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Intesa Ismea-Agraria per formazione in settore agroalimentare

Intesa Ismea-Agraria per formazione in settore agroalimentareRoma, 12 mar. (askanews) – Un accordo per rafforzare la formazione e promuovere l’innovazione nel settore agroalimentare. A frimare il protocollo di intesa oggi sono stati l’Istituto di servizi per il mercato agricolo alimentare (Ismea) e la Conferenza nazionale per la didattica universitaria di AG.R.A.R.I.A. L’accordo punta, in particolare, a potenziare le competenze degli operatori del settore, contribuendo, attraverso la formazione, a ridurre i rischi produttivi e di mercato, a favorire il ricambio generazionale e a sostenere l’internazionalizzazione e l’adozione di nuove tecnologie. E prevede la costituzione di un tavolo tecnico congiunto per la programmazione delle attività formative e il monitoraggio delle iniziative, con un focus sulla condivisione delle migliori pratiche e sullo sviluppo di percorsi didattici in grado di rispondere alle esigenze di un settore in continua evoluzione.


Un’attenzione particolare sarà riservata alla valorizzazione delle produzioni di qualità e allo sviluppo della competitività del sistema agroalimentare nazionale. Negli ultimi anni, Ismea attraverso la Direzione supporto al piano strategico della PAC, ha realizzato diverse iniziative di formazione nell’ambito della Rete Rurale Nazionale e del Dottorato nazionale sull’Osservazione della Terra, in collaborazione con l’Università di Roma “La Sapienza”. La partnership con la Conferenza AG.R.A.R.I.A. rafforza ulteriormente questo impegno, creando nuove sinergie con il mondo accademico. “Questo protocollo rappresenta un passo decisivo per avvicinare il mondo della ricerca e quello delle istituzioni, mettendo a disposizione del settore agricolo strumenti formativi innovativi e personale docente con competenze avanzate. L’esperienza maturata da Ismea sarà un prezioso punto di riferimento per la nuova generazione di imprenditori agricoli, a complemento del trasferimento di conoscenze necessario per affrontare le sfide del futuro”, ha detto Livio Proietti, presidente di Ismea.


“L’intesa con sottolinea il ruolo chiave della formazione e della ricerca per la competitività del settore agroalimentare italiano. Il nostro obiettivo è offrire opportunità concrete di crescita e aggiornamento professionale a studenti, ricercatori e operatori, favorendo il rafforzamento delle competenze e l’adozione di nuove tecnologie in stretta collaborazione con un Ente di grande esperienza sul campo”, ha aggiunto Simone Orlandini, presidente della Conferenza AG.R.A.R.I.A.

Fini (Cia): Pac, imporre tetto contributi per grandi aziende

Fini (Cia): Pac, imporre tetto contributi per grandi aziendeRoma, 12 mar. (askanews) – “Serve un tetto ai contributi Pac per le grandi aziende. Nel 2023, il 23% dei finanziamenti Ue è andato al 2% delle imprese agricole con più di 100 ettari, realtà perlopiù con capitale da investire, senza l’aiuto di nessuno. Ne paga le conseguenze l’agricoltura minore, chi fa reddito solo con il lavoro nei campi”. Lo ha detto il presidente nazionale di Cia-Agricoltori Italiani, Cristiano Fini, nel suo discorso in apertura della X Conferenza economica confederale in corso a Roma, oggi e domani, presso l’Auditorium della Tecnica.


Dall’analisi di Cia, su dati Agea, emerge infatti che le aziende agricole situate in zone montane rappresentano il 40,39% del totale e ricevono il 39,61% dei premi Pac, con un contributo medio di 3.742,80 euro per impresa. Al contrario, le aziende non montane costituiscono il 59,61% e ricevono il 60,39% dei premi, con una media leggermente superiore, pari a 3.866,38 euro. Una distribuzione che sembra equa, ma non lo è, perché, spiega Cia, non tiene conto del fatto che una parte considerevole dei fondi, milioni di euro, va nelle mani di pochissimi con superfici molto estese e capitali già consolidati, lasciando alla maggior parte delle piccole e medie imprese contributi molto più bassi.


“Basta squilibri, la Pac deve essere equa, altrimenti non ha più senso – avverte Fini – Una soglia massima ai fondi per i big del comparto sarebbe un inizio importante, così come l’introduzione di un secondo criterio di assegnazione, oltre la dimensione anche la collocazione geografica”. Il riferiemnto è alle aree interne. Per Fini “l’Europa deve puntare sulle aree interne e fragili assicurandogli un pacchetto aggiuntivo, attingendo per esempio ai fondi di coesione. Pretendiamo che torni al centro della Pac il valore delle zone rurali, delle aziende a conduzione familiare che, nonostante le difficoltà, tutelano il territorio e la biodiversità, le produzioni tipiche locali, fulcro del Made in Italy agroalimentare”.

Fini (Cia): Ue agisca su dazi con diplomazia e negoziazione

Fini (Cia): Ue agisca su dazi con diplomazia e negoziazioneRoma, 12 mar. (askanews) – “L’Europa riconduca la follia dei dazi Usa sul piano della diplomazia e della negoziazione. Nel frattempo, a Bruxelles, si guardi con trasparenza all’economia dell’Eurozona. Vanno rivisti i limiti strutturali e organizzativi dell’Unione, non basteranno politiche di riduzione dei deficit perché il Pil torni a risalire”. Lo ha detto Cristiano Fini, presidente di Cia-Agricoltori italiani, intervenendo alla X Conferenza economica di Cia in corso oggi e domani a Roma.


L’Italia cresce sopra la media Ue, dello 0,7% nel 2024. Germania, Francia, compreso il Regno Unito, con circa 23 miliardi di euro, hanno rappresentato insieme solo che un terzo dell’export agroalimentare Made in Italy. “È Il nostro capitale per il futuro – ha detto Fini – è minacciato dalla instabilità Ue e a corto di finanze, visto anche il debito nazionale, ma risorsa, non replicabile, a vantaggio dell’Europa intera. Occorre una maggiore consapevolezza condivisa tra gli Stati membri, a riconoscimento del valore aggiunto di ciascun Paese e in questo caso, tra l’altro, nella sfida più ampia per la sicurezza alimentare globale, che deve posizionare l’agricoltura, e il suo reddito, a obiettivo chiave e comune, da incentivare e non sanzionare”. Il ruolo del cibo e, quindi, dell’agricoltura è sempre più determinante e per questo, secondo Cia, l’Europa deve davvero cambiare passo. Le politiche restrittive devono portare per Cia a una Pac che sia, “davvero, solo per chi vive di agricoltura, con attenzione alle aree interne e fragili d’Europa. Servono più risorse economiche, ma anche più strumenti adeguati ai loro bisogni che vanno dalla semplificazione e alla gestione del rischio, alla costruzione di una nuova transizione green a misura del comparto”.


A livello nazionale, ha spiegato Fini, l’Italia, “deve tirare fuori una reale e costante volontà politica del fare”. Per Cia, bisogna lavorare alla costruzione di un modello agricolo più forte, capace di garantire redditività agli agricoltori, di tutelare i consumatori e rispettare l’ambiente. Va quindi “recuperata la lungimiranza del Piano strategico nazionale sull’agricoltura” orientandolo verso una redistribuzione del reddito lungo la filiera, con provvedimenti efficaci sia a livello europeo che nazionale; un reale snellimento burocratico; un rafforzamento della direttiva sulle pratiche sleali attraverso contratti di filiera che garantiscano ai prodotti la giusta remunerazione; il rilancio delle aree interne con una massiccia opera di ammodernamento e riqualificazione delle infrastrutture e dei servizi, fondamentali per le attività economiche e per contrastare lo spopolamento. E ancora, per Cia servono azioni per dare gambe all’agricoltura familiare, all’imprenditoria femminile e, più di tutto, al ricambio generazionale nei campi. Senza dimenticare la legge non più rinviabile sul consumo di suolo e la gestione fauna selvatica.

Cia aderisce a manifestazione 15 marzo ‘Una piazza per l’Europa’

Cia aderisce a manifestazione 15 marzo ‘Una piazza per l’Europa’Roma, 12 mar. (askanews) – Cia-Agricoltori Italiani aderisce alla manifestazione del 15 marzo a Roma, “Una piazza per l’Europa”, la manifestazione comune nel segno dell’Europa stata proposta da Michele Serra e, già da oggi, ha riunito tutti i suoi delegati per la X Conferenza economica, fino a domani in Auditorium della Tecnica all’Eur, per ribadire, da forza sociale ed economica del Paese, il suo impegno europeista.


“Vogliamo che l’Europa faccia l’Europa e non disattenda i suoi principi fondativi di pace e stabilità – ha detto il presidente nazionale di Cia, Cristiano Fini, aprendo la Conferenza Economica di Cia – Si risvegli, negli Stati membri, lo spirito del progetto comunitario per la coesione e la democrazia. L’Europa ragioni da superpotenza, riscriva i suoi processi decisionali e rafforzi la propria economia per creare valore e occupazione, salvaguardare libertà e diritti, anteponendo il cibo alle armi, lavorando per la sicurezza alimentare globale, fondamentale per il futuro”. Ad ascoltare il discorso di Fini in platea Raffaele Fitto, vicepresidente esecutivo della Commissione Ue, Francesco Lollobrigida, ministro dell’Agricoltura, della Sovranità Alimentare e delle Foreste, Gilberto Pichetto Fratin, ministro dell’Ambiente e della Sicurezza energetica ed Elly Schlein, segretaria PD.

Pecorino Romano Dop punta sulla promozione in Giappone

Pecorino Romano Dop punta sulla promozione in GiapponeRoma, 12 mar. (askanews) – Il Pecorino Romano DOP punta al Giappone con una forte presenza al Foodex di Tokyo, la più importante manifestazione fieristica agroalimentare del Giappone. La fiera rappresenta infatti una grande opportunità, spiega in una nota il Consorzio, sia per le aziende già presenti sul mercato giapponese sia per quelle che in quel mercato vogliono entrare, con espositori provenienti da oltre 60 Paesi pronti a svelare nuove opportunità di business e soluzioni alle sfide globali emergenti.


In questo contesto, il Consorzio per la Tutela del formaggio Pecorino Romano DOP, presieduto da Gianni Maoddi, rafforza la sua presenza in Giappone con il progetto triennale KYOI 2024-2027, cofinanziato dall’Unione Europea. L’iniziativa mira a intensificare le attività di informazione e promozione dei prodotti agroalimentari europei di alta qualità tra i consumatori giapponesi, proseguendo con successo quanto già realizzato nel periodo 2020-2023 con il progetto CHIZU. Nel 2024, le principali categorie di prodotti alimentari importati dall’Italia in Giappone hanno registrato un incremento in valore rispetto all’anno precedente, con performance particolarmente brillanti proprio per i formaggi (+14,9%). “Grazie alla partecipazione a Foodex Tokyo 2025, il Pecorino Romano DOP punta a consolidare il suo posizionamento in Giappone, promuovendo la qualità, la tradizione, l’innovazione e la versatilità di un prodotto che incarna l’eccellenza del patrimonio gastronomico italiano”, dice il presidente Maoddi. La fiera si protrarrà fino al 14 marzo: nello stand del Consorzio i visitatori potranno assaggiare il prodotto e informarsi sulle caratteristiche di uno dei formaggi più apprezzati al mondo.


“Il Consorzio intensificherà le attività promozionali attraverso degustazioni, incontri con buyer e distributori locali e iniziative mirate alla valorizzazione del prodotto presso il pubblico giapponese”, conclude il direttore generale del Consorzio Riccardo Pastore.

In 2024 export formaggi +10,7%, crescita in tutti i mercati

In 2024 export formaggi +10,7%, crescita in tutti i mercatiRoma, 12 mar. (askanews) – Record per l’export dei formaggi italiani nel 2024, con una crescita del 10,7% che Paolo Zanetti, presidente di Assolatte, definisce “impetuosa” e che fa aumentare “di ulteriori 457 milioni di euro il fatturato realizzato all’estero dalle nostre imprese”.”Risultati eccezionali, anche se oggi sono molte “le preoccupazioni tra le imprese del settore, con la spada di Damocle della nuova era dei superdazi minacciati dagli Stati Uniti e dalla Cina”.


Timori per i dazi Usa a parte, le esportazioni di formaggi italiano sono “al sedicesimo anno consecutivo di crescita, una corsa al galoppo che rende questa performance straordinaria e al tempo stesso ordinaria – ricorda Zanetti – straordinaria, per l’entità dell’aumento, più che doppio rispetto a quello del 2023, e ordinaria perché conferma ancora una volta che l’export è oramai componente determinante e strutturale dei fatturati del sistema latte nazionale”. La crescita 2024 è anche estremamente diffusa. L’export caseario italiano è cresciuto in tutti i principali mercati. Un record ancora più importante perché riguarda praticamente tutti i principali paesi di destinazione: in Francia sono state raggiunte le 146 mila tonnellate e 1,07 miliardi di euro; in Germania sono state sfiorate le 90 mila tonnellate; negli Stati Uniti le nostre esportazioni hanno superato per la prima volta le 40 mila tonnellate; il Giappone, ha raggiunto e sorpassato la soglia dei 100 milioni di euro.


Anche nel 2024 la mozzarella si è dimostrata il prodotto più importante per volumi di export, forte di 153mila tonnellate (+7,4%) e 943,2 milioni di euro. In vetta alla classifica troviamo ovviamente Grana Padano e Parmigiano Reggiano (che in forme o pezzi valgono 1 miliardo e mezzo di euro per 122mila tonnellate, di cui 1/3 tra Germania e Stati Uniti). Solo un gradino più sotto, gli altri formaggi freschi (173mila tonnellate), il Gorgonzola (+4,8% in volume per oltre 200 milioni di euro), il Pecorino (soprattutto nei mercati nordamericani), i grattugiati (tra i più dinamici con +10,7% in volume e +12,2% in valore) e tanti altri formaggi di grande qualità e tradizione italiana.

Valore aggiunto agricolo Italia cresce meno dei competitor

Valore aggiunto agricolo Italia cresce meno dei competitorRoma, 12 mar. (askanews) – Negli ultimi cinque anni, la crescita del valore aggiunto agricolo in Italia, in termini reali, non ha seguito il trend di quelli correnti, alla luce di una sensibile riduzione delle quantità prodotte determinata da avverse condizioni climatiche. Anche in termini correnti, comunque, il tasso di crescita del valore aggiunto agricolo italiano (27%) è risultato inferiore a quello dei diretti competitor come Spagna (+41%), Polonia (+39%) e Germania (+34%) in considerazione di una maggior dinamicità competitiva delle aziende agricole degli altri paesi Ue.


E’ uno dei dati che delineano lo stato di salute del settore primario messi in luce nel report di Nomisma presentato in occasione della X Conferenza economica di Cia-Agricoltori Italiani a Roma e illustrato dal responsabile Agroalimentare Denis Pantini alle istituzioni e ai delegati riuniti in Auditorium della Tecnica. Con quasi 75 miliardi di euro, l’Italia rappresenta la terza agricoltura europea per valore della produzione, ma la prima per valore aggiunto generato. Questo discende da una forte specializzazione e vocazionalità del proprio modello agricolo (incentrato su prodotti distintivi di alta qualità e spesso inseriti in filiere Dop e Igp) che conduce a una valorizzazione media unitaria per ettaro tra le più alte a livello europeo: 3.400 euro a ettaro di valore aggiunto contro una media Ue di meno di 1.500 euro a ettaro.


La dinamicità competitiva degli altri Paesi Ue, però, deriva anche da una differente struttura imprenditoriale che per l’Italia presenta una forte polverizzazione e che rende più difficile recuperare divari di inefficienza. Basti infatti pensare che, mentre in Francia o Germania le aziende agricole con superficie superiore ai 50 ettari sono rispettivamente il 43% e il 31% del totale nazionale, in Italia tale incidenza è appena pari al 4%. Parallelamente, le aziende con valore della produzione superiore ai 100.000 euro raggiungono il 36% in Germania e il 46% in Francia, mentre in Italia non superano il 10%. Inoltre, prosegue l’analisi di Nomisma, i limiti strutturali aziendali incidono sulla redditività del settore e spiegano, in larga parte, la minor presenza di giovani imprenditori (sotto i 35 anni) nell’agricoltura italiana rispetto agli altri paesi Ue: il 5% contro l’8% in Germania e il 10% in Francia. Una bassa incidenza che appare “comune” alle diverse aree del Paese, ma che ha visto gli ultimi cinque anni condurre a un maggior calo nelle regioni del Sud (-15% la presenza di imprese giovanili contro il -3,4% del Nord Italia tra il 2019 e il 2024).


Proprio per ovviare a questi limiti strutturali, le imprese agricole italiane sono andate a cogliere le diverse opportunità di mercato (anche al di fuori del core business produttivo) che si sono presentate, sia in virtù di nuovi trend di consumo che di “spazi” aperti da politiche europee e nazionali di sviluppo. Le cosiddette attività di supporto e secondarie pesano oggi per il 19% sul valore della produzione agricola nazionale. Tra queste, il valore della produzione di energia rinnovabile è cresciuto del 18% negli ultimi quattro anni, mentre quello dell’agriturismo del 24%. Oltre alla polverizzazione aziendale, il settore primario italiano da svariati anni deve fare i conti con effetti devastanti sulla produzione agricola derivanti dai cambiamenti climatici. In primis, da temperature medie sempre più alte e con deficit idrici che toccano tutte le regioni. Senza tralasciare gli impatti che i disastri da avversità climatiche (cresciuti in Europa del 221% tra il 2015 e il 2023) producono su un suolo, come quello italiano, estremamente fragile e per il 47% definito “in cattivo stato di salute”, dove proprio l’erosione rappresenta il principale fattore di degrado.

Produzione agricola montana vale 5,5 mld, soprattutto vino e olio

Produzione agricola montana vale 5,5 mld, soprattutto vino e olioRoma, 12 mar. (askanews) – Il valore della produzione agricola italiana ottenuta in montagna vale 5,5 miliardi di euro, vale a dire l’equivalente di quanto prodotto dall’intera regione Sicilia, soprattutto per quanto riguarda i “fiori all’occhiello” del Made in Italy alimentare: il 61% del vigneto Italia si trova infatti in zone montano/collinari, così come il 69% degli oliveti, il 64% dei frutteti, ma anche il 44% degli allevamenti bovini e l’83% di quelli ovicaprini. E’ quanto emerge dal report di Nomisma presentato in occasione della X Conferenza economica di Cia-Agricoltori Italiani a Roma e illustrato dal responsabile Agroalimentare Denis Pantini.


Eppure, nonostante il fatto che gran parte delle produzioni agricole italiane oggi sono ottenute in collina e montagna, la permanenza degli agricoltori nelle aree interne diventa sempre più difficile, alla luce della continua riduzione o della mancanza dei servizi “di base” in un Paese, come l’Italia, in cui il 32% della superficie è classificata come area periferica o ultra periferica (dove la distanza, in quest’ultimo caso, dal più vicino polo di attrazione supera i 75 minuti di percorrenza), con regioni come la Basilicata, la Sardegna o il Trentino Alto Adige in cui tali aree superano il 60% della superficie regionale.

Fini (Cia): effetto dazi Usa deflagrante, agire subito

Fini (Cia): effetto dazi Usa deflagrante, agire subitoRoma, 12 mar. (askanews) – “Serve un’azione diplomatica forte per trovare una soluzione e non compromettere i traguardi raggiunti finora”, agendo immediatamente e facendo “di tutto per contrastare l’effetto deflagrante dei dazi Usa alle porte”. Lo ha detto il presidente di Cia-Agricoltori Italiani, commentando l’indagine sull’effetto dei dazi Usa sull’export agroalimentare italiano, presentata stamattina alla X Conferenza economica in corso a Roma effettuata sulla base dei dati di Nomisma e dell’Ufficio studi confederale.


“L’export agroalimentare negli Usa è cresciuto del 158% in dieci anni e oggi gli Stati Uniti rappresentano il secondo mercato di riferimento mondiale per cibo e vino Made in Italy, con 7,8 miliardi di euro messi a segno nel 2024”, ha ricordato Fini sottolineando che “l’Italia può e deve essere capofila in Europa nell’apertura di un negoziato con Trump, visto che abbiamo anche più da perdere. Gli Usa, infatti, valgono quasi il 12% di tutto il nostro export agroalimentare globale, mettendoci in testa alla classifica dei Paesi Ue, molto prima di Germania (2,5%), Spagna (4,7%) e Francia (6,7%)”. Ecco perché “bisogna agire e fare di tutto per contrastare l’effetto deflagrante dei dazi Usa alle porte, tra danni enormi a imprese e cittadini, dilagare dell’Italian sounding e spazi di mercato a rischio occupazione da parte di altri competitor. A partire proprio dai prodotti e dalle regioni più esposti verso Washington”, ha concluso Fini.

Cia: Sardegna e Toscana regioni più esposte a dazi Usa

Cia: Sardegna e Toscana regioni più esposte a dazi UsaRoma, 12 mar. (askanews) – Sono la Sardegna e la Toscana le regioni italiane che potrebbero soffrire di più sul fronte dell’export agroalimentare a causa dei dazi imposti dal presidente americano Donald Trump, che dovrebbero partire dal 2 aprile prossimo. Questo perché alcuni prodotti simbolo di queste regioni sono esportati massicciamente negli Stati Uniti. È quanto emerge dall’analisi di Cia-Agricoltori Italiani, presentata stamattina alla X Conferenza economica a Roma, sulla base dei dati di Nomisma e dell’Ufficio studi confederale.


Nel dettaglio, la Regione più esposta ai nuovi dazi risulta essere la Sardegna, dove si produce oltre il 90% del Pecorino Romano Dop, il cui export agroalimentare finisce per il 49% negli Stati Uniti. E, giocoforza, ci finisce anche il 74% dell’export dei prodotti lattiero-caseari isolani. Al secondo posto per maggior “esposizione” negli Usa figura la Toscana, che ha negli Stati Uniti la meta del 28% del proprio export agroalimentare, con l’olio in pole position con il 42% e i vini con il 33% delle relative esportazioni.


Ma negli Stati Uniti finisce anche il 58% dell’export di olio del Lazio, così come il 28% delle esportazioni di pasta e prodotti da forno abruzzesi e il 26% di quelle di vini campani. Insomma, considerando le diverse aree del Belpaese, sono le esportazioni agroalimentari del Centro e Sud Italia a “rischiare” di più con l’applicazione dei dazi di Trump, anche alla luce di relazioni consolidatesi negli anni con questo importante mercato spesso grazie alla domanda generata dalle comunità di italiani residenti negli Stati Uniti.