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Al via Actris-Eric: dati e servizi per la ricerca atmosferica

Al via Actris-Eric: dati e servizi per la ricerca atmosfericaRoma, 2 mag. (askanews) – È stato formalmente costituito il 25 aprile ACTRIS-ERIC, il consorzio dell’Infrastruttura di ricerca europea ACTRIS (Aerosol, Clouds and Trace Gases Research Infrastructure), la cui missione è fornire dati e servizi all’avanguardia per la ricerca sull’atmosfera e sul clima. I Paesi fondatori sono 17, e mettono in comune le proprie risorse per aprire l’accesso a un’ampia gamma di tecnologie, servizi e risorse nel campo delle scienze atmosferiche. L’istituzione di ACTRIS-ERIC concretizza uno sforzo a lungo termine iniziato nel 2011 e perseguito e condiviso da diversi Paesi europei, tra cui l’Italia, che vi partecipa con una rete di istituzioni, tra le quali il CNR e l’INFN. L’istituzione di ACTRIS-ERIC – si legge sul sito dell’INFN – testimonia il progresso di ACTRIS da una rete basata su progetti a un’infrastruttura di ricerca matura e sostenibile.

“Grazie ad un’intensa cooperazione internazionale, in soli dieci anni siamo stati in grado di costruire e rendere operativi strumenti scientifici all’avanguardia che aprono opportunità senza precedenti per scoperte rivoluzionarie”, afferma Paolo Laj, coordinatore scientifico ad interim di ACTRIS. “ACTRIS sta consolidando la sua posizione nel panorama nazionale, europeo e internazionale, ampliando il suo ruolo di attore chiave a sostegno della ricerca ambientale. La qualità dei servizi, la cultura dell’innovazione aperta, la prontezza e flessibilità nel rispondere alla domanda delle varie comunità degli utenti aumenteranno il livello di fiducia e collaborazione tra ACTRIS e i suoi partner”. La Finlandia ospiterà la sede statutaria e gestirà il coordinamento generale di ACTRIS, mentre l’Italia gestirà l’accesso ai servizi di ACTRIS. L’Italia è infatti uno dei Paesi fondatori di ACTRIS, avendo avuto sin dall’inizio ruoli chiave nel coordinamento dell’infrastruttura europea. La partecipazione italiana ad ACTRIS conta sul contributo dell’INFN con i laboratori LABEC a Firenze e ChAMBRe a Genova, del CNR, del Gruppo dell’Osservatorio Atmosferico e Telerilevamento LIDAR del Centro di Eccellenza CETEMPS del Dipartimento di Scienze Fisiche e Chimiche dell’Università degli Studi dell’Aquila, del Dipartimento Sostenibilità dei Sistemi Produttivi e Territoriali dell’ENEA, del Dipartimento di Scienze Pure e Applicate dell’Università di Urbino Carlo Bo, dell’Università del Salento e dell’Università di Napoli Federico II che ospita, presso il Dipartimento di Fisica “Ettore Pancini”, il Centro Servizi Metrologici e Tecnologici Avanzati (CeSMA).

“Partecipare a grandi collaborazioni internazionali è nella natura dell’INFN, e in ACTRIS il nostro Istituto mette al servizio della rete europea conoscenze e strutture che possono portare un contributo importante allo studio di quei processi atmosferici che, nei prossimi decenni, determineranno in buona parte il futuro del pianeta e dell’umanità”, spiega Paolo Prati, rappresentante dell’INFN in ACTRIS Italia. “Affrontare questa sfida è motivo di orgoglio e sottolinea, ancora una volta, le tante ricadute che la ricerca di base sulle leggi fondamentali della natura restituisce alla società”, conclude Prati. ACTRIS con i suoi siti osservativi costituisce la più grande infrastruttura di ricerca atmosferica distribuita al mondo, che ha consentito negli anni una comprensione più approfondita delle cause del cambiamento climatico e dell’inquinamento atmosferico. Il monitoraggio della variabilità nel tempo e nello spazio dei costituenti atmosferici a breve permanenza in atmosfera (aerosol, nubi e gas in traccia) da 80 piattaforme di osservazione in Europa e non solo, per oltre un decennio, ha fornito una visione senza precedenti dell’efficacia delle politiche di riduzione delle emissioni in Europa, ma ha anche evidenziato i complessi meccanismi di feedback che agiscono sul sistema climatico. Ora, con l’istituzionalizzazione di ACTRIS nella forma di un ERIC si aprono le porte ai ricercatori, alle imprese e più in generale ai Paesi, per favorire ancor più l’accesso libero alle informazioni chiave sullo stato dell’atmosfera, per condividere le migliori piattaforme osservative di ricerca in Europa e per sostenere il processo decisionale con tutte le competenze scientifiche di riferimento.

ACTRIS offre ai suoi utenti un accesso aperto a strumenti, competenze, opportunità di formazione e servizi di gestione dei dati FAIR (Findable, Accessible, Interoperable and Reusable). Ogni anno, oltre 5.000 utenti distribuiti in circa 50 Paesi del mondo utilizzano i dati di ACTRIS per le loro ricerche, consentendo previsioni atmosferiche affidabili, tra cui avvisi di pericolo a breve termine per il meteo e la salute, nonché valutazioni a lungo termine dei cambiamenti climatici. L’INFN partecipa ad ACTRIS con due strutture di ricerca uniche: il LABEC (Laboratorio di tecniche nucleari per l’Ambiente e i Beni Culturali) della Sezione di Firenze e ChAMBRe (Chamber for Aerosol Modelling and Bio-aerosol Research) della Sezione di Genova. I due laboratori sono oggi sinergicamente inclusi nell’ERIC-ACTRIS, il LABEC ospitando il centro di riferimento europeo per la caratterizzazione elementale del particolato atmosferico (Elemental Mass Calibration Centre, EMC2) e ChAMBRe come “national facility” specializzata nello studio della componente biologica e delle proprietà ottiche degli aerosol atmosferici ovvero l’inquinante più elusivo con impatti molto significativi sia sulla salute che sulla sfida epocale dei cambiamenti climatici.

Il CNR ha contribuito notevolmente al raggiungimento di tale successo ricoprendo anche ruoli strategici e di coordinamento: gli Istituti coinvolti sono l’Istituto di metodologie per l’analisi ambientale (Cnr-Imaa), l’Istituto di scienze dell’atmosfera e del clima (Cnr-Isac) e l’Istituto di scienze marine (Cnr-Ismar), che ospitano 4 siti osservativi e 2 piattaforme mobili. Il Cnr-Imaa gestisce e coordina a livello europeo sia l’accesso ai servizi di ACTRIS, sia l’unità del Data Centre per la componente di aerosol remote sensing, e partecipa inoltre al centro europeo per la definizione, ottimizzazione e avanzamento delle osservazioni lidar di aerosol.

Enea: possibile recuperare metalli e minerali dall’acqua di mare

Enea: possibile recuperare metalli e minerali dall’acqua di mareRoma, 28 apr. (askanews) – Recuperare il magnesio dagli scarti del processo di desalinizzazione dell’acqua di mare: è questo uno dei nuovi avamposti della ricerca ENEA per l’economia circolare, i cui risultati sono stati pubblicati sulla rivista Environment, Development and Sustainability.

“Considerata l’importanza strategica del tema, abbiamo aperto una linea di ricerca dedicata all’estrazione del magnesio dalle salamoie e, in questo contesto, abbiamo prodotto e pubblicato una review propedeutica alle attività in corso”, spiega Danilo Fontana, ricercatore del Laboratorio ENEA di Tecnologie per riuso, riciclo, recupero e valorizzazione di rifiuti e materiali. Attualmente sono operativi nel mondo quasi 16mila impianti di desalinizzazione che producono circa 95 milioni di m3 al giorno di acqua desalinizzata. La produzione di salamoia, invece, ammonta a 142 milioni di m3 al giorno (circa il 50% in più del volume dell’acqua totale desalinizzata) con Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Kuwait e Qatar a guidare la classifica mondiale per ‘generazione’ di scarti dalla desalinizzazione dell’acqua destinata a usi civili (in particolare, consumo umano e agricoltura). “Le attuali tecnologie di desalinizzazione producono grandi quantità di salamoie che hanno una salinità tre volte maggiore rispetto a quella dell’acqua di mare. Il loro smaltimento comporta una serie di problemi ambientali per l’ecosistema acquatico, nel momento in cui vengono riversate in mare. Allo stesso tempo, le salamoie rappresentano una preziosa fonte secondaria di magnesio che, se recuperato, potrebbe essere impiegato in numerosi settori industriali”, aggiunge Fontana che ha curato la pubblicazione insieme al team di ricerca composto da Federica Forte, Massimiliana Pietrantonio, Stefano Pucciarmati e Caterina Marcoaldi.

Il magnesio – si legge nella notizia pubblicata sull’ultimo numero in italiano del settimanale ENEAinform@ – è un metallo che non si trova in natura nella sua forma elementare ed è l’ottavo elemento più abbondante nella crosta terrestre (circa il 2%). Nelle salamoie provenienti dagli impianti di dissalazione (soprattutto da quelli a osmosi inversa) i valori di concentrazione del magnesio sono molto elevati (1860-2880 milligrammi per litro). Non solo: sono presenti, in grandi quantità, anche il sodio (15.300-25.240 mg/litro), il calcio (520-960 mg/litro) e il potassio (740-890 mg/litro). “Ma è il magnesio il metallo più interessante per il suo impiego a livello industriale e per questo la Commissione Europea lo ha inserito nella lista dei 34 materiali definiti critici, per l’elevato rischio di approvvigionamento e valore strategico. Il maggior produttore di magnesio è la Cina, che fornisce circa il 90% dell’offerta mondiale; seguono la Russia (6%), il Kazakistan (2%), Israele (2%) ed il Brasile (2%)”, sottolinea Fontana.

Le principali applicazioni del magnesio sono, ad esempio, le leghe di alluminio che vengono utilizzate in particolare negli imballaggi (35%), nei trasporti (25%) e nelle costruzioni (21%); questo elemento è impiegato anche nell’industria farmaceutica (come eccipiente), da quella alimentare e cosmetica e per il trattamento delle acque reflue. Il magnesio trova ampia diffusione anche nei settori automobilistico, aerospaziale e della produzione di attrezzatura sportiva (ad esempio, per componenti meccanici delle selle per biciclette, degli scarponi da sci e da snowboard) dove viene impiegata una particolare tecnologia – chiamata pressofusione di magnesio – che sfrutta le proprietà del magnesio per realizzare con facilità, alta precisione e bassi costi, componenti di forma complessa e dallo spessore sottile. Attualmente, in Europa il tasso di riciclo del magnesio estratto da prodotti a fine vita è del 15%. Risulta sempre più necessario incrementare questa percentuale anche per la rilevante applicazione di questo metallo come materia prima per le batterie: è leggero, offre il vantaggio di trasferire due elettroni per atomo ed è considerato un’interessante alternativa al litio nel settore dei futuri accumulatori elettrochimici.

“Con il nostro lavoro di ricerca abbiamo esaminato le tecnologie di recupero del magnesio da salamoie presenti in letteratura, indentificandone criticità e potenzialità”, spiega Fontana. “Ma la maggior parte rimane confinata nei laboratori. Pochi studi sono incentrati sulla fattibilità tecnico-economica e sulla sostenibilità ambientale dei processi proposti. Questo nostro lavoro di review tecnica può fornire ‘spunti’ per approfondire il tema di ricerca per traferire le tecnologie finora sviluppate dal laboratorio al mercato, con ricadute vantaggiose per l’economia e per l’ambiente”, conclude Fontana.

Ricerca, dalla Sapienza primi microrobot programmabili con la luce

Ricerca, dalla Sapienza primi microrobot programmabili con la luceRoma, 28 apr. (askanews) – L’intelligenza artificiale ha raggiunto un livello di prestazioni tale da poter sostituire l’attività umana in un’ampia gamma di lavori, dalle catene di montaggio ai laboratori di ricerca biomedica. In quest’ultimo campo negli ultimi anni si è assistito a un grande sforzo verso la miniaturizzazione dei processi mediante strumenti avanzati, specifici per la diagnostica e la terapia a livello delle singole cellule.

Parallelamente le moderne tecniche di microfabbricazione consentono di costruire complessi meccanismi tridimensionali di dimensioni confrontabili con quelle cellulari. Tuttavia, oltre a un telaio meccanico, un microrobot ha bisogno di motori controllabili in modo indipendente per poter eseguire un compito complesso. Un nuovo studio, coordinato dal Dipartimento di Fisica della Sapienza e pubblicato su “Advanced Functional Materials”, dimostra la possibilità di creare robot bioibridi e di programmarne il movimento mediante luce strutturata. Dalla combinazione di esperimenti e modelli matematici – evidenzia Sapienza – è emerso che, non solo questi microrobot possono sfruttare il nuoto dei batteri per muoversi, ma che il loro movimento può essere controllato a distanza sfruttando delle specifiche proteine che agiscono come nano pannelli solari.

“I nostri microrobot – spiega Nicola Pellicciotta della Sapienza – somigliano a dei carri armati microscopici, che al posto dei cingoli hanno due unità propulsive alimentate dalla rotazione di flagelli batterici. La velocità di rotazione può essere controllata dalla luce grazie a modifiche genetiche. In questo modo siamo riusciti a controllare la direzione del movimento di questi microbot illuminando le due unità propulsive con luce di diversa intensità”. “Come nei magazzini di Amazon – aggiunge Roberto Di Leonardo della Sapienza – centinaia di questi microrobot potrebbero un giorno navigare all’interno di un micro-deposito dove gli articoli da organizzare e distribuire sono le singole cellule in un campione biologico”. La ricerca – conclude Sapienza – apre la strada alla possibilità di utilizzare i microbot all’interno di laboratori biomedici miniaturizzati e in particolare nei compiti di organizzazione e trasporto di singole cellule in vitro.

Reti neurali su chip fotonici: calcoli ultraveloci e a basso consumo

Reti neurali su chip fotonici: calcoli ultraveloci e a basso consumoRoma, 28 apr. (askanews) – Realizzare reti neurali estremamente efficienti utilizzando chip fotonici che elaborano segnali luminosi è possibile. Lo ha dimostrato uno studio del Politecnico di Milano, condotto insieme all’Università di Stanford e pubblicato dalla prestigiosa rivista “Science”.

Le reti neurali sono strutture di calcolo distribuito ispirate alla struttura di un cervello biologico e mirano ad ottenere prestazioni cognitive paragonabili a quelle umane ma con tempi estremamente ridotti. Queste tecnologie sono oggi alla base di sistemi di apprendimento automatico e intelligenza artificiale in grado di percepire l’ambiente e adattare il proprio comportamento analizzando gli effetti delle azioni precedenti e lavorando in autonomia. Sono utilizzate in molti campi di applicazione, come il riconoscimento e sintesi vocale e di immagini, i sistemi di guida autonoma e realtà aumentata, la bioinformatica, il sequenziamento genetico e molecolare, le tecnologie di high performance computing. Rispetto agli approcci di calcolo convenzionali, – spiega Polimi – per svolgere funzioni complesse le reti neurali hanno bisogno di essere inizialmente addestrate (“training”) con un’elevata quantità di informazioni note attraverso le quali la rete si adatta apprendendo dall’esperienza. Il training è un processo estremamente costoso dal punto di vista energetico e con il crescere della potenza di calcolo i consumi delle reti neurali crescono molto rapidamente, raddoppiando ogni circa sei mesi.

I circuiti fotonici costituiscono una tecnologia molto promettente per le reti neurali perché permettono di realizzare unità di calcolo ad alta efficienza energetica. Da anni il Politecnico di Milano lavora allo sviluppo di processori fotonici programmabili integrati su microchip di silicio di dimensioni di pochi mm2 per applicazioni nel campo della trasmissione e dell’elaborazione dei dati, ed ora questi dispositivi sono stati impiegati per la realizzazione di reti neurali fotoniche. “Un neurone artificiale, come un neurone biologico, deve compiere operazioni matematiche molto semplici, come somme e moltiplicazioni, ma in una rete neurale costituita da molti neuroni densamente interconnessi, il costo energetico di queste operazioni cresce esponenzialmente e diventa rapidamente proibitivo. Il nostro chip integra un acceleratore fotonico che permette di svolgere i calcoli in modo molto rapido ed efficiente, sfruttando una griglia programmabile di interferometri di silicio. Il tempo di calcolo è pari al tempo di transito della luce in un chip di pochi mm, quindi parliamo di meno di un miliardesimo di secondo (0.1 nanosecondi)”, afferma Francesco Morichetti, Responsabile del Photonic Devices Lab del Politecnico di Milano.

“I vantaggi delle reti neurali fotoniche sono noti da tempo, ma uno dei tasselli mancanti per sfruttarne pienamente le potenzialità era l’addestramento della rete. È come avere un potente calcolatore, ma non sapere come usarlo. In questo studio siamo riusciti a realizzare strategie di addestramento dei neuroni fotonici analoghe a quelle utilizzate per le reti neurali convenzionali. Il ‘cervello’ fotonico – aggiunge Andrea Melloni, Direttore di Polifab, il centro di micro e nanotecnologie del Politecnico di Milano – apprende velocemente e accuratamente e può raggiungere precisioni confrontabili a quelle di una rete neurale convenzionale, ma con un notevole risparmio energetico e maggiore velocità. Tutti elementi abilitanti le applicazioni di intelligenza artificiale e quantistiche”. Oltre alle applicazioni nel campo delle reti neurali, il dispositivo sviluppato può essere utilizzato come unità di calcolo per molteplici applicazioni in cui sia richiesta elevata efficienza computazionale, ad esempio per acceleratori grafici, coprocessori matematici, data mining, crittografia e computer quantistici.

Saccoccia (Asi): in ultimi 4 anni da governo 10,3 mld per lo Spazio

Saccoccia (Asi): in ultimi 4 anni da governo 10,3 mld per lo SpazioRoma, 27 apr. (askanews) – Negli ultimi quattro anni sono stati allocati sullo Spazio italiano oltre 10 miliardi di euro di risorse istituzionali e il budget dell’Agenzia spaziale italiana è aumentato del 250% passando da circa 800 mln a oltre 2 mld e “sarà stabile a valori similari almeno nei 2 anni successivi”. Lo ha sottolineato il presidente dell’Asi Giorgio Saccoccia durante l’incontro organizzato per tracciare un bilancio del suo mandato quadriennale alla guida dell’ASI, iniziato nell’aprile 2019 e che giungerà a scadenza il prossimo 2 maggio.

La maggior parte dei 10,3 miliardi assegnati allo Spazio – non tutti gestiti da Asi perché comprendono anche le risorse Esa e Pnrr – sono andati al settore dell’Osservazione della Terra (2,5 mld) “ritenuto fondamentale anche per i cittadini in tutte le sue declinazioni”; seconda per entità di risorse (1,7 mld) l’esplorazione umana e robotica seguita dal trasporto spaziale (1,5 mld) e servizi di lancio (790 mln), dai nanosatelliti (854 mln), telecomunicazioni e navigazione (842 mln), scienza e ricerca (663 mln). Ultima per entità tra le voci quella relativa alla gestione ordinaria dell’Agenzia (346 mln). Per quanto riguarda l’Asi il budget provvisorio per il 2023 è di 2,2 mld di euro: 110 mln assegnazione ordinaria, 854 mln per attività in Esa, 1.166 mln per programmi nazionali e bi-multilaterali, 153 mln del Pnrr.

Tra le attività di questi anni Saccoccia ha ricordato il lancio di satelliti nazionali o in collaborazione bi-multilaterale al di fuori di Esa: da Ixpe (Asi-Nasa) lanciata nel dicembre 2021 a Lares 2 al nanosatellite ArgoMoon che ha viaggiato sullo Space Launch System per fornire alla Nasa immagini significative a conferma della corretta esecuzione delle operazioni del vettore SLS e all’altro piccolo satellite LICIACube, che “ha viaggiato da autostoppista sulla missione Dart della Nasa che è andata a impattare su un sistema binario di asteroidi” per dimostrare la possibilità di deviarne l’orbita in caso di minaccia. Senza dimenticare i due satelliti della nuova generazione di COSMO-SkyMed “un gioiello italiano che ci individiano”. In ambito Esa poi sono stati lanciati diversi satelliti che hanno visto una forte partecipazione italiana: EDRS-C (Agosto 2019); CHEOPS (Dicembre 2019); Galileo FOC 27 & 28 (Dicembre 2021); James Webb Space Telescope (Dicembre 2021); Meteosat Third Generation (Imager 1) (Novembre 2022) e JUICE (Jupiter Icy Moon Explorer) lanciato questo mese. E il futuro si presenta ricco di programmi che coinvolgeranno il nostro Paese, a cui è destinata una parte importante dei fondi.

Spazio, orto hi-tech Enea per missione marziana simulata Amadee-24

Spazio, orto hi-tech Enea per missione marziana simulata Amadee-24Roma, 26 apr. (askanews) – ENEA parteciperà al progetto internazionale AMADEE-24 in Armenia (5 marzo – 8 aprile 2024), che vedrà impegnati sei astronauti in una simulazione di una missione su Marte e in esperimenti scientifici in diversi settori, tra cui geoscienze, robotica, ingegneria, fattori umani, scienze della vita, astrobiologia.

Nello specifico, ENEA realizzerà l’”orto spaziale” Hort3Space, in collaborazione con Università Sapienza di Roma (S5Lab – Dipartimento di Meccanica e Ingegneria Aerospaziale). Si tratta di un sistema innovativo completamente automatizzato per la coltivazione idroponica di diverse specie di microverdure, dotato di specifiche luci al LED full-spectrum e di un braccio robotico integrato, che sarà allestito all’interno di una camera di coltivazione in una tenda gonfiabile autoportante. Hort3Space – si legge nella notizia pubblicata sull’ultimo numero in italiano del settimanale ENEAinform@ – è stato selezionato perché in grado di sviluppare un impianto innovativo di coltivazione modulare e a contenimento ad elevato livello di automazione che consente di ridurre il carico di lavoro degli astronauti analoghi (ossia quelli che simulano le missioni spaziali sulla Terra) e il consumo delle risorse, aumentare il recupero e il riciclo degli scarti massimizzando la produzione di vegetali freschi, altamente nutritivi e pronti al consumo, nelle future missioni umane di esplorazione del Sistema Solare.

La missione si svolgerà nella provincia armena di Ararat, che per caratteristiche geomorfologiche richiama la superficie marziana e sarà coordinata dall’Austrian Space Forum, con il supporto delle istituzioni armene. In particolare, AMADEE-24 indagherà il comportamento di dispositivi e apparecchiature innovativi, come simulatori di tute spaziali, piattaforme hi-tech per testare tecniche di rilevamento della vita o di geoscienze, consentendo lo sviluppo delle conoscenze nella gestione di missioni umane nello Spazio, la comprensione dei limiti e delle opportunità delle tecnologie testate, facilitando anche il trasferimento tecnologico.

Messier 87: scoperto l’anello di congiunzione tra getto e buco nero

Messier 87: scoperto l’anello di congiunzione tra getto e buco neroRoma, 26 apr. (askanews) – Un team internazionale di scienziati, a cui partecipano anche i ricercatori dell’Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF), ha utilizzato nuove osservazioni a lunghezze d’onda millimetriche per “fotografare” per la prima volta la struttura ad anello che rivela la materia che cade nel buco nero centrale, insieme al potente getto relativistico, nella prominente radiogalassia Messier 87 (M87). Le immagini mostrano l’origine del getto e il flusso di accrescimento vicino al buco nero supermassiccio centrale. Le nuove osservazioni – informa l’Inaf – sono state ottenute con il Global Millimeter VLBI Array (GMVA), integrato dall’Atacama Large Millimeter/submillimetre Array (ALMA) e dal Greenland Telescope (GLT). L’aggiunta di questi due osservatori ha notevolmente migliorato le capacità di imaging del GMVA. I risultati sono pubblicati sulla rivista scientifica Nature.

Gabriele Giovannini e Marcello Giroletti, dell’INAF di Bologna e tra gli autori dello studio, raccontano: “Il buco nero al centro della galassia M87 è ben noto essendo il primo di cui è stata ottenuta una immagine (dal team dell’Event Horizon Telescope EHT). Noi lo abbiamo osservato con alta sensibilità ad una lunghezza d’onda leggermente più grande (3,5 mm) e quindi più adatta a rivelare le strutture più estese della sorgente. Le immagini hanno infatti mostrato che la struttura ad anello intorno al buco nero è più estesa di quanto si credeva e che questo anello è collegato al getto relativistico visto in M87. Per la prima volta vediamo quindi il collegamento tra la materia che circonda il buco nero e la base del getto relativistico”. Rusen Lu, dell’Osservatorio astronomico di Shanghai e leader del Max Planck Institute di Bonn partner group presso l’Accademia cinese delle scienze, primo autore di questa scoperta, commenta: “In precedenza, avevamo visto sia il buco nero che il getto in immagini separate. Ora è come se avessimo scattato una foto panoramica del buco nero insieme al suo getto a una nuova lunghezza d’onda”. Si pensa che il materiale circostante cada nel buco nero in un processo noto come accrescimento, da cui ha origine il getto ma nessuno aveva mai visto direttamente l’origine del getto.

La partecipazione di ALMA e GLT alle osservazioni del GMVA e il conseguente aumento della risoluzione e della sensibilità di questa rete intercontinentale di telescopi ha reso possibile per la prima volta l’immagine della struttura ad anello in M87 alla lunghezza d’onda di 3,5 mm. Il diametro dell’anello misurato dal GMVA è di 64 microsecondi d’arco, corrispondenti alle dimensioni di un piccolo anello luminoso (13 cm) visto da un astronauta sulla Luna che guarda la Terra. Questo diametro è del 50% più grande di quanto osservato dall’Event Horizon Telescope alla lunghezza d’onda di 1,3 mm, in accordo con le previsioni per l’emissione del plasma relativistico in questa regione. L’emissione da questa regione di M87 è prodotta dall’interazione tra elettroni altamente energetici e campi magnetici, un fenomeno chiamato radiazione di sincrotrone. Le nuove osservazioni, a una lunghezza d’onda di 3,5 millimetri,- prosegue l’Inaf – rivelano maggiori dettagli sulla presenza e l’energia di questi elettroni. Ci dicono anche qualcosa sulle proprietà del buco nero, in particolare che non è molto “affamato”. Cosa vuol dire? Consuma materia a bassa velocità, convertendo solo una piccola frazione di essa in radiazioni.

I buchi neri sono la miglior macchina che conosciamo in grado di trasformare materia (la materia dell’anello) in energia (il getto relativistico espulso). Gli studi per saperne di più su Messier 87 non finiscono qui: ulteriori osservazioni e una flotta di potenti telescopi continueranno a svelarne i segreti. I radiotelescopi INAF (Medicina, Noto, Sardinia Radio Telescope) una volta completato il loro potenziamento attualmente in corso, saranno in grado di collaborare a queste osservazioni a 3,5 mm aumentandone ulteriormente la qualità.

L’intelligenza artificiale incontra l’automotive

L’intelligenza artificiale incontra l’automotiveRoma, 20 apr. (askanews) – L’intelligenza artificiale rappresenta ancora oggi un qualcosa di difficile comprensione per la maggior parte degli esseri umani, nonostante venga applicata in settori trasversali: aiuta a gestire le reti elettriche, a rivelare possibili tumori, a scegliere capi di abbigliamento negli e-shop e, adesso, sta cambiando anche il modo di vendere le auto usate. Carvago ha deciso di abbracciare appieno questo trend collaborando a un progetto di AI con il Politecnico di Praga, (CVUT), una delle più grandi e antiche università tecniche d’Europa. Nell’ambito del Programma operativo “Imprese e innovazione per la competitività (OP PIK)”, il gruppo EAG, di cui Carvago fa parte, ha quindi avviato una collaborazione con gli esperti di intelligenza artificiale del Laboratorio di scienza dei dati del Centro universitario per l’efficienza energetica degli edifici (UCEEB) del CVUT.

Entrambi i partner, informa una nota, stanno lavorando a una serie di progetti di ricerca unici nel loro genere, i più promettenti dei quali finiranno per essere messi in pratica. L’intelligenza artificiale si sta già dimostrando uno strumento straordinario nell’elaborazione di grandi volumi di foto di automobili usate. Il sistema mette in ordine decine di migliaia di immagini a una velocità senza precedenti, a seconda che mostrino gli esterni, gli interni o altre parti dell’auto. Ma non è tutto, perchè riconosce la marca e il modello dell’auto, nonché l’angolazione da cui è stata scattata la foto. “La collaborazione tra il CVUT, il settore imprenditoriale e il trasferimento di metodi scientifici nella pratica, è una delle tre aree principali di sviluppo dell’università che arricchisce entrambe le parti”, aggiunge Miroslav Cepek, Professore associato presso il CVUT, spiegando in che modo tale collaborazione sia vantaggiosa per la sfera accademica. “L’azienda ottiene l’accesso a tecnologie all’avanguardia che la aiuteranno a sviluppare le proprie attività, mentre per gli esperti del CVUT, progetti come questo, sono un’opportunità per trasferire la scienza in applicazioni pratiche e acquisire esperienza con le singole tecnologie nell’impiego pratico. Ciò è doppiamente vero nel campo dell’intelligenza artificiale, dove il corretto funzionamento della maggior parte dei metodi dipende dalla disponibilità di grandi quantità di dati. Ottenerli in ambiente universitario è difficile, ma per aziende come Carvago, gestire i big data è una routine quotidiana”.

Inoltre, il CVUT nei suoi progetti coinvolge anche gli studenti, per i quali la collaborazione rappresenta un’opportunità di fare esperienza sul campo durante gli studi. Attualmente Carvago sta lavorando per integrare la settima generazione del modello di apprendimento automatico nei suoi sistemi interni. Suddetta generazione di modelli rappresenta una svolta per l’azienda. Una volta determinato il prezzo iniziale dell’auto, esaminerà ancora le foto dell’auto modificando di conseguenza il prezzo. Tuttavia, la ricerca non si limita all’elaborazione delle foto. L’intelligenza artificiale aiuta gli analisti di Carvago a estrarre dal testo non strutturato delle inserzioni informazioni su equipaggiamento, riparazioni importanti o sull’esistenza di un libretto di manutenzione. In futuro, l’azienda ha in programma di generare le proprie descrizioni degli annunci in base ai parametri estratti sulle automobili. “Se conoscessimo il telaio di ogni auto pubblicizzata, potremmo trovare tutte le informazioni necessarie in modo relativamente facile e affidabile. Ma su scala europea, in nove auto su dieci pubblicizzate il telaio non è menzionato”, spiega Antonio Gentile, Country Manager di Carvago per l’Italia. “Disponiamo di una serie di foto, di dati strutturati come il chilometraggio, il prezzo, i parametri del motore e così via, oltre a qualche descrizione testuale, spesso imprecisa, con refusi e formulazioni poco chiare. Non è umanamente possibile elaborare manualmente questi dati nel volume che ogni giorno fluisce attraverso i nostri sistemi”.

“Quando diciamo che Carvago è un’azienda principalmente tecnologica, non si tratta solo di una frase fatta”, ha aggiunto Antonio Gentile. “Ogni giorno analizziamo milioni di annunci di auto provenienti da tutta Europa per fornire ai clienti la più ampia gamma di automobili sul mercato”. In termini di potenziale di innovazione e rilevanza pratica, l’area più importante della collaborazione di ricerca è quella degli algoritmi per determinare il prezzo delle automobili in base al tipo, all’età e all’equipaggiamento. Grazie alla disponibilità di un’ampia serie di annunci pubblicitari provenienti da tutta Europa, gli esperti del CVUT sono stati in grado di creare un algoritmo che determina il prezzo di un’auto specifica con una precisione di circa il tre per cento. Per i marchi comuni come Skoda o Volkswagen, la precisione è ancora maggiore.

Imparare a riconoscere dalle fotografie altri elementi dell’equipaggiamento, danni specifici ed elementi inusuali è già una sorta di routine di ricerca per entrambe le parti che collaborano. Tra le prossime grandi sfide che, per inciso, vengono ora affrontate in tutto il campo dell’apprendimento automatico, va ricordata la cosiddetta interpretabilità dei modelli, in cui gli esperti cercano di utilizzare vari metodi di reverse engineering per capire quali fattori i modelli valutano come importanti per il processo decisionale. Questo non solo aiuta a creare fiducia nell’intelligenza artificiale all’interno dell’azienda, spiegando i risultati locali, ma genera anche nuove osservazioni che portano a ulteriori idee e miglioramenti aziendali. La seconda sfida è la certezza o l’incertezza con cui i modelli restituiscono le risposte. “Approcceremo l’informazione secondo cui l’auto dovrebbe costare €13.500 e il modello è sicuro al 95%, in modo diverso rispetto al caso in cui il prezzo sia lo stesso, ma con una certezza del 17%”, conclude Antonio Gentile.

Nanoparticelle luminescenti di silicio per riciclo della plastica

Nanoparticelle luminescenti di silicio per riciclo della plasticaRoma, 20 apr. (askanews) – Nanoparticelle luminescenti di silicio per la selezione e il riciclo efficiente della plastica. L’idea, presentata dallo spin-off dell’Università di Bologna SINBIOSYS, è stata premiata da WomenTechEU, finanziamento europeo destinato a donne imprenditrici che sviluppano progetti di innovazione tecnologica. Il progetto presentato da SINBIOSYS è uno dei 134 finanziati su 467 idee presentate.

SINBIOSYS – spiega Unibo – è uno spin-off partecipato dall’Alma Mater che progetta e sintetizza materiali luminescenti a partire da elementi abbondanti come il silicio. Paola Ceroni, professoressa ordinaria al Dipartimento di Chimica “Giacomo Ciamician” è la co-fondatrice, insieme all’amministratore delegato Francesco Romano e al ricercatore Marco Villa. Il progetto premiato si chiama PRESTO: sarà un marcatore invisibile per prodotti in plastica, pensato per favorire il riciclo e aumentare il valore della plastica dopo il suo primo utilizzo, diminuendo così l’inquinamento. Grazie a WomenTechEU, l’idea riceverà una sovvenzione di 75.000 euro per sostenere le fasi iniziali del percorso di sviluppo e la crescita dello spin-off. Inoltre, sarà offerto un servizio di tutoraggio e coaching nell’ambito del programma Women Leadership del Consiglio Europeo per l’Innovazione (EIC) e opportunità di networking in tutta l’Unione Europea.

“Oggi la porzione di materiale plastico riciclato è, nella maggioranza dei casi, utilizzato per realizzare prodotti di più basso valore rispetto all’oggetto originale: questo è dovuto al fatto che la plastica non è costituita da un unico materiale, bensì da una miscela di diversi polimeri a composizione chimica diversa, che vengono spesso accoppiati tra loro o ad altri materiali”, spiega la professoressa Ceroni. “Per poter riciclare la plastica in modo tale da poter rifare la stessa tipologia di oggetto, ad esempio contenitori alimentari, è necessario quindi selezionare e dividere le varie tipologie di plastica”. L’idea presentata da SINBIOSYS prevede quindi un codice basato su nanoparticelle di silicio, simile al QR code, ma non visibile ad occhio nudo. Le particelle emettono colori di luce diversa a seconda delle dimensioni della nanoparticella stessa, che possono essere letti da particolari apparecchiature ottiche. In questo modo, plastiche di tipo diverso possono essere marcate con un diverso codice colore e venire così riconosciute, separate e riutilizzate facilmente.

Questa tecnologia è l’esito di un percorso di ricerca partito nel 2012 con un progetto ERC Starting Grant (PhotoSi), a cui è seguito un altro finanziamento ERC Proof of Concept, chiamato SiNBioSys, da cui è poi nato lo spin-off partecipato dall’Università di Bologna. La stessa tecnologia è stata anche utilizzata per realizzare concentratori solari luminescenti, oggetto di ricerca di un progetto Proof of Concept finanziato dall’Università di Bologna.

Geoscienze, EPOS lancia Portale europeo per accesso aperto ai dati

Geoscienze, EPOS lancia Portale europeo per accesso aperto ai datiRoma, 19 apr. (askanews) – Dopo oltre 20 anni di ricerca e innovazione, il prossimo 25 aprile l’infrastruttura di ricerca europea EPOS (European Plate Observing System) presenterà ufficialmente il suo Data Portal alla comunità scientifica che si riunirà a Vienna per l’Assemblea Generale annuale dell’European Geosciences Union (EGU).

Nato nel 2007 con l’obiettivo di sviluppare un piano di integrazione a lungo termine per la condivisione di dati e prodotti scientifici, – informa una nota – negli anni EPOS ha integrato in un’unica infrastruttura distribuita circa 150 infrastrutture di ricerca nazionali da 25 Paesi europei. Nel 2018, EPOS ha ottenuto dalla Commissione Europea lo status giuridico di ERIC (European Research Infrastructure Consortium), ovvero di Consorzio Europeo di Infrastrutture di Ricerca ‘EPOS ERIC’ con sede a Roma, presso l’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV), e coinvolge attualmente diciassette Paesi: Austria, Belgio, Danimarca, Francia, Grecia, Islanda, Italia, Paesi Bassi, Norvegia, Polonia, Portogallo, Romania, Slovenia, Svezia e Regno Unito; Germania e Svizzera partecipano come osservatori. “La visione di EPOS è, da sempre, promuovere l’accesso aperto e facilitare l’utilizzo integrato di dati multidisciplinari per favorire ricerca e innovazione; è stato questo il faro che ci ha guidati nella realizzazione del Data Portal che presenteremo il 25 aprile a Vienna”, spiega Lilli Freda, Direttore Esecutivo di EPOS ERIC. “Il Data Portal favorirà, attraverso l’accesso ad una mole di dati, prodotti e servizi senza precedenti per gli utenti (comunità scientifica, istituzioni, decisori politici), il progresso della ricerca e la comprensione dei processi fisici e chimici che governano i fenomeni naturali del sistema Terra come i terremoti, le eruzioni vulcaniche, i maremoti. EPOS è, ad oggi, il primo e unico esempio di ‘infrastruttura di ricerca’ per lo studio della Terra solida – prosegue Freda – “e aiuterà non solo i ricercatori di oggi e di domani, ma anche i governi nazionali nel loro sempre più delicato compito di individuare strumenti per la mitigazione dei rischi naturali a beneficio dell’intera società, promuovendo contestualmente investimenti in ricerca e innovazione”.

Il Data Portal di EPOS è il frutto di un lavoro corale. Nell’ultimo ventennio un team internazionale di circa 600 esperti ha lavorato in sinergia all’integrazione e armonizzazione di oltre 60 tipi di dati provenienti dalle diverse discipline che compongono le scienze della Terra solida. I partecipanti all’Assemblea Generale della European Geosciences Union (EGU) potranno constatare i risultati di questo impegno visitando lo stand di EPOS, utilizzando il Data Portal e assistendo alla presentazione di casi di studio sviluppati da giovani ricercatori.