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Universo primordiale, in Italia analisi campioni asteroide Ryugu

Universo primordiale, in Italia analisi campioni asteroide RyuguRoma, 10 gen. (askanews) – Un team tutto italiano composto da ricercatori e ricercatrici dell’Istituto Nazionale di Astrofisica (Inaf), dell’Università degli Studi di Firenze (Unifi) e dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (Infn) avvia le analisi dei due preziosissimi campioni dell’asteroide Ryugu ricevuti a maggio del 2023 nell’ambito di un bando internazionale per l’analisi dei materiali cosmici riportati a Terra dalla missione Hayabusa-2 dell’Agenzia Spaziale giapponese Jaxa.

I due grani a disposizione del gruppo di ricerca – informano Inaf e Infn – sono denominati C0242 (del peso di 0,7 milligrammi e lunghezza di 1,712 millimetri) e A0226 (pesante 1,9 milligrammi e lunghezza di 2,288 millimetri). Ciascun grano è posto all’interno di un particolare recipiente di acciaio riempito di azoto, il cui scopo è sia di preservare il grano evitando contaminazioni dovute alle polveri e al vapore d’acqua presenti nell’ambiente, sia di permettere un trasporto sicuro. Per rendere onore alla cultura giapponese, il team italiano ha deciso di assegnare un nome ai due grani attingendo alla tradizione degli Anime, in particolare le opere dello studio Ghibli con il suo creatore Hayao Miyazaki. I nomi sono stati scelti guardando sia alla forma (A0226-Totoro) dal film “Il mio vicino Totoro”, sia al compito di Hayabusa2 di spedire a Terra campioni extraterrestri (C0242-Kiki) dal film “Kiki – Consegne a domicilio”. Le prime indagini di spettroscopia nell’infrarosso prendono il via presso il laboratorio di luce di sincrotrone Dafne Luce dei Laboratori Nazionali di Frascati dell’Infn, sfruttando così la luce prodotta dall’acceleratore di particelle dei laboratori, Dafne. E, per preservare al meglio i due frammenti di asteroide, i ricercatori hanno ideato e realizzato delle attrezzature speciali: “per la prima volta apriremo i contenitori dove sono contenuti in atmosfera protetta per poter fare le prime analisi spettroscopiche nell’infrarosso. In questi mesi abbiamo messo a punto dei portacampioni ‘universali’ in grado di poter tener fermo ciascuno dei due frammenti per tutta la durata delle analisi, che durerà alcuni mesi” spiega Ernesto Palomba, ricercatore Inaf e professore presso l’Università Federico II di Napoli, che coordina le operazioni di analisi.

“Le tecniche e gli strumenti che abbiamo progettato e realizzato permetteranno di analizzare i campioni preservandoli dalla contaminazione dell’atmosfera terrestre che li danneggerebbe irreversibilmente, cancellando informazioni preziose per capire i meccanismi di formazione ed evoluzione del nostro Sistema solare e dei corpi che lo abitano, compresa la nostra Terra”. Con le prime analisi il gruppo di ricerca si focalizzerà sullo studio della mineralogia, della materia organica e dell’acqua presente in questi campioni per ottenere le prime informazioni da questi veri e propri fossili del Sistema solare, che risalirebbero proprio alle primissime fasi di formazione del nostro sistema planetario, ovvero circa quattro miliardi di anni fa.

“La luce di sincrotrone di Dafne consentirà di analizzare in modo totalmente non distruttivo i micro-frammenti dei minerali contenuti nei grani dell’asteroide Ryugu. Le analisi verranno svolte utilizzando un rivelatore per imaging nel medio infrarosso e consentiranno di evidenziare una eventuale presenza di tracce di materiale organico, fornendo importanti informazioni sulle interazioni fisico-chimiche tra molecole organiche e minerali che potrebbero aver avuto un ruolo nell’origine della vita sulla Terra o in altri corpi del Sistema Solare,” spiega Mariangela Cestelli Guidi, ricercatrice Infn, responsabile della linea di luce di sincrotrone nell’infrarosso del Laboratorio Dafne Luce. Le analisi dei campioni a Frascati si protrarranno per circa due settimane. Poi i grani di Ryugu verranno trasportati all’Università di Firenze per ulteriori indagini volte ad ottenere maggiori informazioni sulla storia di questi campioni. “I grani di Ryugu arriveranno a Firenze entro un mese e vi rimarranno per circa sei settimane” sottolinea Giovanni Pratesi, docente di Mineralogia Planetaria presso l’Università di Firenze e leader del gruppo di ricerca Unifi. “L’obiettivo di queste ulteriori indagini è quello di caratterizzare la morfologia e la composizione chimica della superficie dei frammenti, cosa che ci permetterà di avere informazioni preziose per aiutarci a ricostruire la storia di questo asteroide ma anche del nostro Sistema solare”.

(Crediti INFN – LNF)

Da ISI Foundation e Fondazione CRT 10 borse studio per scienza dati e AI

Da ISI Foundation e Fondazione CRT 10 borse studio per scienza dati e AIRoma, 9 gen. (askanews) – ISI Foundation e Fondazione CRT mettono a disposizione di neolaureati italiani e stranieri 10 Borse di ricerca applicata nel campo della scienza dei dati e dell’intelligenza artificiale per lo sviluppo sostenibile, la salute pubblica e l’impatto sociale. Il bando del progetto Lagrange-Fondazione CRT è aperto fino al 12 febbraio, ed è rivolto a giovani con laurea magistrale in discipline tecnico-scientifiche (STEM) – tra cui informatica, fisica, matematica, statistica – o in scienze sociali con esperienza nella scienza dei dati. L’iniziativa è ideata, promossa e finanziata dalla Fondazione CRT con il coordinamento scientifico di ISI Foundation, leader globale nello studio dei Sistemi Complessi e dei Dati presieduto da Alessandro Vespignani.

Le Borse, del valore di 23 mila euro ciascuna (al lordo delle ritenute fiscali), consentiranno ai vincitori di svolgere un tirocinio interdisciplinare di 12 mesi presso i laboratori di ISI Foundation alle OGR Tech, polo torinese dell’innovazione, interagendo con agenzie internazionali (UNICEF, WFP, ecc.) e lavorando al fianco di scienziati dei dati di altissimo profilo. Un’opportunità preziosa sia per i neolaureati che ambiscono a un futuro accademico, sia per coloro che sono interessati a carriere nel mondo dell’impresa e nel non profit. Le ricerche si focalizzeranno su tematiche di scienza dei dati e intelligenza artificiale per la salute pubblica e l’epidemiologia; la previsione computazionale di epidemie e pandemie con sorgenti di dati non tradizionali; la scienza delle reti per la mobilità urbana e il futuro delle città; l’apprendimento automatico e l’analisi dati per la risposta umanitaria, lo studio delle disuguaglianze socioeconomiche e lo sviluppo sostenibile. Il Progetto Lagrange-Fondazione CRT ha supportato dal 2003 a oggi oltre 800 giovani ricercatori, con uno stanziamento complessivo superiore ai 44 milioni di euro: il più grande investimento in un progetto in ambito scientifico sotto la regia della Fondazione CRT.

“Il progetto Lagrange-Fondazione CRT rappresenta un’opportunità non solo dal punto di vista accademico, per assimilare concretamente competenze e visioni nel campo della scienza dei dati, ma anche e soprattutto come esperienza professionale e di vita. I tanti giovani che hanno potuto in questi anni collaborare insieme a ricercatori e consulenti scientifici di livello internazionale, hanno avuto l’opportunità di cogliere in prima persona le grandi sfide culturali, economiche e sociali del presente e del futuro, provando a cercare delle risposte attraverso l’interpretazione dei dati e del loro impatto nella società. Un impegno di grande responsabilità che mira alla salvaguardia della vita umana e al miglioramento delle nostre comunità”, ha dichiarato Alessandro Vespignani, Presidente di ISI Foundation. “Con il progetto Lagrange la Fondazione CRT sostiene in modo molto concreto i giovani ricercatori e promuove l’innovazione in ambiti che interessano tutti noi, perché sono strettamente legati al benessere delle persone e dell’intera società”, ha sottolineato Andrea Varese, Segretario Generale della Fondazione CRT.

EO4Security, dallo spazio un aiuto contro i crimini ambientali

EO4Security, dallo spazio un aiuto contro i crimini ambientaliRoma, 9 gen. (askanews) – È diventato operativo EO4SECURITY, un progetto dell’Agenzia Spaziale Europea (Esa) guidato da e-GEOS – una società costituita da Asi (20%) e Telespazio (80%) del gruppo Leonardo – che ha l’obiettivo di monitorare crimini ambientali e attività illegali.

Con EO4SECURITY, in particolare, saranno sviluppati algoritmi all’avanguardia, con le relative piattaforme applicative, per fornire strumenti in grado di offrire tempestivamente informazioni su possibili violazioni delle normative ambientali, ad esempio nel caso di estrazioni minerarie illegali. In un mondo in cui i reati ambientali stanno crescendo significativamente, EO4SECURITY – nota e-Geos – rappresenta un progetto di grande importanza poiché permette di comprendere l’impatto che attività di natura criminale possono avere sulla salvaguardia ambientale dell’intero pianeta. Un ambiente pulito, sicuro e sostenibile è, infatti, parte integrante della piena realizzazione di un ampio spettro di diritti umani e del raggiungimento degli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile dell’Agenda 2030 dell’ONU. Proteggere il nostro pianeta è sinonimo quindi di protezione delle persone.

Lo scopo del progetto è sfruttare la più ampia disponibilità di dati per raccogliere informazioni su piccola o grande scala della Terra. In una sola schermata, EO4SECURITY è in grado di fornire analisi e informazioni sui crimini ambientali utilizzando diverse fonti in grado di generare dati ad alta risoluzione nonché utilizzare osservazioni satellitari giornaliere e analisi storiche di determinate aree. Il progetto EO4SECURITY si baserà sulla complementarità dei dati provenienti dai satelliti di osservazione della Terra con i cosiddetti dati di Open Source Intelligence (OSINT), tratti dai social media o da altri canali. Tutte queste informazioni saranno integrate nei flussi operativi a favore di un facile utilizzo da parte degli utenti finali.

Oltre ad e-GEOS, primo contraente, fanno parte del progetto dell’Esa anche GAF (azienda 100% e-GEOS), Hensoldt Analytics, Janes e Dhiria (spin-off del Politecnico di Milano). L’Ufficio delle Nazioni Unite per il controllo della droga e la prevenzione del crimine (UNODC) e l’Istituto internazionale delle Nazioni Unite per la ricerca sul crimine e la giustizia (UNICRI) sono alcuni degli utenti finali coinvolti dall’Esa per sostenere e contribuire la riuscita del progetto. Grazie a EO4SECURITY, e-GEOS – conclude la nota – si conferma partner tecnologico chiave per l’Esa, e affianca il nuovo progetto ad altri due studi in corso per l’Agenzia che riguardano entrambi metodologie innovative di elaborazione radar apertura sintetica (SAR) per applicazioni nell’ambito della sicurezza. Il primo, in particolare, si basa sulla cosiddetta tecnologia SAR inversa (ISAR), e prevede di sviluppare una caratterizzazione dettagliata di oggetti in movimento dai dati SAR, quelli ad esempio provenienti dalle Sentinelle del programma Copernicus o dai satelliti italiani COSMO-SkyMed, attraverso un miglioramento della focalizzazione dell’obiettivo. Il progetto fa affidamento sull’esperienza di due partner: ARESYS e CNIT.

e-GEOS è inoltre al lavoro per un progetto di “Fusione di Dati Multisensore per Applicazioni di Sicurezza Marittima” che prevede, implementando metodi innovativi di elaborazione di fusione dati includendo principalmente dati SAR e RF, estesi a immagini satellitari ottiche e AIS, la possibilità di estrarre percorsi di modelli marittimi per identificare comportamenti irregolari delle navi. Come partner industriale, e-GEOS lavorerà con Deix e con il supporto di Critiware e Cherry-Data. Unendo tecnologia all’avanguardia, analisi avanzate dei dati e integrazione di diverse fonti, Esa ed e-GEOS, insieme a tutti i partner del consorzio, stanno sviluppando un approccio che promette di supportare attività investigative e migliorare significativamente la gestione e la protezione del nostro pianeta.

Le scimmie gelada comunicano anche con “sinfonie” di sbadigli

Le scimmie gelada comunicano anche con “sinfonie” di sbadigliRoma, 8 gen. (askanews) – I gelada, scimmie che vivono sugli altopiani etiopi, sbadigliano vocalizzando, creando delle sinfonie che si propagano tra i gruppi. Il fenomeno è stato osservato da un gruppo di etologi ed etologhe delle Università di Pisa e di Rennes che ha lavorato due mesi nello NaturZoo di Rheine e ha poi pubblicato i risultati della ricerca svolta sulla rivista “Scientific Reports”.

Il team – composto da Luca Pedruzzi, dottorando fra Pisa e Rennes, Martina Francesconi ed Elisabetta Palagi, rispettivamente dottoranda e professoressa dell’Ateneo Pisano, e da Alban Lemasson, professore a Rennes – ha evidenziato che le particolari vocalizzazioni dei gelada associate agli sbadigli avrebbero un ruolo nel mantenere i legami sociali, anche in situazioni in cui il contatto visivo risulta impossibile. Gli animali infatti sbadigliano al solo sentire lo sbadiglio di altri esemplari, e il suono sembra essere particolarmente contagioso quando emesso da maschi dello stesso gruppo, individui cioè con un “peso sociale” maggiore. “Il potere contagioso degli sbadigli è innegabile e va oltre i confini delle specie – sottolinea Luca Pedruzzi – Il fenomeno, osservato da tempo negli umani e in specie animali altamente sociali, assume una nuova dimensione con i gelada, scimmie endemiche dell’Etiopia caratterizzate da un’alta complessità sociale. A differenza di altri primati, i gelada producono sbadigli ‘rumorosi’, un tratto condiviso solo con la nostra specie”.

“Questa ricerca non solo approfondisce la nostra comprensione del contagio di sbadiglio, ma rivela la complessità ‘sinfonica’ della comunicazione dei gelada – aggiunge Martina Francesconi – E mentre decifriamo il linguaggio acustico di queste scimmie, le analogie con le dinamiche sociali umane diventano sempre più evidenti. Gli echi degli sbadigli negli altopiani dei gelada risuonano con gli echi lontani dei nostri legami sociali, sfidandoci a esplorare l’intreccio evolutivo delle connessioni interspecifiche”. Per comprendere appieno la funzione di queste vocalizzazioni nei gelada e, più in generale, per studiare come la complessità sociale della specie si ripercuote nelle molteplici strategie comunicative adottate, – informa Unipi – il gruppo di ricerca della professoressa Palagi a breve partirà con un progetto finalizzato alla raccolta di dati comportamentali su queste scimmie in Etiopia, in natura, in collaborazione con l’Università di Addis Abeba, in particolare con la professoressa Bezawork Afework.

“Le implicazioni di questa nuova ricerca si estendono ben oltre il campo degli sbadigli. La componente acustica degli sbadigli potrebbe fungere come uno strumento non solo per regolare le dinamiche sociali, ma anche per creare una connessione emotiva tra individui che, condividendo lo stesso stato d’animo, possono sincronizzare le proprie azioni, particolarmente in scenari in cui il contatto visivo è limitato – conclude Palagi – Questa inaspettata similitudine tra esseri umani e gelada suggerisce un percorso evolutivo condiviso, plasmato dalla necessità di una comunicazione complessa, sincronizzazione di gruppo e costruzione di legami sociali. Ci aspettiamo che i risultati gettino luce sulla possibile convergenza evolutiva tra la nostra specie e i gelada, rivelando un intrigante collegamento tra il contagio di sbadiglio, la comunicazione uditiva e i comportamenti a base empatica”.

Antartide, rompighiaccio Laura Bassi parte da Nuova Zelanda per Polo Sud

Antartide, rompighiaccio Laura Bassi parte da Nuova Zelanda per Polo SudRoma, 8 gen. (askanews) – La nave da ricerca italiana Laura Bassi ha lasciato il porto di Lyttelton in Nuova Zelanda, facendo rotta verso l’Antartide dove supporterà le attività di ricerca legate a tre diversi progetti sullo studio delle dinamiche fisiche e biogeochimiche di specifiche aree antartiche. Inizia così la campagna oceanografica della 39° spedizione in Antartide finanziata dal Ministero dell’Università e Ricerca (MUR) nell’ambito del Programma Nazionale di Ricerche in Antartide (PNRA), gestito dal Cnr per il coordinamento scientifico, dall’ENEA per la pianificazione e l’organizzazione logistica delle attività presso le basi antartiche e dall’Istituto Nazionale di Oceanografia e di Geofisica Sperimentale – OGS per la gestione tecnica e scientifica della rompighiaccio Laura Bassi. La nave circumnavigherà l’intero Mare di Ross e concluderà la sua missione antartica, di nuovo in Nuova Zelanda, dopo 60 giorni a marzo 2024. La nave Laura Bassi, di proprietà dell’Istituto Nazionale di Oceanografia e di Geofisica Sperimentale – OGS, quest’anno svolgerà un’unica rotazione dalla Nuova Zelanda all’Antartide, con a bordo 39 persone coinvolte come personale di ricerca e un equipaggio navigante di 23 membri. Per la prima volta la missione sarà condivisa con il progetto antartico neozelandese a cui afferisce un team di 12 persone. Il viaggio della rompighiaccio è iniziato lo scorso 25 novembre quando ha lasciato il porto di Napoli per intraprendere una navigazione di circa 40 giorni. La rompighiaccio ha attraversato il Mar Rosso e il Golfo di Aden, adottando tutte le misure antipirateria previste e navigando lungo il corridoio di sicurezza sotto l’ombrello di protezione garantito dalle navi militari di vari Paesi. A fine dicembre è approdata a Lyttelton per imbarcare il personale che effettuerà la missione di ricerca. Chiuse le operazioni di carico, il 6 gennaio la nave è partita dal porto di Lyttelton alla volta del Mare di Ross.

Spazio, in viaggio verso la Luna il primo lander di un privato

Spazio, in viaggio verso la Luna il primo lander di un privatoRoma, 8 gen. (askanews) – Il lander Peregrine ha iniziato il suo viaggio verso la Luna. Lanciato oggi dalla base di Cape Canaveral in Florida a bordo del razzo Vulcan – costruito dall’azienda United Launch Alliance – il primo lander costruito da un’azienda privata, la Astrobotic, per arrivare sulla Luna trasporta 20 carichi utili da sette Paesi e 16 clienti commerciali, tra cui i primi payload lunari dalle agenzie spaziali messicana e tedesca. Uno dei payload, DHL MoonBox, – informa Astrobotic – contiene ricordi e messaggi di oltre 100.000 persone in tutto il mondo. Si tratta del primo lander statunitense lanciato con l’obiettivo di tornare sul suolo lunare a distanza di oltre 50 anni.

Peregrine è il primo lancio nell’ambito del Commercial Lunar Payload Services della Nasa; gli strumenti a bordo del lander aiuteranno l’agenzia spaziale statunitense a prepararsi per le missioni del programma Artemis per consentire la presenza umana prolungata sulla Luna. Una volta sulla Luna, gli strumenti della Nasa studieranno l’esosfera lunare, le proprietà termiche della regolite lunare, l’abbondanza di idrogeno nel suolo del sito di atterraggio e condurranno il monitoraggio delle radiazioni ambientali. I cinque carichi utili per la scienza e la ricerca della Nasa a bordo del lander aiuteranno l’agenzia a comprendere meglio i processi e l’evoluzione planetaria, a cercare prove dell’acqua e di altre risorse e a supportare l’esplorazione umana sostenibile a lungo termine. Dopo l’allunaggio previsto il 23 febbraio – prosegue la Nasa – Peregrine trascorrerà circa 10 giorni raccogliendo preziosi dati scientifici, studiando il vicino più vicino alla Terra e contribuendo a spianare la strada alla prima donna e prima persona di colore ad esplorare la Luna nell’ambito del programma Artemis.

“Oggi Peregrine Mission One ha raggiunto una serie di grandi traguardi – ha affermato John Thornton, Ceo di Astrobotic – Peregrine si è acceso, ha acquisito un segnale con la Terra e ora si sta muovendo attraverso lo spazio in viaggio verso la Luna. Questi successi ci portano un passo avanti verso lo sbarco di sette nazioni sulla Luna, sei delle quali non sono mai state sulla Luna prima”. Dopo Peregrine Mission One, Astrobotic prevede di continuare i suoi sforzi di esplorazione lunare con il lancio di Griffin Mission One alla fine del 2024. Griffin, il più grande lander lunare dai tempi del modulo lunare Apollo, trasporterà il Volatiles Investigating Polar Exploration Rover (VIPER) della Nasa al polo sud della Luna dove lo strumento cercherà la presenza di ghiaccio d’acqua nelle regioni permanentemente in ombra di Mons Mouton.

Spazio, il 2024 dell’Esa: da debutto di Ariane 6 al lancio di Hera

Spazio, il 2024 dell’Esa: da debutto di Ariane 6 al lancio di HeraRoma, 5 gen. (askanews) – Dai lanciatori alle missioni l’Agenzia spaziale europea offre una panoramica dei principali appuntamenti per l’anno che si è appena aperto.

L’accesso indipendente allo spazio è fondamentale per l’Europa che quest’anno vedrà il debutto del lanciatore pesante Ariane 6, con il primo lancio previsto tra giugno e luglio 2024 dallo spazioporto di Kourou in Guyana francese, dopo il pensionamento di Ariane 5 che ha concluso con successo la sua carriera il 5 luglio scorso. A fine anno dovrebbe tornare a volare anche il lanciatore leggero Vega C. Sul fronte delle missioni, continua la collaborazione dell’Esa con la Nasa per il programma lunare Artemis. In primavera – informa l’Esa – un altro modulo di servizio europeo, ESM-3, per la terza missione Artemis sarà spedito negli Stati Uniti per l’accoppiamento con la capsula Orion.

Nel 2024 verrà lanciata Proba-3, la prima missione di volo in formazione di precisione: Coronagraph e Occulter voleranno insieme formando un coronografo di 144 metri che studierà la corona del Sole più vicino che mai al bordo solare. All’inizio dell’anno verranno rivelati i primi dati scientifici raccolti dall’ultimo telescopio spaziale Euclid, che vede una forte partecipazione dell’Italia, lanciato lo scorso luglio, progettato per esplorare la composizione e l’evoluzione della materia oscura e dell’energia oscura.

A ottobre 2024 è in programma il lancio della missione Hera che volerà verso il sistema binario di asteroidi Dimorphos e Didymos per osservare le conseguenze dell’impatto provocato dalla missione Dart della Nasa ideata per testare la possibilità di deviare l’orbita di un asteroide colpendolo, lanciata nel novembre 2021 con a bordo il cubesat dell’Agenzia spaziale italiana LiciaCube che ha ripreso l’impatto. Sul fronte dell’Osservazione della Terra diversi i satelliti pronti per essere lanciati: la missione EarthCARE di Esa e dell’agenzia spaziale giapponese Jaxa, la missione Arctic Weather Satellite e i satelliti Sentinel-1C e Sentinel-2C del programma Copernicus dell’Unione Europea.

Il 2024 porterà nuovi sviluppi anche per Galileo: altri due satelliti di prima generazione saranno lanciati in aprile, seguiti da altri due più avanti nel corso dell’anno. Questi amplieranno la costellazione e contribuiranno a garantire le prestazioni ottimali di Galileo. Nel frattempo avranno luogo le prime consegne hardware per i satelliti Galileo di seconda generazione. I cinque astronauti in carriera della classe 2022 finiranno quest’anno la loro formazione di base e saranno quindi pronti per gli incarichi di missione. È in procinto di partire invece l’astronauta del progetto svedese Marcus Wandt che tra pochi giorni volerà verso la Stazione Spaziale come specialista di missione nella missione commerciale Axiom-3 che vede a bordo anche l’astronauta italiano Walter Villadei, colonnello dell’Aeronautica Militare. (Credits: ESA-P. Carril)

Destinazione Marte: l’insalata ideale per nutrire gli astronauti

Destinazione Marte: l’insalata ideale per nutrire gli astronautiRoma, 5 gen. (askanews) – Semi di papavero, semi di girasole, orzo, cavolo riccio, soia, arachidi e patate dolci. Non è la dieta consigliata dopo le feste natalizie, ma il pasto ideale qualora voleste partire per un viaggio pluriennale verso Marte. Mentre le agenzie spaziali pianificano missioni più lunghe, i ricercatori di tutto il mondo sono alle prese con la sfida di nutrire al meglio gli equipaggi nello spazio cercando alternative nutrienti, gustose e sostenibili ai soliti pasti insipidi e preconfezionati. Un team di ricerca internazionale ha recentemente pubblicato su “Acs Food Science & Technology”, la rivista dell’American Chemical Society, la ricetta per il “pasto spaziale” ottimale: una ricca insalata vegetariana. Per progettarlo, – si legge su Media Inaf, il notiziario online dell’Istituto nazionale di astrofisica – gli scienziati hanno scelto ingredienti freschi, coltivabili nello spazio e che rispondano alle esigenze nutrizionali specifiche degli astronauti uomini.

In generale, gli esseri umani bruciano più calorie nello spazio rispetto a quando sono sulla Terra e necessitano di micronutrienti extra, come il calcio, per mantenersi in salute durante la prolungata esposizione alla microgravità. Inoltre, considerando il numero e la durata delle future missioni a lungo termine, le coltivazioni di cibo dovranno necessariamente essere sostenibili e “circolari” all’interno delle navicelle o delle colonie spaziali. Questi aspetti sono stati già da tempo affrontati dagli scienziati che hanno esplorato e sperimentato diversi metodi di coltivazione del cibo nello spazio. Tuttavia, fino ad oggi, nessuno aveva pensato come fornire i nutrienti necessari agli astronauti attraverso pasti specifici freschi e, per di più, gustosi. La sfida è stata colta da Volker Hessel dell’Università di Adelaide, in Australia, e dai suoi collaboratori: provare a ottimizzare un pasto che rispondesse ai requisiti specifici di un volo spaziale e avesse un buon sapore. Inizialmente, i ricercatori hanno valutato le differenti combinazioni di ingredienti freschi, utilizzando il metodo della programmazione lineare, per bilanciare computazionalmente più variabili al fine di raggiungere un obiettivo specifico.

Nello studio in questione, – prosegue Media Inaf – il modello ha analizzato combinazioni di alimenti misurandone la capacità di soddisfare il fabbisogno nutrizionale giornaliero di un astronauta maschio, in relazione alla quantità minima di acqua necessaria per la loro coltivazione. “Abbiamo adottato l’ottimizzazione numerica per identificare le varie combinazioni, usando come vincoli i contenuti macro e micro nutrizionali dei cibi e ottimizzando il carico d’acqua necessario per la loro coltivazione”, spiegano gli autori dello studio. “I vincoli alimentari sono quelli raccomandati dalla Nasa, e abbiamo considerato fino a 36 nutrienti e 102 colture”. Tra i dieci scenari, o “piatti spaziali”, proposti – quattro vegetariani e sei onnivori, ciascuno con un numero di ingredienti compreso tra sei e otto – i ricercatori hanno scoperto che un pasto vegetariano composto da soia, semi di papavero, orzo, cavolo riccio, arachidi, patate dolci e semi di girasole offriva l’equilibrio più efficiente tra il massimo dei nutrienti e il minimo degli input agricoli. Sebbene questa combinazione non sia in grado di fornire tutti i micronutrienti di cui un astronauta ha bisogno, quelli mancanti potrebbero essere aggiunti con un integratore.

Inoltre, per assicurarsi che la combinazione identificata fosse gustosa, così da non togliere il piacere al palato degli astronauti, il team ha proposto l’insalata spaziale ideale a quattro assaggiatori, qui sulla Terra. Uno dei tester ha espresso giudizi entusiastici sul piatto proposto dichiarandosi ben disposto a mangiarlo anche per tutta la settimana, una volta nello spazio. Gli altri sono stati più moderati nei loro giudizi, ma non si sono comunque fatti mancare una seconda porzione d’insalata. Infine, anche l’occhio vuole la sua parte. Le insalate scelte dal computer sono state selezionate anche in base al colore e alla consistenza degli ingredienti, valutando la soddisfazione dei potenziali consumatori: un aspetto psicologico particolarmente importante nei viaggi più lunghi, quando gli astronauti dovranno far ricorso allo stesso cibo, giorno dopo giorno, per svariati anni.

Se il primo spuntino spaziale fu la mousse di mele in tubetto consumata dall’astronauta John Glenn nel 1962 a bordo della navicella Friendship 7, in futuro si potrà sicuramente contare su un menu più variegato. I ricercatori, infatti, proveranno a utilizzare lo stesso modello computerizzato per ampliare la varietà di colture nel database e, soprattutto, per capire quali opzioni potrebbero essere utili per le esigenze fisiologiche delle astronaute. Tutto sommato, parafrasando Virginia Woolf, – conclude Media Inaf – sappiamo che non si può pensare bene, amare bene, dormire bene – aggiungiamo, esplorare bene – se non si è mangiato bene. (Crediti: Shu Liang et al., Acs Food Sci. Technol., 2023; Università di Adelaide)

Un dispositivo subacqueo per studiare la Terra dai fondali marini

Un dispositivo subacqueo per studiare la Terra dai fondali mariniRoma, 3 gen. (askanews) – Avere informazioni in tempo reale per studiare la struttura della Terra, i disastri naturali, gli oceani e le aree marine in profondità e, non ultimo, supportare gli studi sul clima: queste e infinite altre le potenzialità dello SMART Cable, un dispositivo subacqueo innovativo installato da un team di ricercatori e tecnologi dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV) nel settore occidentale del Mar Ionio, al largo della Sicilia orientale.

Lo SMART Cable (Science Monitoring And Reliable Telecommunications) – informa l’INGV – è un prototipo costituito da un cavo di circa 21 km comunemente usato per le telecomunicazioni, equipaggiato con 3 ripetitori tecnologicamente sofisticati e distanziati a 6 km l’uno dall’altro in grado di misurare tutte le variabili ambientali e sismologiche in real time. Lo SMART cable, ora funzionante a 2.000 metri di profondità a circa 30 km al largo di Catania, è parte di una infrastruttura per la ricerca in ambiente marino profondo, gestita congiuntamente da INGV e INFN (Istituto Nazionale di Fisica Nucleare), che comprende alcune stazioni di monitoraggio che costituiscono uno dei nodi osservativi del programma europeo EMSO (European Multidisciplinary Seafloor and water column Observatory).

Il prototipo di SMART Cable, la cui idea progettuale è stata concepita nell’ambito della Joint Task Force (JTF) costituita tra International Telecommunications Union (ITU), World Meteorological Organization (WMO) e Intergovernmental Oceanographic Commission (IOC) dell’UNESCO, è stato realizzato nell’ambito del progetto InSEA, coordinato dall’INGV e finanziato dal Ministero dell’Università e della Ricerca con il programma PON Ricerca e Innovazione – Azione II.1 Infrastrutture di Ricerca. “L’utilizzo di cavi di telecomunicazione sottomarini innovativi, ovvero equipaggiati con strumentazione geofisica e ambientale, rappresenta una soluzione per estendere le osservazioni ad aree marine mai raggiunte, per avere accesso in tempo reale alle osservazioni e per supportare gli studi sul clima, sugli oceani, sulla struttura della Terra e sui disastri naturali”, dichiara Giuditta Marinaro, Responsabile dell’unità funzionale Ricerche multidisciplinari sulle interazioni Geosfera-Oceano-Atmosfera della Sezione Roma 2 dell’INGV.

Angelo De Santis, già ricercatore dell’INGV e Coordinatore scientifico del Progetto InSea, aggiunge: “I dati acquisiti da una futura rete di SMART Cables andrebbero a integrarsi con i dati delle reti osservative terrestri e spaziali, rendendo più fitta ed estesa la rete di osservazione globale. L’applicazione di questa nuova tecnologia al monitoraggio dell’ambiente marino profondo del bacino occidentale dello Ionio contribuirà a migliorare le conoscenze sui cambiamenti climatici, gli effetti antropici e i rischi naturali che possono interessare quell’area”. Massimo Chiappini, Direttore del Dipartimento Ambiente dell’INGV, sottolinea: “L’installazione dello SMART Cable rappresenta un esperimento pilota di rilevanza internazionale cui stanno guardando molte comunità scientifiche, in particolare la JTF. Il successo di questo esperimento apre nuove possibilità di collaborazione con il settore delle Telecomunicazioni e con il settore della Blue Economy”.

Alla costruzione dello SMART Cable – conclude la nota – ha provveduto la Guralp Systems, la logistica per la sua installazione è stata fornita dalla società italiana Elettra Tlc per mezzo della nave posacavi Antonio Meucci, con il supporto della società italiana di servizi marittimi Aalea per le operazioni sottomarine.

Cosmo: materia oscura potrebbe fare luce su origine campi magnetici

Cosmo: materia oscura potrebbe fare luce su origine campi magneticiRoma, 3 gen. (askanews) – I mini-aloni di materia oscura dispersi nel Cosmo potrebbero funzionare come sonde ultrasensibili dei campi magnetici primordiali. È quanto emerge da una ricerca teorica della SISSA e apparsa su “Physical Review Letters”.

Presenti su grandissime scale, i campi magnetici si trovano ovunque nell’Universo. La loro origine è però ancora oggetto di discussione tra gli studiosi. Un’intrigante possibilità è che i campi magnetici si siano originati all’inizio dell’Universo stesso, formatisi addirittura entro un secondo dal Big Bang, essi sarebbero quindi campi magnetici primordiali. Nello studio, i ricercatori hanno mostrato che se i campi magnetici fossero davvero primordiali potrebbero causare un aumento nelle perturbazioni di densità della materia su piccole scale. L’effetto finale di questo processo sarebbe la formazione, per l’appunto, di mini-aloni di materia oscura. I quali, a loro volta, se individuati, potrebbero suggerire un’origine primordiale dei campi magnetici. Così facendo, in un apparente paradosso, la parte invisibile del nostro Universo potrebbe essere utile per scoprire l’origine di una componente di quello visibile.

“I campi magnetici sono ovunque nel Cosmo” spiega Pranjal Ralegankar della SISSA, autore della ricerca. “Una teoria possibile sulla loro formazione sostiene che quelli osservati finora potrebbero esseri prodotti nelle prima fasi del nostro Universo. Questa impostazione non trova però spiegazione nel modello standard della fisica. Per cercare di fare luce su questo aspetto e trovare un modo per individuare i campi magnetici ‘primordiali’ con questo lavoro proponiamo un metodo che potremmo definire ‘indiretto’. Il nostro approccio si basa su una domanda: qual è l’influenza dei campi magnetici sulla materia oscura?”. È noto che non ci possa essere una interazione diretta. Ma, spiega Ralegankar, ce n’è una indiretta. Che passa per la gravità. I campi magnetici primordiali possono potenziare le perturbazioni di densità di elettroni e protoni nell’Universo primordiale. Quando queste diventano troppo grandi, influenzano i campi magnetici stessi. La conseguenza è che le fluttuazioni su piccola scala vengono soppresse. Spiega Ralegankar: “Nello studio mostriamo però qualcosa di inaspettato. La crescita di densità dei barioni indurrebbe gravitazionalmente la crescita delle perturbazioni della materia oscura senza che queste possano poi essere annullate. Ciò comporta che, su piccole scale, si assisterebbe a un loro collasso che produce dei mini-aloni di materia oscura”. La conseguenza, continua l’autore, è che sebbene le fluttuazioni di densità della materia barionica sia cancellata, queste lasciano delle tracce attraverso i mini-aloni. Il tutto soltanto attraverso delle interazioni gravitazionali.

“Queste evidenze teoriche – conclude Pranjal Ralegankar -suggeriscono altresì che la loro attuale abbondanza dei mini-aloni sia determinata non dall’odierna presenza dei campi magnetici primordiali ma piuttosto dalla loro forza nell’Universo primordiale. Così, il rilevamento di microaloni di materia oscura suggerisce l’ipotesi che i campi magnetici primordiali si siano formati molto presto, addirittura entro un solo secondo dopo il Big Bang”. (Crediti: Lucie Chrastecka)