Skip to main content
#sanremo #studionews #askanews #ciaousa #altrosanremo

Consiglio Ue: accordo su mandato negoziale per le Ngt, i nuovi Ogm

Consiglio Ue: accordo su mandato negoziale per le Ngt, i nuovi OgmBruxelles, 14 mar. (askanews) – Il Comitato dei rappresentanti permanenti degli Stati membri (Coreper,) che prepara le riunioni ministeriali del Consiglio Ue, ha approvato oggi a Bruxelles il mandato alla presidenza semestrale di turno polacca per condurre i negoziati co-legislativi con il Parlamento europeo e con la Commissione sul regolamento riguardante le piante ottenute con le “Nuove tecniche genomiche” (Ngt) e sugli alimenti e mangimi derivati.


Pur introducendo diverse modifiche per poter ottenere l’appoggio di un numero di Stati membri corrispondente alla maggioranza qualificata, il mandato negoziale del Consiglio lascia sostanzialmente intatto l’impianto di fondo della proposta iniziale della Commissione, che comporta la parziale deregolamentazione nell’Ue di questi Ogm di nuova generazione, caratterizzati dall’introduzione in laboratorio di modificazioni genetiche che potrebbero anche verificarsi naturalmente o tramite metodi di riproduzione convenzionali. Sono previsti due percorsi distinti per l’immissione sul mercato delle piante Ngt: quando risultano da non più di 20 modificazioni genetiche (categoria Ngt1) sono considerate come “sostanzialmente equivalenti” alle piante “convenzionali” ed esentate dale attuali norme Ue sugli Ogm, compreso l’obbligo di etichettatura.


Al di là delle 20 modificazioni genetiche introdotte (categoria Ngt2) resta invece pienamente applicabile la normativa sugli Ogm, ovvero un regime di autorizzazione fondato sulle valutazioni di rischio da parte dell’Efsa (l’Autorità Ue di sicurezza alimentare), con un sistema obbligatorio di tracciabilità ed etichettatura, e con la possibilità da parte degli Stati membri di imporre divieti di coltivazione sul proprio territorio nazionale. La proposta stabilisce l’esclusione dell’uso di piante Ngt nella produzione biologica e l’etichettatura obbligatoria per le sementi Ngt, per entrambe le categorie.


Il mandato del Consiglio prevede che gli Stati membri possano decidere di vietare la coltivazione di piante Ngt di categoria 2 sul loro territorio, e adottare misure per evitare la presenza indesiderata di tracce di piante Ngt2 in altri prodotti. Gli Stati membri dovranno inoltre introdurre misure per prevenire la contaminazione transfrontaliera. I prodotti derivati da piante Ngt2 saranno sottoposti a etichettatura obbligatoria, in linea con la proposta della Commissione. Per quanto riguarda le piante Ngt1, la posizione del Consiglio chiarisce che, per evitarne la presenza indesiderata nell’agricoltura biologica, gli Stati membri possano adottare misure specifiche nel loro territorio, in particolare in aree con condizioni geografiche particolari, come le isole e le regioni insulari.


Una novità importante nel mandato negoziale del Consiglio è poi il divieto di considerare come Ngt di categoria 1 le piante modificate geneticamente per essere rese tolleranti agli erbicidi, garantendo così che tutte le piante con questa caratteristica rimangano soggette ai requisiti di autorizzazione, tracciabilità e monitoraggio previsti per i “vecchi” Ogm e per le piante Ngt2. In Consiglio Ue, i paesi più favorevoli al nuovo regolamento sono Francia, Italia, Spagna, Portogallo e Olanda; contrari invece Austria, Romania, Slovacchia e Ungheria. La Grecia, inizialmente indecisa, ha votato a favore della proposta della presidenza polacca, e lo stesso ha fatto anche il Belgio, ma con riserva, dichiarando di non impegnarsi necessariamente a sostenere l’eventuale accordo finale dopo i negoziati con il Parlamento europeo. La Germania, che si è sempre astenuta a causa di contrasti in seno alla propria maggioranza di governo, ha confermato la propria posizione. Il Parlamento europeo aveva votato la sua posizione nel febbraio 2024, chiedendo in particolare tre cambiamenti importanti al testo del regolamento: 1) un divieto assoluto di brevettabilità per tutte le piante Ngt, di entrambe le categorie, per evitare l’aumento dei costi e nuove dipendenze di agricoltori e allevatori dalle grandi società agroindustriali; 2) una condizione aggiuntiva per la definizione delle Ngt di categoria 1, secondo cui non più di tre modifiche genetiche, tra le 20 consentite, dovrebbero riguardare le sequenze che modificano una proteina; 3) un obbligo di etichettatura con la dicitura “Nuove tecniche genomiche” anche per le piante Ngt1 e i prodotti derivati. Soprattutto su questi tre punti il negoziato si annuncia difficile. L’obiettivo dichiarato del regolamento è quello di agevolare la creazione di varietà vegetali migliorate, che siano resistenti al cambiamento climatico e ai parassiti, che diano rese più elevate o che richiedano meno fertilizzanti e pesticidi durante la coltivazione. Le nuove tecniche genomiche, al contrario dei “vecchi” Ogm che erano ottenuti attraverso la “transgenesi”, sono basate sulla “cisgenesi”, ovvero l’inserimento nelle piante di geni provenienti da specie affini, e non estranee. In pratica, per ottenere determinate caratteristiche delle piante, si “pilotano” e si accelerano modificazioni genetiche che non sarebbero impossibili naturalmente, e lo si fa applicando i meccanismi di precisione della genomica, basati cioè sulla mappatura dettagliata del genoma. Negli Ogm tradizionali, invece, le modificazioni genetiche venivano conseguite senza sapere esattamente dove nel genoma sarebbero andate a inserirsi le nuove sequenze di Dna introdotte. Resta il fatto, sottolineato da diverse organizzazioni ambientaliste ed esperti scientifici, che qualunque modificazione del genoma comporta il rischio potenziale di “effetti non intenzionali”, a livello sia genetico che epigenetico (cioè dentro o fuori il Dna), ed eliminare la valutazione di rischio, il regime di autorizzazione e gli obblighi di tracciabilità ed etichettatura, come la Commissione propone di fare con gli Ngt1, appare poco coerente con il principio di precauzione previsto dal Trattato Ue e con il dovere di informare i consumatori. Inoltre, appare poco fondato scientificamente il criterio puramente quantitativo della “soglia” di 20 modifiche genetiche per distinguere tra le due categorie di Ngt: il numero di modifiche è importante, ma non è l’unico fattore che può determinare il rischio di “effetti non intenzionali”.

De’ Longhi: fatturato 2024 +14% grazie a caffè e nutrition, utile a 310 mln

De’ Longhi: fatturato 2024 +14% grazie a caffè e nutrition, utile a 310 mlnMilano, 14 mar. (askanews) – Nel 2024 il gruppo De’ Longhi ha registrato ricavi per 3,49 miliardi, in aumento del 13,7% grazie al consolidamento de La Marzocco da marzo 2024 (crescita che a parità di perimetro è stata pari al 6,6%). L’utile netto ha raggiunto i 310,7 milioni, in crescita del 24,1% rispetto ai 12 mesi precedenti. In crescita anche l’Ebitda a 548,4 milioni (+26%) mentre la posizione finanziaria netta a fine 2024 era positiva per 643,2 milioni, sostanzialmente in linea con quella registrata nel 2023. Il consiglio di amministrazione, nell’approvare il consolidato, ha proposto la distribuzione di un dividendo complessivo di 1,25 euro per azione, in aumento dell’87% rispetto all’anno precedente, pari ad un pay-out ratio nell’intorno del 60% (rispetto al 40% ordinario previsto dalla dividend policy).


“Il gruppo ha evidenziato nel corso dell’anno continuità e solidità di risultati, con un robusto trend di crescita organica per il sesto trimestre consecutivo, grazie allo sviluppo strutturale nel caffè ed alla rinnovata attenzione per la nutrition – ha commentato il Ceo Fabio de’ Longhi – Tale trend, assieme al consolidamento de La Marzocco e al momentum favorevole del brand, ha sostenuto un’espansione del fatturato pari al 14%, in accelerazione al 18% nell’ultimo trimestre. Sono estremamente soddisfatto per il raggiungimento di un Ebitda record, con una marginalità al 16% che ha beneficiato della crescita dei volumi, della stabilizzazione dei costi industriali e del miglioramento del mix, oltre che dell’allargamento del perimetro nel caffè professionale che ha ulteriormente rafforzato la profittabilità del gruppo”. Il ceo sottolinea che questi risultati hanno portato a “un’importante generazione di cassa, consentendo al gruppo di mantenere piena flessibilità in termini di capital allocation verso potenziali opportunità di crescita esterna, oltre che nei confronti di una maggior remunerazione per il mercato. I recenti trend di crescita, confermati anche nei primi mesi dell’anno, ci portano a stimare per il nuovo perimetro un fatturato per il 2025 in espansione tra il 5% e il 7%, sostenuto anche dal lancio di nuovi prodotti e dagli investimenti in comunicazione. A livello di marginalità ci attendiamo un adjusted Ebitda nell’intorno 580-600 milioni (nuovo perimetro), considerata l’attuale situazione sulle tariffe relative ai prodotti destinati al mercato americano”.

Dai longobardi all’industria: la colomba dolce tradizione da 97 mln di euro

Dai longobardi all’industria: la colomba dolce tradizione da 97 mln di euroMilano, 14 mar. (askanews) – Quando sulle tavole ci sono ancora le ultime fette di pandoro e panettone, avanzate dalle feste natalizie, l’industria dei dolci da ricorrenza si rimette in moto per avviare la produzione delle colombe, il terzo dei grandi lievitati della tradizione italiana che approderà sulle tavole per Pasqua. Si inizia dopo l’Epifania, a sfornare questo dolce le cui incerte origini longobarde si intrecciano con il più moderno genio imprenditoriale di Angelo Motta che, per la prima volta, ne avviò la produzione nella sua fabbrica, a fine anni Trenta.


Sì, perché se la leggenda vuole che questo dolce nasca all’epoca del re longobardo Alboino, che avrebbe graziato la città di Pavia, durante il suo assedio, dopo aver ricevuto in dono da un fornaio un dolce a forma di colomba, la storia ci dice che è grazie al binomio industria-pubblicità che diventa un simbolo della tradizione pasquale nazionale. Industria che ancora oggi contribuisce a tenere viva questa tradizione, dal 2005 disciplinata dal decreto di Denominazione Riservata, che stabilisce ingredienti e regole di produzione dei lievitati da ricorrenza, colomba inclusa. “La prima cosa da fare quando si acquista è verificare che sul prodotto ci sia scritta Denominazione riservata Colomba – avverte Luca Ragaglini, vice direttore di Unione italiana food in occasione di un evento organizzato nell’ambito del progetto dell’associazione Buone fette – Questo presuppone il rispetto di un Decreto con la definizione di un disciplinare che, ormai, da quasi vent’anni ne preserva gli ingredienti, la lavorazione e la forma: il burro in quantità non inferiore al 16%, almeno il 4% di uova fresche, il 15% di scorze di agrumi canditi e, protagonista assoluto dell’aroma inconfondibile, il lievito che deve essere naturale e costituito da pasta acida”.


Ragaglini snocciola gli ingredienti della complessità di questo lievitato che, al pari dei fratelli maggiori, panettone e pandoro, richiede tempi lunghi di produzione, come quelli di un laboratorio artigianale: basti pensare che per ogni una singola colomba servono fino a tre giorni di lavoro prima che possa essere confezionata. E chiaramente questo per una produzione su larga scala come quella industriale, che deve garantire anche efficienza e accessibilità sul mercato, è un elemento complicato da gestire. “Questi tipi di lavorazione sono complessi perché sono sempre sull’orlo del fallimento: basta un minimo errore che si perde tutto ma è anche il bello di questo mondo – spiega Marco Brandani, presidente del gruppo Lievitati da ricorrenza di Unione italiana food e amministratore delegato di Maina – Mettendoci tre giorni a produrre una colomba abbiamo circa 300 colombe che girano ogni giorno in stabilimento, e non è che il lievito madre sia sempre al top”. “Questa complessità – avverte – D’altronde è anche il motivo per cui il numero delle grandi aziende che le produce si è ridotto”. A oggi sei marchi – Balocco, Bauli, Maina, Melegatti, Paluani e Tre Marie associati al gruppo Lievitati da ricorrenza di Unionfood – producono l’80% di questi dolci, e di questi uno solo è focalizzato su di essi, tutti gli altri hanno diversificato la produzione. “E’ una sfida soprattutto di questi tempi – ha spiegato ancora Brandani – perchè ormai i costi rispetto al pre-Covid sono aumentati del 40%, il burro in un anno è salito del 60%. La ricetta della colomba contiene 5-6 ingredienti di origine agricola soggetti a scossoni e stress ormai da qualche anno. Ma il problema non è l’aumento in sè dei costi quanto l’imprevedibilità degli eventi” che si ripercuote sugli equilibri dei mercati globali. Già, perché per quanto la colomba sia un simbolo della tradizione italiana le materie prime non sono necessariamente tutte di origine italiana, per ragioni di qualità ma anche di quantità. “È chiaro che si cerca di prediligere l’Italia per acquistare materie prime ma non è l’origine che fa la qualità” spiegano in Maina.


Di sicuro l’Italia resta il principale mercato di sbocco per la colomba, mantenendo solida una tradizione che trova riscontro nei numeri: quasi 8 italiani su 10 la portano in tavola per festeggiare la Pasqua. E solo lo scorso anno ne sono stati consumati 31 milioni, per un totale di 24.227 tonnellate e un valore pari a 96,7 milioni di euro (Fonte: Unione italiana Food – stime produzione 2024). Un consumo pressochè domestico, dove è la grande distribuzione il canale privilegiato d’acquisto. Qui l’industria arriva sia con il proprio marchio che con il prodotto private label. “A livello di settore più o meno un 50% sono colombe di marca e il resto sono prodotte con la marca del distributore. In tutti e due i casi il rispetto del disciplinare è garantito” assicura Ragaglini. E di fronte a questa scelta i consumatori si dividono: quasi la metà (49,9%) opta per quelle dell’industria di marca, con una particolare predilezione da parte della Generazione Z. E qui il motivo principale è sicuramente la facile reperibilità dei prodotti presso nella gdo (80,5%) ma anche la fiducia riposta nelle marche (33%).


“Le aziende che producono dolci da ricorrenza sono state tutte pasticcerie – conclude Brandani – e quell’impronta è rimasta: oggi sono dei grandi laboratori che hanno introdotto un certo modo di lavorare ma sempre cercando di proteggere, come nello spirito del Decreto del 2005, le ricette. E noi vorremo continuare con questa storia, vorremmo che questo sogno di famiglia continuasse”.

Ue-Usa domani tentativo di negoziato sui dazi su whisky e vino

Ue-Usa domani tentativo di negoziato sui dazi su whisky e vinoBruxelles, 13 mar. (askanews) – “I dazi non ci piacciono perché pensiamo che siano tasse, che siano negativi per le imprese e per i consumatori. Abbiamo sempre detto che avremmo difeso i nostri interessi, lo abbiamo affermato e lo lo abbiamo dimostrato. Ma allo stesso tempo voglio sottolineare che siamo aperti ai negoziati” con gli Stati Uniti. Lo ha detto questo pomeriggio, a Città del Capo, la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, nella conferenza stampa al termine del summit Ue-Sudafrica, a cui ha partecipato insieme al presidente del Consiglio europeo, Antonio Costa.


Von der Leyen rispondeva a una domanda sui dazi americani del 200% sulle importazioni di vini dall’Europa, che il presidente Donald Trump ha minacciato oggi, in risposta alle contromisure annunciate dall’Ue rispetto agli altri dazi Usa già introdotti su acciaio e alluminio. Il commissario europeo al Commercio, Maros Sefcovic, “è in contatto con il suo omologo statunitense”, il segretario al Commercio Howard Lutnick, e i due “avranno una chiamata telefonica domani esattamente su questo caso”, ha annunciato la presidente della Commissione.


Trump ha minacciato di portare al 200% i dazi sui vini europei “se non sarà rimossa immediatamente” una particolare misura dell’Ue che dovrebbe entrare in vigore il primo aprile e che colpisce il bourbon, il whisky americano: un dazio aggiuntivo del 25% all’importazione, che si aggiungerebbe a quello già esistente del 25%, portando il totale al 50%. Da parte dell’Ue, in questo caso non si tratta di una nuova decisione, ma della riattivazione automatica delle contromisure europee che erano state decise per rispondere ai dazi del 25% sull’acciaio e del 10% sull’alluminio della prima Amministrazione Trump, nel 2018 e nel 2020, contromisure che erano state poi sospese durante l’Amministrazione Biden, fino al primo aprile 2025. Oltre al bourbon, c’è una serie di altri prodotti americani a cui verranno applicati i contro-dazi aggiuntivi del 25%, dalle imbarcazioni alle motociclette.


Va precisato che la Commissione non ha deciso l’introduzione di questi contro-dazi a partire dal primo aprile, ma semplicemente non ha proposto alcuna proroga, oltre quella data, alla loro sospensione. Non è prevista dunque, alcuna consultazione o discussione con gli Stati membri su questo punto (la fine del periodo di sospensione), e quindi sull’entrata in vigore dei dazi al 50% sul whisky americano dal primo aprile. Al contrario, gli Stati membri saranno consultati e potranno anche tentare di opporsi riguardo alle altre “misure di salvaguardia” che la Commissione propone di attivare dopo metà aprile, in risposta alle nuove misure protezionistiche annunciate da Trump, che non erano previste nel 2018 e 2020: ovvero l’aumento al 25% dei dazi sull’alluminio (invece del 10% previsto nel 2018) e l’estensione dei dazi americani a tutti i prodotti derivati contenenti acciaio e alluminio, come macchinari, attrezzature da palestra, alcuni elettrodomestici o mobili.


In questo caso, la consultazione degli Stati membri è già iniziata, e a fine marzo la Commissione dovrebbe presentare una proposta di atto esecutivo che individuerà la lista dei prodotti presi i mira dai nuovi contro-dazi aggiuntivi. Le misure dovranno essere approvate secondo le procedure di “comitologia”, in base alle quali, in sostanza, le proposte della Commissione possono essere respinte solo da una maggioranza qualificata di Stati membri. L’entrata in vigore è prevista a metà aprile.

Findus, Roca: volumi 2024 +2,6% sopra media mercato, fiduciosi su futuro

Findus, Roca: volumi 2024 +2,6% sopra media mercato, fiduciosi su futuroMilano, 13 mar. (askanews) – Findus ha chiuso il 2024 con un giro d’affari a 670 milioni di euro, in crescita rispetto all’anno prima, e guarda con “ragionevole fiducia al futuro”, come ha detto Renato Roca, country manager di Findus Italia, in occasione dell’evento a Milano, presso l’Acquario Civico, dedicato al raggiungimento del traguardo del 100% dei prodotti ittici da pesca certificata.


“Il mercato domestico è in leggera crescita sia a volume che a valore. Noi siamo cresciuti a volume più del mercat, un +2,6% contro il 2% del mercato – ha detto Roca – L’Italia non è un Paese da grandissime crescite nel food, però è un mercato che sta continuando a dare buona soddisfazione. Usciti dai momenti un po’ tesi della grande morsa inflattiva del 2022-23 nel 2024 si è normalizzato anche grazie a iniziative come la nostra di riposizionamento prezzi e quindi siamo molto fiduciosi”. Oltretutto, osserva Roca, “il surgelato intercetta una serie di trend come l’anti-spreco, poi il nostro portafoglio prodotti è per l’80% composto da pesce, vegetali, ora il pollo che intercettano trend alimentari crescenti per cui guardiamo con ragionevole fiducia al futuro”. L’aspetto che il country manager dell’azienda parte del gruppo Nomad Foods ritiene “confortante è che il mercato ha riconquistato l’1% delle famiglie che erano uscite, e noi 2 punti di famiglie acquirenti, un dato che per il pesce sale a quattro. E’ il segnale più importante perchè crea un alone che si allunga sui mesi successivi”.


Questo ottimismo non è incrinato dalla minaccia della guerra commerciale scatenata dal presidente americano. “E’ una situazione da tenere sotto controllo – ha detto – al momento non abbiamo evidenze immediate, noi in genere abbiamo contratti che ci coprono per un numero di mesi. Non c’è alcuna evidenza concreta ma monitoriamo. E’ una situazione molto fluida”

Findus: dal 2025 100% dei prodotti ittici arriva da pesca certificata

Findus: dal 2025 100% dei prodotti ittici arriva da pesca certificataMilano, 13 mar. (askanews) – La totalità dei prodotti ittici provenienti da pesca sostenibile certificata Msc o da acquacoltura responsabile certificata Asc. Findus taglia questo traguardo, otto anni dopo l’annuncio, portando sul mercato le sue oltre 60 referenze con il marchio blu di MSC e quello verde di ASC. E consolida così il suo ruolo di leader di mercato nel segmento del surgelato ittico con circa 20 mila tonnellate di prodotto, pari al 20% del comparto, per un valore totale di 290 milioni di euro (esclusi i prodotti ricettati).


“Per noi è un traguardo emozionante e molto importante perché rappresenta un po’ la chiave della nostra interpretazione di leadership di mercato che è anche responsabilità – ci ha detto Renato Roca, country manager di Findus Italia – lavorare per la certificazione di sostenibilità delle oltre 20 specie ittiche di pesce e frutti di mare che trattiamo è stato un traguardo che ci ha visto lavorare alacremente, superando tantissime complessità di tipo logistico organizzativo, produttivo e finanziario, particolarmente esacerbate negli ultimi anni”. La strada green imboccata da Findus nel 2017 è stata trasformativa per il mercato. La sua esperienza pionieristica ha innescato un cambiamento lungo la filiera che trova riscontro nei numeri: il volume dei prodotti ittici certificati MSC in Italia è più che triplicato da quando l’azienda ha ottenuto la certificazione, con una crescita del 170% tra il 2017 e il 2024. E restringendo il raggio di osservazione ai soli surgelati, la crescita è del 92%. “Siamo molto orgogliosi di celebrare questo traguardo di Findus – ha commentato Paola Guglielmo, responsabile della relazione con le aziende di Msc Italia – perché da quando hanno iniziato nel 2017 questo percorso verso il 100% certificato hanno lavorato in modo tale da influenzare tutti i loro stakeholder, quindi tutta la filiera, i consumatori e hanno portato una trasformazione effettiva nel mercato retail. Sono stati in grado di influenzare il mercato, ma anche i consumatori perché questi ultimi hanno contribuito a rendere riconoscibile il marchio e capirne l’importanza”.


L’impegno di Findus è anche una risposta alla crescente sensibilità degli italiani verso la sostenibilità alimentare. Quasi 7 su 10 la considerano un fattore importante, stando all’indagine condotta da Consumerismo No Profit su questi temi. Ed è una attenzione che è cresciuta rispetto a 10 anni fa per il 66% dei consumatori. “Gli italiani ritengono che anche per la spesa ittica diventa fodndamentale la sosteniblità che si trasforma in una attenzione maggiore all’etichetta dove andiamo a cercare le certificazioni – ha spiegato Luigi Gabriele, presidente di Consumerismo – certo il fattore economico rimane determinante ma il fattore della sostenibilità, il modo in cui è stato prodotto, diventano un altro elemento fondamentale”. Per Findus questo traguardo, però, è solo una tappa di un percorso ancora lungo verso la sostenibilità. Il suo impegno è sintetizzato nel manifesto “Fish for Good”, che punta a garantire una filiera responsabile e trasparente, a prendersi cura attivamente dell’oceano e a salvaguardare l’ambiente. E proprio in questa direzione va la collaborazione con Lifegate con cui questa primavera prenderà vita un progetto volto a contrastare gli effetti degli sversamenti di oli e idrocarburi in mare.


“Riteniamo di aver dato contributo fondamentale alla trasformazione di questo mercato perché la sostenibilità non è qualcosa su cui sia possibile discutere – ha concluso Roca – È un dovere per le aziende leader, per le aziende responsabili perché si tratta di preservare la salute degli oceani, dei mari o dei campi quando parliamo di agricoltura, ma si tratta anche di mettere in sicurezza le risorse per il futuro per tutti noi”.

A Ferrara nasce la serra idroponica a energia e acqua zero

A Ferrara nasce la serra idroponica a energia e acqua zeroRoma, 13 mar. (askanews) – Nasce a Ferrare la prima serra idroponica a energia zero, consumo idrico zero e contaminazione controllata rispetto ai patogeni. Il progetto è del Centro Ricerche CIAS dell’Università di Ferrara e nasce con l’obiettivo di rivoluzionare l’agricoltura con un sistema capace di garantire una produzione ortofrutticola di altissima qualità.


La serra semisferica, una cupola geodetica di ultima generazione, e il “cubo” tecnologico, di 5 metri di lato, pur privi di fondazioni tradizionali, sono progettati per resistere a venti di 200 km/h e a terremoti di elevata intensità. L’energia annuale necessaria per il suo funzionamento viene interamente prodotta da un sistema fotovoltaico avanzato, che, oltre a generare corrente, funge da centro di controllo per tutte le funzioni della serra (temperatura, umidità, CO2, caratteristiche fisico chimiche dell’acqua, illuminazione), completamente controllate da remoto grazie a un sistema di supervisione appositamente progettato, che fa uso anche di tecniche di intelligenza artificiale. Uno degli aspetti più rivoluzionari riguarda il consumo idrico: la serra è in grado di recuperare le acque meteoriche (in un prossimo futuro estrarre acqua direttamente dall’aria), riducendo a zero il fabbisogno idrico proveniente da fonti tradizionali. Questo, unito alla tecnologia idroponica (ovvero la coltivazione senza suolo o fuori suolo), permette una resa elevatissima, con una produzione stimata tra i 100 e i 150 kg di ortaggi e frutta per metro quadrato all’anno.


Inoltre, grazie all’impiego sperimentale di batteri probiotici selezionati, innocui per l’uomo, le piante e gli animali, il sistema elimina la necessità di fitofarmaci, garantendo coltivazioni più sicure, naturali e prive di contaminazioni. Attualmente, nell’innovativa serra del Tecnopolo di Ferrara, si sta sperimentando la coltivazione di insalate e di undici varietà di basilico.

Confagri Bologna: serve confronto urgente su fauna selvatica

Confagri Bologna: serve confronto urgente su fauna selvaticaRoma, 13 mar. (askanews) – Aprire un tavolo di confronto per definire strategie di gestione della fauna selvatica adeguate, che consentano di proteggere le imprese agricole senza rinunciare alla tutela della biodiversità, perché “il problema della fauna selvatica non può più essere ignorato: servono misure urgenti e un sistema di ristori equo ed efficace per garantire la sostenibilità delle attività agricole”. Così in una nota Davide Venturi, presidente di Confagricoltura Bologna, sottolineando la necessità di un piano di gestione efficace per contenere l’impatto della fauna selvatica. Nel corso del 2024 sono state diverse centinaia le domande di indennizzo per danni da fauna selvatica presentate dagli agricoltori bolognesi, con ungulati e volatili tra la specie maggiormente responsabile dei danni in agricoltura.


“La proliferazione incontrollata della fauna selvatica sta mettendo a dura prova le aziende agricole del nostro territorio – spiega in una nota – Ungulati, fagiani, oche selvatiche, nutrie, lepri, corvi, colombacci e persino pappagalli, come i parrocchetti dal collare, stanno causando danni sempre più ingenti alle coltivazioni. A questo si aggiunge la presenza sempre più diffusa dei lupi, che dalle zone collinari e montane stanno scendendo in pianura”. Affrontare la problematica del lupo sta diventando sempre più urgente perché la sua presenza, un tempo limitata alle aree collinari e montane dove si sono registrati attacchi ad allevamenti bovini e ovini, si sta espandendo anche in pianura. “La situazione non può essere sottovalutata – sottolinea Venturi – Servono piani di controllo adeguati per tutelare le aziende agricole e zootecniche, che non possono essere lasciate sole a fronteggiare il problema”.


Un ulteriore nodo da sciogliere è la complessità delle procedure per ottenere i risarcimenti per i danni subiti. “Oggi gli agricoltori devono affrontare un iter burocratico lungo e farraginoso, con un ritorno economico minimo rispetto ai danni effettivamente subiti – aggiunge il presidente di Confagricoltura Bologna – Il risultato è che le imprese si trovano a sopportare da sole le conseguenze economiche di un problema che andrebbe invece affrontato con strumenti più efficaci e tempestivi. Se non si interviene in modo concreto, il rischio è la tenuta stessa delle aziende agricole, già messe a dura prova da altre criticità”.

Coldiretti: stima consumi mondiali olio Evo +10% in 2024-25

Coldiretti: stima consumi mondiali olio Evo +10% in 2024-25Roma, 13 mar. (askanews) – Le proprietà benefiche dell’olio extravergine d’oliva, uno dei simboli della Dieta Mediterranea e della cucina italiana candidata a patrimonio dell’Unesco, trainano i consumi mondiali che per l’annata 204/2025 indicano una previsione di aumento del 10%, superando i 3 milioni di tonnellate. E’ quanto emerge da una analisi della Coldiretti su dati Coi diffusa in occasione della presentazione della campagna della Lilt, Lega Italiana per la Lotta contro i Tumori, e di Unaprol Consorzio Olivicolo Italiano che hanno siglato un protocollo d’intesa finalizzato a promuovere il valore curativo dell’Olio Evo, in occasione della “Settimana Nazionale per la Prevenzione Oncologica”, che si terrà dal 16 al 24 marzo 2025 in tutte le maggiori piazze italiane.


Oltre che un prezioso alleato per la salute l’olio extravergine d’oliva, ricorda Coldiretti, rappresenta un comparto strategico per il Made in Italy agroalimentare, grazie all’impegno delle circa 400mila aziende agricole nazionali per garantire un prodotto dagli standard elevatissimi, con un patrimonio di 250 milioni di piante e 533 varietà di olive, il più vasto tesoro di biodiversità del mondo, secondo l’analisi Coldiretti. L’Italia ha la leadership in Europa per il maggior numero di oli extravergini a denominazione in Europa (43 Dop e 4 Igp).

Lollobrigida: ok cdm a regime speciale accise gasolio agricolo

Lollobrigida: ok cdm a regime speciale accise gasolio agricoloRoma, 13 mar. (askanews) – “Oggi in Consiglio dei ministri, il Governo ha confermato, come da me proposto, l’impegno a garantire il regime speciale sulle accise per il gasolio agricolo, indispensabile per non aumentare i costi di produzione e, di conseguenza, i prezzi al consumo, evitando così nuovi oneri per agricoltori e pescatori”. Lo annuncia in una nota il ministro dell’Agricoltura, della Sovranità alimentare e delle Foreste, Francesco Lollobrigida.


“Una scelta – conclude il ministro – che ribadisce il sostegno concreto a chi garantisce cibo di qualità, tutela la sovranità alimentare e la competitività delle imprese. Ringrazio il viceministro Leo, la Presidente Meloni e i colleghi per aver compreso l’importanza di questa scelta”.