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Torrina Tiberina, la mostra “Idiomi” di Anna Maria Angelucci

Torrina Tiberina, la mostra “Idiomi” di Anna Maria AngelucciRoma, 6 dic. (askanews) – Anna Maria Angelucci presenta la sua nuova mostra “Idiomi”, una riflessione artistica sulle connessioni tra culture, esplorando attraverso l’arte della ceramica il linguaggio silenzioso degli oggetti e l’universale simbolismo che si cela dietro la forma dei vasi. La mostra, che si terrà dal 7 dicembre 2024 al 26 gennaio 2025, sarà un’esperienza sensoriale e culturale, in grado di stimolare un dialogo profondo tra il pubblico e l’opera.


Il nucleo centrale della mostra poggia la sua ricerca su quattro vasi, ciascuno ispirato a un popolo distante sia nello spazio che nel tempo. I vasi, realizzati in terracotta smaltata con smalto Antico Vietri, sono caratterizzati da forme diverse ma uniti dal comune smalto bianco, che richiama il colore del latte. Un latte che, come l’argilla, è uguale in ogni latitudine, simbolo di un legame profondo e universale tra tutti gli esseri umani, a prescindere dalle differenze culturali. Il lavoro di Angelucci si fonda su una ricerca filologica di questo ancestrale manufatto, che, sin dai tempi antichi, è stato strumento essenziale nella vita quotidiana: contenitore per l’acqua, l’olio, il vino, ma anche per la conservazione di sementi e piante. L’artista si interroga sulle mani che li creavano, sui movimenti, sull’estetica e sulle possibili funzioni di questi oggetti, che potrebbero essere stati portati sulla testa, o aver evocato il corpo femminile o la figura di una donna protettrice del raccolto.


L’uso dello smalto bianco, scelto per le sue trasparenze, mette in risalto la forma essenziale del vaso, privandolo di decorazioni e rimandi decorativi. Ma soprattutto, il bianco del latte, con la sua forza evocativa, diventa un simbolo di maternità e nutrimento, che ha attraversato la storia dell’umanità. Accanto ai vasi, sarà esposta un’opera a parete: un planetario che evidenzia i paesi di riferimento per ciascun vaso, creando un dialogo visivo tra geografia, storia e cultura. L’ambiente della mostra sarà pervaso da suoni e voci, un progetto sonoro e musicale di Riccardo Biagi, autore che in questa occasione collabora con l’artista.


La mostra invita il pubblico a riflettere sul potere del linguaggio silenzioso degli oggetti, che raccontano storie di vita quotidiana, di cerimonie e di lavoro. Un linguaggio che va oltre le parole e che ci parla dell’essenza dell’essere umano, nelle sue diversità e uguaglianze. Inaugurazione: sabato 7 dicembre ore 16:00-19:30. Seconda inaugurazione domenica 15 dicembre ore 11:00-13:00 con la presenza della Sindaca Rita Colafigli, la curatrice e presidente del consiglio Jessica Cuccia e Paola Caprioli Assessore dell’Amministrazione Comunale. Orari di visita: dal 7 dicembre 2024 al 26 gennaio 2025, dal lunedì al venerdì, su appuntamento. Sabato 10:00 – 12:30 | 14:30 – 19:00. Domenica chiuso. Luogo: via Aldo Moro, 38 presso il Castello Baronale del centro storico del Comune di Torrita Tiberina.

Bel Canto, esce il libro “La Bastardella” su Lucrezia Agujari

Bel Canto, esce il libro “La Bastardella” su Lucrezia AgujariRoma, 6 dic. (askanews) – È stato presentato alla Camera dei Deputati il libro “La Bastardella: vita di Lucrezia Agujari, regina del Bel Canto” (Set Editrice) firmato dalla cantante lirica, nonché Segretario Generale dell’Unione Artisti, Dora Liguori. Nel corso della presentazione, indetta su iniziativa dell’On. Grazia Di Maggio, è stata ricordata l’arte e la vita di quella che viene considerata la più grande esponente del Bel Canto, inserito dall’Unesco nella Lista del Patrimonio immateriale dell’Umanità. “Il bel canto – ha dichiarato la Di Maggio – non è solo un tratto distintivo della nostra storia musicale ma una parte della nostra identità. È nato qui in Italia e non è un caso che sia stato recentemente riconosciuto dall’Unesco come patrimonio immateriale dell’umanità. Voglio ringraziare la professoressa Liguori per questa preziosa opera che ci restituisce la memoria di un artista il cui talento merita di essere conosciuto e apprezzato anche dalle nuove generazioni. La cultura non è solo del passato, ma una leva fondamentale per il futuro”.


La Agujari, la cui estensione vocale arrivava, ineguagliata, a toccare le tre ottave e mezza, fu definita per le sue doti vocali e il suo incredibile carisma ‘l’incantatrice d’Europa’. “Non si può non ricordare la più grande di tutte le cantanti italiane che è Lucrezia Agujari detta la bastardella – ha dichiarato Dora Liguori – una grande cantante della seconda metà del Settecento celebrata in tutta Europa che ha alle sue spalle una grande testimonianza di Mozart padre e figlio, altrimenti non sapremmo di questa sua grande estensione vocale che viene raccontata da tutte le critiche dell’epoca. Lei è stata anche una grande donna e femminista. Trovata in un immondezzaio dall’avvocato Agujari, nonostante lui l’avesse adottata, prima che lo dicessero gli altri si faceva chiamare ‘la bastardella’ e diceva sempre: io sono mia; tant’è vero che riteneva talmente tanto di essere una sua proprietà che non ha mai voluto sposare il suo compagno (il compositore Giuseppe Colla, ndr), del quale era innamoratissima, al quale ha dato due figli, lo fa solo verso la fine. Anche il matrimonio era una maniera per compartecipare con un altro la sua persona e lei voleva essere sua. Questa è la grandezza di Lucrezia Agujari, grande cantante e grande femminista”. Nel corso della sua breve vita (morì di tubercolosi a soli 36 anni), la Agujari fu sempre una donna profondamente libera e anticonformista, una sorta di femminista “ante litteram” che non accettò mai legami o imposizioni.

Koyo Kouoh alla Biennale Arte, il senso di una scelta da istituzione

Koyo Kouoh alla Biennale Arte, il senso di una scelta da istituzioneMilano, 6 dic. (askanews) – Era una scelta molto attesa, perché rappresentava in un certo senso il primo atto “forte” della presidenza di Pietrangelo Buttafuoco alla Biennale di Venezia, una sorta di manifesto della visione che informa e, si suppone, informerà il suo mandato. La nomina di Koyo Kouoh, curatrice nata in Camerun nel 1967 e poi cresciuta in Svizzera, alla direzione della Biennale Arte del 2026 può avere sorpreso, spesso in tono positivo, alcuni commentatori. Ma, guardata a freddo, era probabilmente – nella tipologia e nella modalità di scelta, non nel singolo nome – la strada in assoluto più probabile.


Perché è stata la scelta dell’istituzione Biennale di Venezia, prima che del suo presidente o consiglio di amministrazione, la scelta di un soggetto culturale basato in Italia, ma profondamente internazionale, che da anni porta avanti una politica di dialogo con il mondo che ne ha riconsolidato lo status a livello globale e ha permesso alla Biennale di essere ancora rilevante all’interno del più grande Sistema dell’arte. Che, basti guardare per esempio un indicatore divulgativo come la classifica dei Power 100 di Art Review, la cui ultima edizione è fresca di pubblicazione e nella quale Kouoh è in 16esima posizione, per capire che ciò di cui si parla è un mondo globale, plurale, dedito a sostenere i concetti di diversità, inclusione e diversità. Temi che hanno sostenuto la Biennale Arte di Adriano Pedrosa che si è appena conclusa e che appartengono alla visione dell’istituzione veneziana già da molti anni e che le precedenti presidenze di Baratta e Cicutto hanno sostenuto con determinazione. Per questi motivi oggi, sicuramente anche con il più facile senno di poi, è possibile dire che una scelta alla Kouoh era pressoché inevitabile, in quanto naturale nel seno dell’istituzione. A Buttafuoco va riconosciuta l’interpretazione istituzionale e la costruzione di una sua postura all’interno dell’identità contemporanea della Biennale di Venezia, nonché la scelta di un profilo alto e consapevole del ruolo. In un sistema della politica culturale italiana che spesso, come testimoniato dalle cronache degli ultimi mesi, ha dato un’immagine di sé che comprendeva rivelazioni scandalistiche o atteggiamenti di occupazione e polemiche su nomine e incarichi, da Venezia arriva un messaggio diverso, in linea con lo “standing” della Biennale, che oggi è bello pensare sia qualcosa di acquisito.


Koyo Kouoh, prima donna africana a dirigere la Mostra Internazionale d’arte, è dal 2019 direttrice esecutiva e Chief Curator dello Zeitz Museum of Contemporary Art Africa (Zeitz MOCAA) a Città del Capo, in Sudafrica. È stata direttrice artistica fondatrice di RAW Material Company, un centro per l’arte, la conoscenza e la società a Dakar, Senegal. Ha fatto parte del team curatoriale di documenta 12 (2007) e documenta 13 (2012). Nel 2020 ha ricevuto il Grand Prix Meret Oppenheim, premio svizzero che riconosce successi nei campi dell’arte, dell’architettura, della critica e delle esposizioni. Vive e lavora tra Città del Capo, Sudafrica; Dakar, Senegal; Basilea, Svizzera. Attenta ai temi del femminismo, della sessualità, della valorizzazione di artiste e artisti africani, è chiamata ora a una sfida complessa come quella della Biennale Arte. Al netto di tutte le considerazioni sul senso e il valore della sua nomina, da oggi inizia il percorso per “fare” la sua Biennale e rinnovare, una volta di più, il discorso sull’arte e il contemporaneo nel nostro presente liquido e digitale.


(Leonardo Merlini)

Il libro Treccani 2024 incorona Sophia Loren personaggio dell’anno

Il libro Treccani 2024 incorona Sophia Loren personaggio dell’annoRoma, 5 dic. (askanews) – La grande bellezza di Sophia Loren personaggio dell’anno 2024: per il Libro dell’Anno Treccani 2024 è l’emblema della femminilità italiana e un mito del cinema Sophia Loren, che ha compiuto 90 anni il 20 settembre scorso, è stata scelta come Personaggio dell’Anno 2024 dalla Treccani che la considera un simbolo assoluto dell’essere donna.


In un testo scritto da Gianluca Nicoletti per il Libro dell’Anno Treccani 2024, la grande attrice napoletana viene indicata come modello dell’italianità muliebre in ogni vertiginoso splendore, come pure in ogni sua possibile fragilità. L’emblema della femminilità italiana più famoso nel mondo, mai appannato e mai sorpassato dal perentorio mutare delle mode estetiche. Di umili origini, al punto che resta vivo il ricordo di sua madre che chiedeva l’elemosina per sfamarla, Sophia Loren trova nel cinema la grande occasione di riscatto dalle macerie dell’Italia postfascista; e il cinema è stato lo specchio fatato della sua vita e l’ha consacrata in un mito. C’è una parte inconfessabile della cultura di cui siamo figli nella pizzaiola fedifraga de L’oro di Napoli (1954) a cui il marito sospettoso per la sua prolungata assenza da casa chiede: «Ma quanto è durata questa messa?» E lei risponde con l’innocenza della più strafottente impudicizia «Eh, ma c’è stata pure la benedizione…», in un’epoca di soffocante bigottismo dove l’adulterio era penalmente perseguibile. Sex symbol irraggiungibile e madre esemplare per i propri figli, Sophia Loren è stata capace di aggiungere gloriosa sensualità alla battaglia per la dignità dell’ex prostituta Filumena Marturano – che per dare un cognome ai figli inganna l’amante pusillanime – e di restituire una sembianza indelebile alla tragedia materna de La Ciociara, storia indicibile che testimonia lo stupro di guerra, che le valse un Oscar; e di esprimere in Una giornata particolare di Ettore Scola – quella della visita a Roma di Adolf Hitler il 6 maggio 1938 – la delicatezza di una passione impossibile che fa intuire l’orrore che seguirà a quella visita.


La Loren è stata un inno alla leggerezza e alla gioia dei sensi. Persino il cliché del legame sentimentale con il grande produttore Carlo Ponti è diventato per lei una storia d’amore eterno, indubitabile, inattaccabile da pettegolezzi e ombre. Sophia Loren resta esemplare anche quella mattina del 1982 in cui prese un aereo dalla Svizzera per costituirsi a Roma, sapendo che l’aspettava la prigione: atterrò a Fiumicino dove ad attenderla c’era una folla di fotografi e giornalisti e scese dell’aereo con un sorriso abbagliante abbracciata a un mazzo di fiori, come solo una vera diva sa fare, per farsi arrestare e scontare 17 giorni in carcere;da innocente, come stabilì poi la Cassazione nel 2013, più di 30 anni dopo. Il Libro dell’Anno Treccani 2024, diretto da Marcello Sorgi, ricostruisce i 365 giorni appena trascorsi – cronaca e politica, ma anche molto altro: dalle conquiste della scienza e della tecnologia ai Nobel assegnati, dagli appuntamenti dell’arte, della musica e del cinema a tutti i protagonisti dello scenario nazionale e internazionale, sino al nuovo presidente degli Stati Uniti – attraverso 1040 approfondimenti, 90 articoli di grandi firme del giornalismo, della cultura e dell’economia, 74 box redazionali, 100 grafici e mappe e 487 immagini

All’Aeroporto di Olbia la mostra “La dolce vita di Fellini e Catozzo”

All’Aeroporto di Olbia la mostra “La dolce vita di Fellini e Catozzo”Roma, 5 dic. (askanews) – È stata inaugurata presso l’Artport Gallery e la Sala Arrivi dell’Aeroporto di Olbia la mostra fotografico-documentale La dolce vita di Fellini e Catozzo: tra sogno, magia e realtà, un omaggio straordinario al genio cinematografico di Federico Fellini e al talento innovativo del montatore Leo Catozzo. Ideata e organizzata dall’associazione culturale Il Leone e le Cornucopie, l’esposizione si propone di esplorare aspetti inediti della vita professionale e privata del maestro riminese, intrecciando le sue esperienze artistiche e umane in una narrazione unica.


Presenti al taglio del nastro i direttori artistici Fabio Alescio e Tiziana Biscu, il Ceo di Geasar S.p.A. – Olbia Costa Smeralda Airport Silvio Pippobello, le dirigenti dell’Assessorato al Turismo della Regione Sardegna Alessia Pillai e Valentina Pisano, il figlio di Leo, Alberto Catozzo e Costantino Frontalini, presidente del Museo del Sidecar di Cingoli. Uno degli aspetti più suggestivi della retrospettiva è la sezione dedicata alle motociclette, un tema che attraversa quasi tutta la produzione cinematografica di Fellini. Le due ruote, pur non essendo mai state parte della vita personale del regista, occupano un ruolo simbolico fondamentale nei suoi film, rappresentando libertà, ribellione e modernità. La mostra riunisce nove motocicli originali, accuratamente restaurati dal Museo del Sidecar di Cingoli, che trasportano il visitatore in un viaggio emozionante attraverso la carriera e l’immaginario felliniano.


Tra i pezzi più iconici spicca il motocarro Zampanò, protagonista del capolavoro La Strada (1954), un veicolo spartano che rappresenta il duro e poetico vagabondare del personaggio interpretato da Anthony Quinn. Costantino Frontalini, direttore del museo marchigiano dove sono conservati molti veicoli dei principali film dell’industria cinematografica italiana a soggetto motociclistico, sottolinea la presenza in mostra del veicolo simbolo de La dolce Vita, la vespa sulla quale i paparazzi fuggivano dopo aver immortalato scatti rubati: “il loro era un mestiere in velocità per potersi guadagnar da vivere – afferma – e grazie ad un veicolo come questo, che li facilitava per le due ruote e il cestello posizionato sul manubrio anteriore per riporre la proprio macchina fotografica e il flash, riuscivano a collezionare risultati sorprendenti. Non solo un mezzo di trasporto, quindi, ma un vero e proprio strumento di lavoro”.


In mostra anche l’imponente Harley-Davidson WL 750 di Amarcord (1973), una moto che Fellini trasformò in un archetipo del motociclista, celebrandone il fascino mitologico. Più recente, ma altrettanto significativa, è la Ducati Indiana 650 di La Voce della Luna (1990), ultima opera del regista, dove la moto diventa un’estensione onirica della ricerca di libertà e sogno. Altri mezzi in esposizione includono il sidecar utilizzato in I Clowns (1971), che rievoca il mondo del circo caro al regista, e la Moto Guzzi 500 de La Città delle Donne (1980), simbolo dell’autorevolezza ribaltata in chiave surreale. Ogni veicolo è accompagnato da pannelli esplicativi che raccontano il contesto cinematografico e le modifiche apportate per adattarli alle esigenze dei set, offrendo al pubblico un’esperienza di immersione totale nell’universo felliniano.


La mostra celebra anche il rapporto professionale e umano tra Fellini e Leo Catozzo, montatore di capolavori come La Strada, Le Notti di Cabiria, La Dolce Vita e 8½. In esposizione, alcuni prototipi originali della celebre pressa Catozzo, un’invenzione rivoluzionaria che ha cambiato per sempre il montaggio cinematografico. La “Cabiria” fu utilizzata per la prima volta durante la lavorazione di Le Notti di Cabiria, guadagnando a Leo Catozzo un Oscar Tecnico (Technical Achievement Award) nel 1990. “La mostra testimonia una grande amicizia tra mio padre e Fellini – rivela il figlio di Leo, Alberto Catozzo – e stimola una serie di ricordi della mia infanzia, legati tanto alla sfera affettiva che a quella professionale. Il successo della pressa Catozzo fu infatti rilevante nella realizzazione di due dei capolavori felliniani assoluti, La Dolce Vita e Otto e Mezzo, ma quando per mio padre subentrarono successivamente altre sfide lavorative e lui e Fellini si dovettero allontanare, i rapporti si incrinarono inevitabilmente”. Nell’ambito dell’inaugurazione sono state anche distribuite copie del volume Leo Catozzo. La dolce vita di Fellini e Catozzo, a cura di Silvia Nonnato ed è stato annunciato dagli organizzatori il calendario degli eventi culturali previsti all’interno della mostra: le proiezioni de La dolce Vita e Amarcord, rispettivamente l’11 e 14 dicembre alle ore 20:00, entrambe nella versione restaurata dalla Cineteca di Bologna, e il doppio evento musicale in programma il 16 dicembre a partire dalle ore 21:00, con l’esibizione del maestro Gian Domenico Anellino che eseguirà le più famose colonne sonore del cinema e la performance del Gruppo Gospel di Olbia Movin’on Up Gospel Choir che concluderà la serata con i canti natalizi. La dolce vita di Fellini e Catozzo: tra sogno, magia e realtà sarà aperta al pubblico fino al 31 dicembre 2024, con ingresso libero a tutti.

Dieci anni di Bosco Verticale, Boeri: una energia della città

Dieci anni di Bosco Verticale, Boeri: una energia della cittàMilano, 5 dic. (askanews) – Il Bosco Verticale ha compiuto dieci anni e per l’occasione Rizzoli pubblica un libro dedicato ai due grattacieli verdi progettati da Stefano Boeri e inaugurati a Milano nel 2014. Un’occasione per raccontare l’edificio, ma anche il clima nel quale è nato. “Credo che Milano abbia vissuto negli anni subito precedenti ad Expo, negli anni in cui si è inaugurato il Bosco Verticale – ha detto Boeri ad askanews – una accelerazione portentosa. Operatori pubblici, operatori privati, hanno tirato fuori dal cassetto progetti che erano interrotti, hanno scelto di accelerare i progetti che erano in corso, hanno scelto di riprendere progetti abbandonati e devo dire la città ha fatto in sei anni quello che normalmente una città vede realizzarsi in vent’anni. Il Bosco è stato uno di queste energie che hanno in qualche modo modificato il carattere sia fisico che anche simbolico di Milano”.


In questi dieci anni la sagoma del Bosco è diventata parte della stessa identità di Milano, ne ha modificato il paesaggio, architettonico certo, ma anche sentimentale. Il paesaggio come forma del nostro stare dentro un ambiente. “Io credo che forse la cosa più inaspettata e più interessante del Bosco – ci ha detto ancora l’architetto – sia che il suo paesaggio è cangiante, cioè continua a cambiare e continua a modificarsi nel tempo: cambia colore, cambia forma, perché le piante crescono, le piante cambiano colore, perdono le foglie, riprendono le foglie. E questo ecosistema vivente fa diventare un’architettura che solitamente è una presenza fissa, certo che riflette i colori, le luci, ma che è sostanzialmente statica, la fa diventare un organismo cangiante”. Accanto all’aspetto architettonico, poi, c’è un discorso sociale, c’è il tema di una transizione ecologica che per Boeri deve necessariamente lavorare sulle disuguaglianze, deve essere per tutti, altrimenti non potrà essere reale. “Questo è un punto molto importante, molto delicato – a concluso Stefano Boeri – e nel piccolo della nostra professione di architetti questo è un tema importantissimo. Per questo noi abbiamo lavorato tanto per dimostrare che è possibile realizzare un edificio come il Bosco Verticale anche in condizioni diverse, che un Bosco Verticale può essere accessibile a tutti in affitto, in social housing, come abbiamo dimostrato possibile in Olanda a Eindhoven qualche anno fa. È un tema su cui oggi stiamo ancora lavorando, usando la prefabbricazione, usando il legno, una serie di elementi che migliorano non solo la qualità, non solo la sostenibilità, ma l’accessibilità di questi edifici”.


Si può discutere a lungo su questi aspetti e sulla relazione tra l’architettura e la società, ma è fondamentale che certi temi restino sul tavolo, restino nel dibattito, anche grazie a un progetto come quello del Bosco Verticale. (Leonardo Merlini)

Urban vision compie 20 anni e si trasforma in media company

Urban vision compie 20 anni e si trasforma in media companyRoma, 4 dic. (askanews) – Con un percorso già iniziato attraverso l’acquisizione di testate iconiche come Rolling Stone, ArtNews e l’accordo con Viva El Futbol, Urban Vision dà vita a un network editoriale innovativo che includerà attraverso nuove acquisizioni anche contenuti su lifestyle, economia, e molto altro, con l’obiettivo di raggiungere un pubblico ampio e diversificato. Il vero elemento distintivo del network Urban Vision, sarà un nuovo inedito canale di comunicazione urbano: le strade e le piazze delle città. I contenuti editoriali non solo raggiungeranno i lettori tramite i tradizionali mezzi di comunicazione, ma anche attraverso impianti digitali urbani che porteranno l’informazione direttamente nelle principali città italiane, creando un dialogo costante tra i cittadini e i contenuti.


Urban Vision, pioniera nei progetti di comunicazione urbana, maxi digital outdoor e nel fundraising per il recupero del patrimonio artistico, celebra oggi 20 anni di successi, segnati da un costante processo di innovazione. Dal 2004, Urban Vision ha investito nel restauro di 396 opere d’arte e monumenti storici, finanziati con il contributo di fondi privati per un valore complessivo di 298 milioni di euro, contribuendo in modo significativo alla preservazione e valorizzazione del patrimonio culturale italiano. Grazie a un approccio innovativo, l’azienda ha saputo coniugare l’arte, la cultura e il business, trasformando il restauro in un’opportunità per promuovere il patrimonio nazionale. Tra i restauri più significativi realizzati da Urban Vision, spiccano quelli del Duomo di Milano, del Colonnato di San Pietro e della Fontana della Barcaccia, simboli di un impegno costante nella cura e valorizzazione del nostro patrimonio storico.


Urban Vision si è inoltre distinta per il suo approccio innovativo all’arredo urbano. Il concetto di “spazio pubblico” è diventato un veicolo di comunicazione per i brand, ma anche uno strumento per arricchire l’esperienza della città. Progetti di arredo urbano come le cabine digitali in collaborazione con TIM e gli impianti LED interattivi sono solo alcune delle iniziative che hanno reso Urban Vision un punto di riferimento per l’integrazione di estetica e funzionalità nelle città italiane.in media comp Oggi, dopo due decenni di successi nel restauro e nella valorizzazione del patrimonio, Urban Vision intraprende una nuova evoluzione, trasformandosi in una media company. Il network di Urban Vision si distinguerà per un linguaggio innovativo, fatto di reel, di contenuti visivi che coniugano informazione ed immediatezza. Un approccio che intende rendere l’informazione più accessibile e coinvolgente, portando la comunicazione direttamente al pubblico, ovunque si trovi. “Il nostro network è un punto di svolta per l’editoria,” afferma Gianluca De Marchi CEO di Urban Vision: “Non vogliamo solo informare, ma connettere, coinvolgere e rendere l’informazione parte integrante della vita urbana. Con l’unione di contenuti di qualità assoluta, impianti digitali e un linguaggio innovativo, stiamo creando una nuova forma di comunicazione editoriale”


Con questa trasformazione, Urban Vision consolida il suo ruolo di leader nella comunicazione urbana e si prepara a ridefinire le frontiere tra sponsorizzazione del patrimonio, comunicazione digitale e contenuti editoriali. L’azienda punta a sviluppare un modello integrato che valorizzi l’arte e la cultura, creando nuove esperienze per i cittadini e offrendo nuove opportunità per i brand. Un futuro in cui l’innovazione e la conservazione del patrimonio culturale camminano fianco a fianco, generando valore per la comunità e per il mondo delle imprese.

Cultura, BIPM: Italia adempia ai doveri dettati dalle Convenzioni Unesco

Cultura, BIPM: Italia adempia ai doveri dettati dalle Convenzioni UnescoRoma, 4 dic. (askanews) – Rafforzare la consapevolezza nelle Istituzioni e nella società civile del valore culturale, storico e anche economico generato dal patrimonio di Beni Unesco presente nel nostro Paese. È questo l’obiettivo dell’assemblea promossa dall’Associazione Beni Italiani Patrimonio Mondiale, realtà nata nel 1997 che oggi riunisce più di 50 Enti responsabili della gestione dei Beni italiani iscritti nella World Heritage List. L’incontro si è tenuto ieri mattina presso la sala Spadolini del Ministero della Cultura a Roma ed ha visto la partecipazione di Sindaci, Amministratori locali e associati di tutta Italia.


Il nostro Paese può vantare il primato assoluto con ben 60 siti iscritti nella Lista del Patrimonio Mondiale dall’UNESCO: monumenti, centri storici, parchi archeologici e naturali, luoghi ai quali viene riconosciuto di essere uniche, eccezionali testimonianze del percorso dell’essere umano sulla Terra. “Essere insigniti del titolo di ‘Patrimonio Mondiale’ è un grande onore ma, al tempo stesso, costituisce un onere, una responsabilità che ricade sullo Stato e sulle amministrazioni locali che hanno necessità di fare rete e di trovare supporto dalle Istituzioni centrali per tutto ciò che attiene la manutenzione e la valorizzazione di questi luoghi”, ha detto Alessio Pascucci, presidente di BIPM.


Nel corso dell’assemblea, aperta dall’intervento di Emilio Casalini, giornalista e conduttore di “Generazione Bellezza” su Rai Tre, è stato presentato il progetto relativo ad un grande evento da tenersi il prossimo 6 febbraio 2025 a Roma, dal titolo “Incontri e Territori. Designazioni UNESCO a confronto”, da realizzarsi anche grazie al contributo del Ministero della Cultura. “Vogliamo accendere un faro sulla necessità di costruire una nuova consapevolezza dei valori relativi al Patrimonio Mondiale. Chiediamo a tutte le Istituzioni di cogliere questa occasione per l’Italia per poter adempiere al meglio alle opportunità e ai doveri legati alle Convenzioni internazionali dell’UNESCO, in particolare alla Convenzione del Patrimonio Mondiale Culturale e Naturale”, ha aggiunto Pascucci. Per Carlo Francini, coordinatore scientifico di BIPM, “la conservazione e la valorizzazione dei patrimoni mondiali deve essere ricentrata attraverso il contributo che possono offrire gli Amministratori dei territori che li ospitano. È questo il lavoro che l’Associazione intende portare avanti, perché soltanto un territorio consapevole del patrimonio mondiale può fornire le indicazioni utili per una gestione corretta, capace di favorire la convivenza e lo sviluppo sotto tutti i punti di vista”.

Biennale Arte 2026, Koyo Kouoh nominata direttrice

Biennale Arte 2026, Koyo Kouoh nominata direttriceMilano, 3 dic. (askanews) – Il Cda della Biennale di Venezia si è riunito martedì 5 novembre e, su proposta del presidente Pietrangelo Buttafuoco, ha deliberato di nominare Koyo Kouoh direttrice del Settore Arti Visive, con lo specifico incarico di curare la 61esima Esposizione Internazionale d’Arte nel 2026.


Koyo Kouoh, di cittadinanza camerunese e svizzera, è dal 2019 Direttrice Esecutiva e Chief Curator dello Zeitz Museum of Contemporary Art Africa (Zeitz MOCAA) a Città del Capo, in Sudafrica. È stata Direttrice Artistica fondatrice di RAW Material Company, un centro per l’arte, la conoscenza e la società a Dakar, Senegal. Ha fatto parte del team curatoriale di documenta 12 (2007) e documenta 13 (2012). Nel 2020 ha ricevuto il Grand Prix Meret Oppenheim, prestigioso premio svizzero che riconosce successi nei campi dell’arte, dell’architettura, della critica e delle esposizioni. Vive e lavora tra Città del Capo, Sudafrica; Dakar, Senegal; Basilea, Svizzera. “La nomina di Koyo Kouoh alla direzione artistica del Settore Arti Visive – ha spiegato il presidente Buttafuoco – è la cognizione di un orizzonte ampio di visione nel sorgere di un giorno prodigo di parole e occhi nuovi. Il suo sguardo di curatrice, studiosa e protagonista nella scena pubblica incontra, infatti, le intelligenze più raffinate, giovani e dirompenti. Con lei qui a Venezia, La Biennale conferma quel che da oltre un secolo offre al mondo: essere la casa del futuro”.


“L’Esposizione Internazionale d’Arte della Biennale di Venezia – ha commentato Koyo Kouoh – è da oltre un secolo il centro di gravità dell’arte. Artisti, professionisti dell’arte e dei musei, collezionisti, galleristi, filantropi e un pubblico in continua crescita si riuniscono in questo luogo mitico ogni due anni per cogliere il battito dello Zeitgeist. È un onore e un privilegio unici seguire le orme degli illustri predecessori nel ruolo di Direttore Artistico e creare una mostra che spero possa avere un significato per il mondo in cui viviamo attualmente e, cosa più importante, per il mondo che vogliamo costruire. Gli artisti sono i visionari e gli scienziati sociali che ci permettono di riflettere e proiettare in modi che solo questa professione consente. Sono profondamente grata al Consiglio di amministrazione della Biennale e in particolare al suo presidente, Pietrangelo Buttafuoco, per avermi affidato questa missione così importante e non vedo l’ora di lavorare con l’intero team”. Koyo Kouoh ha organizzato mostre significative come Body Talk: Feminism, Sexuality and the Body in the Works of Six African Women Artists, presentata per la prima volta a Wiels a Bruxelles, in Belgio, nel 2015. Ha curato Still (the) Barbarians, la 37a edizione di EVA International, la Biennale d’Irlanda a Limerick nel 2016 e ha partecipato alla 57a Carnegie International a Pittsburgh, Pennsylvania, Stati Uniti, con il progetto espositivo ampiamente documentato Dig Where You Stand (2018), una mostra nella mostra, tratto dalle collezioni dei Carnegie Museums of Art and Natural History. Ha curato il Programma Educativo e Artistico di 1-54 Contemporary African Art Fair a Londra e New York dal 2013 al 2017. È stata l’iniziatrice del progetto di ricerca Saving Bruce Lee: African and Arab Cinema in the Era of Soviet Cultural Diplomacy, co-curato con Rasha Salti presso il Garage Museum of Contemporary Art a Mosca, Russia, e la Haus der Kulturen der Welt a Berlino, Germania (2015-2018).


Attiva nel campo critico della comunità artistica in una prospettiva panafricana e internazionale, Kouoh vanta una lunga lista di pubblicazioni, tra cui When We See Us: A Century of Black Figuration in Painting (2022), uscito in occasione della mostra omonima aperta al Zeitz MOCAA nel novembre 2022; Shooting Down Babylon (2022), la prima monografia sull’opera dell’artista sudafricana Tracey Rose; Breathing Out of School: RAW Académie (2021); Condition Report on Art History in Africa (2020); Word!Word?Word! Issa Samb and The Undecipherable Form (2013); e Condition Report on Building Art Institutions in Africa (2012), per citarne alcune. Dal 2013 al 2017 ha ricoperto il ruolo di Curatrice del Programma Educativo e Artistico della 1-54 Contemporary African Art Fair a Londra e a New York, la prima e unica fiera internazionale d’arte dedicata all’arte contemporanea africana e alla sua diaspora. Durante il mandato allo Zeitz MOCAA, il suo lavoro curatoriale si è concentrato su mostre personali approfondite di artisti africani e di discendenza africana. In questo contesto, ha organizzato mostre con Otobong Nkanga, Johannes Phokela, Senzeni Marasela, Abdoulaye Konaté, Tracey Rose e Mary Evans.

Se il mare diventa il cielo: Adrian Paci cambia il Mudec

Se il mare diventa il cielo: Adrian Paci cambia il MudecMilano, 3 dic. (askanews) – Il mare, nella sua tragica potenza, diventa un grande cielo nello spazio dell’Agorà de Mudec di Milano, un luogo architettonicamente simbolico che ora Adrian Paci, uno degli artisti più consapevoli della scena contemporanea, ha trasformato in una sorta di visione sul Mediterraneo. “Ho immaginato un intervento che potesse emergere da questo spazio – ha detto Paci ad askanews -. Ovviamente è uno spazio bello, ha un design di alto livello, e pensavo come il mio intervento nello stesso tempo potesse essere aderente, ma anche potesse spostare qualcosa, potesse portare a questa bellezza una scossa. E proprio venendo a vedere questo spazio mentre salivo le scale, ho immaginato questa vetrata come se fosse il fondo di un mare e queste finestre come se fossero dei contenitori di storie tragiche che spesso questi mari contengono”.


L’installazione è notevole, cambia radicalmente le condizioni percettive del luogo e apre spazi di pensiero. Ci parla del dramma dei naufragi senza fine, ci parla del ruolo dell’informazione – perché le immagini di onde sono tutte riprese dai quotidiani che le hanno utilizzate per descrivere le notizie delle morti in mare – ma ci parla anche dei nostri sentimenti di fronte alla difficile maestosità delle acque, oltre che dei modi diversi in cui si può guardare a una stessa storia. “Qui siamo di fronte all’evocazione, l’evocazione di storie tragiche – ha aggiunto l’artista albanese -. Però sono anche tutte storie di speranza, dietro tutte queste migliaia di morti c’è comunque una grande speranza, cioè questo mare da queste persone è visto come un grande luogo di speranza. Ecco, in qualche modo non vorrei mai che perdessimo questo orizzonte nel guardare il mare, anche come un territorio che collega le terre, non soltanto che le separa”.


Basta poco per instillare un dubbio, oppure per scardinare perfino la retorica più solidale: perché questo dovrebbe fare l’arte, ossia guardare alle diverse prospettive in modo anche scomodo, ma senza perdere un’idea di tenerezza e cercando così di abbracciare più mondo possibile. Il lavoro di Adrian Paci lo fa ed è proprio per questo che resta così forte e impegnato. L’installazione “Il vostro cielo fu mare, il vostro mare fu cielo”, anticipa la mostra dedicata a tema del viaggio che il Mudec ospiterà nel 2025.