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In 2021 acquacoltura italiana a 145.800 tonnellate di produzione

In 2021 acquacoltura italiana a 145.800 tonnellate di produzioneRoma, 20 feb. (askanews) – Con oltre un milione e centomila tonnellate di produzione annuale, l’acquacoltura europea si presenta come una parte fondamentale del mondo della pesca, con elevato potenziale di crescita ma anche molte criticità di vario tipo. In Italia, tra vari pesci marini, molluschi, crostacei, pesci d’acqua dolce, salmonidi, l’acquacoltura è stata caratterizzata nel 2021 da oltre 145.800 tonnellate di produzione, leggermente sopra le quote della Grecia ma assai al di sotto di quelle di Spagna e Francia.



Delle 145mila tonnellate prodotte nel 2021 in Italia, oltre centomila sono mitili, di cui 60mila molluschi e 23mila vongole veraci, “su cui prevediamo un abbattimento del 60% per il 2024, soprattutto a causa del granchio blu, mentre prospettive ottime sono quelle che abbiamo sulla produzione delle ostriche”, ha detto Eraldo Rambaldi, direttore AMA – Associazione Mediterranea Acquacoltori. Sono alcuni dati emersi dalla ricerca presentata oggi a Roma da titolo “Il lavoro nel settore della mitilicoltura in Italia”, promossa da Fai-Cisl, Fondazione Fai-Cisl Studi e Ricerche e ministero dell’Agricoltura, della Sovranità Alimentare e delle Foreste. E Onofrio Rota, segretario generale della Fai-Cisl, è tornato a chiedere “una strategia nazionale per salvare e rilanciare il settore, con una sostenibilità economica e ambientale da legare a quella sociale con ammortizzatori ad hoc per garantire continuità al reddito e contributiva e riconoscendo il carattere usurante di diverse mansioni: tematiche poste al Tavolo della Pesca la settimana scorsa con il Ministro Lollobrigida e che riporteremo anche nell’incontro previsto nel pomeriggio a Palazzo Chigi sul lavoro agroalimentare”, ha annunciato Rota.


Tra i territori studiati: Lido di Venezia, Pellestrina, Chioggia, Scardovari e Pila, poi Goro, Cattolica, Civitanova Marche, Porto San Giorgio, La Spezia e Taranto, luogo di nascita della mitilicoltura italiana, purtroppo tra i più colpiti negli ultimi anni sia per criticità ambientali che organizzative e produttive. “Le problematiche trasversali, che accomunano le realtà analizzate – ha detto Ferro – sono i cambiamenti climatici, i predatori, come le orate o il granchio blu, e una concorrenza non sempre leale sul piano delle importazioni, ma soprattutto la mancanza di manodopera: anche laddove la mitilicoltura è fortemente radicata nelle tradizioni locali, il rischio legato alla mancanza di ricambio generazionale è elevato, non a caso in Emilia Romagna e Marche diversa manodopera arriva da lavoratori di origine straniera”.


Tra i principali problemi emersi, la mancanza di un inquadramento contrattuale specifico dei lavoratori nella mitilicoltura, visto che a loro viene applicato il contratto nazionale dei florovivaisti. E ancora, il tema delle competenze vista la mancanza di scuole di formazione in questo comparto, a differenza di altri Paesi come Spagna o Francia.