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Nel 2023 esportate nel mondo 254.000 tonn. formaggi italiani Dop

Nel 2023 esportate nel mondo 254.000 tonn. formaggi italiani DopRoma, 18 nov. (askanews) – Sono quasi 600mila i ristoranti nel mondo che si autodefiniscono italiani, ma secondo Fipe oltre 2.200 lo sono davvero, e numerosi mettono in carta i formaggi Dop del Belpaese, che sono la prima voce del fatturato cibo Dop del nostro Paese e rappresentano circa il 60% dell’export mondiale dei prodotti caseari italiani, con 254 mila tonnellate esportate nel 2023, per un valore stimato che sfiora i 3 miliardi di euro (+11%).


Lo spaccato è fornito da Afidop, Associazione Formaggi Italiani Dop e Igp ed è stato reso noto in occasione della “Settimana della Cucina Italiana nel mondo”, l’annuale rassegna del Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale in programma dal 16 al 22 novembre, a cui l’Associazione partecipa negli USA, con un corner formaggi Afidop che vedrà protagonisti, il Grana Padano Dop, il Parmigiano Reggiano Dop, il Piave Dop ed il Provolone Valpadana Dop, in occasione di due incontri che si terranno il 18 e 19 novembre presso l’ambasciata italiana a Washington. “I formaggi Dop e Igp sono parte integrante dell’eredità culturale della cucina italiana, portabandiera della qualità e del Made in Italy nel mondo – ha detto Antonio Auricchio, presidente di Afidop – pertanto è indispensabile promuovere, soprattutto all’estero, strumenti per proteggerli e valorizzarli, come le nostre Linee Guida, che abbiamo in programma di esportare oltreconfine. Un altro strumento che intendiamo rilanciare, per offrire un racconto argomentato delle nostre eccellenze, è il carrello dei formaggi: un percorso all’insegna del gusto nella storia e nelle tradizioni dei nostri territori, tra stagionature e metodi di produzione unici”.


I formaggi a Dop costituiscono un ingrediente essenziale dei piatti italiani più amati e iconici al mondo, in Canada e USA come in Oriente: ad esempio, la Cacio e pepe con Pecorino Romano Dop. Quest’ultima, in particolare, è diventata così di moda nei ristoranti italiani a Tokyo e in Giappone da aver fatto schizzare le vendite dei prodotti caseari: dopo aver messo a segno un +33% nel 2022, l’export verso il Giappone nel 2023 è cresciuto del 14,9% per un valore di circa 15,7 miliardi di yen, pari a 96 milioni di euro, come riporta Ice. La passione dell’estero per l’eccellenza italiana è testimoniata anche dalle vittorie ai concorsi internazionali: 12 i formaggi italiani ad aver conquistato la medaglia d’oro agli International Cheese Awards 2024, con alcune delle produzioni Dop più famose dello Stivale: dal Parmigiano Reggiano al Taleggio, dalla Mozzarella di Bufala Campana al Gorgonzola.


Tra i formaggi Dop più esportati il Grana Padano (il 52% delle sue vendite va all’estero e sono 1,5 milioni le forme esportate nei primi 7 mesi del 2024 con un +10,18%), Parmigiano Reggiano (34.924 tonnellate esportate nei primi 6 mesi 2024, +17,5%), Mozzarella di Bufala Campana (l’export vale il 38,3% delle vendite totali), Gorgonzola (oltre 1 milione le forme esportate nel primo semestre 2024, +4%), e Pecorino Romano (il 70% della sua produzione è destinata ai mercati internazionali). Secondo la piattaforma di social intelligence Blogmeter, a livello globale i primi quattro formaggi certificati più citati nelle ricerche online sono la Mozzarella di Bufala Campana Dop (56.700 ricerche), il Gorgonzola Dop (23.200), il Parmigiano Reggiano Dop (18.300) e il Grana Padano Dop (9.200).

Copagri: ancora no soluzioni obbligo assicurazione veicoli fermi

Copagri: ancora no soluzioni obbligo assicurazione veicoli fermiRoma, 18 nov. (askanews) – “A distanza di diversi mesi dalla sua entrata in vigore, e nonostante i ripetuti appelli della filiera a intervenire in tal senso, non esistono ancora soluzioni per sciogliere il pericoloso paradosso venutosi a creare a seguito della mancanza di strumenti atti a garantire l’obbligo di assicurazione per la responsabilità civile verso terzi per tutti i mezzi agricoli, anche se fermi o non circolanti su strada”. Lo sottolinea il presidente della Copagri Tommaso Battista alla vigilia dell’inizio dell’esame in aula del Senato del ddl in materia di sicurezza stradale, che delega al Governo la revisione del Codice della strada.


“Parliamo di un obbligo entrato in vigore a luglio e derivante da una direttiva comunitaria che l’Italia ha recepito alla lettera, andando a modificare il Codice della strada e il Codice delle assicurazioni private; tale disposizione, per la quale non esistono al momento idonei strumenti assicurativi che tengano conto della bassa incidenza dei danni a terzi per mezzi fermi o non circolanti su strada, ha creato non poche criticità a tutti i produttori agricoli”, rimarca il presidente, ricordando le richieste di proroga avanzate in tal senso dalla Copagri già in occasione delle audizioni sul DEF 2024 e dei confronti sui ‘DL Agricoltura’ e ‘DL Omnibus’. “Queste istanze, però, al netto del positivo rinvio di sei mesi accordato con l’ultimo ‘DL Milleproroghe’ e fortemente caldeggiato dalla Copagri, sono cadute nel vuoto, pur trattandosi di una misura che non comporterebbe ulteriori oneri per la finanza pubblica”, prosegue Battista, ad avviso del quale “senza un intervento normativo rapido e risolutivo, si rischia che il costo della norma vada ad aggravare la già delicata situazione del Primario nazionale, stretto tra gli effetti del meteo avverso e i rincari dei fattori produttivi”.


“Proprio per queste ragioni, reiteriamo il nostro appello affinché, ‘approfittando’ della riforma del Codice della strada all’esame di Palazzo Madama, ci si adoperi per accordare un rinvio dell’obbligo di assicurazione per tutti i mezzi agricoli, così da sgravare i produttori da una ulteriore incombenza burocratica ed economica; contestualmente, sarà importante continuare a lavorare a una soluzione assicurativa ad hoc che con il coinvolgimento del governo e dell’IVASS, l’autorità amministrativa indipendente che esercita la vigilanza sul mercato assicurativo italiano, possa definitivamente risolvere tale problematica”, conclude il presidente.

R. Piemonte pensa a Distratto della carne per la Razza Piemontese

R. Piemonte pensa a Distratto della carne per la Razza PiemonteseRoma, 18 nov. (askanews) – “L’allevamento della Razza Piemontese rappresenta la nostra storia, il nostro presente e il nostro futuro. La carne di Piemontese oggi è riconosciuta anche dai giapponesi e dagli americani come la migliore al mondo in assoluto. Dobbiamo investire sulla sua promozione a livello nazionale e internazionale, puntando sulla tracciabilità in tutti i passaggi e studiando la possibilità di costituire un Distretto della Carne che assicuri la migliore redditività ai produttori”. Lo ha sottolineato l’assessore al Commercio, Agricoltura e Cibo, Caccia e Pesca, Parchi della Regione Piemonte Paolo Bongioanni oggi nel corso della presentazione dei risultati raggiunti dai progetti I-BEEF1 ed I-BEEF2 durante il convegno “Biodiversità, sostenibilità efficienza e benessere dei bovini da carne italiani”.


A partire dal 2017, le tre Associazioni Nazionali degli allevatori di bovini da carne italiani, Anaborapi (razza Piemontese), Anabic (razze Chainina, Romagnola, Marchigiana, Maremmana e Podolica) ed Anacli (razze Charolaise, Limousine e razze da carne a limitata diffusione), sono state impegnate su due importanti progetti, I-BEEF1 ed I-BEEF2, finanziati dalla sottomisura 10.2 del PSRN (Piano di Sviluppo Rurale Nazionale) che pone l’attenzione su aspetti relativi al benessere animale, al miglioramento dell’efficienza riproduttiva, alla riduzione delle emissioni di gas serra nonché la salvaguardia della biodiversità. “Con 4.000 aziende, 300.000 capi e un fatturato di 350 milioni l’anno alla stalla nel solo territorio regionale – ha sottolineato Bongioanni – Tutto ciò non può che avvenire attraverso il dialogo e l’interlocuzione continua con gli allevatori e le associazioni di categoria, per reperire le risorse necessarie e scrivere i provvedimenti e i bandi nel modo più efficace”.


Grazie a un finanziamento complessivo pari a circa 15 milioni di euro, messi a disposizione da Masaf e cofinanziati dall’UE, Anaborapi Anabic ed Anacli hanno potuto ampliare le tradizionali attività svolte a favore degli allevatori affrontando nuovi ed importanti temi e ricerche. L’obiettivo è stato quello di conoscerne e valorizzarne l’unicità e le potenzialità produttive attuali e future, in considerazione dell’importanza che esse rivestono ai fini scientifici, economici, ecologici e storico-culturali.

Wwf: non sufficienti modifiche Masaf a Dl Contaminazioni

Wwf: non sufficienti modifiche Masaf a Dl ContaminazioniRoma, 18 nov. (askanews) – Sono “non sostanziali” le modifiche apportate dal Masag al Decreto che alza i limiti tollerati della contaminazione dei pesticidi per i prodotti biologici dopo la riunione svoltasi la settimana scorsa con le associazioni di categoria dell’agricoltura biologica organizzata dopo la denuncia pubblica del WWF Italia e della rivista “Il Salvagente”.


Il ministero dell’Agricoltura, prosegue il Wwf, dovrebbe presentare nei prossimi giorni la versione aggiornata del testo del Decreto. E l’associazione rinnova l’invito ad eliminare gli articoli 3 e 5 ed auspica massima trasparenza e completa informazione sulle modifiche del Decreto. Secondo le indiscrezioni trapelate, riporta il Wwf, nel corso della riunione sono state concordate alcune correzioni al testo dell’art. 3 del Decreto che prevedeva il blocco della commercializzazione del prodotto biologico in caso di una contaminazione uguale o inferiore al limite di 0,01 mg/Kg. Le modifiche minime riguarderebbero l’eliminazione della compromissione dell’integrità del prodotto biologico dovuta alla presenza di tracce di più di una sostanza chimica non ammessa (il multiresiduo), per superare il problema delle miscele commerciali dei prodotti fitosanitari (punto c, comma 4, art. 3); sarebbe stata eliminata la norma che prevedeva la garanzia da parte dell’operatore di escludere la reiterazione di un avvenimento causa della contaminazione non sotto il suo controllo (punto b, comma 6, art. 3), “una banalità perché è evidente che l’agricoltore non avrebbe mai potuto fornire tale garanzia indipendente dalla sua volontà”, commenta il Wwf.


sarebbe stato eliminato anche il “formalmente” come criterio di riconoscimento del falso positivo, dato che non esiste un elenco formale di falsi positivi (punto b, comma 7, art. 3); sarebbero stati eliminati i riferimenti alle generiche “tracce” dei contaminanti nel titolo e nel testo dell’allegato. “In definitiva – commenta il Wwf – si tratta di modifiche che non cambiano i contenuti e gli effetti del contestato art. 3 del Decreto”. Non sarebbe invece stato modificato l’art. 5 del Decreto “che resta il vero scandalo del controverso provvedimento del Ministero che prevede sostanzialmente, anche in caso di contaminazione accidentale, involontaria e inevitabile, un aumento della tolleranza della presenza di una sostanza chimica non ammessa nei prodotti biologici, con una assurda complicazione della normativa”. Sarebbe bastato, per il WWF Italia, mantenere il limite massimo complessivo di 0.01 mg/kg di sostanze chimiche non ammesse, prevedendo alcune deroghe per casi eccezionali, documentati con motivazioni scientifiche come nel caso dei fosfiti.


Rimarrebbe poi inalterato “l’aspetto bizzarro del Decreto che prevede l’assenza di sanzioni, ma l’obbligo di non commercializzazione del prodotto qualora si rilevi la presenza di una contaminazione oltre i nuovi limiti indicati dall’art. 5, ed emerga che questa non è intenzionale, ma è accidentale con l’agricoltore che aveva posto in essere a sue spese, anche se invano, tutte le misure ragionevoli per evitarla”. L’agricoltore sarebbe considerato non colpevole della contaminazione, ma subirebbe un danno economico e non verrebbe indennizzato per la perdita del prodotto.

Mortadella Bologna Igp, in 9 mesi vendite +1,2%, export +5,2%

Mortadella Bologna Igp, in 9 mesi vendite +1,2%, export +5,2%Roma, 18 nov. (askanews) – Nei primi nove mesi del 2024 sono stati venduti quasi 25 milioni e mezzo di chilogrammi di mortadella Bologna Igp. Rispetto allo stesso periodo del 2023 le vendite sono cresciute dell’1,2% e l’affettato in vaschetta registra un aumento del 3,8%. Sul fronte export, che rappresenta il 22,2% delle vendite totali, si registra una crescita del 5,2%.


Nel dettaglio, il Regno Unito registra il maggior incremento percentuale pari a + 10,5%, seguito da Spagna +7,6% e Francia + 6,1%. “Siamo soddisfatti dei risultati ottenuti nei primi 9 mesi, poiché confermano la crescita delle vendite e dell’export della Mortadella Bologna, già riscontrata nei primi 6 mesi. Questo vuol dire che siamo in presenza non di fattori congiunturali ma strutturali”, afferma Guido Veroni, presidente del Consorzio italiano tutela Mortadella Bologna. In Italia, la GDO si conferma il principale canale di vendita con una quota del 55,1%, seguita dal Normal Trade col 27,1% e dal Discount col 17,7%.

Pandoro e panettone: produttori ottimisti sul Natale dopo +3,3% del 2023

Pandoro e panettone: produttori ottimisti sul Natale dopo +3,3% del 2023Milano, 16 nov. (askanews) – Dietro i panettoni e i pandori che finiscono ogni anno sulle tavole natalizie, ci sono aziende con storie e produzioni diverse ma in comune hanno sempre l’inizio, un pasticciere da cui tutto è partito, una famiglia che ha portato avanti l’idea e il lievito madre, anima di questi due pani dolci che richiede cura costante tutto l’anno per mantenersi viva. Non a caso sono chiamati grandi lievitati: la loro riuscita richiede maestria e tempo, da un lato, e il rispetto di un rigido disciplinare dall’altro, anche quando a produrli è l’industria.


L’industria, nel tempo, è riuscita a replicarne, su larga scala, il processo di produzione artigianale, che richiede da due a quattro giorni di preparazione. E proprio grazie a questa produzione su larga scala questi due “pani” nati al nord, in città diverse come Milano e Verona, sono riusciti a diffondersi lungo tutto lo Stivale affermandosi nel tempo come prodotto nazionale, protagonista delle tavole natalizie, apprezzato anche all’estero. Quello passato per il comparto dei lievitati da ricorrenza è stato l’anno del ritorno alla crescita, dopo le difficoltà portate da Covid e inflazione. La conferma arriva dai numeri diffusi da Unione italiana food, nell’ambito del progetto “Buone fette” per promuovere i lievitati da ricorrenza delle grandi marche, come Balocco, Bauli, Maina, Melegatti, Paluani e Tre Marie: in media lo scorso Natale c’è stato un aumento del 3,3%, con una produzione che ha toccato le 73mila tonnellate di prodotto, pari a circa 95 milioni di pezzi. E in un Paese da sempre diviso tra “panettonisti” e “pandoristi”, la sfida per la conquista del primo posto è all’ultima fetta: a detenere lo scettro, per ora, è il panettone con 37.647 tonnellate prodotte, a fronte delle 32.073 dei pandori. Ma quest’ultimo lo scorso anno ha accelerato la propria crescita. Infatti se il panettone ha registrato un aumento del +3,5% a volume (+6,5% a valore per un totale di 237,9 milioni di euro), il Pandoro è cresciuto del 4,1% a volume (+5,9 a valore per un totale di 165,2 milioni di euro), accorciando le distanze col cugino meneghino.


Ma pandoro e panettone nel tempo hanno conquistato anche l’interesse dei mercati esteri. Come dimostrano i dati dell’export 2023, con il 19% della produzione totale destinata alle vendite internazionali, per un valore complessivo di 112 milioni di euro in aumento rispetto ai 105 milioni dello scorso anno. Ad apprezzarli di più sono Francia, Germania, Belgio, Regno Unito e Svizzera ma anche oltreoceano trovano posto sulle tavole di Stati Uniti, Canada, Australia, Brasile e Argentina, seguendo quelle che nel passato sono state le rotte delle migrazioni italiane all’estero. “Alla fine la liturgia del Natale si chiude sempre con un panettone o pandoro. Sono milioni di emozioni e ricordi legati a prodotti che sono molto complessi. Pensate che se ne consumano un chilo e mezzo a testa e 3,5 chili a famiglia – racconta Marco Brandani, produttore e presidente del Gruppo lievitati da ricorrenza di Unione italiana food – Oggi vediamo una leggera preferenza per il panettone sul pandoro anche se nell’ultimo anno il pandoro è cresciuto di più, preferito dai giovani e dalle donne. Più in generale il 75% del mercato preferisce i classici, gli altri invece apprezzano le varianti arricchite”. E il Natale 2024 come sarà? “I segnali – ammette Brandani – sembrano buoni, noi prevediamo che sarà un anno ancora in crescita rispetto a quello passato, del resto gli italiani hanno voglia di chiudersi in casa a festeggiare il Natale con le proprie famiglie”.


Per tutelare questi lievitati e il consumatore diciannove anni fa “è stato emanato un Decreto con la definizione di un disciplinare per l’ottenimento della denominazione riservata – sottolinea Luca Ragaglini, vice direttore di Unione italiana food – che garantisce l’autenticità, la qualità, la trasparenza e la sicurezza per il consumatore nella scelta di questi lievitati”. Il decreto “Disciplina della produzione e della vendita di taluni prodotti dolciari da forno: un disciplinare produttivo per l’ottenimento della denominazione riservata”, adottato sia dal ministero delle Attività produttive che da quello delle Politiche agricole e voluto da Unione italiana food, definisce ufficialmente ingredienti e procedimento per la produzione dei lievitati da ricorrenza, panettone, pandoro o colomba. In questo modo i produttori che applicano tecniche diverse, o non utilizzano gli ingredienti nella tipologia e quantità ammesse, non possono utilizzare nè le denominazioni né le forme caratteristiche di questi dolci.


Ecco quindi che si possono fregiare del nome di pandoro o panettone quei prodotti a lievitazione naturale fatti con uova fresche (ovvero entro 28 giorni dalla deposizione e in quantità specifiche a seconda che si tratti di panettone, pandoro o colomba), burro, e uvetta e canditi in quantità minime garantite. “La base di tutto è il lievito madre – rimarca Brandani – che ha diverse età a seconda dell’azienda, non a caso nelle nostre aziende il lievitista è fondamentale per fare un buon prodotto. E grazie al disciplinare oggi è ammesso solo il burro nella ricetta mentre prima del 2005 erano ammessi altri grassi vegetali. Questi sono dolci complessi che richiedono tempo per essere prodotti, parliamo di almeno due giorni di lavoro”. “Perchè alla fine – conclude – è l’attesa a rendere pandoro e panettone i dolci che sono”.

Il 30% italiani butta cibo dopo data da consumarsi preferibilmente entro

Il 30% italiani butta cibo dopo data da consumarsi preferibilmente entroMilano, 17 nov. (askanews) – In fatto di sprechi alimentari gli italiani sembrano essere consapevoli dell’impatto di questo fenomeno e dicono di conoscere la distinzione tra “da consumare entro” e “da consumarsi preferibilmente entro”. Ma quando di tratta di passare dalla teoria alla pratica, c’è un 30% di loro che ammette di buttare il cibo andato oltre il termine minimo di conservazione (il “da consumarsi preferibilmente entro”), affidandosi poco ai propri sensi. A scattare la fotografia, in occasione della Settimana europea per la riduzione dei rifiuti (Serr), che si celebra dal 16 al 24 novembre, Too Good To Go, azienda danese vende le eccedenze alimentari a prezzi ridotti, ha condotto un sondaggio, in collaborazione con Opinium, indagando sulla corretta interpretazione delle etichette alimentari da parte degli italiani e sull’utilizzo dei propri sensi quando si tratta di cibo.


A tal proposito va ricordato che in Europa secondo dati Eurostat, il 54% dello spreco alimentare complessivo si genera all’interno delle nostre case e il 10% di questo è dovuto a un’errata comprensione delle date di scadenza sulle etichette dei prodotti alimentari. Occorre, infatti, prestare attenzione e capire quali sono le principali differenze tra le due etichette esistenti. Mentre la data di scadenza “da consumare entro” serve a garantire la sicurezza alimentare, motivo per il quale oltre la data indicata il prodotto non dovrebbe più essere consumato, la dicitura “da consumare preferibilmente entro” riguarda invece il termine minimo di conservazione degli alimenti, e quindi si riferisce alla data di miglior qualità del prodotto. In questo secondo caso, se conservati correttamente, gli alimenti possono essere consumati anche dopo tale data, affidandosi ai propri sensi per evitare un inutile spreco di cibo. Secondo l’indagine condotta da Too Good To Go, sebbene l’81% dei consumatori italiani si dichiari consapevole del significato dell’indicazione “da consumarsi preferibilmente entro”, quasi un terzo (30%) ammette di buttare spesso o sempre il cibo una volta superata tale data. Tra i più “spreconi” gli appartenenti alla Generazione Z (42%) mentre i Millennials (21%) sembrano essere i più attenti. Proprio i Millennials sono anche i più inclini a utilizzare i propri sensi come strumento principale per valutare lo stato dei prodotti (67%) a differenza invece della maggior parte degli italiani (65%) che si affida principalmente alle etichette e che dichiara di non fidarsi completamente del proprio buon senso quando si tratta di cibo (52%).


Per affrontare questo problema, Too good to go ha lanciato nel 2021 l’iniziativa “Etichetta consapevole” in collaborazione con alcune delle principali aziende di beni di consumo del mondo, invitando le persone a utilizzare i propri sensi e a osservare, annusare e assaggiare un prodotto che ha superato la data “da consumarsi preferibilmente entro” per valutarne lo stato. A oggi, In Italia, l’etichetta “Osserva, annusa, assaggia” conta 47 brand aderenti al progetto ed è presente su oltre 300 referenze, venendo stampata annualmente su oltre 390 milioni di confezioni. Secondo l’indagine di Too good to go, più di un terzo degli intervistati (36%) dichiara di aver visto o sentito parlare dell’etichetta, in modo particolare anche in questo caso, i Millennials (58%). “Oggi l’Etichetta Consapevole di Too Good To Go è presente in 15 Paesi, vanta 532 partner attivi in tutto il mondo, ed è stampata su 6 miliardi di prodotti ogni anno – spiega Mirco Cerisola, country director di Too good to go Italia – Siamo orgogliosi di lavorare con così tante aziende e di riuscire a generare un così grande impatto in modo allargato, guidando i consumatori verso comportamenti più consapevoli, attenti e sostenibili per il Pianeta”.

In 10 anni l’uso degli agrofarmaci in agricoltura è calato del 14%

In 10 anni l’uso degli agrofarmaci in agricoltura è calato del 14%Milano, 17 nov. (askanews) – In Italia il settore agricolo se da una parte continua a ridurre l’utilizzo di energia e le sue emissioni, inclusi i gas a effetto serra, dall’altra utilizza gli agrofarmaci in maniera sempre più ottimizzata, come confermano le vendite degli ultimi 10 anni diminuite del 14%. Inoltre il nostro Paese conferma la propria leadership in termini di sicurezza alimentare, con il 99,5% dei campioni analizzati con residui al di sotto dei limiti di legge. È questa la fotografia che emerge dagli ultimi dati dell’Osservatorio Agrofarma, un report che, da un anno a questa parte, fornisce informazioni sullo stato dell’arte dell’agricoltura italiana e del comparto agricolo.


In termini assoluti, il settore agricolo italiano ha le emissioni complessive più basse rispetto ai Paesi UE presi a confronto (Francia, Germania e Spagna). Le emissioni di ammoniaca, infatti, secondo l’Osservatorio Agrofarma, continuano a ridursi e l’obiettivo di contenimento delle stesse concordato con l’UE per il 2030 è stato raggiunto con largo anticipo già nel 2021, mentre prosegue anche il percorso di riduzione delle emissioni di gas a effetto serra. Emerge, inoltre, con chiarezza l’impegno delle imprese del settore nello sviluppo di agrofarmaci innovativi e meno impattanti, dimostrato dal fatto che oltre l’83% degli agrofarmaci presenti sul mercato italiano è stato approvato o rinnovato dopo il 2011. Mentre la riduzione delle quantità vendute di prodotti fitosanitari in Italia, diminuite complessivamente del 14% negli ultimi 10 anni, mostra come l’industria, da tempo, sia impegnata in un percorso di costante ottimizzazione dell’uso di agrofarmaci. Un trend che, tuttavia, non riguarda la categoria degli agrofarmaci a base di sostanze a basso rischio, cresciuta di oltre il 6000%. “Il nuovo aggiornamento dell’Osservatorio Agrofarma va confermandoci l’immagine di un settore con alta propensione all’innovazione, che sta supportando il percorso non facile della nostra agricoltura verso la progressiva riduzione degli impatti ambientali, pur tutelando le rese produttive – afferma Enrica Gentile, Ceo & Founder Areté – La sfida è questa: che innovazione e tecnologia corrano a un ritmo sufficiente per difendere la produttività agricola anche a fronte delle forti riduzioni di input, agrofarmaci in primis, che si registrano ormai da anni, anche per effetto della spinta data dalle policy di settore”.


Per la prima volta quest’anno all’interno dell’Osservatorio sono stati analizzati anche i dati relativi al clima e agli effetti meteorologici che hanno interessato l’Italia negli ultimi decenni e i cui effetti sono quotidianamente sotto gli occhi di tutti. Sono stati, infatti, monitorati gli indicatori di temperatura e precipitazioni che influenzano maggiormente la produzione agricola, la salute delle piante e la disponibilità di risorse idriche. Se dal 1997 in poi le temperature medie in Italia hanno subito un aumento rispetto al periodo precedente, negli ultimi dieci anni lo scostamento si è accentuato, con valori di anomalie annuali sempre superiori ai +0,7 gradi centigradi, accompagnati da precipitazioni particolarmente irregolari, che suggeriscono una variabilità climatica crescente. Tali fattori hanno conseguenze sulla capacità produttiva di diverse culture e sullo sviluppo di determinate avversità, che le imprese chimiche contrastano attraverso la messa a punto di agrofarmaci sempre più innovativi per salvaguardare la produttività agricola. “I nuovi numeri raccolti dall’Osservatorio Agrofarma confermano il percorso virtuoso dell’agricoltura italiana, volto alla razionalizzazione delle risorse e all’adozione di soluzioni sempre più orientate alla sostenibilità – ha dichiarato Paolo Tassani, presidente di Agrofarma-Federchimica – Con questo progetto vogliamo superare e contrastare la logica che associa l’utilizzo della chimica in agricoltura a pratiche negative per l’ambiente, fornendo una rappresentazione corretta del nostro comparto lontana da falsi miti e fake news che non rappresentano quello che è l’impegno reale e quotidiano di tutti gli operatori del settore”.

Gruppo Branca: utile 2023 +47% a fronte di fatturato in calo del 16%

Gruppo Branca: utile 2023 +47% a fronte di fatturato in calo del 16%Milano, 15 nov. (askanews) – Il gruppo Branca, attraverso marchi come Fernet-Branca, Brancamenta, Borghetti, nel 2023 ha registrato un fatturato consolidato di 355 milioni di euro, con un calo del 16% rispetto all’anno precedente per effetto del cambio iper-inflattivo dei pesos argentini. L’Argentina, infatti, per il gruppo di spirits, rappresenta una roccaforte strategica e seconda sede del comparto del gruppo. Al netto dell’effetto di conversione, l’esercizio registra un aumento in valore e volumi. Questo incremento si è riflesso sull’utile netto, in crescita del +47%. Inoltre, grazie a una performance positiva nei mercati chiave, il valore generato dal gruppo ha raggiunto oltre 380 milioni di euro. E’ quanto emerge dal bilancio di sostenibilità 2023 di Branca International, holding della famiglia Branca che controlla le tre società dedicate alla produzione e commercializzazione di spirits (Fratelli Branca Distillerie, l’argentina F.lli Branca Destilerías e Branca USA) e l’immobiliare Branca Real Estate.


Nel 2023 il gruppo Branca, “pur in un contesto di sfide economiche globali, ha saputo capitalizzare sulla propria visione e consolidare la propria posizione nei mercati chiave” si legge in una nota. Lo scorso anno ha consolidato la propria presenza in oltre 160 mercati, registrando una crescita significativa in Europa, Stati Uniti e Argentina, e una recente espansione nel Sud Est Asiatico. I mercati al di fuori dell’Italia rappresentano circa l’80% del fatturato globale, sostenuto da una domanda in costante aumento. La strategia del gruppo punta a consolidare un forte interesse per i brand in portfolio sia in Italia che sui mercati internazionali. In particolare nel nostro Paese ha ulteriormente rafforzato la propria posizione registrando performance positive per tutti i brand, per un totale a volume di prodotto imbottigliato di quasi 80.000 tonnellate.


Il 2025 prevede una progressiva espansione delle occasioni di consumo e una presenza sempre più solida dei prodotti a livello globale. Il prossimo anno, che celebrerà il 180esimo anniversario di Branca, proseguirà la strategia della “de-stagionalizzazione” e della “de-regionalizzazione” dei consumi, estendendo il consumo e la distribuzione dei brand oltre i confini stagionali e geografici tradizionali. Accanto a questo, Branca punta a raggiungere nuove fasce di consumatori, guidata dal motto ‘Novare Serbando’. Questa espansione proseguirà nel rispetto dei principi Esg. “Viviamo in un mondo in costante evoluzione, dove non dobbiamo lasciarci sorprendere, ma essere previdenti e proattivi. Il 2023 ci ha messo alla prova con molte sfide, dall’inflazione alla crisi globale, ma abbiamo dimostrato che, quando si è preparati, si può affrontare qualsiasi situazione. Abbiamo continuato a investire nelle persone, nelle tecnologie e nei mercati”, ha commentato il presidente Niccolò Branca, che conclude: “Per noi, la sostenibilità non è solo un dovere morale; rappresenta una reale opportunità di crescita condivisa. Il nostro impegno per la qualità e il rispetto verso persone e ambiente si traduce in un modello di business che aspira a generare valore duraturo. Crediamo fermamente che solo un’impresa responsabile possa costruire un futuro migliore per tutti, fondando il proprio successo su radici salde e una visione lungimirante”. Sotto la guida di Niccolò Branca, esponente della quinta generazione della famiglia, il gruppo continua a seguire la visione dell’economia della consapevolezza, basata su quattro pilastri di sostenibilità, consapevolezza, qualità e cura. “In un anno segnato da incertezze, il nostro impegno verso l’ambiente e le persone non è mai venuto meno; Il gruppo Branca ha anche dimostrato di contribuire attivamente allo sviluppo economico e sociale. Infatti, oltre l’80% del valore generato è stato distribuito tra l’acquisto di beni e servizi, fornitori di capitali, Pubblica Amministrazione, dipendenti ed investimenti per la comunità. Questo è il nostro modo di agire responsabile in un mondo interconnesso” afferma Niccolò Branca, presidente e amministratore delegato del gruppo.


Nella gestione di una filiera di approvvigionamento globale, Branca ha implementato una strategia di green procurement per garantirsi fornitori con un forte impegno verso la sostenibilità. In Argentina, questa strategia ha portato al raggiungimento del 100% di fornitori con almeno una certificazione “green” (ISO 14001 per la gestione ambientale, OHSAS 18001 e ISO 45001 per la salute e sicurezza sul lavoro). Anche in Italia, con l’85% di fornitori certificati, e negli Stati Uniti, con il 25%, Branca punta ad allinearsi agli standard argentini nei prossimi anni, estendendo le pratiche sostenibili a tutti i livelli della supply chain. Sul fronte ambientale, ha registrato una diminuzione complessiva delle emissioni totali di CO2 pari al 10% rispetto all’anno precedente, attraverso l’adozione di impianti più sostenibili e il miglioramento dell’efficienza energetica in tutte le aree produttive. In Italia, nello specifico, il gruppo ha ridotto le emissioni di CO2 del 13% e i consumi energetici dell’8% rispetto al 2022. L’ottimizzazione dei consumi idrici rimane un tema importante, con un incremento dell’uso del 20%, su cui il gruppo sta attuando nuove strategie di ottimizzazione. Sul fronte sociale, in particolare nella parte attiva nella produzione e commercializzazione di spirits, ha incrementato la propria forza lavoro dell’8%, raggiungendo un totale di 341 dipendenti, il 99% dei quali assunti a tempo pieno e con contratto a tempo indeterminato, con l’obiettivo di mantenere questa percentuale nel tempo.

Lollobrigida: sicurezza sul lavoro tema fondamentale per settore

Lollobrigida: sicurezza sul lavoro tema fondamentale per settoreRoma, 14 nov. (askanews) – “Oggi, al convegno ‘Lavoro sicuro in agricoltura’ organizzato da Confagricoltura abbiamo affrontato un tema fondamentale per il nostro settore. Anche in agricoltura, la via da seguire è quella della prevenzione, del lavoro di squadra con imprese, sindacati e associazioni datoriali, degli investimenti in soluzioni tecnologiche avanzate”. Così il ministro dell’Agricoltura Francesco Lollobrigida.


“Va in questa direzione la nuova piattaforma digitale sviluppata da Confagricoltura con altri partner, nata per rispondere alla mancanza di manodopera nel comparto. Una grande opportunità per le aziende e per i lavoratori, poiché facilita l’incontro tra domanda e offerta, garantendo un quadro di sicurezza operativa che gli imprenditori devono assicurare sempre e comunque. Ringrazio Confagricoltura per il lavoro svolto, prezioso e innovativo”, ha concluso il ministro.