di Maestri dell’espresso junior

Nayma Diomedi vince 31esima edizione di Maestri dell’espresso juniorMilano, 22 mag. (askanews) – È Nayma Diomedi dell’Istituto Einstein Nebbia di Loreto (Ancona), accompagnata dal professore Alex Orologio – la vincitrice della 31esima edizione di Maestri dell’espresso junior, il concorso a premi promosso da illycaffe’ e gruppo Cimbali rivolto ai giovani talenti della caffetteria. Seconda classificata Giorgia Baudino dell’Istituto Paire di Barge (Cuneo), accompagnata dal professore Davide Oglietti. Ad Arianna Massari dell’Istituto Carlo Porta di Milano, accompagnata dal professore Antonio Grillo, è andato invece lo speciale premio della Giuria giornalisti.

Adesioni record quest’anno, con 56 istituti iscritti e più di 1.000 studentesse e studenti partecipanti, per un’edizione ibrida, che ha visto i ragazzi sfidarsi nuovamente in presenza per la finale e le premiazioni. Sedici gli istituti che hanno partecipato al concorso per la prima volta, due dei quali arrivati alla fase finale. “Maestri dell’Espresso Junior” è il concorso di caffetteria dedicato alle classi quarte degli istituti professionali alberghieri e della ristorazione, a tutti gli istituti Ipssar statali e gli istituti alberghieri parificati italiani e della Repubblica di San Marino. La manifestazione è nata nel 1992 dalla collaborazione tra Università del caffè, il centro d’eccellenza creato da illycaffè per diffondere la cultura di caffè di qualità, e Mumac Academy, l’accademia della macchina per caffè di gruppo Cimbali per la formazione di professionisti e coffee lovers e la promozione della cultura del caffè.

“In un contesto sfidante come quello attuale, la formazione assume un ruolo sempre più centrale nello sviluppo professionale dei ragazzi, che si stanno affacciando ad un mercato del lavoro che richiede competenze più professionali e capacità distintive – commenta Moreno Faina, direttore dell’Università del caffè – Il record di iscritti a questa edizione di Maestri dell’espresso junior, che finalmente è tornato in presenza, riconosce l’importanza della collaborazione scuola-impresa nell’acquisizione di nuove esperienze per la crescita professionale dei ragazzi”. “I risultati di questa edizione confermano che la formazione è un ingrediente fondamentale per un percorso professionale di successo e Mumac Academy è molto orgogliosa di poter contribuire attivamente a creare i giovani talenti di domani – afferma Silvia Vercellati, Mumac Academy Manager di gruppo Cimbali – Il concorso è un’esperienza che forma e accompagna studenti e docenti nel corso di un intero anno scolastico. Partecipare ad un progetto come questo significa mettersi alla prova, prepararsi, studiare, allenarsi: per gli studenti spesso la consapevolezza di ciò che si è in grado di fare e dei risultati che si possono ottenere con l’impegno è il premio più grande”.

Attraverso la formazione, che è un pilastro della collaborazione con le scuole, oltre 1.000 studenti delle classi interessate al concorso, hanno partecipato a tre sessioni formative sulla cultura e sostenibilità del caffè, il processo produttivo, la preparazione di espresso e cappuccino, la manutenzione e pulizia dell’attrezzatura. Hanno quindi preso parte a un primo test teorico di ammissione al concorso, basato sui contenuti appresi durante le ore di formazione, a seguito del quale hanno prodotto un video che doveva dimostrare la loro capacità di relazionarsi con il cliente. Otto sono stati gli allievi selezionati per la fase finale della 31esima edizione, che si sono confrontati sulla verifica dello stato di funzionamento dell’attrezzatura, sul settaggio della macinatura, sulla preparazione di alcune bevande e su una prova di degustazione. Ai finalisti è stato inoltre chiesto di preparare una ricetta a base di caffè espresso e di bevanda vegetale, valutata dai giornalisti in giuria in base all’utilizzo degli ingredienti, all’esposizione della ricetta, all’originalità della proposta e all’estetica della presentazione.

Il vincitore del 31esimo concorso si è aggiudicato uno stage alla illycaffè a Trieste mentre il secondo classificato ha vinto la partecipazione al corso di Maestro barista all’Università del caffè di Trieste. Al vincitore del Premio Giornalisti è stata conferita una targa di riconoscimento. I primi due istituti classificati, inoltre, hanno ricevuto una fornitura illycaffè e una delle attrezzature a marchio Cimbali a scelta tra una macchina espresso o tre macinadosatori.

Aglio bianco polesano Dop: una filiera da 6 mln euro

Aglio bianco polesano Dop: una filiera da 6 mln euroMilano, 22 mag. (askanews) – L’aglio bianco polesano Dop è uno dei simboli dei prodotti a Indicazione geografica del Veneto, una regione che, in ambito food, conta 36 prodotti Dop e Igp per un valore economico pari a 433 milioni di euro. Solo nel comparto ortofrutticolo ha 17 prodotti tutelati per un valore alla produzione di 10,5 milioni di euro (Dati Rapporto Ismea-Qualivita 2022).

Presente nell’area del Polesine fin dall’epoca romana, l’aglio bianco polesano Dop può contare oggi su una filiera da 600 tonnellate di produzione certificata annua e 33 operatori capaci di generare 3,3 milioni euro di valore alla produzione, tradotti in 6 milioni euro di valore al consumo. Una produzione molto apprezzata che ha visto una crescita di produzione del +120% negli ultimi 5 anni rispetto ai cinque precedenti (Dati Rapporto Ismea-Qualivita 2022). Ora l’Ispettorato centrale della tutela della qualità e repressione frodi (Icqrf) dei prodotti agroalimentari del ministero dell’Agricoltura ha rinnovato l’autorizzazione, con decreto ministeriale, a Csqa per effettuare i controlli per la Denominazione di origine protetta per l’aglio bianco polesano per i prossimi tre anni.

Dal 2010 il Consorzio di tutela dell’Aglio bianco polesano Dop salvaguarda e valorizza questo prodotto con progettualità diversificate che vanno incontro alle esigenze sia del produttore/confezionatore sia del consumatore. È “La scelta di riconfermare Csqa, organismo di certificazione leader in Italia nel campo delle Indicazioni geografiche – afferma Massimo Tovo, presidente del Consorzio di tutela – è dettata dalla volontà di avvalersi di un ente preparatore e competente che da anni opera nel nostro territorio”. “La nostra conferma quale Ente di controllo – sottolinea Pietro Bonato, direttore generale e Ad di Csqa – è il risultato del lavoro sinergico svolto sul fronte della garanzia e della valorizzazione di questo prodotto simbolo della terra polesana e della produzione ortofrutticola veneta”.

Barilla e Plug and Play a caccia di start up innovative nell’alimentare

Barilla e Plug and Play a caccia di start up innovative nell’alimentareMilano, 22 mag. (askanews) – Barilla rinnova il suo impegno per l’innovazione nel settore alimentare con Good food makers, l’acceleratore globale per startup ag-tech e food-tech impegnate a trovare soluzioni sostenibili per il comparto. Dal 22 maggio infatti sono aperte le candidature per la quinta edizione del progetto di accelerazione per startup innovative a cui andrà un supporto economico di 10.000 euro e l’opportunità di costruire future collaborazioni con il gruppo alimentare di Parma.

Le idee innovative ricercate per l’edizione 2023 vertono su quattro ambiti: packaging circolare, ovvero soluzioni e modelli di business per la riduzione e il riutilizzo degli imballaggi e dei rifiuti correlati; qualità della logistica, vale a dire soluzioni digitali per migliorarla in termini di tracciabilità e di monitoraggio del rispetto degli standard qualitativi e del servizio dei fornitori; fermentation for clean label: ingredienti e tecnologie che fanno leva sulla fermentazione per amplificare il valore nutrizionale, sensoriale e ambientale dei prodotti, con particolare attenzione alle soluzioni clean label; infine You @ Best: soluzioni digitali per migliorare il benessere delle persone, coniugando stile di vita e abitudini alimentari Le iscrizioni sono aperte da oggi fino al 7 luglio sul sito dedicato a Good Food Makers.

Giunto alla sua quinta edizione, Good food makers nasce per supportare gli innovatori del food e catalizzare lo sviluppo di nuove soluzioni alimentari sostenibili. L’iniziativa prevede un programma di otto settimane, in cui le startup lavorano fianco a fianco con i manager Barilla per sviluppare insieme le idee e un business plan per la loro realizzazione. Per sostenere questo percorso condiviso di crescita, alle quattro startup selezionate per il programma andranno 10.000 euro e l’opportunità di costruire future collaborazioni con il gruppo Barilla. “C’è una consapevolezza sempre maggiore rispetto all’importanza di investire e di portare nuove idee nel settore alimentare, non solo per soddisfare la domanda globale, ma anche e soprattutto per creare prodotti sani, sostenibili e che sappiano rispondere alle nuove esigenze dei consumatori – dichiara Claudia Berti, Barilla global open innovation senior manager – A distanza di cinque anni Good food makers rappresenta sempre di più una finestra aperta sull’intero panorama del Food&Beverage, che a livello internazionale convoglia abitudini, costumi e stili di vita differenti. Il progetto permette alla nostra realtà di impegnarci a collaborare con le aziende di tutto il mondo che operano in questo settore e che condividono con noi la missione di creare un futuro all’insegna del progresso”.

Anche quest’anno, per il secondo anno consecutivo, Good food makers si avvale della collaborazione di Plug And Play, la più grande piattaforma di open innovation al mondo, con una rete di 60.000 startup, oltre 550 aziende leader a livello mondiale e centinaia di società di venture capital, università e agenzie governative. “L’obiettivo comune è quello di accompagnare le realtà più promettenti del settore in un percorso di sviluppo finalizzato al processo di internazionalizzazione, mettendo a disposizione quotidianamente il know-how specifico proprio degli esperti del settore – dichiara Arianna Elena Maschietto, direttrice Plug and Play Milano – Siamo convinti che sperimentare l’applicazione di nuove tecnologie lungo tutto l’arco della filiera, dai processi agronomici alle tecniche di conservazione, dal trasporto dei prodotti alla preparazione dei pasti, sia la chiave del successo per tutti coloro che intendono fare la differenza in questo ambito, con uno sguardo sempre più attento alla sostenibilità ambientale e sociale”.

Salov: vendite olio stabili a 120 mln lt, inflazione spinge fatturato +30%

Salov: vendite olio stabili a 120 mln lt, inflazione spinge fatturato +30%Milano, 22 mag. (askanews) – Salov, gruppo oleario a cui fanno capo i marchi storici Filippo Berio e Sagra, ha archiviato l’esercizio 2022 con volumi di vendita stabili ai livelli raggiunti nel 2021 e 2020, pari a circa 120 milioni di litri. Il fatturato consolidato, soprattutto a causa dell’inflazione dei costi di produzione, ha registrato un incremento annuo del 30%, passando da 377 milioni a 491 milioni di euro mentre l’Ebitda è passato dai 19,4 milioni del 2021 a quota 20milioni (+4,1%).

In Italia, Salov si conferma in crescita, con i marchi Filippo Berio e Sagra che, complessivamente, portano le quote di mercato a volume detenute dal gruppo al 3,4% nella categoria olio di oliva e al 6,2% negli oli di semi

Alluvione, Coldiretti: in Emilia Romagna 50mila posti a rischio

Alluvione, Coldiretti: in Emilia Romagna 50mila posti a rischioMilano, 22 mag. (askanews) – Nelle aree colpite dall’alluvione in Emilia Romagna sono a rischio lungo l’intera filiera almeno 50mila posti di lavoro tra agricoltori e lavoratori dipendenti nelle campagne, nelle industrie e nelle cooperative di lavorazione e trasformazione. E’ quanto sottolinea Coldiretti dopo un primo monitoraggio nelle zone alluvionate dove ai danni sulla produzione agricola si aggiungono quelli alle strutture come gli impianti dei frutteti, le serre, gli edifici rurali, le stalle, i macchinari e le attrezzature perse, senza contare la necessità di bonificare i terreni e ripristinare la viabilità nelle aree rurali.

L’alluvione ha invaso i campi con la perdita di almeno 400 milioni di chili di grano nei terreni allagati dell’Emilia Romagna, dove si ottiene circa un terzo del grano tenero nazionale, in un contesto internazionale particolarmente difficile. Ma l’esondazione ha sommerso anche i frutteti “soffocando” le radici degli alberi fino a farle marcire con la necessità di espiantare e poi reimpiantare quasi 15 milioni di piante tra pesche, nettarine, kiwi, albicocche, pere, susine, mele, kaki e ciliegi. Grosse difficoltà anche per i 250mila bovini, maiali, pecore e capre allevati nelle stalle della Romagna alluvionata dove si contano anche circa 400 allevamenti avicoli, tra polli, galline da uova e tacchini dove secondo la Coldiretti si evidenziano diverse situazioni di criticità con migliaia di animali morti e affogati. Consistente anche la produzione di mais, orzo, girasole, soia, erba medica e molto rilevante dal punto di vista economico sono le colture da seme per cereali, bietole, girasole, erba medica ed ortaggi con migliaia di ettari coltivati completamente coperti dal fango. Sott’acqua anche ulivi e vigne che sono stati anche travolti dalle frane nelle aree collinari.

“Serve garantire l’arrivo degli aiuti nel minor tempo possibile e dare a queste zone martoriate la possibilità di riparare i danni e ripartire al più presto con strumenti di intervento straordinari per garantire il salvataggio e la continuità delle filiere agricole del territorio colpito” afferma la Coldiretti che è impegnata in una capillare azione di solidarietà con una raccolta fondi con l’intento di alleviare le sofferenze di chi si trova ad attraversare un momento difficilissimo.

Alluvione, Coldiretti: 5mila aziende agricole e allevamenti devastati

Alluvione, Coldiretti: 5mila aziende agricole e allevamenti devastatiMilano, 22 mag. (askanews) – Dall’albicocca di Imola alla fragola di Romagna, dal grano Senatore Cappelli alla ciliegia di Cesena fino al maiale mora romagnola: l’alluvione che ha colpito il territorio romagnolo mette a rischio anche la biodiversità, con intere produzioni che sono state cancellate dopo che gli agricoltori erano riusciti in questi anni a salvarle dall’estinzione. Coldiretti in occasione della Giornata mondiale della Biodiversità lancia un allarme he è di tutti i gli agricoltori vittime dell’alluvione degli ultimi giorni. Le stime parlano di oltre 5mila aziende agricole e allevamenti devastati in una delle aree piu’ agricole del Paese con una produzione lorda vendibile di circa 1,5 miliardi di euro.

L’alluvione ha sommerso i campi con la perdita di almeno 400 milioni di chili di grano decimando anche le semine del Senatore Cappelli, un grano duro antico che ha più di 100 anni, sottolinea Coldiretti, selezionato nel 1915 dall’agronomo Nazareno Strambelli che lo ha così chiamato in onore del senatore del Regno, Raffaele Cappelli. Una varietà che negli anni 60 ha iniziato a scomparire prima di essere recuperato negli ultimi anni. Ma l’esondazione ha sommerso anche i frutteti “soffocando” le radici degli alberi fino a farle marcire con la necessità di espiantare e poi reimpiantare quasi 15 milioni di piante tra pesche, nettarine, kiwi, albicocche, pere, susine, mele, kaki e ciliegi. E tra queste le pesche e le nettarine di Romagna Igp le cui origini risalgono al XIX secolo, ma anche le albicocche Reale e Val Santerno di Imola, due varietà autoctone di grande qualità che già dal 1900 rappresentano una delle principali fonti di reddito per le aziende agricole del territorio e ha senz’altro contribuito ad arginare l’esodo rurale. Minacciate anche la Ciliegia di Cesena così come la fragola di Romagna, i cui campi sono da decenni parte integrante del paesaggio rurale dell’entroterra ed ora sotto finiti sott’acqua. Preoccupante è la situazione anche per i 250mila bovini, maiali, pecore e capre allevati nelle stalle della Romagna alluvionata dove si contano anche circa 400 allevamenti avicoli, tra polli, galline da uova e tacchini dove secondo la Coldiretti si evidenziano purtroppo diverse situazioni di criticità con migliaia di animali morti e affogati. In pericolo è per Coldiretti l’azione di recupero delle razze storiche da parte degli allevatori, dal maiale di mora romagnola ai bovini da carne di razza romagnola, che nel passato avevano rischiato l’estinzione.

Italia – Serbia, Rottigni (Intesa SP) agribusiness in crescita

Italia – Serbia, Rottigni (Intesa SP) agribusiness in crescitaRoma, 20 mag. (askanews) – “L’Italia è il 2° Paese in UE per incidenza dell’agrifood sul PIL (ca 4%) e un export agroalimentare nel suo complesso che, dopo il record del 2021 (oltre 50 miliardi di euro di esportazioni), segna nel 2022 una crescita tendenziale del +15,3%. Per quanto riguarda la Serbia il contributo del settore agricolo ammonta al 6,3% del PIL, quota che sale al 9% se consideriamo l’intero agrifood e dà occupazione a circa un sesto della forza lavoro complessiva”.

Lo ha detto Marco Rottigni, Responsabile della Divisione International Subsidiary Banks di Intesa Sanpaolo, è intervenuto oggi all’inaugurazione della Novi Sad International Agricultural Fair, la più importante fiera agricola dell’Europa sud-orientale, alla presenza del Ministro dell’agricoltura, della sovranità alimentare e delle foreste, Francesco Lollobrigida, del Ministro dell’agricoltura Jelena Tanaskovic e di altre autorità italiane e serbe. “Va poi rilevata – ha aggiunto Rottigni – un’intonazione fortemente positiva dell’export agroalimentare, in crescita nel 2022 di oltre il 20%. Nel campo dell’agri-tech e dell’esportazione di macchinari agricoli, un settore in cui siamo il secondo fornitore della Serbia, l’export italiano nel 2022 è cresciuto del 26,6% rispetto al 2021, come recentemente sottolineato anche dall’Ambasciatore Luca Gori”.

“Il Gruppo Intesa Sanpaolo – ha proseguito il banchiere – mette a disposizione delle Istituzioni e delle imprese serbe e italiane risorse economiche e professionali per rafforzare la collaborazione tra i due Paesi, con particolare attenzione all’agri-business e allo sviluppo di una filiera agricola euromediterranea all’insegna dell’eccellenza”. “In Italia, Intesa Sanpaolo ha sviluppato – ha concluso Rottigni – competenze altamente qualificate e servizi su misura per il settore agricolo e in particolare in chiave ESG, grazie alle competenze e alle professionalità della Divisione Banche dei Territori, guidata da Stefano Barrese. Anche in Serbia, dove siamo attivi dal 2005 con Banca Intesa Beograd, prima banca del Paese e autentico motore dell’economia locale e delle relazioni tra imprese serbe e italiane, siamo fortemente impegnati nel finanziare la produzione agricola e agroalimentare, che rappresenta il 9% del Pil, e riserviamo crediti agevolati per i progetti imprenditoriali che rispettano i criteri della sostenibilità e dell’economia circolare. In Serbia e negli altri 11 Paesi dell’Europa Centro-sud-orientale e del Medio Oriente dove operano le banche commerciali della Divisione International Subsidiary Banks, il Gruppo Intesa Sanpaolo supporta la crescita sostenibile dell’agri-food avvalendosi in chiave sinergica delle risorse tecniche e professionali della Direzione Agribusiness. Anche per il settore dell’agri-food abbiamo avviato con successo il Programma Sviluppo Filiere, già attivo da tempo in Italia, grazie al quale le pmi di Paesi quali la Serbia beneficiano delle condizioni di accesso al credito delle imprese maggiormente strutturate a capo delle filiere stesse”.

Lo zafferano diventa un liquore digestivo: l’idea della milanese Tre cuochi

Lo zafferano diventa un liquore digestivo: l’idea della milanese Tre cuochiMilano, 19 mag. (askanews) – Se la sua tradizionale collocazione è nel risotto alla milanese, i suoi usi, in realtà, possono spaziare dall’antipasto al dolce, fino al digestivo. La conferma arriva dall’ultimo nato in casa Zafferano Tre cuochi, azienda milanese con quasi 90 anni di storia, che ha pensato di utilizzare i pistilli per realizzare un elisir digestivo.

Zafferano Tre cuochi, infatti, ha avviato una collaborazione con la Distilleria Quaglia, che dal 1890 realizza liquori nell’Astigiano, e ne è nato il Liquore Zafferano 3 Cuochi, naturalmente giallo e dal profumo caratteristico della spezia. Per l’azienda milanese non si tratta della prima collaborazione con altre realtà imprenditoriali. In precedenza il suo zafferano aveva sposato il ragù de La granda, i biscotti della pasticceria Clivati e ancora il cremino di Gobino. Ora, questo liquore, disponibile per tutta l’estate sul sito della Distilleria Quaglia, arriva a completare idealmente un menù a base di zafferano, candidandosi come ideale fine pasto: le proprietà benefiche dello zafferano, preservate dopo la distillazione, favoriscono, infatti, la digestione e aiutano a riattivare il metabolismo. Ma il consumo in purezza è solo una delle possibilità. Il liquore allo zafferano si presta anche alla preparazione di cocktail, andando in contro a una tendenza, quella della mixology, sempre più diffusa. Dal gin tonic al moscow mule, dallo spritz al gold fashion, questo nuovo distillato può conferire personalità alle ricette più classiche.

Un mixology expert come Mattia Pastori, con esperienze italiane e internazionali importanti alle spalle come il Park Hyatt, Armani Hotel, Madarin Oriental, ne ha ideati due, il Saffron Margarita, un drink estivo reso morbido dall’aria salata allo Zafferano 3 Cuochi, e Gold Negroni, un twist dorato su un grande classico della miscelazione dal gusto tondo e corposo grazie allo zafferano. Entrambi i cocktail saranno disponibili fino al 31 maggio presso Vertigo Osteria Contemporanea, il locale in zona Garibaldi a Milano dello chef pluristellato Enrico Bartolini.

Imprese agricole: scelte gestionali fanno differenza più della dimensione

Imprese agricole: scelte gestionali fanno differenza più della dimensioneMilano, 18 mag. (askanews) – “Sono numerose le informazioni disponibili e puntuali sull’andamento dell’agricoltura italiana in termini di volumi di produzione e valore aggiunto, ma sono anche poche le fonti informative veramente affidabili, che riportino le informazioni economico-finaziarie delle imprese agricole italiane”. In questa frase del direttore dell’Agri Lab Sda Bocconi, Vitaliano Fiorillo, c’è, seppur implicitamente, la sintesi di molte delle caratteristiche strutturali del comparto agricolo italiano, spesso all’origine di alcuni dei limiti al suo sviluppo. Proprio nel tentativo di approfondire la conoscenza del settore, dalla collaborazione tra Crédit Agricole Italia e l’Invernizzi Agri Lab di Sda Bocconi School of management, è nato il primo libro “Agricoltura tra sostenibilità e innovazione”. Grazie ai dati raccolti in forma anonima da Credit Agricole e all’analisi da parte dell’Agri Lab dei dati aggregati di oltre 2.000 aziende agricole, lo studio restituisce un report sulla performance economico-finanziaria del settore, colmando un vuoto.

La storica assenza di dati economico-finanziari è riconducibile alla natura societaria delle imprese agricole stesse, per oltre il 90% costituita da ditte individuali o società di persone, che non avendo l’obbligo di pubblicare un bilancio non lo redigono proprio. Ma la struttura societaria rivela anche l’estrema frammentazione del tessuto imprenditoriale, fatto di medie, piccole e piccolissime imprese dove la managerializzazione è ancora un passaggio lontano dal compiersi, dove la concentrazione è difficile e dove l’età media degli agricoltori è tutt’altro che bassa. Vitaliano su questo punto smonta un’altro mito recentemente affermatosi, quello secondo cui l’agricoltura sarebbe sempre più in mano ai giovani. “Secondo l’Istat c’è una decrescita delle imprese agricole guidate da under 35, sono solo il 10% del totale” ha spiegato sottolineando come questo sia in forte correlazione inversa con l’innovazione. “Dai numeri vediamo tanti investimenti su macchine e terreni, ma l’innovazione non è solo macchine e terreni, è nuovi modo di lavorare e nuove tecnologie. Il ricambio generazionale c’è stato in parte sulla carta ma poi non si è tradotto nei fatti e questo rallenta la transizione tecnologica”. Proprio sul fronte dell’innovazione i “32 miliardi di euro investiti nel 2021 nell’agritech ci dicono che c’è qualcuno che vede un’opportunità in questo settore perchè è uno di quelli a maggior potenziale di sviluppo ma ci sono molti ostacoli come la frammentazione eccessiva, il fatto che sia esclusa la possibilità di un ingresso di nuovi soci nel capitale”. Non solo: oggi chi investe vuole informazioni sulla sostenibilità che spesso mancano. “C’è l’idea che il settore agricolo sia sostenibile per definizione ma in realtà è tra i primi otto comparti più inquinanti e se si aggiungono le attività di deforestazione per convertire territori all’agricoltura diventa il primo”. Per favorire la transizione ecologica e tecnologica del comparto il controllo dei numeri diventa improcrastinabile. E questo studio mette un punto fermo su questo fronte, perchè grazie ai dati raccolti permette di valutare la redditività operativa, la solidità e la liquidità delle imprese con risultati che in alcuni casi contraddicono le aspettative. Per esempio la redditività risulta maggiore nelle imprese più piccole, quelle fino a 30 ettari. All’aumentare della superficie coltivata, infatti, aumenta il fatturato e si riducono i costi di produzione e del personale per ettaro ma questo non si traduce in maggiore reddittività. “Ma questo – avverte Luca Ghezzi, docente di Management e control system Sda Bocconi – non vuol dire che piccolo è bello. In realtà noi siamo giunti alla conclusione che il piccolo è più che altro controllabile e quindi dal punto di vista della efficienza e della produttività è più facile da gestire. Nel piccolo non c’è un vero e proprio passaggio manageriale ma la ridotta dimensione permette di mettere un po’ più di attenzione e di controllo, sul grande serve più managerializzazione”.

Parlando sempre di redditività è interessante notare come quest’ultima premi le aziende bio (158 quelle inserite nel campione dello studio): “E’ nettamente superiore a quella delle imprese agricole convenzionali ma non è il margine maggiore a premiarle – spiega Ghezzi – ma la produttività del capitale, il rapporto tra ricavi e capitale investito”. Ecco quindi che a fare la differenza sono proprio le scelte gestionali, come emerge anche dalla scelta delle coltivazioni, con le legnose e gli ortaggi più premianti rispettoalle altre. Altre rilevazioni riguardano poi l’impatto dei contributi della PAC e la solvibilità delle aziende agricole. Su questo ultimo punto lo studio conferma che le aziende agricole sono riescono a soddisfare le obbligazioni creditizie contratte coprendo in poco tempo la loro posizione finanziaria. E questo è un indicatore utile per gli operatori finanziari, che possono contare su un ulteriore strumento per contestualizzare il settore in cui si muovono le aziende

“Crédit Agricole Italia vanta un’esperienza storica nel settore agri-agro, comparto di eccellenza per il nostro Paese – ha detto Vittorio Ratto, vicedirettore generale retail e gigital di Crédit Agricole Italia – Siamo sicuri che il nostro impegno e gli strumenti messi a disposizione dall’evoluzione digitale unitamente ad iniziative come questa, possibili grazie alla collaborazione con una grande Università come la Bocconi, ci permetteranno di realizzare indagini prospettiche decisive per comprendere e delineare l’evoluzione delle aziende del settore in termini di ottimizzazione delle risorse e sostenibilità”.

Bresaola Igp: troppo cara per metà degli italiani, a marzo consumi -14%

Bresaola Igp: troppo cara per metà degli italiani, a marzo consumi -14%Milano, 18 mag. (askanews) – È conosciuta per la praticità e il suo profilo nutrizionale, ma la Bresaola della Valtellina Igp perde terreno nella classifica dei salumi preferiti dagli italiani, passando dal terzo al quinto posto, dopo prosciutto (crudo e cotto), salame e mortadella. Un arretramento che va di pari passo alla flessione nei consumi: solo nel marzo 2023 è calata del 14%, ma ormai da mesi si parla di perdita a due cifre. Il prezzo è la ragione principale di questa riduzione dei consumi: un italiano su due afferma che oggi costa troppo per le proprie disponibilità economiche, soprattutto a confronto con altri salumi, orientandosi verso altri prodotti e insaccati come il prosciutto crudo (43%), il prosciutto cotto (39%) la mortadella (26%) e il salame (20%). Tra le ragioni di questa scelta, per il 43% del campione incide il miglior rapporto qualità/prezzo. Mentre solo per due italiani su 10 la causa della disaffezione va cercata nel cambiamento dello stile di vita (vegetariano/vegano) o in ragioni etiche. È quanto emerge dalla ricerca Doxa “Gli italiani e la Bresaola della Valtellina Igp” commissionata dal Consorzio di tutela bresaola della Valtellina su un campione rappresentativo della popolazione italiana di 1000 persone tra i 18 e i 74 anni.

“Sono calati i consumi ma l’immagine della Bresaola della Valtellina Igp resta alta – commenta Mario Francesco Moro, presidente del Consorzio di Tutela – C’è dunque da sperare che nei prossimi mesi la tendenza possa essere invertita, proprio perché il passaggio a prodotti percepiti come meno salutari, alla lunga, può diventare un problema per il consumatore. Lo diciamo da mesi: spendere qualcosa in più per un prodotto di qualità diventa una scelta vincente, anche se complessa per l’economia familiare. Ed è forse arrivato il momento di ragionare attentamente, anche con la Gdo, sul ruolo di rilancio dei consumi, che potrebbe avere una rinnovata attenzione alle politiche promozionali. Il fattore prezzo frena un consumatore affezionato”. Il fatto che gli italiani abbiano difficoltà ad acquistare il salume tipico valtellinese, per l’assottigliarsi del potere d’acquisto, non significa che sia cambiata la percezione del prodotto. Tra i motivi del consumo, a pari merito si piazzano proprio la praticità/velocità di preparazione (51%) e il suo essere leggera e proteica con un buon rapporto qualità/quantità proteine/prezzo (50%) a cui fa seguito il suo essere sinonimo dell’eccellenza made in Italy, garantita da una certificazione Igp (37%).

C’è consapevolezza sul fatto che rinunciare a consumare Bresaola della Valtellina Igp significhi orientarsi verso salumi meno cari (37%), meno leggeri (37%) e con un minor apporto proteico (22%). Interrogati sui plus nutrizionali della Bresaola, in generale gli italiani sono molto bene informati: più di uno su due riconosce che è adatta prima e dopo l’attività fisica (54%), che è conveniente perché a fronte di un alto introito proteico non ha scarti, solo l’1% finisce nel cestino, la confezione (52% degli intervistati), e che contiene importanti sali minerali, tanto da essere considerata al pari di un “integratore naturale” (58%). Addirittura, sei italiani su 10 (59%) le riconoscono di essere un alimento prezioso grazie al contenuto di vitamine e per il 56% è alleata del buonumore grazie al Triptofano. Tra gli asset vincenti della Bresaola della Valtellina Igp, il gusto balza al primo posto per il 56% degli italiani, a cui fa seguito la leggerezza (53%) e la praticità (42%). Tra i pregi della Bresaola della Valtellina IGP, il 36% degli italiani oggi indica prima di ogni altra cosa la praticità. Fanno seguito, a pari merito (35%), il gusto e la leggerezza.  L’indicazione geografica protetta ha conferito più valore al salume, secondo il consumatore: infatti otto italiani su 10 scelgono quella certificata. Tra i motivi di questa scelta, per il 53% c’è proprio la garanzia della certificazione Igp, a cui fa seguito con poco stacco (48%) la qualità della materia prima (solo carni selezionate e di prima scelta) e la garanzia di sicurezza fatta di controlli a tutti i livelli (43%). Tra i motivi di scelta della Bresaola non certificata, per 8 italiani su 10 dipende dal fatto che il salume non certificato costa meno. Oggi la Bresaola della Valtellina IGP è il salume preferito per 3 italiani su 10 (30%) soprattutto per i Millennials (35%) e interrogati sulla frequenza di consumo della Bresaola della Valtellina IGP, più della metà degli italiani (53%) la mangia almeno una volta alla settimana (tra questi, 2 su 5 la mangiano più volte a settimana). Mentre quasi 1 italiano su 2 (47%) la consuma meno di una volta a settimana.