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Mattarella: la corruzione è una piaga, è dovere di tutti combatterla

Mattarella: la corruzione è una piaga, è dovere di tutti combatterlaRoma, 9 dic. (askanews) – “La corruzione altera la vita delle persone e attacca i diritti di ciascuno, corrode le fondamenta della società, mina lo Stato di diritto, altera i mercati. Combattere questa piaga – che riguarda tutti i Continenti – è un dovere delle Istituzioni e, al tempo stesso, un impegno etico e civile delle forze sociali, delle comunità, dei cittadini”. E’ quanto afferma il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, in occasione della Giornata internazionale contro la corruzione.

“La Giornata internazionale contro la corruzione, proclamata dalle Nazioni Unite, si celebra nel ventesimo anniversario della Convenzione ONU contro la corruzione, che ha dato carattere universale a questa battaglia di civiltà e progresso, fornendo strumenti giuridici nuovi ai Paesi, rafforzando la collaborazione tra magistrature e forze di polizia, sostenendo misure comuni di prevenzione”, sottolinea il Capo dello Stato.

Mattarella: corruzione è piaga, dovere di tutti combatterla

Mattarella: corruzione è piaga, dovere di tutti combatterlaRoma, 9 dic. (askanews) – “La corruzione altera la vita delle persone e attacca i diritti di ciascuno, corrode le fondamenta della società, mina lo Stato di diritto, altera i mercati. Combattere questa piaga – che riguarda tutti i Continenti – è un dovere delle Istituzioni e, al tempo stesso, un impegno etico e civile delle forze sociali, delle comunità, dei cittadini”. E’ quanto afferma il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, in occasione della Giornata internazionale contro la corruzione.

“La Giornata internazionale contro la corruzione, proclamata dalle Nazioni Unite, si celebra nel ventesimo anniversario della Convenzione ONU contro la corruzione, che ha dato carattere universale a questa battaglia di civiltà e progresso, fornendo strumenti giuridici nuovi ai Paesi, rafforzando la collaborazione tra magistrature e forze di polizia, sostenendo misure comuni di prevenzione”, sottolinea il Capo dello Stato.

Oggi alle 17 sarà acceso l’albero di Natale a piazza San Pietro

Oggi alle 17 sarà acceso l’albero di Natale a piazza San PietroRoma, 9 dic. (askanews) – Sarà acceso oggi alle 17, durante una cerimonia in piazza San Pietro, l’albero di Natale che il Comune di Macra e la Regione Piemonte hanno donato al Vaticano e a Papa Francesco. A guidare la delegazione piemontese il presidente della Regione Piemonte, Alberto Cirio, assieme all’assessore all’Agricoltura, Marco Protopapa, accompagnati dal sindaco di Macra, Valerio Carsetti, dal presidente della Provincia di Cuneo, Luca Robaldo, e da numerosi amministratori locali e cittadini della Valle Maira da cui l’albero è partito lo scorso 21 novembre. In mattinata, la delegazione parteciperà all’udienza papale in Sala Paolo VI.

“E’ una grande emozione e un onore che l’albero di piazza San Pietro in Vaticano sia il dono di Macra, il piccolo Comune della Val Maira e del Piemonte. E’ un viaggio iniziato otto anni fa, quando il Comune, che voglio ringraziare, ha avanzato la richiesta al Vaticano di poter donare l’albero di Natale. E’ la prima volta in assoluto che l’albero di piazza San Pietro viene donato dal Piemonte: con orgoglio vogliamo dare al mondo un messaggio di speranza e di pace, e valorizzare le nostre montagne, che sono una meraviglia della natura e ospitano comunità che fanno della sostenibilità e della cura del territorio la propria regola di vita”, ha dichiarato Cirio. “Da otto anni aspettiamo questo momento straordinario per la nostra comunità di soli 48 abitanti, che è tutta raccolta intorno a questo evento. Richiamare l’attenzione sui piccoli borghi di montagna è fondamentale per il loro rilancio, perché le nostre comunità sono simbolo di sostenibilità, di tutela e conservazione delle terre alte”, ha aggiunto Carsetti.

“Da una piccola Comunità delle nostre montagne a piazza San Pietro. Un’iniziativa pervicacemente perseguita da Macra e dal suo Sindaco, della quale potranno beneficiare milioni di visitatori e pellegrini. Accompagneremo questo momento anche per richiamare, come scritto dal Santo Padre nella sua Enciclica, l’importanza della sostenibilità e la capacità delle tante aziende piemontesi che si occupano della manutenzione dei nostri boschi”, ha sottolineato il presidente della Provincia di Cuneo, Robaldo. L’albero, alto quasi 30 metri, è arrivato a Roma nelle scorse settimane con un trasporto eccezionale ed è stato addobbato con le luci e con una specialissima “tela” di oltre 7 mila stelle alpine coltivate e essiccate, donate da un vivaista locale che daranno l’effetto di una nevicata. Dopo le festività natalizie, l’albero sarà donato a un’associazione che produce giocattoli in legno per bambini in difficoltà.

Schillaci: all’ospedale di Tivoli una terribile tragedia, cordoglio per le vittime

Schillaci: all’ospedale di Tivoli una terribile tragedia, cordoglio per le vittimeMilano, 9 dic. (askanews) – “Lo spaventoso incendio divampato all’ospedale di Tivoli è una tragedia terribile. Ai familiari dei quattro anziani che hanno perso la vita rivolgo il mio sincero cordoglio e la mia vicinanza. Sono in costante contatto con il presidente Rocca il quale mi ha assicurato che tutti i pazienti sono stati messi in sicurezza e siamo pronti a dare il supporto necessario”. Lo ha dichiarato il ministro della Salute, Orazio Schillaci. “Ringrazio tutti gli operatori coinvolti nelle attività di soccorso, i medici e gli infermieri che stanno garantendo assistenza e le strutture sanitarie che si sono attivate per accogliere i pazienti trasferiti da Tivoli” ha proseguito il ministro, concludendo “auspichiamo che le indagini chiariscano al più presto le cause che hanno portato al rogo”.

Rogo Tivoli, Schillaci: terribile tragedia, cordoglio per vittime

Rogo Tivoli, Schillaci: terribile tragedia, cordoglio per vittimeMilano, 9 dic. (askanews) – “Lo spaventoso incendio divampato all’ospedale di Tivoli è una tragedia terribile. Ai familiari dei quattro anziani che hanno perso la vita rivolgo il mio sincero cordoglio e la mia vicinanza. Sono in costante contatto con il presidente Rocca il quale mi ha assicurato che tutti i pazienti sono stati messi in sicurezza e siamo pronti a dare il supporto necessario”. Lo ha dichiarato il ministro della Salute, Orazio Schillaci.

“Ringrazio tutti gli operatori coinvolti nelle attività di soccorso, i medici e gli infermieri che stanno garantendo assistenza e le strutture sanitarie che si sono attivate per accogliere i pazienti trasferiti da Tivoli” ha proseguito il ministro, concludendo “auspichiamo che le indagini chiariscano al più presto le cause che hanno portato al rogo”.

Incendio all’ospedale di Tivoli: morti quattro anziani pazienti

Incendio all’ospedale di Tivoli: morti quattro anziani pazientiMilano, 9 dic. (askanews) – E’ di quattro morti il bilancio, non ancora definitivo, di un incendio scoppiato intorno alle 22.30 di ieri all’ospedale San Giovanni Evangelista di Tivoli (Roma).

Le vittime sono pazienti del nosocomio: si tratta di due donne di 84 e 86 anni e due uomini di 76 e 86 anni. Altri sarebbero rimasti intossicati. I vigili del fuoco hanno evacuato oltre 200 persone, tra personale sanitario e ricoverati che sono stati accolti in una palestra allestita con brandine di emergenza dalla Protezione civile comunale, in attesa che i pazienti vengano smistati in altri nosocomi della zona. Al momento non è ancora chiaro da dove siano partite le fiamme né la causa. La Procura della cittadina laziale ha aperto un fascicolo di indagine e il magistrato incaricato ha disposto immediatamente l’autopsia sui corpi delle vittime per definire esattamente le cause del decesso.

Ue verso l’accordo sul Patto di stabilità, ma anche passi indietro

Ue verso l’accordo sul Patto di stabilità, ma anche passi indietroBruxelles, 9 dic. (askanews) – Il potenziale accordo che si prospetta per le nuove regole per i bilanci nazionali previste dalla revisione del Patto di stabilità dell’Ue, dopo i negoziati al Consiglio Ecofin di ieri e di giovedì, comporta una serie di complicazioni, di passi indietro e di nuove rigidità rispetto alla proposta inziale della Commissione, anche se ne mantiene in gran parte gli elementi nuovi più importanti. L’accordo dovrebbe essere concluso dopo il Consiglio europeo i capi di Stato e di governo della settimana prossima, dal quale ci si attende un impulso positivo per superare gli ultimi scogli, in modo che possa essere convocato un Consiglio Ecofin straordinario tra il 18 e il 21 dicembre, per l’approvazione formale da parte dei ministri delle Finanze, che poi dovranno comunque negoziare anche il testo finale con il Parlamento europeo.

La proposta originaria della Commissione era incentrata su due pilastri principali, riguardanti i percorsi di aggiustamento di bilancio per i paesi che non rispettano le due soglie previste dal Trattato di Maastricht: il 60% per il debito/Pil e il 3% per il deficit/Pil. Nel primo caso, quello del debito eccessivo, veniva indicato un percorso di aggiustamento ‘su misura’, individualizzato per ciascuno Stato membro, con tempi più lunghi e più realistici per le correzioni: quattro anni, con la possibilità di proroga a sette anni per ammortizzare i costi delle riforme e degli investimenti raccomandati dall’Ue (transizione verde e digitale, innovazione, difesa). Il percorso di aggiustamento (‘traiettoria tecnica’), è determinato tenendo conto di un’analisi della sostenibilità del debito, e originariamente si basava su un ‘singolo indicatore operativo’, basato sulla ‘spesa primaria netta’, che non prende in considerazione la spesa per gli interessi, la parte controciclica degli stabilizzatori automatici (come i sussidi di disoccupazione o la cassa integrazione in tempi di crisi), le spese che non dipendono dai governi, e la spesa nei programmi e progetti comunitari che sono co-finanziati dagli Stati membri.

La proposta originaria prevedeva semplicemente di tenere sotto stretto controllo la spesa primaria netta, senza definire una riduzione quantitativa annuale del debito/Pil uguale per tutti, ma tale da assicurare che, alla fine del periodo previsto dal piano di aggiustamento, il livello del debito pubblico fosse inferiore a quello iniziale, e avviato su un percorso stabile di riduzione. Il secondo punto della proposta della Commissione riguardava la regola del deficit: per i paesi con un rapporto deficit/Pil oltre il 3% è previsto uno sforzo strutturale annuale di bilancio pari almeno allo 0,5% del Pil per ridurre il disavanzo.

In questa semplificazione estrema delle regole attuali non venivano più considerati né il cosiddetto ‘Obiettivo di bilancio di medio termine’ (Mto), che per i paesi più indebitati esigeva di portare il deficit ben sotto la soglia del 3%, con target tra lo zero e l’1%, né una serie di fattori su cui erano basati i percorsi di aggiustamento del vecchio Patto di stabilità: il ‘saldo strutturale di bilancio’, la ‘crescita potenziale’ e il cosiddetto ‘output gap’, tutte ‘grandezze difficilmente osservabili’ (come le aveva definite lo stesso vicepresidente esecutivo della Commissione, Valdis Dombrovskis) che rendevano complicatissimo e in parte anche arbitrario il giudizio della Commissione sulle eventuali ‘deviazioni significative’ da parte degli Stati membri. Oltretutto, negli anni delle politiche di austerità si è dimostrato che la riduzione del deficit a tappe forzate non determina necessariamente una riduzione del debito/Pil (come pretendeva tutto l’impianto del vecchio Patto di stabilità, di ispirazione tedesco-nordica), ma, al contrario, può incrementarlo, perché deprime gli investimenti pubblici e quindi la crescita.

Il negoziato tra gli Stati membri ha vanificato in buona parte questa semplificazione, e riproposto proprio quel legame di causa effetto tra riduzione del deficit e riduzione del debito/Pil che non ha funzionato, anche se in questo caso si riconosce la necessità di preservare gli investimenti pubblici almeno in alcuni settori. La Germania, sostenuta da Olanda, Austria e Paesi nordici, è riuscita a ottenere l’inserimento di una serie di ‘salvaguardie’ nel nuovo quadro di regole: i paesi con un debito/Pil superiore al 90% (come l’Italia) dovranno ridurlo di almeno un punto percentuale all’anno, e dovranno inoltre continuare il proprio percorso di riduzione del deficit/Pil anche dopo che avranno raggiunto il 3%, puntando a portare il disavanzo all’1,5%, per mantenere un ‘cuscinetto’ (‘common resilience margin’) che permetta un margine di bilancio per gli investimenti e le riforme. In altre parole, invece della ‘golden rule’ che chiedeva l’Italia, ovvero lo ‘scorporo’ della spesa per determinati investimenti dal calcolo del deficit (ai fini del rispetto della regola del 3%), si dovrà tagliare ulteriormente la spesa pubblica per finanziare gli investimenti restando comunque sotto la soglia del 3%. Le ‘salvaguardie’ sono un po’ meno rigorose per i paesi con un debito/Pil tra il 60 e il 90 per cento, che dovranno puntare a ridurre il deficit fino al 2%, e quindi con un ‘margine di resilienza’ dell’1%; per questi Stati membri sarà richiesta poi una riduzione del debito pari ad almeno mezzo punto percentuale di Pil. Sostanzialmente, il vecchio ‘Obiettivo di medio termine’, che era stato messo fuori dalla porta, rientra dalla finestra, anche se meno rigoroso (deficit tra l’1 e il 2 per cento invece che tra lo zero e l’1 per cento). Inoltre, per tutti gli Stati membri in procedura di deficit eccessivo viene aggiunto anche un obbligo di ‘miglioramento annuale del bilancio strutturale primario’ pari allo 0,3% nei percorsi di aggiustamento di quattro anni, che sarà ridotto allo 0,2% in caso di prolungamento del percorso a sette anni. Nel negoziato che si è svolto innanzitutto tra la Francia e la Germania, il ministro francese Bruno Le Maire ha accettato tutto questo, sperando di ricevere in cambio almeno una riduzione dello sforzo strutturale per la riduzione del disavanzo, richiesta ai paesi sotto procedura per deficit eccessivo, che escludesse la spesa per gli investimenti e le riforme. Ma si è scontrato con l’irremovibilità del collega tedesco, Christian Lindner, che alla fine si è mostrato disponibile a prendere in considerazione, come fattore mitigante, solo l’aumento della spesa per gli interessi sul debito contratto per finanziare gli investimenti e le riforme, e solo temporaneamente, per gli anni 2025, 2026 e 2027. In questi tre anni, questo compromesso sulla ‘flessibilità’ (che comunque deve ancora essere accettato formalmente dalla Germania e dagli altri paesi ‘frugali’, Austria, Finlandia, Svezia, Olanda e Danimarca) dovrebbe permettere di diminuire di qualche decimo di punto percentuale (per il Francia si calcola lo 0,2%) la correzione annuale di 0,5 punti percentuali di Pil prevista per i paesi con deficit superiore al 3%. L’Italia ha sostenuto questa proposta di compromesso; tuttavia, il ministro Giancarlo Giorgetti, parlando ieri ai giornalisti a Bruxelles, ha puntualizzato che si tratta solo di ‘un passo nella giusta direzione’, ma ‘non è l’accordo’, per il quale d’altra parte manca ancora il consenso della Germania e di altri paesi. Inoltre, Giorgetti ha fatto capire chiaramente che, ‘non abbiamo raggiunto il risultato’, perché così come si profilano le nuove regole non sarebbero pienamente in linea con ‘le ambizioni’ e con ‘le finalità strategiche che l’Europa si è data in termini di sicurezza e in termini di transizione digitale ed energetica e ambientale. Queste finalità politiche – ha ricordato – richiedono delle regole di bilancio coerenti per poterle finanziare, altrimenti rimangono dei nobili principi, auspici, ma senza possibilità concreta di traduzione. Quindi le regole di bilancio – ha sottolineato – sono un mezzo per realizzare questi fini, e non un fine esse stesse’. Da questo punto di vista, ha aggiunto Giorgetti, se al Consiglio europeo di giovedì e venerdì prossimi ‘i capi di governo decidono che bisogna difendere i valori di libertà dell’Occidente, i ministri delle Finanze devono dargli le risorse per poter svolgere questo ruolo; se i capi di governo mi dicono che bisogna affrontare la sfida della transizione energetica, allora bisogna mettere centinaia di milioni di euro, come fanno gli Stati Uniti per raggiungere quella finalità, e io come ministro delle finanze devo mettere a disposizione queste risorse’. Il ministro, infine, ha indicato che ‘dal punto di vista italiano, se l’accordo trovato in una fase transitoria diventasse definitivo sarebbe, diciamo così, logico e coerente con le aspirazioni europee’. Durante la conferenza stampa di ieri al termine dell’Ecofin, il vicepresidente esecutivo della Commissione, Valdis Dombrovskis, ha sottolineato: ‘Abbiamo compiuto notevoli progressi e un accordo è sicuramente a portata di mano. Sono abbastanza fiducioso – ha continuato – che riusciremo a portare a termine questo lavoro nei prossimi giorni e ad arrivare a un accordo, come previsto, entro la fine dell’anno, sotto la presidenza spagnola’ di turno del Consiglio Ue’. ‘È un momento essenziale – ha rilevato Dombrovskis -, date le importanti sfide economiche e di bilancio che dobbiamo affrontare. Dobbiamo preservare la sostenibilità delle finanze pubbliche e sostenere la crescita sostenibile. Da questo punto di vista, il passaggio al nuovo quadro di bilancio è essenziale, e penso che le proposte di riforma della Commissione contengano gli elementi giusti per raggiungere tali obiettivi’, in particolare, ‘la differenziazione basata sul rischio’ per i percorsi di aggiustamento di ciascuno Stato membro, e poi ‘la semplificazione, e gli incentivi agli investimenti e alle riforme’. ‘Pertanto – ha aggiunto -, è importante che l’accordo finale che sarà raggiunto dal Consiglio, e poi alla fine del processo legislativo anche dal Parlamento europeo, mantenga i parametri fondamentali di questo nuovo quadro’. Rispondendo ai giornalisti, Dombrovskis ha poi osservato: ‘Ovviamente alla Commissione non avevamo nulla contro il fatto che gli Stati membri prendessero le nostre proposte e le approvassero’ senza ulteriori modifiche. ‘Ma sappiamo che le realtà politiche sono difficili. Abbiamo avuto mesi di negoziati tra gli Stati membri e ancora dovremo negoziare con il Parlamento europeo. Stiamo ora finalizzando il lavoro con gli Stati membri’. Questa che c’è sul tavolo ‘è una proposta di compromesso. Introduce alcuni elementi aggiuntivi in termini di salvaguardia rispetto alla proposta della Commissione. Ma abbiamo fatto simulazioni e valutazioni, e – ha sottolineato -l’applicazione delle salvaguardie non stravolge la logica della proposta della Commissione’. Dombrovskis ha riconosciuto che ‘certi elementi e specificità che sono stati aggiunti rendono in effetti questa proposta meno semplice: non raggiunge tutte le semplificazioni che la Commissione aveva inizialmente prospettato, perché gli stati membri volevano riflettere le specificità di situazioni nazionali di cui tenere conto. Ciò non di meno, pensiamo che la direzione principale, il nucleo centrale nella proposta della Commissione siano preservati’. A un giornalista che chiedeva se con questa riforma le nuove regole saranno più o meno rigorose delle vecchie, e se si potranno conseguire gli obiettivi che erano stati indicati di preservare gli investimenti, e di avere regole più chiare ed effettivamente applicabili, che i cittadini possano capire, il vicepresidente esecutivo della Commissione ha replicato: ‘E’ facile rispondere: il nuovo sistema e meno rigoroso del sistema attuale; ad esempio, non c’è più la regola riguardante la riduzione del debito/Pil di un ventesimo’ annuale dell’eccedenza rispetto alla soglia del 60%; ‘ma anche, al di là di questo, stiamo discutendo di alcuni aggiustamenti e flessibilità nel ‘braccio correttivo’, mentre nel ‘braccio preventivo’ ci stiamo allontanando dal requisito dell’Obiettivo di medio termine più rigoroso, che nelle regole attuali esige un deficit/Pil tra lo zero e l’uno per cento’. Insomma, ‘ci stiamo muovendo verso un sistema meno esigente rispetto a quello attuale’. E questo vale ‘anche per le salvaguardie riguardo al deficit, che stiamo ancora discutendo come calibrare esattamente, ma direi che anche qui ci avviamo a dei requisiti meno rigorosi rispetto a quelli attuali’, ha concluso Dombrovskis. (di Lorenzo Consoli)

Segre alla Prima della Scala: mi manca Mattarella, è il fratello che non ho

Segre alla Prima della Scala: mi manca Mattarella, è il fratello che non hoMilano, 7 dic. (askanews) – “Mi manca Mattarella. Io non ho fratelli né sorelle ma gli voglio bene come a un fratello”. Lo ha detto la senatrice a vita Liliana Segre in merito alla Prima del Don Carlo alla Scala, che segue dal palco reale, nel posto solitamente occupato dal Presidente della Repubblica, stasera assente.

L’opera “mi piace moltissimo” ha aggiunto, ricordando che “sono una habituée della Scala, andavo in loggione e pian piano sono scesa fino alla platea”. Quest’anno “gentilmente il sindaco e La Russa mi hanno chiesto di venire nel palco reale” ha proseguito, aggiungendo che “mi manca Mattarella: mi invitava sempre nel palco reale durante gli intervalli”.

Direttiva Case Green, accordo tra Europarlamento e Consiglio Ue

Direttiva Case Green, accordo tra Europarlamento e Consiglio UeBruxelles, 7 dic. (askanews) – I negoziatori del Parlamento europeo, della presidenza di turno spagnola del Consiglio Ue e della Commissione europea hanno raggiunto un accordo nel negoziato co-legislativo (trilogo) sulla revisione della direttiva per il rendimento energetico nell’edilizia (“caseágreen”). L’accordo provvisorio raggiunto oggi dovrà ora essere approvato e adottato formalmente dalla plenaria del Parlamento europeo e dal Consiglio Ue.

La direttiva rivista, proposta dalla Commissione due anni fa, il 15 dicembre 2021, stabilisce nuovi requisiti di prestazione energetica per gli edifici nuovi e ristrutturati nell’Ue e incoraggia gli Stati membri a rinnovare il proprio patrimonio edilizio; ma durante il negoziato l’ambizione degli obiettivi è stata ridimensionata, soprattutto da parte del Consiglio. L’accordo prevede, innanzitutto, che gli standard minimi di prestazione energetica negli edifici non residenziali, siano entro il 2030 almeno nella classe di efficienza energetica superiore a quella più bassa, definita in ogni Stato membro in base al 16% del parco edilizio nazionale con le prestazioni peggiori. Entro il 2033, poi, la classe più bassa sarà definita dal 26% meno efficiente del parco edilizio nazionale, e tutti gli edifici dovranno di nuovo passare alla classe superiore.

Per quanto riguarda la ristrutturazione degli edifici residenziali, gli Stati membri garantiranno che il parco edilizio riduca il “consumo medio” di energia del 16% entro il 2030 e del 26% entro il 2035. Il 55% della riduzione energetica dovrà essere ottenuta attraverso la ristrutturazione degli edifici con le prestazioni peggiori. L’accordo prevede poi (articolo 9 bis) l’installazione di idonei impianti di energia solare nei nuovi edifici, negli edifici pubblici e in quelli esistenti non residenziali che subiscono un’azione di ristrutturazione che richiede un’autorizzazione.

Infine, l’accordo prevede di includere nei Piani nazionali di ristrutturazione edilizia una tabella di marcia con l’obiettivo di eliminare gradualmente le caldaie a combustibili fossili negli edifici entro il 2040. La nuova direttiva fa parte del pacchetto “Fit for 55”, che definisce l’obiettivo di un parco edilizio a zero emissioni climalteranti entro il 2050. Gli edifici rappresentano il 40% dell’energia consumata e il 36% delle emissioni dirette e indirette di gas serra in campo energetico nell’Ue.

Inoltre, la direttiva è molto importante per realizzare la “Renovation Wave Strategy”, pubblicata dalla Commissione europea nell’ottobre 2020, con specifiche misure normative, finanziarie e abilitanti, che ha l’obiettivo di almeno raddoppiare il tasso annuo di rinnovamento energetico degli edifici entro il 2030 e di favorire ristrutturazioni edilizie profonde.

Meloni: in Europa con lo stesso perimetro di centrodestra

Meloni: in Europa con lo stesso perimetro di centrodestraRoma, 7 dic. (askanews) – Il centrodestra dovrebbe stare in Europa “con il perimetro che già conosciamo in Italia, un perimetro di centrodestra”. Dopo le tensioni all’interno del governo e della maggioranza sulle europee e all’indomani dell’incontro ‘chiarificatore’ con Matteo Salvini, oggi Giorgia Meloni è tornata a parlare della corsa per il voto di giugno.

Il colloquio di ieri a Palazzo Chigi con il leader della Lega (i due si sono visti anche oggi a Milano al pranzo di Sant’Ambrogio con oltre 500 componenti di famiglie fragili) ha portato a una “tregua” ma la campagna elettorale già iniziata, in cui ogni partito fa corsa solitaria, crea qualche preoccupazione per eventuali ripercussioni sulla stabilità dell’esecutivo. Da qui il richiamo all’unità, lanciato a margine della firma dell’Accordo di coesione con la Regione Lombardia alla Fiera di Rho. C’è il problema che i tre maggiori partiti sono in tre famiglie distinte: Fdi nei conservatori di Ecr (di cui Meloni è presidente), Forza Italia nel Ppe e la Lega in Id. Ma questo, per la premier, non sembra rappresentare un problema: “Mi fa un po’ sorridere – dice – che si veda come un problema che i partiti di centrodestra siano in famiglie politiche diverse in Europa. È sempre stato così. Non è che quando c’era la maggioranza giallorossa al governo stessero nella stessa famiglia europea. La dinamica delle elezioni europee è molto più complessa: si può far parte di famiglie politiche europee differenti e governare molto bene in Italia e, dico di più, provare a governare insieme con un’Europa diversa dopo le prossime elezioni europee. Il nostro obiettivo – ha proseguito – deve essere far crescere il ruolo dell’Italia in Europa e ragionare di costruire al Parlamento europeo una maggioranza che possa avere una visione compatibile rispetto a quanto abbiamo visto in passato”. Il punto è però eventualmente cosa fare nel caso in cui (come appare dai sondaggi di questi giorni) nel Parlamento europeo si venissero a creare le condizioni per una nuova maggioranza ‘Ursula’, di cui oggi fa parte il Ppe. “Per quanto riguarda Forza Italia – ha dichiarato oggi l’azzurro Giorgio Mulè – abbiamo dichiarato già da molto tempo e pubblicamente l’assoluta e totale incompatibilità, in qualsiasi scenario, di allearci con partiti come Afd in Germania, Wilders in Olanda e Le Pen in Francia, che hanno idee e valori inconciliabili e in contrasto con la nostra stessa essenza, non tanto di Popolari Europei, ma proprio di persone con diversa sensibilità. Con quei partiti siamo assolutamente incompatibili”. La Lega, da parte sua, non è certo disposta a mollare gli alleati di Id, riuniti appena domenica scorsa a Firenze, per abbracciare quello che Salvini ha più volte definito “inciucio”.

Nel caso di una larga coalizione (magari guidata dall’”amica” Roberta Metsola, anche lei incontrata ieri) cosa farebbe Meloni? Più volte, anche recentemente, ha assicurato che “posso escludere che governerò con i socialisti. Siamo antitetici”. Ma da qui a giugno la strada è lunga: al momento l’obiettivo sembra essere quello di mantenere la linea di unità del centrodestra, rimandando a dopo il voto – e al suo esito – ogni decisione sulle possibili alleanze.