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Virgo: rinviato inizio quarto ciclo di osservazioni del rivelatore

Virgo: rinviato inizio quarto ciclo di osservazioni del rivelatoreRoma, 12 mag. (askanews) – La Collaborazione Virgo ha deciso di rimandare l’ingresso di Virgo – il rivelatore installato all’European Gravitational Observatory a Cascina (Pisa) – nel prossimo periodo di osservazione (O4), previsto per il 24 maggio, per continuare le attività di commissioning del rivelatore e aumentare ulteriormente la sua sensibilità. Dalla fine del periodo di osservazione O3 nel 2020, l’interferometro Virgo è stato sottoposto a un importante aggiornamento per migliorare la sua sensibilità in vista del nuovo periodo di osservazione congiunto con gli interferometri LIGO e KAGRA. Questo aggiornamento ha richiesto diversi mesi al gruppo per rendere nuovamente stabile il rivelatore.

Ad oggi – informa l’Infn – Virgo sarebbe in grado di osservare eventi analoghi ad alcuni di quelli rivelati nei precedenti periodi osservativi. Per andare oltre, è ora necessaria una accurata ricerca delle fonti di rumore che potrebbero limitare la sensibilità dell’interferometro. Molto probabilmente queste riguardano alcuni elementi ottici chiave e la complessa strumentazione che circonda e controlla gli specchi dell’interferometro. Si rende quindi necessario un intervento di manutenzione straordinario, che prevede l’apertura delle grandi campane a ultra alto vuoto e la sostituzione di uno degli specchi, sospesi ai cosiddetti superattenuatori. Si tratta di torri di pendoli invertiti alte oltre 10 metri, che smorzano i disturbi esterni, mantenendo gli specchi perfettamente immobili. Un’operazione complessa e delicata che richiede diverse settimane di lavoro. “Al momento la sensibilità dell’interferometro è in continua crescita, ma procede lentamente. Finché non rimuoviamo il vuoto e apriamo le torri per controllare direttamente le componenti dell’interferometro, non possiamo avere certezza di quale sia il problema”, spiega il coordinatore della Collaborazione Virgo recentemente eletto, Gianluca Gemme. “Siamo convinti che il raggiungimento della migliore sensibilità dell’esperimento per sfruttare al meglio le sue potenzialità scientifiche sia prioritario rispetto a entrare subito in presa dati. Abbiamo dunque deciso di intervenire ora per risolvere il guasto tecnico che sta rallentando la crescita di sensibilità di Virgo. Sono operazioni che, al di là degli interventi che dovremo fare, implicano dei tempi tecnici per rimuovere e quindi ripristinare le condizioni di ultra-alto vuoto. Solo una volta svolto questo intervento potremo definire in quali tempi Virgo potrà unirsi alle attività scientifiche di O4, che durerà 18 mesi”.

Una volta portata a termine la manutenzione, dovrà infatti seguire la fase di collaudo dell’intero apparato sperimentale, che spingerà tutte le tecnologie di Virgo, dal laser ai sistemi ottici, agli apparati di attenuazione sismica, oltre i limiti raggiunti finora. “Per rendere l’idea della complessità della sfida tecnologica che strumenti potenti e sofisticati come Virgo pongono, – spiega Fiodor Sorrentino, Coordinatore del Commissioning di Virgo – basti pensare che uno dei ‘rumori’ che sentiamo e dobbiamo risolvere è probabilmente dovuto a un magnete di qualche decimo di grammo usato per controllare la posizione degli specchi, che manifesta oscillazioni infinitesimali dell’ordine di un milionesimo di milionesimo di metro. Il rinculo prodotto sugli specchi di 40 kg è centomila volte più piccolo, ma tuttavia sufficiente per limitare la sensibilità di Virgo, che è in grado di misurare variazioni di lunghezza dei suoi bracci paragonabili alle dimensioni di un protone”. Nei prossimi mesi gli scienziati e le scienziate della Collaborazione Virgo saranno impegnati sia nelle attività tecniche sull’esperimento, sia nelle attività scientifiche di analisi dei nuovi dati che arriveranno dai due rivelatori statunitensi LIGO coi quali opera congiuntamente da anni. Il rivelatore KAGRA, in Giappone, ha raggiunto la sensibilità minima pianificata di 1 Megaparsec (Mpc) per l’inizio di O4. Dopo un mese di osservazioni KAGRA tornerà al commissioning per migliorare la propria sensibilità verso la fine di O4.

Il parametro standard utilizzato per descrivere la sensibilità raggiunta dagli interferometri gravitazionali (chiamato BNS range) è la distanza a cui gli strumenti possono rivelare la collisione di due stelle di neutroni (naturalmente, eventi più violenti o più massicci, come le collisioni di buchi neri, sono rivelabili anche da zone molto più profonde dell’universo). Allo stato attuale Virgo potrebbe rivelare una fusione di stelle di neutroni ‘standard’ fino a una distanza di 30 Mpc, ovvero a circa 100 milioni di anni luce, dalla Terra. L’obiettivo della collaborazione scientifica però è arrivare a una sensibilità superiore ai 60 Mpc nei prossimi mesi. Virgo è un interferometro laser con due bracci di 3 chilometri, costruito per rivelare le onde gravitazionali, impercettibili oscillazioni dello spazio-tempo generate da violenti eventi cosmici, come la fusione di buchi neri e di stelle di neutroni. Per rivelare le onde gravitazionali, Virgo misura la distanza relativa tra due specchi sospesi all’estremità dei suoi bracci, con una precisione superiore a un millesimo del diametro di un protone (un milionesimo di miliardesimo di metro). L’interferometro funziona rivelando l’interferenza di due fasci laser, che si propagano lungo i due bracci perpendicolari di 3 chilometri in tubi a ultra-alto vuoto.

In Sardegna la nuova scuola per top gun dell’Aeronautica Militare

In Sardegna la nuova scuola per top gun dell’Aeronautica MilitareDecimomannu, 11 mag. (askanews) – Circa 80 top gun per un totale di almeno 8mila ore di volo, all’anno, a regime. Sono i numeri della International Flight Training School (Ifts) la scuola di volo militare avanzato che l’Aeronautica Militare ha creato assieme all’azienda Leonardo sulla base aerea di Decimomannu (Ca), in Sardegna.

In questa scuola all’avanguardia, già da oltre un anno, si addestrano i piloti militari, italiani e stranieri, destinati a operarare sui caccia di nuova generazione come gli Eurofighter e gli F-35. Giovedì 11 ottobre è stato inaugurato il nuovo campus della Ifts, alla presenza del sottosegretario alla Difesa, Matteo Perego di Cremnago e del Capo di Stato di Maggiore dell’Aeronautica, Generale di Squadrs Aerea Luca Goretti.

“Oggi abbiamo fatto il salto di qualità – ha spiegato il Generale Goretti – attraverso questa struttura internazionale abbiamo dimostrato che siamo ancora leader in questo settore e l’abbiamo fatto insieme a un’industria eccellenza che è la Leonardo e a una Regione d’eccellenza come la Sardegna. La sinergia tra una Forza Armata all’avanguardia, una industria visionaria e innovativa e una Regione che vuole metterci la faccia per un indotto economico non da poco rappresenta veramente un salto di qualità perché è un lavoro di squadrae un lavoro di squadra se è vincente porta a un risultato vincente”. E di innovazione in questa scuola di volo ce n’è tanta, a partire dagli istruttori, sia militari sia civili e dalle tecnologie digitali come il Ground Based Training System che permette di organizzare missioni addestrative miste condotte, cioé, simultaneamente, in parte sui jet reali, i T-346 del 61esimo Stormo e in parte su simulatori perfettamente integrati e connessi, con risparmio di costi, minore inquinamento e maggiore efficacia per i frequentatori.

“È la dimostrazione – ha detto Roberto Cingolani, ex ministro della Transizione ecologica e fresco di nomina a Ceo di Leonardo – che la capacità di sviluppare gemelli digitali di macchine complesse, come gli aerei, di applicare artificial intelligence a sistemi dove questi gemelli digitali si muovono, capacità, quindi di descrive in maniera realistica queste situazioni avanzate – il cosiddetto combat scenario – sono una cosa che dimostra come il digitale sia diventato fondamentale nella Difesa e nella sicurezza nazionale. Non mi voglio spingere troppo avanti però ho la sensazione che non è solo ‘bullet’ ma ‘bullet and byte’, quindi dati. Qui lo tocchiamo con mano”. “Una struttura d’eccellenza e all’avanguardia”, ha sottolineato il sottosegretario Perego di Cremnago, in cui l’Italia detiene la leadership attraverso l’Aeronautica Militare per addestrare i piloti militari italiani e dei Paesi partner.

Le Forza aeree di Qatar, Giappone, Germania, Singapore, Austria, Canada e Arabia Saudita hanno già aderito al progetto e tante altre hanno mostrato interesse. “Vuol dire che la strada è giusta – ha concluso Cingolani – l’impegno che avrà Leonardo sarà sicuramente di mettercela tutta per fare in modo che queste tecnologie continuino ad avanzare velocissime e che questo standard venga mantenuto e migliorato”.

ESO, un milione di immagini svelano cinque incubatrici stellari

ESO, un milione di immagini svelano cinque incubatrici stellariRoma, 11 mag. (askanews) – Usando il telescopio VISTA (Visible and Infrared Survey Telescope for Astronomy) dell’ESO, alcuni astronomi – tra cui Germano Sacco dell’Inaf di Arcetri – hanno creato un vasto atlante infrarosso di cinque incubatrici stellari nel nostro vicinato unendo più di un milione di immagini. Questi grandi mosaici rivelano giovani stelle in formazione, incastonate in spesse nubi di polvere. Grazie a queste osservazioni, gli astronomi dispongono di uno strumento unico con cui decifrare il complesso puzzle della nascita stellare.

“In queste immagini possiamo rilevare anche le sorgenti di luce più deboli, come stelle molto meno massicce del Sole, rivelando oggetti che nessuno ha mai visto prima”, afferma Stefan Meingast, astronomo dell’Università di Vienna in Austria e autore principale del nuovo studio pubblicato oggi su Astronomy & Astrophysics. “Questo ci permetterà di comprendere i processi che trasformano il gas e la polvere in stelle”. Le stelle si formano quando le nubi di gas e polvere collassano sotto la propria gravità, ma i dettagli di come ciò avvenga non sono del tutto chiari. Quante stelle nascono da una nube? Quanto sono massicce? Quante stelle avranno anche dei pianeti? Per rispondere a queste domande, – informa l’ESO – l’equipe di Meingast ha esaminato cinque regioni vicine di formazione stellare con il telescopio VISTA all’Osservatorio del Paranal dell’ESO in Cile. Utilizzando la telecamera per infrarossi VIRCAM installata su VISTA, l’equipe ha catturato la luce proveniente dal cuore delle nubi di polvere. “La polvere nasconde queste giovani stelle alla nostra vista, rendendole praticamente invisibili. Solo alle lunghezze d’onda dell’infrarosso possiamo guardare nelle profondità di queste nuvole, studiando le stelle in formazione”, spiega Alena Rottensteiner, dottoranda all’Università di Vienna e coautrice dello studio.

La survey, chiamata VISIONS, ha osservato le regioni di formazione stellare nelle costellazioni di Orione, Ofiuco, Camaleonte, Corona Australe e Lupo. Queste regioni distano meno di 1.500 anni luce dalla Terra e sono così grandi da coprire un’area enorme in cielo. Il diametro del campo visivo di VIRCAM è pari a tre volte la Luna piena, il che lo rende particolarmente adatto a mappare queste regioni immensamente grandi. L’equipe ha ottenuto più di un milione di immagini in un periodo di cinque anni. Le singole immagini sono state poi accostate nei grandi mosaici ora mostrati, rivelando vasti paesaggi cosmici. Questi panorami dettagliati presentano chiazze scure di polvere, nubi luminose, stelle appena nate e le lontane stelle della Via Lattea sullo sfondo.

Poiché le stesse aree sono state osservate ripetutamente, i dati di VISIONS consentiranno anche agli astronomi di studiare come si muovono le giovani stelle. “Con VISIONS monitoriamo queste stelle neonate per diversi anni, permettendoci di misurare il loro moto e imparare come lasciano le nubi che le hanno create”, spiega João Alves, astronomo dell’Università di Vienna e Principal Investigator di VISIONS. Questa non è un’impresa facile, poiché l’apparente spostamento di queste stelle visto dalla Terra è piccolo quanto la larghezza di un capello umano visto da 10 chilometri di distanza. Queste misure dei moti stellari completano quelle ottenute dalla missione Gaia dell’Agenzia spaziale europea a lunghezze d’onda visibili, per quei luoghi in cui le giovani stelle sono nascoste da spessi veli di polvere. L’atlante di VISIONS terrà occupati gli astronomi per molti anni a venire. “C’è qui un grande valore duraturo per la comunità astronomica, ed è per questo che l’ESO guida survey pubbliche come VISIONS”, dice Monika Petr-Gotzens, astronoma dell’ESO a Garching, in Germania, e coautrice di questo lavoro. Inoltre, VISIONS getterà le basi per future osservazioni con altri telescopi come l’ELT (Extremely Large Telescope) dell’ESO, attualmente in costruzione in Cile e che entrerà in funzione entro la fine di questo decennio. “L’ELT ci consentirà di ottenere immaigni molto ingrandite di regioni specifiche con dettagli senza precedenti, offrendoci una veduta ravvicinata, mai vista prima, delle singole stelle che si stanno attualmente formando”, conclude Meingast.

Spazio, nei laboratori dell’Inaf due frammenti dell’asteroide Ryugu

Spazio, nei laboratori dell’Inaf due frammenti dell’asteroide RyuguRoma, 11 mag. (askanews) – Due piccoli grani, lunghi meno di due millimetri per tre milligrammi di peso, parte del preziosissimo carico di frammenti dell’asteroide Ryugu, tornati sulla Terra con la sonda Hayabusa 2 che li ha prelevati nel 2019, sono giunti dal Giappone ai laboratori dell’Inaf a Roma, dove un team di ricerca li analizzerà con l’ambizioso obiettivo di ricostruire la storia dell’evoluzione di Ryugu.

La missione Hayabusa2 dell’Agenzia spaziale giapponese Jaxa ha esplorato l’asteroide Ryugu, grande un chilometro, ottenendo immagini dettagliate della superficie. Hayabusa2 ha scagliato un piccolo proiettile sull’asteroide allo scopo di scavare una piccola porzione del suo strato esterno e mettere a nudo il materiale al di sotto, rimasto preservato per miliardi di anni. Il veicolo spaziale ha poi raccolto frammenti della superficie in due siti differenti di Ryugu, uno di questi nelle vicinanze del cratere. In due camere di raccolta – denominate A e C – sono stati quindi recuperati sia frammenti superficiali che sotto-superficiali, questi ultimi protetti dal vuoto profondo dello spazio fino al momento dell’impatto. La capsula di rientro con il materiale raccolto – si legge su Media Inaf, il notiziario online dell’Istituto nazionale di astrofisica – è stata recuperata a Woomera, in Australia, il 6 dicembre 2020. Si tratta del primo campione raccolto appartenente a una classe di asteroidi molto primitivi, la cui composizione ci fornisce un’istantanea del materiale che ha dato origine al Sistema solare primordiale e alla Terra. La quantità di materiale che è stato raccolto in totale è di circa cinque grammi. Dopo aver completato una prima ispezione, le particelle di Ryugu sono state prelevate singolarmente dai piccoli contenitori di vetro zaffiro con una pinzetta a vuoto e su questi grani è stata eseguita un’analisi al microscopio. “Grazie al mio contributo nella caratterizzazione dell’asteroide Ryugu, come co-investigator della missione Hayabusa2, sono stato chiamato a far parte del ristretto team internazionale che prima dell’apertura dei bandi pubblici, si è occupato per un anno delle prime analisi in esclusiva”, ricorda Ernesto Palomba, ricercatore Inaf a Roma.

Nell’ambito del secondo bando internazionale pubblico per l’analisi dei campioni di Ryugu, la Jaxa ha assegnato al gruppo di ricerca Inaf coordinato da Palomba due grani denominati C0242 (del peso di 0,7 milligrammi e lunghezza di 1,712millimetri) e A0226 ( pesante 1,9 milligrammi e lunghezza di 2,288millimetri). Ciascun grano è posto all’interno di un particolare recipiente di acciaio riempito di azoto, il cui scopo è sia di preservare il grano evitando contaminazioni dovute alle polveri e al vapor d’acqua presenti nell’ambiente, sia di permettere un trasporto sicuro. Per rendere onore alla cultura giapponese, il team italiano ha deciso di assegnare un nome ai due grani attingendo alla tradizione degli Anime, in particolare le opere dello studio Ghibli con il suo creatore Hayao Miyazaki. I nomi sono stati scelti guardando sia alla forma (A0226-Totoro) dal film “Il mio vicino Totoro”, sia al compito di Hayabusa2 di spedire a Terra campioni extraterrestri (C0242-Kiki) dal film “Kiki – Consegne a domicilio”.

“Tra tutte le 38 proposte di analisi accettate dalla Jaxa per il secondo bando internazionale, la nostra è l’unica italiana”, commenta Palomba. “Il team è composto da una dozzina di persone delle sedi Inaf di Roma, Napoli, Catania e dall’Università di Firenze, di cui quasi la metà sono borsisti, studenti di dottorato e postdoc. Per preparaci all’analisi e alla manipolazione di grani millimetrici, abbiamo cominciato a fare palestra con dei frammenti di una meteorite carbonacea, la Tagish Lake, che si può considerare molto simile ai frammenti di Ryugu. Abbiamo ideato e prodotto dei portacampioni in grado di mantenere fermi i grani durante il trasporto e le analisi. E ora una decina di giorni fa la Jaxa ci ha contattato chiedendoci l’indirizzo per spedire i campioni. In realtà in meno di una settimana, con nostra grande emozione, Kiki e Totoro sono arrivati”. “Per questo progetto, abbiamo avuto anche a supporto un large grant dell’Inaf”, sottolinea Palomba. “Il nostro obiettivo sarà comprendere come questo asteroide si sia evoluto durante i 4 miliardi di anni della sua vita. In particolare, andremo a studiare le trasformazioni causate dall’interazione con l’ambiente spaziale, che a differenza di quanto si potrebbe credere è lungi dall’essere completamente inerte. Una pioggia continua di micrometeoriti, particelle galattiche e cosmiche, nonché il flusso costante del vento solare – il cosiddetto space weathering – bombarda le superfici dei corpi planetari incessantemente per miliardi di anni, provocando anche sostanziali trasformazioni. Per capire meglio queste trasformazioni, nel nostro progetto abbiamo richiesto due grani, uno proveniente dalla camera A e un altro dalla camera C, cosicché sarà possibile comprendere quanto lo space weathering abbia modificato la superficie dell’asteroide”, conclude Palomba.

Zoccoli(INFN): Einstein Telescope sposterà le frontiere del sapere

Zoccoli(INFN): Einstein Telescope sposterà le frontiere del sapereRoma, 9 mag. (askanews) – “Einstein Telescope è un sogno. Per noi scienziati è il sogno di costruire una nuova infrastruttura di ricerca di quelle che spostano avanti le frontiere della conoscenza, che si costruiscono una volta ogni 50 anni nella storia di una nazione e che veramente possono spostare le frontiere della conoscenza e possono avere un impatto enorme sul territorio”. Lo ha detto il presidente dell’INFN Antonio Zoccoli intervenendo all’evento “Einstein Telescope: la grande infrastruttura di ricerca europea” – organizzato da Mur, Regione Sardegna e INFN – in svolgimento a Cagliari nell’ambito del XIII Simposio della Collaborazione Scientifica internazionale Einstein Telescope in programma fino al 12 maggio, a cui partecipano centinaia di rappresentanti della comunità scientifica europea.

Al centro dell’evento la candidatura dell’Italia a ospitare il futuro rivelatore europeo di terza generazione per la ricerca sulle onde gravitazionali in Sardegna, nell’area della miniera dismessa di Sos Enattos, tra i Comuni di Bitti, Lula e Onanì, in competizione con un altro sito collocato nell’Euregio Mosa-Reno. “Il nostro sogno come scienziati – ha detto Zoccoli – è usare questa infrastruttura per capire i segreti dell’Universo più profondo, addentrarci sempre più indietro nel tempo verso l’origine dell’Universo e capire cosa succede nei primi istanti sfruttando ad esempio il collasso di due buchi neri o di due stelle di neutroni. In questi eventi catastrofici vengono emesse le onde gravitazionali che arrivano, viaggiando nel tempo, fino a noi, portando dell’informazione, come dei messaggeri. L’idea è quella di prendere le informazioni che ci portano le onde gravitazionali, combinarle con le informazioni che ci portano gli altri messaggeri – che possono essere la luce visibile, i raggi X, i raggi gamma, i neutrini e le altre particelle che arrivano dallo spazio profondo – per avere una visione dell’Universo e delle leggi che lo governano più solida. Abbiamo ancora tante cose che non capiamo. Sappiamo – ha aggiunto – che l’Universo è fatto per il 5 % di materia ordinaria, quella di cui siamo fatti noi, ma il 95% è fatto da materia oscura ed energia oscura e ancora non sappiamo cosa siano. Quindi abbiamo tantissimi segreti da capire. E questa sarebbe veramente l’infrastruttura che ci permette di aprire delle porte, di voltare delle pagine nel libro della natura”.

“Abbiamo scelto il sito di Sos Enattos – ha spiegato il presidente dell’INFN – perché la Sardegna è una delle regioni geologicamente più stabili al mondo e quindi uno dei posti ideali per fare questo tipo di ricerche. É anche una zona poco popolata e meno interferenze antropiche ci sono e più le misure possono essere precise. E poi è un posto unico al mondo, bellissimo”. “Questo sogno – ha detto ancora Zoccoli – abbiamo cercato di trasmetterlo ai nostri governanti. Abbiamo parlato con il presidente della Regione Sardegna che ci ha sempre sostenuto, con il ministro Bernini che si è entusiasmata e ci ha aiutato tantissimo in questa fase, ha sostenuto il progetto, ha costituito un gruppo di sostegno”, il comitato tecnico scientifico per la candidatura dell’Italia a ospitare ET di cui fanno parte oltre allo stesso Zoccoli il premio Nobel Giorgio Parisi, Marica Branchesi (GSSI) esperta di onde gravitazionali, Nando Ferroni (ex presidente dell’INFN, oggi al GSSI) e l’ambasciatore Ettore Sequi.

“La cosa più bella – ha concluso Zoccoli – è vedere che in Italia, dove spesso si dice che non funziona niente, ci sono tante persone che lavorano insieme per raggiungere questo obiettivo ambiziosissimo. Sono felice di vedere che in tanti condividiamo questo sogno di costruire questa infrastruttura unica in questa terra”.

Unipi, 30 anni fa a Pisa la prima pagina web pubblicata in Italia

Unipi, 30 anni fa a Pisa la prima pagina web pubblicata in ItaliaRoma, 9 mag. (askanews) – Il 1993 era iniziato da poco quando sullo schermo di un PC/Unix dell’Università di Pisa fu visualizzata la prima pagina web messa online in Italia. Una schermata rudimentale – testo, immagini e qualche elemento di grafica – che segnò l’approdo del nostro Paese nel world wide web nato meno di due anni prima.

A rendere possibile quell’impresa, – ricorda l’Università di Pisa – la creazione del primo server web italiano, nato esattamente 30 anni fa e realizzato a partire dal codice (ancora in versione BETA) che lo stesso Tim Berners-Lee, l’inventore del World Wide Web, aveva regalato a Maurizio Davini, all’epoca giovanissimo studente in fisica e oggi CTO del Green Data Center di Ateneo. All’impresa parteciparono, Stefano Suin, informatico e oggi dirigente della Direzione infrastrutture digitali Unipi; e l’economista Paolo Caturegli, insieme ad altri docenti dell’Università di Pisa. Pionieri, la cui curiosità e voglia di sperimentare diede vita, in quegli anni, ad una serie di progetti informatici che collocherà l’Università di Pisa all’avanguardia in Italia e in Europa nello sviluppo del web. “Il mio incontro con Berners-Lee avvenne alla fine del 1992 al Centro di Calcolo del CERN di Ginevra – racconta Maurizio Davini – Ero lì per vedere come funzionava la sua workstation NEXT e in quell’occasione mi spiegò la sua creazione e alla fine mi dette una copia di quello che era il codice sorgente del web. Tornai a Pisa e poche settimane dopo, agli inizi del 1993, avevamo il nostro server funzionante. Con i colleghi ripetemmo poi l’esperienza con i sistemi IBM AIX di Ateneo e dell’INFN di Pisa. Avevamo gettato le basi dei primi siti web italiani che di lì a poco, nell’agosto de 1993, avrebbero trovato una prima forma compiuta nel sito del CRS4 di Cagliari, Centro diretto, peraltro, da uno dei nostri laureati più illustri, Carlo Rubbia, ed estensione del CERN in Italia”.

Le origini di questa storia, per molti anni rimasta chiusa negli archivi dell’Università di Pisa, risalgono ad un gruppo di ricercatori e studenti che già nel 1989 si erano cimentati nel primo collegamento italiano in fibra ottica. Da quel nucleo originario, nel 1992, nascerà la squadra di lavoro organizzata dal professore Giuseppe Pierazzini dell’Università di Pisa, che porterà alla nascita della prima rete universitaria in fibra ottica d’Italia e poi al Centro di SERvizi per la Rete di Ateneo (SERra). “Eravamo giovani e con tanta voglia di sperimentare – racconta Stefano Suin, – Il gruppo di Pierazzini, interdisciplinare e interdipartimentale, era il terreno di coltura adatto per sviluppare progetti che all’epoca erano veramente pionieristici. Basti pensare che negli anni che hanno preceduto l’avvento del world wide web, il nostro Ateneo è stato un punto di riferimento in Europa per Gopher, il protocollo utilizzato inizialmente per collegare PC in tutto il mondo, e server per l’Italia di Archie, il primo motore di ricerca nella storia di internet”.

Oggi – evidenzia Unipi – questa storia d’eccellenza prosegue nel Green Data Center di Ateneo che, oltre ad essere quasi ad impatto zero, è anche uno dei pochissimi classificato come A dall’AgID. Nel GDC si portano avanti progetti di ricerca che vanno dai nano materiali al quantum computing e vi si testano tecnologie di nuova generazione. Il Green Data Center è il cuore dell’attuale rete dell’Università di Pisa, formata da oltre 9000 km di fibra ottica, con 80 km di canalizzazioni, che collega 250 edifici universitari. Attraverso accordi e convenzioni, inoltre, l’infrastruttura server ormai da tempo anche l’intera rete civica pisana e collega gli enti e le istituzioni di ricerca della città e le scuole di ogni ordine e grado di Pisa e Livorno.

Spazio, Rossettini (D-Orbit) tra finalisti European Inventor Award

Spazio, Rossettini (D-Orbit) tra finalisti European Inventor AwardRoma, 9 mag. (askanews) – Luca Rossettini, Ceo di D-Orbit società di logistica spaziale e di trasporto orbitale, è tra i tre finalisti nella categoria “Pmi” dell’European Inventor Award 2023 – riconoscimento dedicato a invenzioni eccellenti brevettate presso l’Ufficio europeo brevetti (EPO) – per aver inventato un dispositivo che consente di spostare i satelliti in una parte inutilizzata dell’orbita o addirittura riportarli sulla Terra in modo controllato. Una volta portati fuori dall’orbita terrestre, i satelliti possono bruciare nell’atmosfera e disintegrarsi in un’area designato e sicuro. Questo sistema riduce il costo totale delle missioni spaziali del 10%, contribuendo alla creazione di un’economia circolare per lo spazio.

Secondo l’Agenzia Spaziale Europea (ESA), dal primo lancio di un satellite nel 1957 sono stati inviati nell’orbita terrestre più di 15.000 satelliti. Oltre 600 collisioni, esplosioni e incidenti nello spazio hanno ridotto in pezzi molti di questi veicoli spaziali e l’ESA stima che, di conseguenza, più di 36.500 oggetti di dimensioni superiori a 10 cm stiano sfrecciando intorno alla Terra. L’inventore italiano Luca Rossettini e la sua squadra hanno lavorato per risolvere questo problema creando un sistema che consente di manovrare i satelliti in modo più preciso ed efficiente nei loro slot orbitali e poi di rimuoverli in modo sicuro dall’orbita terrestre quando non sono più utili. Conosciuto come D-Orbiter(D3)™, il dispositivo di disattivazione progettato dall’azienda – informa una nota – è un piccolo rotore indipendente e intelligente che viene collegato a un satellite prima del suo lancio. È dotato di sistemi propri di propulsione, di carburante, di unità di controllo a distanza e di telecomunicazione. L’apparecchio rimane inattivo finché non rileva un problema di funzionamento del satellite e avvisa gli operatori sulla Terra. Il D3 offre una soluzione economica alle aziende di satelliti per ridurre i detriti nello spazio, dato che il costo sostenuto per proteggere la missione dall’impatto con oggetti in orbita e della rimozione del satellite a fine vita può raggiungere un decimo del costo totale della missione.

“Se si punta a raggiungere davvero un’economia circolare sostenibile per lo spazio, il problema numero uno sarà la gestione dei detriti spaziali” spiega Rossettini. “Oggi, abbiamo centinaia di frammenti in orbita che rappresentano la principale minaccia per i satelliti. Non sappiamo dove siano. Quindi, ogni volta che si invia un satellite si fa una scommessa di non essere colpiti da nessuno di questi detriti. E si capisce che, se il numero di satelliti continua ad aumentare come ora, non si potrà continuare a scommettere, soprattutto se si desidera costruire un business nello spazio”. D-Orbit ha anche creato una soluzione per la consegna “ultimo miglio”, chiamata ION Satellite Carrier, che si basa sul metodo brevettato dall’inventore per il rilascio in sicurezza dei satelliti. ION è un veicolo spaziale multiuso che può trasportare satelliti in orbita e rilasciarli individualmente esattamente dove devono essere per iniziare la loro missione in condizioni operative ottimali e svolgere diversi altri servizi avanzati, come testare payload di terze parti in orbita, durante la stessa missione.

L’invenzione di Rossettini è il risultato della sua lunga passione per lo spazio e la sostenibilità. Dopo aver prestato servizio come Ufficiale Aeronautico nell’esercito italiano, ha conseguito un Master in Ingegneria Aerospaziale presso il Politecnico di Milano. Ha lavorato per un anno in un laboratorio di ricerca statunitense sulle nanotecnologie applicate ai propellenti spaziali prima di tornare in Europa per completare un secondo master in Leadership strategica verso la sostenibilità. Successivamente ha conseguito un dottorato di ricerca in Propulsione Spaziale Avanzata sempre presso il Politecnico di Milano e, in seguito ad un tirocinio presso la NASA all’interno del Centro ricerche di Ames, Rossettini ha co-fondato D-Orbit in Italia nel 2011. I vincitori dell’edizione 2023 dell’European Inventor Awards saranno annunciati nel corso di un evento (in presenza e digitale) il 4 luglio 2023 a Valencia (Spagna). La cerimonia sarà trasmessa online e aperta al pubblico.

Arriva Vadus, l’app che “svela” i beni culturali non accessibili

Arriva Vadus, l’app che “svela” i beni culturali non accessibiliRoma, 8 mag. (askanews) – Una metodologia innovativa per la fruizione virtuale 3D di beni culturali non accessibili, in grado di rivelare anche aspetti non visibili a occhio nudo, basata sull’integrazione di tecnologie 5G, cloud, servizi satellitari, fotogrammetria e informazioni multimediali. È il risultato del progetto VADUS (Virtual Access and Digitalization for Unreachable Sites) condotto da ENEA, Università Sapienza di Roma, parchi Archeologici del Colosseo e di Ostia Antica, Museo Pietro Micca e dell’Assedio di Torino del 1706, TIM, Next-Ingegneria dei Sistemi (coordinatore) e finanziato dall’Agenzia Spaziale Europea (ESA), che sarà presentato il prossimo 9 e 10 maggio presso il Centro Ricerche ENEA di Frascati al workshop “Ricerca, sviluppo e applicazioni per i Beni Culturali. Dai risultati del progetto VADUS alle future collaborazioni”. Nello specifico, nell’ambito del progetto, sono state realizzate le visite virtuali alla Casa di Diana a Ostia Antica, all’Aula Isiaca nel Parco del Colosseo e al forte ipogeo “Pastiss” nel Museo Pietro Micca di Torino.

Durante l’evento che vedrà la partecipazione di esperti, ricercatori e rappresentanti di soprintendenze, istituzioni culturali, musei e PMI, sarà possibile anche effettuare la visita virtuale alla Casa di Diana tramite l’app realizzata appositamente da Next-Ingegneria dei Sistemi e disponibile su tablet 5G. ENEA, con il Laboratorio di Diagnostica e metrologia, ha arricchito la visita virtuale del forte Pastiss, non visitabile, con i risultati delle analisi sui quadri del Museo Pietro Micca, che hanno rivelato particolari invisibili a occhio nudo o scomparsi, come stemmi e firme. Per la Casa di Diana del Parco Archeologico di Ostia Antica, ugualmente chiusa al pubblico, – si legge nella notizia pubblicata sull’ultimo numero in italiano del settimanale ENEAinform@ – è stata realizzata invece una visita virtuale dei vari ambienti in cui i livelli multimediali creati da ENEA restituiscono informazioni sulle diverse fasi costruttive e di restauro dell’edificio. Per l’Aula Isiaca del Parco del Colosseo è stato anche possibile “ricollocare” virtualmente negli spazi originali una decorazione ad affresco conservata in altro luogo.

“VADUS, che significa ‘passaggio’, permette un’esperienza completamente immersiva ad alta definizione, senza alcun vincolo spaziale e temporale nei percorsi di visita, declinata attraverso uno storytelling multilivello, con contenuti multimediali di natura archeologica, storica e scientifica, supportati da ricostruzioni o ricreazioni virtuali”, sottolinea Valeria Spizzichino, ricercatrice ENEA del Laboratorio di Diagnostica e metrologia. “E in questo modo – aggiunge – VADUS fungerà da abilitatore tecnologico ponendosi proprio come mezzo per superare ciò che non è raggiungibile in termini fisici e culturali, come le difficoltà legate all’accesso per ragioni ambientali, di preservazione del bene, a causa di barriere architettoniche o connesse alla ‘comprensibilità’ del bene culturale”. ENEA ha contribuito al progetto con i suoi prototipi innovativi che, utilizzando sorgenti laser monocromatiche, possono lavorare ad alcune decine di metri dall’opera: il radar RGB-ITR (Red Green Blue Imaging Topological Radar), in grado di fornire per ciascun punto della superficie analizzata tre tipologie di informazione sul colore e due sulla distanza con risoluzione spaziale submillimetrica, ottenendo ricostruzioni 3D ad alta risoluzione, a colori e senza la necessità di supporto di immagini fotografiche; il sistema di Imaging LIF (Laser Induced Fluorescence) che consente, invece, di analizzare la composizione delle superfici, creando mappe di distribuzione dei materiali e, quindi, di proprietà non visibili a occhio nudo; IR-ITR (Infra Red Imaging Topological Radar) che permette di recuperare particolari scomparsi per effetto del degrado o coperti da successivi strati pittorici.

Prima foto della Terra dal satellite meteo MTG-I1 di Esa-Eumetsat

Prima foto della Terra dal satellite meteo MTG-I1 di Esa-EumetsatMilano, 4 mag. (askanews) – Una densa copertura nuvolosa su gran parte dell’Europa settentrionale e occidentale, nonché sulla Scandinavia mentre l’Italia e i Balcani presentano un cielo relativamente sereno. È quello che si vede nella prima, straordinaria, immagine della Terra rilasciata da MTG-I1, il satellite di Esa e d Eumetsat, costruito da Thales Alenia Space come prime contractor, primo della famiglia Meteosat Third Generation (MTG).

L’immagine è stata pubblicata dall’Organizzazione Europea dei Satelliti Meteorologici (Eumetsat) e dall’Agenzia Spaziale Europea (Esa); scattata dallo strumento Flexible Combined Imager (FCI) del satellite, mostra le condizioni meteorologiche su Europa, Africa e Atlantico con un dettaglio eccezionale e una nitidezza mai raggiunta prima. Lanciato da Arianespace il 13 dicembre 2022, MTG-I1 è stato progettato per migliorare le previsioni meteorologiche in Europa e in Africa. Progettato per sostituire la famiglia Meteosat Second Generation (MSG), MTG è un programma congiunto tra Esa ed Eumetsat per garantire la continuità del monitoraggio meteorologico ad alta risoluzione oltre il 2040.

I satelliti MTG sono costruiti da Thales Alenia Space come prime contractor, in collaborazione con OHB. Operano in orbita geostazionaria, a circa 36.000 chilometri sopra la Terra, e hanno una vita operativa di 8,5 anni. MTG-I1 è dotato di FCI, uno strumento di imaging di nuova generazione, per migliorare l’accuratezza delle previsioni meteorologiche su tempi che vanno da pochi minuti a qualche ora. Questo strumento fornisce una foto completa della Terra (16 bande d’onda) in soli 10 minuti, rispetto ai 15 minuti della generazione precedente, e include anche una modalità veloce che consente di scattare foto dell’Europa ogni 2,5 minuti. Offre una risoluzione spaziale che va da 500 metri a 1 chilometro.

Questo primo satellite della famiglia MTG sarà affiancato da altri tre satelliti di imaging (MTG-I) e due satelliti per lo studio dell’atmosfera (MTG-S), che saranno lanciati tra il 2024 e il 2033, formando una costellazione in orbita geostazionaria. Gestito da Eumetsat, questo sistema segna un significativo progresso nel monitoraggio degli eventi meteorologici estremi. I meteorologi attendono questi nuovi satelliti che miglioreranno in modo significativo le previsioni meteorologiche, rivoluzionando la meteorologia moderna. I modelli di imaging sono dotati di rilevatori di fulmini, mentre i sounder saranno in grado di fornire mappe 3D dell’atmosfera. Una volta che tutti i satelliti saranno in orbita, Eumetsat offrirà i servizi di previsione meteorologica più sofisticati al mondo.

IIT: un esoscheletro per addetti alla manutenzione delle ferrovie

IIT: un esoscheletro per addetti alla manutenzione delle ferrovieMilano, 3 mag. (askanews) – Un esoscheletro di supporto per la schiena è stato sviluppato all’Istituto Italiano di Tecnologia (IIT) per migliorare la sicurezza e le condizioni dei lavoratori e delle lavoratrici nelle operazioni di manutenzione e rinnovo delle ferrovie. Il prototipo è stato validato in circa 100 ore di utilizzo da parte di 15 persone durante 6 mesi di campagna di test ospitata da Mermec Ste e da Rfi evidenziando una riduzione del 50% del rischio ergonomico di sovraccarico fisico e lesioni e del 15%-30% dell’affaticamento muscolare.

L’esoscheletro “Stream” – il nome tecnico è Mmpe, Modular Multi-tasking Powered Exoskeleton – nasce nell’ambito del progetto europeo Stream coordinato dal ricercatore di IIT Christian Di Natali e finanziato dall’Unione Europea all’interno di Horizon 2020 e di Shift2Rail Joint Undertaking, la prima grande iniziativa transnazionale strategica mirata a promuovere la ricerca e l’innovazione nel settore ferroviario, così da renderlo più competitivo, efficiente e sostenibile. Il progetto Stream ha introdotto una nuova soluzione tecnologica da industria 5.0, dove le attività dei lavoratori sono connesse, attraverso l’IoT, a tecnologie indossabili ed esoscheletri occupazionali potenziati. L’esoscheletro sarà presentato in un evento finale di progetto a Tarragona in Spagna l’8 giugno. L’esoscheletro supporta il lavoratore tramite motori elettrici che generano forze a livello della schiena e che vengono distribuite, in maniera confortevole, a spalle e gambe per aiutarlo a sollevare e trasportare carichi pesanti. L’ergonomia del dispositivo è stata studiata per migliorare il trasferimento delle forze sul corpo dell’utente tramite una combinazione di strutture più o meno rigide. Il dispositivo pesa circa 7 kg, costituito da struttura, motori, elettronica e batterie che offrono un’autonomia di 6 ore continuative. Il design lo rende adeguato ad essere indossato da lavoratori e lavoratrici di corporatura diversa, senza alterare l’alta visibilità degli indumenti da lavoro. L’esoscheletro, inoltre, ha una struttura versatile che lo rende capace di interpretare il movimento della persona per gestire le diverse intensità di lavoro e attuare in modo automatico le strategie di assistenza, riducendo il rischio di infortunio.

La campagna sperimentale mirata a valutare i benefici dell’esoscheletro è stata ospitata da Rfi e Mermec Ste all’interno di cantieri ferroviari per sei mesi, tra cui per l’ultima fase vicino a Milano. I test hanno riguardato prove di laboratorio, validazione in ambiente simulato e dimostrazione finale in ambiente operativo. I lavoratori coinvolti sono stati 15, per circa 100 ore di utilizzo. La validazione finale è stata realizzata in un ambiente operativo reale con un team di lavoratori che ha utilizzato due esoscheletri, consentendo così il raggiungimento di un livello di maturità tecnologica avanzato, pronto per una futura industrializzazione. I lavoratori hanno indossato l’esoscheletro Stream per trasportare e sistemare cunicoli in cemento pesanti 20kg-30kg. I risultati hanno evidenziato una riduzione del 50% del rischio ergonomico di sovraccarico fisico e lesioni, sul sistema muscolo-scheletrico, in particolare lombare. L’affaticamento è stato ridotto fino al 15%-30% e anche l’attività muscolare è stata ridotta del 25%.

Il design dell’esoscheletro realizzato da IIT è stato pensato per essere una soluzione comoda per l’uso durante l’intero turno di lavoro per i lavoratori e le lavoratrici impiegati nell’industria pesante, e in particolare per l’ambiente cantieristico, quale quello ferroviario.