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Grandine: nell’area Mediterraneo l’Italia è il Paese più colpito

Grandine: nell’area Mediterraneo l’Italia è il Paese più colpitoRoma, 17 mar. (askanews) – Le grandinate sono tipicamente eventi di breve durata e di limitata estensione spaziale, fattori che ne complicano notevolmente l’osservazione laddove non siano disponibili strumenti di misurazione a terra, come i radar. I ricercatori dell’Istituto di scienze dell’atmosfera e del clima del Consiglio nazionale delle ricerche di Bologna (Cnr-Isac), utilizzando i dati forniti dai satelliti, hanno indagato l’incidenza dei temporali grandinigeni nel Mediterraneo, un’area di particolare interesse perché è una di quelle maggiormente colpite dagli effetti del cambiamento climatico. Nell’ambito di questa ricerca, pubblicata sulla rivista Eos, è stata definita la prima mappa globale di grandine ad alta risoluzione, realizzata utilizzando un set completo di dati provenienti dallo spazio.
“Abbiamo analizzato l’intera rete di sensori satellitari che fanno parte della missione spaziale internazionale Global Precipitation Measurements (GPM). Questo tipo di sensori consentono di utilizzare una vasta gamma di frequenze di sondaggio e hanno un’elevata copertura spaziale, offrendo notevoli potenzialità in termini di rilevamento e di indagine delle grandinate”, spiega Sante Laviola, ricercatore del Cnr-Isac e primo autore dello studio.
Secondo questa ricerca, l’Italia risulta essere il Paese dell’area mediterranea maggiormente colpito dagli eventi grandinigeni, trainando l’incremento delle precipitazioni nell’intero bacino. “I valori rilevati indicano che negli ultimi vent’anni il Mediterraneo si sta riscaldando il 20% più velocemente rispetto alla media globale, con la conseguente variazione dei regimi delle precipitazioni, che aumentano per intensità e frequenza. Nonostante ci sia una grande variabilità tra un anno e l’altro, in tutta l’area si può notare un trend di aumento, pari al 30%, per quanto concerne le precipitazioni di grandine sia intense che estreme. In particolare, nella nostra Penisola si è raggiunto il numero medio più alto di questo tipo di precipitazioni, che si concentrano maggiormente nel nord durante l’estate, mentre crescono nel centro-sud tra la fine dell’estate e l’autunno”, prosegue il ricercatore del Cnr.
Attraverso questi dati – evidenzia il Cnr – i ricercatori potranno migliorare i modelli metereologici e climatici, supportando anche la gestione del rischio con l’obiettivo di mitigare gli effetti della grandine sul territorio e sulle attività dell’uomo. “Una mappa globale di grandine, che può essere prodotta ogni tre ore, fornisce un’informazione – finora inesistente – utile per poter studiare la distribuzione dei pattern grandinigeni su ogni area del pianeta, e in particolar modo in mare. Se da punto di vista operativo le nostre mappe globali permettono di osservare le grandinate anche su aree del pianeta scoperte da sistemi di misura al suolo, da un punto di vista climatico renderebbero possibile replicare il nostro studio su altri hotspot climatici della Terra”, conclude Laviola.

FameLab Italia: talent show per giovani scienziati fa tappa a Pisa

FameLab Italia: talent show per giovani scienziati fa tappa a PisaRoma, 17 mar. (askanews) – Giovani ricercatori e ricercatrici di tutta la Toscana sono invitati a iscriversi alla selezione regionale di Famelab, che quest’anno si terrà a Pisa. Famelab è la più famosa competizione di divulgazione scientifica al mondo, nella quale i partecipanti devono catturare l’attenzione del pubblico (e della giuria!) raccontando un argomento scientifico in soli 3 minuti. Le pre-selezioni si svolgeranno la mattina del 19 maggio presso la Scuola Normale Superiore, i primi 10 classificati saranno ammessi alle selezioni, che avranno luogo nel pomeriggio dello stesso giorno presso l’Osservatorio Gravitazionale Europeo, che ospita l’interferometro Virgo, a Cascina.
L’edizione pisana di Famelab Italia è organizzata dalle più importanti istituzioni scientifiche e di ricerca del territorio: l’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (INFN), la Scuola Superiore Sant’Anna, la Scuola Normale Superiore, l’Università di Pisa, l’Osservatorio Gravitazionale Europeo (EGO) e l’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV). FameLab è rivolto a giovani ricercatrici e ricercatori sotto i 35 anni che studiano o lavorano nel mondo della ricerca scientifica, medica, ingegneristica o umanistica presso istituzioni di ricerca pubbliche o private e che vogliono mettersi in gioco nel raccontare la scienza in modo emozionante e coinvolgente. Per iscriversi basta compilare entro il 4 maggio il modulo di iscrizione disponibile al link: https://famelab-italy.it/famelab-pisa/.
La competizione internazionale, nata nel 2005 nel Regno Unito, ha coinvolto oltre 30 differenti paesi e si svolge dal 2012 anche in Italia con il coordinamento di Psiquadro in partnership con Cheltenham Festivals, ideatore del formato.
Durante le pre-selezioni in mattinata presso la Scuola Normale i partecipanti racconteranno un tema scientifico in 3 minuti, di fronte ad una giuria composta da esperti nei settori scientifici e nel campo della comunicazione. Presidente della giuria quest’anno sarà Barbara Bernardini, comunicatrice scientifica che ha collaborato, fra le altre cose, con il programma televisivo Superquark. I 10 migliori classificati porteranno poi un secondo tema in 3 minuti alla finale, che si terrà nel pomeriggio presso EGO e per la quale la giuria di esperti verrà affiancata da una giuria popolare composta da studenti di scuole superiori toscane.
Il contest pisano selezionerà due candidati che competeranno con gli altri vincitori e vincitrici nelle altre 11 selezioni locali che si svolgeranno in varie città di tutta Italia nella selezione nazionale a Perugia il 30 settembre 2023 in occasione della Notte Europea dei Ricercatori. Prima di approdare alla finale nazionale, come premio, i due finalisti di ogni selezione locale parteciperanno alla Masterclass di FameLab Italia, un workshop di formazione in comunicazione della scienza e public speaking a Perugia dal 9 all’11 giugno e vedrà la partecipazione di Wendy Sadler di Science Made Simple. Il vincitore di FameLab Italia 2023 avrà accesso alla finalissima del concorso FameLab International che si svolgerà online il 24 novembre 2023.

Abitare la Luna, all’Asi focus su ricerca in biomedicina spaziale

Abitare la Luna, all’Asi focus su ricerca in biomedicina spaziale

15-17 marzo. Cosmo (Asi): pronti a contribuire a prossime missioni

Roma, 15 mar. (askanews) – Effetti della microgravità sui muscoli, sulle ossa, sull’apparato riproduttivo, sul cervello; conseguenze dell’esposizione alle radiazioni cosmiche ma anche utilizzo delle radiazioni per lo screening di patogeni; rigenerazione dei tessuti nello spazio; stampa 3D di tessuti biologici; utilizzo dei raggi ultravioletti per la disinfezione di ambienti. Sono solo alcuni dei temi affrontati durante il simposio “Biomedicina spaziale per le future missioni di esplorazione umana dello spazio: a call to action” organizzato dall’Agenzia spaziale italiana nella sua sede a Roma.
La tre giorni, che si è aperta oggi e si concluderà il 17 marzo, vede la presenza di oltre 150 tra esponenti di università, enti di ricerca e imprese (e altrettanti collegati da remoto) che presenteranno i risultati dei loro studi e anche i progetti in corso per rispondere alla prossima sfida che attende l’umanità: andare sulla Luna per restarci.
Non manca poi molto. Il successo della missione senza astronauti della capsula Orion – prima tappa del programma lunare Artemis della Nasa – che a novembre ha orbitato intorno alla Luna per rientrare 25 giorni dopo sulla Terra, ha segnato una tappa importante del viaggio che porterà prima gli astronauti a bordo di Orion, quindi alla realizzazione del Lunar Gateway, la stazione spaziale cislunare, e infine all’arrivo di astronaute e astronauti sul suolo del nostro satellite naturale, con l’obiettivo di costruire basi permanenti da cui in futuro partire per raggiungere Marte.
“L’evoluzione ci ha reso animali terrestri e ora, in breve tempo, vogliamo diventare animali lunari e quindi dobbiamo capire come il nostro organismo reagisce a tutta una serie di stimoli e di fattori esterni che non sperimentiamo sulla Terra”, dichiara ad askanews Mario Cosmo, responsabile della Direzione Scienza e Ricerca dell’Agenzia spaziale italiana che coordina il simposio.
“La biomedicina spaziale – spiega Cosmo – coinvolge diverse discipline in quanto tocca molteplici aspetti e lo si vede anche dai contributi che saranno presentati, che non vengono solo dall’ambito medico ma, ad esempio, dall’astronomia, dalla fisica. Si parlerà di corretta nutrizione, di coltivazione di piante e verdure, di radiazioni, non solo nel loro aspetto nocivo per l’organismo ma anche come possibile elemento da sfruttare per la disinfezione degli habitat, di colture in vitro per la produzione di carne nello spazio, degli effetti della microgravità sulla riproduzione solo per citarne alcuni”.
Durante la tre giorni verranno illustrate ricerche in 5 ambiti specifici individuati dall’Asi: effetti delle condizioni ambientali spaziali sulla fisiopatologia umana. Individuazione, sviluppo ed applicazione di contromisure; effetto delle radiazioni sulla biologia e fisiologia dell’uomo. Individuazione, sviluppo ed applicazione di contromisure; tecnologie innovative per sistemi autonomi di monitoraggio, diagnostica, intervento e prevenzione. Applicazioni farmacologiche in ambito spaziale; nutrizione e tecnologie per la produzione e conservazione di alimenti nello spazio; effetti psicofisici e comportamentali causati da confinamento e isolamento. Individuazione, sviluppo ed applicazione di contromisure.
Studi che prendono le mosse dalla necessità di affrontare preparati le prossime sfide umane nello spazio, per minimizzare gli effetti nocivi sull’organismo delle donne e degli uomini che ne saranno protagonisti e assicurare loro non la semplice sopravvivenza ma una vita di qualità, benessere fisico e psicologico e che possono aprire interessanti prospettive di miglioramento anche della vita sulla Terra. Studi in moltissimi casi testati sulla Stazione spaziale internazionale, un laboratorio unico per sperimentare in sicurezza gli effetti della microgravità sugli organismi viventi, non solo umani e animali ma anche vegetali, così come sui materiali. “Poter seguire la salute degli astronauti sulla Luna ci aiuterà in prospettiva a migliorare la salute di tutti noi sulla Terra”, sottolinea Cosmo.
“Appuntamenti come questo sulla biomedicina spaziale non sono una novità per l’Asi – spiega il responsabile della Direzione Scienza e Ricerca dell’Agenzia – Ogni volta che abbiamo davanti un obiettivo rilevante, come in questo caso le missioni umane sulla Luna, chiamiamo a raccolta la comunità scientifica e le imprese del settore per fare il punto, per capire cosa ha da offrire il nostro Paese ed essere pronti a farci avanti. Abbiamo una grande comunità scientifica in ambito spaziale, che è un patrimonio per il nostro Paese. Ed è anche merito dell’Asi che l’ha coltivata e consolidata nel tempo. Completata la fase di ricognizione delle competenze in ambito biomedico, l’Agenzia – conclude Cosmo – emetterà dei bandi per sviluppare i filoni più interessanti e andare oltre ciò che già abbiamo. Saremo così pronti a contribuire alle missioni lunari anche in ambito biomedico”.

Mattarella: Centro Spaziale Malindi è un esempio di grande successo

Mattarella: Centro Spaziale Malindi è un esempio di grande successoRoma, 15 mar. (askanews) – “Il Centro Spaziale di Malindi è un esempio di grande successo che intendiamo continuare congiuntamente, con la comune responsabilità e comune direzione, a sviluppare e a far crescere. E questa collaborazione scientifica e tecnologica è una pista di collaborazione per il futuro che intendiamo intensificare”. Lo ha dichiarato il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella durante la sua visita al Luigi Broglio Malindi Space Center, avvenuta nell’ambito della visita di Stato in Kenya.
Ad accoglierlo il Presidente dell’Agenzia Spaziale Italiana, Giorgio Saccoccia, il Vice Ministro degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale Edmondo Cirielli, l’Ambasciatore d’Italia in Kenya, Roberto Natali, il Ministro della Difesa, kenyano Aden Bare Duale e il Chairman dell’Agenzia Spaziale del Kenya, Gen. James Aruasa.
La base è un asset strategico per Italia e il Kenya nelle tecnologie spaziali e la cooperazione internazionale, sottolinea l’Agenzia spaziale italiana che la gestisce dal 2004. Presso il centro lavorano circa 200 persone, 192 delle quali sono personale locale. La presenza italiana è regolata da un accordo intergovernativo tra Italia e Kenya e 5 protocolli tematici.
“La Base – ha affermato il presidente dell’Asi Giorgio Saccoccia – è un modello di partnership strategica, unico in Africa e nel mondo: alla Base Luigi Broglio guarda l’Europa ESA e UE, ma anche gli Stati Uniti, che da qui hanno potuto tracciare il lancio di un telescopio spaziale mai costruito prima, il James Webb, e le Nazioni Unite per il raggiungimento degli obbiettivi di sviluppo sostenibile nell’ambito delle attività di formazione svolte dalla BSC”.
L’evento ha preso il via con la cerimonia per lo svelamento della targa di commemorazione della visita di Stato. A seguire il presidente Saccoccia ha presentato le attività del centro spaziale. Le delegazioni hanno poi visitato il Control Space Center che si occupa del tracciamento degli oggetti spaziali in orbita, del supporto ai lanci, della ricezione dei dati satellitari e le attività di formazione. Queste ultime riguardano in particolare la collaborazione tra università italiane e kenyane per la realizzazione di cubesat. Successivamente durante la visita all’International Center for Space Education Saccoccia ha spiegato la funzione del centro internazionale di formazione spaziale come hub per tutto il continente africano.

Terabit, l’autostrada dei dati per la ricerca scientifica nazionale

Terabit, l’autostrada dei dati per la ricerca scientifica nazionaleRoma, 14 mar. (askanews) – È stato lanciato a Cagliari il 13 e 14 marzo il progetto TeRABIT che realizzerà nei prossimi tre anni una vera e propria autostrada digitale di ultima generazione per l’interconnessione e lo scambio di informazioni tra le comunità scientifiche italiane. Calcolo ad alte prestazioni, simulazioni numeriche complesse, intelligenza artificiale, machine learning, digital twin sono alcuni degli strumenti informatici sempre più essenziali alla ricerca scientifica.
Negli ultimi decenni, la produzione di dati scientifici è aumentata esponenzialmente grazie alla disponibilità di strumentazione avanzata e alla diffusione di tecniche di osservazione, analisi e simulazione capaci di ottenere livelli di dettaglio mai raggiunti finora: una mole di informazioni senza precedenti, che le comunità scientifiche devono selezionare, archiviare, condividere, elaborare, interpretare, utilizzare. Per poter eseguire tutte queste operazioni sono indispensabili una rete superpotente e servizi di calcolo ad alte prestazioni.
Il progetto intende realizzare un’infrastruttura integrata di calcolo e rete a elevatissime prestazioni e renderla accessibile alle comunità scientifiche su tutto il territorio nazionale, eliminando differenze nella capacità di accesso al calcolo ad alte prestazioni e aumentando le possibilità per tutti i ricercatori e le ricercatrici italiane di collaborare e competere ai massimi livelli in Europa e nel mondo, indipendentemente dalla posizione geografica. L’infrastruttura basata su fibra ottica dedicata di ultima generazione, altamente affidabile e collegata con tutto il territorio nazionale e il resto del mondo, permetterà infatti di scambiare dati alla velocità del terabit (1000 miliardi di bit) al secondo.
“È un grande onore poter portare, con questo progetto, un contributo così significativo al sistema della ricerca italiana” ha dichiarato Mauro Campanella, coordinatore scientifico di TeRABIT. “Con le infrastrutture di rete e calcolo ad alte prestazioni che realizzeremo con le migliori tecnologie oggi esistenti, il nostro Paese potrà giocare un ruolo determinante a livello mondiale e i nostri ricercatori potranno avere accesso a servizi per l’analisi dati di straordinaria potenza”.
Gestito da INFN Istituto Nazionale di Fisica Nucleare, Istituto Nazionale di Oceanografia e di Geofisica Sperimentale – OGS, Consortium GARR e CINECA, e finanziato con 41 milioni di euro dal PNRR nell’ambito della Missione “Istruzione e Ricerca” coordinata dal Ministero dell’Università e della Ricerca, TeRABIT integrerà e potenzierà tre grandi infrastrutture di ricerca strategiche: GARR-T, PRACE-Italy e HPC-BD-AI, offrendo entro il 2025 un’infrastruttura digitale all’avanguardia a tutti i ricercatori sul territorio nazionale, in stretta collaborazione con il Centro Nazionale di ricerca in High Performance Computing, Big Data e Quantum Computing ICSC di Bologna.
L’evento di lancio di TeRABIT – informa una nota congiunta INFN-OGS-GARR-CINECA – si è articolato in due giorni di lavori, il primo dei quali, ospitato dalla Sezione INFN di Cagliari e ristretto alla comunità scientifica del progetto, ha rappresentato un momento di confronto su organizzazione, procedure e azioni da mettere in campo per il raggiungimento degli obiettivi specifici del progetto. La seconda giornata, invece, ospitata nella Sala Giorgio Pisano dell’Unione Sarda e aperta al pubblico, è stata l’occasione per presentare il progetto ai molti rappresentanti presenti sia del mondo scientifico, sia di quello istituzionale.
L’evento ha inoltre offerto l’opportunità di discutere su come gli interventi del PNRR possano essere volano per lo sviluppo dell’ecosistema della conoscenza in Sardegna. In particolare, TeRABIT realizzerà in Sardegna una estensione in fibra ottica della rete della ricerca dell’isola e, per la prima volta, un doppio collegamento superveloce in fibra ottica realizzato con cavi sottomarini che assicurerà non solo la rapida trasmissione dei dati ma anche ridondanza e affidabilità del sistema, a favore di tutta la comunità scientifica dell’isola.
L’infrastruttura realizzata da TeRABIT sarà funzionale anche a sostenere la candidatura della Sardegna a ospitare l’Einstein Telescope, il progetto europeo per un interferometro di terza generazione per la rivelazione delle onde gravitazionali. Questa grande infrastruttura di ricerca internazionale produrrà grandi quantità di dati che dovranno essere condivisi con una comunità scientifica distribuita su tutto il pianeta e l’interconnessione ultraveloce del sito di Sos Enattos, candidato a ospitarla, rappresenta un elemento cruciale.

Ricerca, le cellule cerebrali ispirano nuovi componenti di computer

Ricerca, le cellule cerebrali ispirano nuovi componenti di computer

Basati su nanocristalli di perovskite. Lo studio PoliMi

Roma, 14 mar. (askanews) – Ispirarsi all’efficienza energetica del cervello copiandone la struttura per creare computer più potenti: un team di ricercatori del Politecnico di Milano, dell’Empa e del Politecnico di Zurigo ha sviluppato un memristore più potente e più facile da produrre rispetto ai suoi predecessori e i risultati sono stati pubblicati su “Science Advances”.
I ricercatori stanno sviluppando architetture informatiche ispirate al funzionamento del cervello umano attraverso nuovi componenti che, come le cellule cerebrali, combinano la memorizzazione e l’elaborazione dei dati. I nuovi memristori – spiega PoliMi – si basano su nanocristalli di perovskite alogenata, un materiale semiconduttore noto per la produzione di celle solari.
Sebbene la maggior parte delle persone non sia in grado di fare calcoli matematici con la precisione dei computer, possiamo elaborare senza sforzo informazioni sensoriali complesse e imparare dalle nostre esperienze, cosa che un computer non può (ancora) fare. E nel farlo, il cervello consuma appena la metà dell’energia di un computer portatile grazie alla sua struttura in sinapsi, in grado sia di memorizzare che di elaborare le informazioni. Nei computer, invece, la memoria è separata dal processore e i dati devono essere trasportati continuamente tra queste due unità. La velocità di questo trasporto è limitata, il che rende l’intero computer più lento quando la quantità di dati è molto elevata.
“Il nostro obiettivo non è quello di sostituire l’architettura classica dei computer – spiega Daniele Ielmini, professore del Politecnico di Milano – Piuttosto, vogliamo sviluppare architetture alternative che possano svolgere determinati compiti in modo più veloce ed efficiente dal punto di vista energetico. Questo include, ad esempio, l’elaborazione parallela di grandi quantità di dati, come avviene oggi ovunque, dall’agricoltura all’esplorazione spaziale”.
I ricercatori, sulla base delle misurazioni, hanno simulato un complesso compito di calcolo che corrisponde a un processo di apprendimento nella corteccia visiva del cervello. Il compito consisteva nel determinare l’orientamento di una barra luminosa in base ai segnali provenienti dalla retina. “Le perovskiti alogenuri conducono sia ioni che elettroni – chiarisce Rohit John, postdoc al Politecnico di Zurigo e all’Empa – Questa doppia conduttività consente di effettuare calcoli più complessi e più simili ai processi cerebrali”.
La tecnologia non è ancora pronta per l’uso – avverte PoliMi – e la semplice produzione dei nuovi memristori rende difficile la loro integrazione con i chip dei computer esistenti: le perovskiti non possono sopportare le temperature di 400-500 gradi Celsius necessarie per la lavorazione del silicio, almeno non ancora. Esistono anche altri materiali con proprietà simili che potrebbero essere presi in considerazione per la produzione di memristori ad alte prestazioni. “Possiamo testare i risultati del nostro sistema di memristori con diversi materiali – afferma Alessandro Milozzi, dottorando al Politecnico di Milano – probabilmente alcuni di essi sono più adatti all’integrazione con il silicio”.

James Webb cattura le galassie che hanno reionizzato l’Universo

James Webb cattura le galassie che hanno reionizzato l’UniversoRoma, 13 mar. (askanews) – Le prime stelle e galassie nella storia dell’universo, nate oltre tredici miliardi di anni fa, quando il cosmo aveva solo poche centinaia di milioni di anni d’età, si sono formate a partire da una miscela di gas neutro, costituito principalmente da atomi di idrogeno. La radiazione energetica proveniente da queste prime stelle e galassie ha poi contribuito, nelle centinaia di milioni di anni seguenti, a trasformare questo gas e ionizzarlo, cioè scinderlo in elettroni e protoni. Gli astronomi la chiamano “reionizzazione” poiché durante questa fase il mezzo intergalattico che pervade l’universo, da neutro, torna a essere ionizzato come lo era nel cosmo primordiale. Non è però ancora chiaro quali galassie abbiano contribuito maggiormente a reionizzare il mezzo intergalattico nei primi stadi di questo processo, né quale percentuale di fotoni – le particelle di luce – con energie sufficienti a ionizzare il gas circostante sia fuoriuscita dai diversi tipi di galassie presenti all’epoca.
Con il suo specchio dal diametro di 6,5 metri e la sensibilità osservativa nella banda infrarossa, il James Webb Space Telescope (JWST), osservatorio spaziale della NASA in collaborazione con ESA e CSA, può spingersi indietro nel tempo fino alle galassie più distanti, tra le prime a formarsi nella storia dell’universo. Il progetto GLASS, una collaborazione internazionale di ricercatrici e ricercatori in 24 istituti di ricerca e università tra Italia, Stati Uniti, Giappone, Danimarca, Australia, Cina e Slovenia, che utilizza JWST per cercare risposta ai quesiti ancora aperti sulla reionizzazione cosmica, ha recentemente pubblicato un nuovo articolo a guida italiana sulla rivista “Astronomy & Astrophysics”.
“Abbiamo studiato, tramite osservazioni spettroscopiche e fotometriche ottenute con JWST, 29 galassie lontane e siamo riuscite a misurare in maniera indiretta le loro capacità ionizzanti, dato che a distanze così elevate non è possibile osservare direttamente i fotoni di così alta energia che sono quelli che hanno portato alla reionizzazione del mezzo intergalattico”, spiega la prima autrice del nuovo articolo Sara Mascia, dottoranda in Astronomy, Astrophysics and Space Science all’Università di Roma Tor Vergata, che porta avanti la sua ricerca presso l’Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF). “Questo studio dimostra la capacità di JWST non solo di trovare le galassie più distanti ma anche di svelarne le proprietà fisiche”.
La luce proveniente da queste galassie, catturata con gli strumenti NIRCam e NIRSPec a bordo di JWST, – informa l’Inaf – è stata emessa quando l’universo aveva un’età compresa tra circa 650 milioni e 1,3 miliardi di anni. Prima di queste osservazioni, le proprietà ionizzanti di queste lontanissime galassie erano ignote, soprattutto per quanto riguarda le galassie di piccola massa, molto difficili da studiare.
“Abbiamo stimato per la prima volta la capacità ionizzante delle galassie nell’epoca della reionizzazione: in particolare, siamo riusciti a stimare quanti fotoni ionizzanti fuoriescono dalle galassie di piccola massa grazie all’effetto di lente gravitazionale da parte di Abell 2744, un ammasso di galassie che si trova tra noi e le galassie distanti e amplifica il loro segnale”, aggiunge Laura Pentericci, ricercatrice INAF a Roma e co-autrice del lavoro. “I nostri risultati indicano che oltre l’80 percento delle galassie osservate contribuisce in maniera significativa alla reionizzazione”.
Nuove osservazioni che saranno realizzate prossimamente con JWST estenderanno questa analisi a campioni più grandi di galassie, includendo quelle con masse più elevate o più distanti. Lo scopo – conclude l’Inaf – è di determinare se la maggior parte dei fotoni che hanno contribuito a reionizzare l’universo sia stata fornita da galassie più massicce e luminose di quelle osservate oppure se, come ritenuto dai principali modelli attuali, il contributo maggiore sia dovuto alle galassie più deboli, molto più numerose.

Terremoti, un metodo innovativo per stimare danni agli edifici

Terremoti, un metodo innovativo per stimare danni agli edificiRoma, 13 mar. (askanews) – Stimare rapidamente il danno atteso sugli edifici è possibile e si può migliorare grazie alle registrazioni dei terremoti e a modelli semplificati degli edifici. Lo dimostra un nuovo metodo sviluppato dall’Istituto Nazionale di Oceanografia e di Geofisica Sperimentale – OGS e dall’Università degli Studi di Trieste. Il metodo messo a punto e testato dalle ricercatrici e dai ricercatori si chiama “Damage Assessment for Rapid Response – DARR” e per applicarlo, è indispensabile registrare il terremoto vicino o all’interno dell’edificio attraverso accelerometri.
Nel mondo, una persona su tre vive in aree soggette a terremoti e stimare il danneggiamento causato dai terremoti sugli edifici è utile per migliorare sia la gestione dell’emergenza che la pianificazione del territorio, contribuendo a ridurre gli impatti dei terremoti sulla società.
“Il metodo DARR permette di calcolare lo spostamento relativo indotto dal terremoto, cioè quello tra la base e la parte alta dell’edificio e, in base a questo, valutare se il terremoto ha causato danni strutturali con potenziali conseguenze per gli occupanti” spiega Stefano Parolai, docente di geofisica della terra solida dell’Università degli studi di Trieste e ricercatore associato dell’OGS.
Nonostante la diffusione delle reti di monitoraggio sismico in tutto il mondo, – spiegano gli autori – testare questo approccio è complicato dal fatto che in Italia le registrazioni di terremoti negli edifici sono ancora relativamente poche, e ancora più rare sono quelle in edifici danneggiati. Il metodo è stato, quindi, testato usando le registrazioni di 8 terremoti registrati in Italia nordorientale e centrale dal 2012 al 2021, considerando un insieme di edifici con diverse caratteristiche (altezza, età e materiali di costruzione, forma, ecc) sotto diversi input sismici (diversa magnitudo, distanza dall’epicentro e frequenza sismica).
“In tutti i casi considerati, il nostro metodo ha correttamente identificato la condizione degli edifici dopo il sisma, sia in presenza sia in assenza di danno” spiega Bojana Petrovic, ricercatrice dell’Istituto Nazionale di Oceanografia e di Geofisica Sperimentale – OGS. “In particolare, l’unica registrazione disponibile per un edificio danneggiato, tra quelle considerate, è quella della prima scossa della sequenza sismica dell’Italia centrale, avvenuta il 24 agosto 2016, che ha causato danni strutturali alla scuola di Visso (MC), identificati correttamente dal metodo DARR. Lo stesso vale per tutte le altre registrazioni che provengono da edifici non danneggiati per i quali l’assenza di danno è stata identificata con successo” chiarisce la ricercatrice.
“La rete di monitoraggio sismico nell’Italia nordorientale gestita dall’OGS, che oggi include, anche, più di 300 strumenti installati all’interno di edifici del Friuli Venezia Giulia e del Veneto, consente l’applicazione della metodologia DARR e potenzialmente una rapida stima del danno atteso sugli edifici in caso di terremoto utilizzando le registrazioni” spiega Chiara Scaini, ricercatrice dell’Istituto Nazionale di Oceanografia e di Geofisica Sperimentale – OGS.
I risultati dello studio sono stati appena pubblicati sulla rivista Seismological Research Letters e dimostrano il potenziale del metodo, che potrebbe essere applicato in altre aree sismicamente attive oggetto di monitoraggio sismico e supportare una migliore gestione dell’emergenza in seguito a eventi sismici.

Unipi, studenti su volo parabolico per testare progetto “DEPLOY!”

Unipi, studenti su volo parabolico per testare progetto “DEPLOY!”Roma, 13 mar. (askanews) – Nel prossimo mese di novembre un innovativo dispositivo tecnologico sviluppato dal Dipartimento di Ingegneria dell’energia, dei sistemi, del territorio e delle costruzioni (DESTEC) dell’Università di Pisa sarà sottoposto a una sperimentazione ideata da sei studenti delle università di Pisa, Parma e Brighton su un volo parabolico dell’azienda Novespace a Bordeaux in Francia. Si chiama DEPLOY! ed è un progetto internazionale di ricerca scientifica e tecnologica selezionato dall’ESA – l’Agenzia Spaziale Europea – nell’ambito del PETRI Programme. Il DEPLOY! Project è l’ultimo di una lunga lista di vincitori provenienti dalle università coinvolte, come Phos, U-Phos e Hympact dall’Università di Pisa e PHP3 da Brighton.
Il soggetto della ricerca – spiega Unipi – è un nuovissimo dispositivo di trasporto di calore chiamato Deployable Pulsating Heat Pipe flessibile. La PHP “flessibile” è un dispositivo a primaria applicazione spaziale e ha necessità di essere testato in microgravità. Le sue applicazioni possono essere variabili, ad esempio può essere utilizzata per ripiegare automaticamente i radiatori per ridurre il rischio di collisioni con detriti. Le PHP sono una soluzione altamente promettente per le applicazioni spaziali e terrestri e la loro flessibilità è il prossimo passo evolutivo necessario al loro progresso.
“Nell’aeroporto di Bordeaux il nostro esperimento salirà a bordo di un Boeing dell’Airbus A310 Zero G di Novespace che, dopo essere salito a quota 7500 metri, andrà in caduta libera per circa 20 secondi nei quali si sperimenterà l’assenza di peso; questo accadrà per 30 volte in ognuno dei tre voli previsti – spiega Alessandro Billi, team leader del progetto – È in quel momento che il nostro esperimento potrà essere testato con maggiore efficacia. L’aspetto più emozionante è che noi del team saremo a bordo dell’aereo per condurre il test e verificare che gli strumenti utilizzati funzionino senza intoppi. Per noi è un’opportunità unica per arricchire la ricerca nel campo delle PHP e, personalmente, provare almeno per un po’ ciò che provano solo gli astronauti sulla stazione spaziale”.
“La creatività dei nostri studenti e delle nostre studentesse, le competenze acquisite nei corsi di studio, la capacità di lavorare in team, innescano energie che generano a loro volta un entusiasmo contagioso che rigenera tutta la comunità universitaria”, commenta la professoressa Enza Pellecchia, prorettrice per la coesione della comunità universitaria e il diritto allo studio, che ha incontrato il team DEPLOY! insieme ai professori Corrado Priami e Alessio Cavicchi, delegati per la valorizzazione e la promozione della ricerca e per le nuove iniziative imprenditoriali, per complimentarsi con loro. “Avverto una atmosfera di crescita, di fioritura di talenti, sento che stiamo andando nella direzione indicata dal Rettore nel discorso di inaugurazione dell’anno accademico”.
Il DEPLOY! Project è stato ideato con lo scopo di favorire una collaborazione multinazionale fra studenti, con l’obiettivo di dare loro la possibilità di interagire con i colleghi di altre università e paesi per confrontare le loro conoscenze e rafforzare i loro pregi. La squadra di ragazzi è composta da quattro studenti dell’Università di Pisa – il team leader Alessandro Billi (Ingegneria aerospaziale), Silvia Picchi (Ingegneria energetica), Vittorio Rossellini (Ingegneria robotica), Nicola Ricci (Ingegneria energetica) -, Erin Saltmarsh dell’Università di Brighton e Michele Bocelli, dottorando dell’Università di Parma. Il team pisano fa riferimento al Dipartimento di Ingegneria dell’energia, dei sistemi, del territorio e delle costruzioni (DESTEC) ed è coordinato dal professor Sauro Filippeschi.

TAS alla guida del progetto EuroHAPS per piattaforme stratosferiche

TAS alla guida del progetto EuroHAPS per piattaforme stratosfericheRoma, 9 mar. (askanews) – Thales Alenia Space, una joint venture Thales (67%) e Leonardo (33%), ha siglato un contratto del valore di 43 milioni di euro per il progetto dimostrativo EuroHAPS (High-Altitude Platform Systems) e ne annuncia l’avvio. EuroHAPS è stato selezionato dalla Commissione Europea il 20 luglio 2022 in seguito al bando per progetti di ricerca e sviluppo collaborativi nel settore della difesa del Fondo Europeo per la Difesa (EDF).
Thales Alenia Space coordina il consorzio europeo di 11 nazioni, 21 partner e 18 subappaltatori, provenienti da 11 Paesi che gestiscono il progetto. EuroHAPS – informa TAS – mira a sviluppare diversi dimostratori stratosferici per missioni con l’obiettivo di migliorare le capacità di intelligence, sorveglianza e ricognizione (ISR) nonché di comunicazione. I principali partner del progetto sono CIRA ed Elettronica dall’Italia, ONERA e CEA dalla Francia, INTA dalla Spagna ed ESG dalla Germania.
Il progetto condurrà dimostrazioni di volo per tre tipi di piattaforme stratosferiche complementari: uno StratobusTM in scala ridotta di Thales Alenia Space, un dirigibile a energia solare progettato per missioni di lunga durata che offre una grande capacità di carico utile; un dirigibile ibrido ad alta quota (HHAA o HAPS tattico) del CIRA, in grado di generare una portanza supplementare con un profilo alare; un Autonomous Stratospheric Balloon System (ASBaSs) di ESG e TAO, formato da tre palloni stratosferici a elio controllabili in quota.
Questi tre tipologie di piattaforme sono complementari e presentano tempi di funzionamento, capacità e restrizioni operative molto diverse. Esse forniranno all’Europa un ampio spettro di soluzioni per soddisfare una varietà di esigenze diverse. Queste piattaforme testeranno una serie di missioni, tra cui l’osservazione Lidar per individuare e classificare gli obiettivi in mare o a terra, e per questi ultimi, la capacità di rilevarli in ambienti con copertura vegetale. Saranno testate anche missioni di intelligence delle comunicazioni (COMINT) e di intelligence elettronica (ELINT), nonché una rete di comunicazione a banda larga interconnesse per gli operatori aerei e terrestri.
EuroHAPS sta quindi rilanciando l’uso di sistemi di piattaforme ad alta quota per missioni governative e di difesa con il sostegno di sei ministeri della Difesa (Francia, Spagna, Germania, Italia, Ungheria e Repubblica Ceca), della Commissione Europea, dell’autorità regionale del Sud della Francia e della regione delle Isole Canarie, dove, oltre a quelli previsti in Sardegna, sono previsti voli dimostrativi da Fuerteventura a partire dal 2024.
Gli HAPS – prosegue la nota – offrono nuove opportunità per integrare le risorse terrestri, satellitari o aeree con capacità uniche e personalizzate in base ai requisiti operativi. La stratosfera è un dominio finora alquanto sconosciuto che supporta missioni di lunghissima durata – fino a un anno – a quote relativamente basse (circa 20 km), offrendo così un’ eccellente risoluzione per le missioni di osservazione e robusti link di collegamento per le missioni di comunicazione.
Questa dimostrazione di volo delle piattaforme HAPS permetterà di dimostrare piattaforme differenti, affronterà i principali rischi tecnici associati a queste nuove tecnologie, affinando al contempo i requisiti operativi per consentire, in ultima analisi, lo sviluppo dei futuri sistemi HAPS.
“Desideriamo ringraziare tutti gli investitori istituzionali che hanno contribuito a questo progetto per la loro fiducia e il loro sostegno nella realizzazione di questa dimostrazione – ha detto Hervé Derrey, CEO di Thales Alenia Space – “È senza dubbio una delle dimostrazioni più ambiziose mai intraprese, e renderà l’Europa un pioniere in questo nuovo segmento aerospaziale.” Stratobus è un dirigibile stratosferico non rigido a elio che mantiene la sua forma grazie alla pressione interna e ha un proprio sistema di propulsione elettrica interamente autonomo. Il concetto è stato ottimizzato partendo da un dirigibile di circa 140 metri di lunghezza, azionato da quattro motori elettrici, con più di 1.000 metri quadrati di celle solari e la capacità di operare ad altitudini comprese tra 18 e 20 chilometri (11-12 miglia). L’obiettivo è trasportare un carico utile di 250 chilogrammi (550 libbre) con una potenza nominale di 5 chilowatt. Durante la fase di sviluppo sono stati superati numerosi ostacoli tecnici, in particolare la maturazione dell’involucro del dirigibile e del concentratore fotovoltaico flessibile, la tecnologia di strappo dell’involucro per gli aspetti legati alla sicurezza e il sistema di propulsione ad alta efficienza. Anche gli aspetti di sistema sono fondamentali per fondere le diverse tecnologie in un sistema operativo sicuro.