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Insuccesso ostetrico ricorrente: “responsabili” anche i papà

Insuccesso ostetrico ricorrente: “responsabili” anche i papàRoma, 18 mar. (askanews) – C’è anche la complicità della qualità del liquido seminale in storie di donne che incorrono in aborti spontanei ricorrenti, cioè nella perdita di due o più gravidanze successive. L’insuccesso ostetrico, oggi attribuito in prevalenza a fattori femminili, come squilibri ormonali e metabolici, malformazioni uterine, infezioni del tratto genitale, alterazioni della coagulazione, avrebbe una potenziale spiegazione nell’uomo. Recenti studi retrospettivi multicentrici, che proseguiranno anche grazie a finanziamenti di Fondazione Humanitas per la Ricerca, coordinati dai ricercatori del Centro Multidisciplinare di Patologia della Gravidanza di Humanitas San Pio X, sotto la guida di Nicoletta Di Simone, Professore Ordinario di Ginecologia e Ostetricia in Humanitas University, dimostrano la co-responsabilità in episodi di abortività spontanea ricorrente anche di anomalie del liquido seminale (ad esempio un inadeguato numero di spermatozoi, la loro morfologia alterata e la motilità ridotta), così come di possibili frammentazioni del DNA spermatico o e, non ultimo, di infezioni.



Infezioni e DNA sono “fattori di rischio” nuovi e di grande importanza, tanto da indicare una strada per poter cambiare in un prossimo futuro l’approccio diagnostico-terapeutico all’insuccesso ostetrico, che ad oggi nel 40% dei casi resta ancora idiopatico, cioè non associato a una causa specifica. “Partiamo dalle infezioni genito-urinarie – esordisce la Professoressa Di Simone – che stanno registrando in epoche recenti una sempre maggiore incidenza, e fra queste l’infezione da Human Papilloma Virus (HPV), responsabile come è noto dell’insorgenza di patologie oncologiche a danno dell’apparato genito-urinario, quali il tumore della cervice uterina, o di malattie sessualmente trasmissibili. Ma ci sarebbe una implicazione anche nella capacità di concepimento: recenti studi condotti presso il nostro centro attestano un’associazione tra infezione maschile da HPV e storie di insuccesso ostetrico nel primo trimestre di gravidanza. Si tratta di una informazione importante che apre a nuove possibilità terapeutiche che dovranno essere attentamente studiate e valutate. Inoltre, di particolare interesse è anche l’evidenza di una relazione fra aumentato indice di frammentazione del DNA spermatico e la maggiore incidenza di abortività ricorrente, che ha escluso alcuni fattori prima ritenuti responsabili o confondenti”. Oggi definire il ruolo dell’indice di frammentazione del DNA spermatico in coppie con problemi di infertilità è possibile grazie a un test, poco invasivo ma molto efficace, che si effettua direttamente sul liquido spermatico con un semplice prelievo. “Negli ultimi anni – prosegue Di Simone – è cresciuto l’interesse per l’integrità del DNA degli spermatozoi e il suo ruolo in spermiogramma con valori di qualità nella norma: come abbiamo riassunto in una recente review sul tema, andrebbe valutata la possibilità di utilizzare questo parametro come nuovo strumento per comprendere il potenziale contributo maschile alla fertilità e alle problematiche connesse. Le prime evidenze, dopo analisi condotte su diverse tipologie di uomini, coloro con comprovata fertilità, con almeno due gravidanze portate a termine con successo, o comprovata infertilità, cioè mancato raggiungimento di una gravidanza dopo 12 mesi o più di rapporti sessuali regolari non protetti, e uomini appartenenti a coppie con storia di abortività ricorrente, mostrano un’associazione significativa tra indice di frammentazione del DNA spermatico e aborti spontanei ricorrenti”.


Queste informazioni stanno cambiando l’approccio all’insuccesso ostetrico: “è fondamentale – conclude Di Simone – affrontare le problematiche di infertilità non limitatamente al singolo individuo, ma alla coppia, ovvero mettendo sullo steso piano il contributo sia del partner maschile sia femminile. Ciò presuppone il coinvolgimento e la disponibilità di entrambi i partner ad affrontare insieme un percorso diagnostico terapeutico, motivo per il quale è necessario che la problematica venga approcciata in un’ottica di multidisciplinarietà, anche dal punto di vista della ricerca scientifica. La possibilità di effettuare una diagnosi ed una terapia adatta in un momento così delicato e di equilibrio precario come quello all’inizio della vita embrionale richiede dedizione ad una ricerca attenta ed accurata. E i risultati oggi li abbiamo: questo approccio ha permesso, nel tempo, di raggiungere un tasso di gravidanze spontanee, senza ricorrere a tecniche di fecondazione in vitro, elevato. Il 67% di coppie oggi stringono un bimbo fra le loro braccia”.