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San Valentino entra nella Treccani, il dizionario fa chiarezza sul santo e sulla festa

San Valentino entra nella Treccani, il dizionario fa chiarezza sul santo e sulla festaRoma, 13 feb. (askanews) – La Treccani celebra San Valentino, primo vescovo di Terni nato nella prima metà del IV secolo, e fa chiarezza sulla festa degli innamorati, in una voce del Dizionario Biografico degli Italiani a cura di Edoardo D’Angelo.


Al vescovo ternano è legata l’attribuzione del patronato sugli innamorati, derivata però da eventi molto più tardi che niente hanno a che vedere con la realtà storica del personaggio. Fu infatti Papa Gelasio I, intorno al 495, che decise di abolire la lasciva festa pagana dei Lupercalia, legata ai riti pagani di fertilità e purificazione tipici della fine dell’inverno, che andava dal 13 al 15 febbraio. In questo modo Valentino di Terni, la cui festa cadeva il 14 febbraio, venne assunto come il protettore degli amori casti e verecondi, delle unioni legali e ufficiali, diventando così negli anni più celebre di Papa Gelasio I. Ancora più estraneo e posticcio il prolungamento di questa prima deviazione cultuale: la fortunata associazione tra amore e giorno di s. Valentino, che ha avuto e ha una diffusione eccezionale soprattutto nei Paesi di cultura anglosassone. Essa fu probabilmente introdotta, si discute se ex nichilo o appoggiandosi a qualche tradizione, dallo scrittore inglese Geoffrey Chaucer (1343-1400), nel poema Il parlamento degli uccelli. Qui, associando la ricorrenza di Valentino al fidanzamento di Riccardo II d’Inghilterra con Anna di Boemia, il poeta chiama il santo a sovrintendere alla ‘festa dell’amore’ che a febbraio inoltrato s’impadronisce di tutte le creature disseminate sulla Terra da madre Natura, uccelli compresi (Oruch, 1981).


Il Dizionario Biografico degli Italiani, con i suoi 40.000 profili, tutti pubblicati in rete, traccia una biografia collettiva degli italiani che hanno contribuito alla storia artistica e politica, scientifica, religiosa, letteraria ed economica dalla caduta dell’impero romano d’occidente ad oggi.

A Quartu le foto di Paola Pintus sui campi profughi palestinesi

A Quartu le foto di Paola Pintus sui campi profughi palestinesiRoma, 13 feb. (askanews) – Il 17 febbraio inaugura a Quartu Sant’Elena, presso lo spazio espositivo “The Social Gallery” in via Eligio Porcu 43 la mostra fotografica “Ponti di dialogo-Fotografie dai campi profughi di Chatila, Beddawi, Ein El Helweh, Nar El Bared”, di Paola Pintus.


La mostra, allestita sotto la curatela artistica di Jo Coda e la post-produzione grafica di Carla Pisu, prende le mosse da un reportage realizzato a fine 2022 all’interno dei campi profughi palestinesi in Libano, nell’ambito di un progetto di cooperazione internazionale promosso dall’Associazione Amicizia Sardegna-Palestina ODV e finanziato dalla Regione Sardegna attraverso i fondi della legge 19/96, al quale il Comune di Quartu Sant’Elena ha aderito in qualità di partner locale. Il progetto, denominato “Istruzione contro povertà: percorsi didattici alternativi per i rifugiati in Libano”, aveva fra le sue principali finalità il contrasto dell’emarginazione delle popolazioni rifugiate nei campi profughi di Beddawi, Ein El Helweh, Nahr el Bared, con particolare riferimento ai giovani e ai bambini, attraverso il rafforzamento delle competenze scolastiche di base e mediante il contrasto alla dispersione scolastica dei bambini fra i 6 e i 13 anni. All’interno del reportage sono presenti anche alcune immagini scattate nel campo profughi di Chatila (Beirut) denominato “La città degli invisibili”, dove in poco più di un chilometro quadrato vivono stipate oltre 25 mila persone, palestinesi ma anche sfollati siriani. Più in generale, il lavoro fotografico dell’autrice ha inteso documentare le difficili condizioni dei campi ed al contempo la profonda umanità dei loro abitanti: un’umanità che traspare negli occhi dei bambini costretti a vivere un’infanzia a metà. L’esposizione intende proseguire in modo non soltanto ideale il “ponte di dialogo” e di solidarietà con le popolazioni rifugiate attraverso una raccolta fondi il cui ricavato sarà impiegato per l’acquisto di beni di prima necessità per il tramite dell’Associazione Sardegna-Palestina. Paola Pintus è giornalista, esperta in pubbliche relazioni. Nel 2002 ha vinto il premio Fabio Cocchi per i diritti umani in Africa e America Latina promosso dalla Fondazione Lelio Basso e dall’Associazione Julio Cortazar. Ha collaborato con testate giornalistiche televisive e cartacee fra cui L’Unione Sarda, Sardegna Uno TV, Il Sole 24 Ore-Sanità. Dal 2013 al 2017 è stata redattore della testata Tiscali News Italia dove si è occupata di politica interna ed internazionale. Ha collaborato con Il Fatto Quotidiano. Attualmente coordina l’Ufficio Comunicazione del Comune di Quartu Sant’Elena.

Costruire la realtà: Jeff Wall alla Fondation Beyeler a Basilea

Costruire la realtà: Jeff Wall alla Fondation Beyeler a BasileaBasilea, 13 feb. (askanews) – C’è un momento nel quale la fotografia diventa in modo clamorosamente manifesto arte contemporanea. Quel momento ha un nome, ed è quello del canadese Jeff Wall, artista colto e consapevole, che ha saputo ottenere dalla fotografia risultati straordinari all’insegna di un concetto semplice nella sua impossibilità: creare una realtà fotografica profondamente vera utilizzando la costruzione e, nei fatti la finzione. La Fondation Beyeler, celebre museo di Basilea, gli dedica ora una grande mostra antologica che ripercorre tutta la carriera e tutte le diverse tipologie di opere di Wall. A curarla è stato chiamato Martin Schwander: “Jeff Wall – ha detto ad askanews – è uno dei più importanti artisti contemporanei e il suo metodo è quello di produrre immagini che sembrano reali, ma che spesso non lo sono. Nel senso che lui costruisce le immagini, in modi diversi, ma il risultato è un ‘simulacro’ della realtà. Al tempo stesso però lui realizza anche fotografia tradizionale, o di documentazione. Insomma, Jeff Wall utilizza tutte le opzioni che il medium fotografico gli consente come artista”.


Opzioni che hanno una potenza narrativa sorprendente e hanno un potere visionario così forte da apparire talvolta quasi banali, come nel gioco di sguardi tra due uomini nella luce del tramonto, oppure nella scena collettiva di fronte a un nightclub. Ma questa, se volete, semplicità, ha in sé in realtà la natura profonda delle cose, il modo in cui noi vediamo il mondo: quindi le immagini risuonano al massimo grado nella nostra percezione di spettatori. Come un dipinto – e sono evidenti le citazioni della Colazione sull’erba di Manet, così come di un Trittico di Francis Bacon conservato proprio alla Beyeler – o un romanzo, opere insomma che sembrano più vere del vero, “larger than life”, come dicono gli anglosassoni. E altrettanto chiara è la sensazione di stare guardando “arte”. “Ha a che fare anche con la scala – ha aggiunto Schwander – perché sono fotografie molto grandi, che hanno la stessa dimensione dei grandi dipinti del XIX secolo per esempio. Al tempo stesso Wall conosce benissimo la storia dell’arte e conosce il modo in cui si compongono i dipinti e tutto ciò converge nelle sue immagini molto sofisticate, molto elaborate e molto ricche”.


E poi ci sono le immagini impossibili, sia che siano ispirate alla guerra sovietica in Afghanistan, o a un ragazzino che cade da un albero o a una delle fotografie simbolo dell’esposizione alla Beyeler: “Un’improvvisa folata di vento”, ispirata a Hokusai. Jeff Wall ferma letteralmente il tempo e attraverso la costruzione e il lavoro a più livelli di immagine riscrive completamente il senso di “istante decisivo” caro al fotogiornalismo classico. È come se per la fotografia facesse quello che Cervantes ha fatto per il romanzo con il suo “Don Chisciotte”, cioè aggiungesse proprio la letteratura consapevole di se stessa. E in questo intreccio di piani si gioca la partita vera, quella che ci fa dire che non è la fotografia di Wall che somiglia al mondo, ma è il mondo che prova a somigliare al lavoro del fotografo canadese. (Leonardo Merlini)

Al via la terza edizione di “Al centro di Roma” a Palazzo Venezia

Al via la terza edizione di “Al centro di Roma” a Palazzo VeneziaRoma, 12 feb. (askanews) – Dal 15 febbraio a Roma, a Palazzo Venezia, torna “Al centro di Roma”: la rassegna ideata da Edith Gabrielli, direttrice dell’Istituto VIVE – Vittoriano e Palazzo Venezia, con un ricco programma di conferenze rivolto a un pubblico ampio e diversificato. Giunta alla sua terza edizione, la rassegna rappresenta un appuntamento per gli amanti dell’arte, della storia e della cultura.


“L’avvio della nuova edizione della rassegna ‘Al centro di Roma’ è per noi motivo di grande orgoglio – ha dichiarato dichiara Edith Gabrielli – l’alto rilievo dei protagonisti, appartenenti al mondo della cultura, della storia, dell’architettura e dell’archeologia, e l’interesse dei temi affrontati in questi anni, rendono l’iniziativa uno dei fiori all’occhiello dell’ampia proposta culturale del VIVE, luogo sempre più aperto ai visitatori ed alla comunità”. L’edizione di quest’anno prevede cinque cicli di incontri, a cadenza settimanale. Oltre agli appuntamenti dedicati alla storia, all’arte e all’architettura si aggiungono due nuovi cicli: uno dedicato all’archeologia, curato dal professor Paolo Carafa, e un secondo in collaborazione con gli istituti di cultura esteri di Roma, a cura della professoressa Marina Formica.


A inaugurare l’edizione 2024 il ciclo “Costruire raccontare architettura” con un incontro dal titolo “Va bene così” tenuto dall’architetto Aldo Aymonino. L’incontro, previsto giovedì 15 febbraio alle ore 18 sarà aperto da un saluto di Massimo Osanna, direttore Generale Musei del Ministero della Cultura e dagli interventi introduttivi della direttrice Edith Gabrielli e di Orazio Carpenzano, preside della Facoltà di Architettura “Sapienza” Università di Roma. Le conferenze, a ingresso gratuito fino ad esaurimento posti, sono ospitate nella Sala del Refettorio di Palazzo Venezia, in via del Plebiscito 118 a Roma.

Libri, di destra o di sinistra? Forse meglio un centro di gravità permanente

Libri, di destra o di sinistra? Forse meglio un centro di gravità permanenteRoma, 12 feb. (askanews) – Cosa vogliono gli Italiani? Pretendono una guida, sic et simpliciter. Le conferme provengono dalla nostra vita quotidiana e dalla storia politica italiana dal dopoguerra in poi. Comunisti, democristiani, socialisti, populisti, persino i Radicali, i più presuntamente liberali di tutti, si sono riconosciuti in un individuo integerrimo in cui riversare le proprie aspettative e le proprie speranze.


Walter Rodinò, Laureato in giurisprudenza, da sempre nel mondo della Comunicazione con Ri-Comunicare, scrive per un pubblico trasversale, offrendo spunti di riflessione dal politico al sociale, della nostra società. Con questo articolo, prepara il lettore alla prossima uscita del libro molto atteso “Ideologie, idee, ideali” dopo il successo del primo “Linguaggi, lingue, linguacce” . Rispettata la trilogia nel titolo, i lettori attendono. Sarà un testo sorprendente, sia per l’analisi ma soprattutto per la posizione presa dall’autore su tematiche come il premierato


‘Alcide De Gasperi, il ministro di grazia e giustizia Palmiro Togliatti, Giuseppe Saragat, Pietro Nenni. Si tratta di riconoscibili personalità storiche che consistevano in nord magnetici infallibili per le bussole dei futuri elettori dell’Italia liberata – spiega Rodinò -. Un comunista sapeva che in Palmiro Togliatti avrebbe trovato i propri ideali di giustizia sociale, un democristiano sapeva che in Alcide De Gasperi avrebbe trovato i valori cristiani della famiglia e l’ordine. La loro personalità si era forgiata durante la guerra e in ossequio alle ultime ideologie ottocentesche; tanto forte che, ancora oggi, essi sono visti come creature leggendarie, autentici leader, esempi di un’epoca segretamente rimpianta. Tutti i più importanti uomini del novecento sono connessi ad eventi drammatici e alle grandi ideologie. Churchill, Roosevelt, Gramsci che muore in carcere, Pertini che subisce l’arresto e organizza l’antifascismo militare. Anche Che Guevara e Fidel Castro, che appaiono sulle T-shirt dei militanti di sinistra, spesso pacifisti, sono legati alla guerra. Anche l’inno di Mameli, siamo fuori contesto, fu scritto da Goffredo Mameli, morto a ventuno anni in battaglia agli ordini di Garibaldi’. A mano a mano che ci si allontana dalla guerra e dalle grandi ideologie, i leader per l’autore diventano più ordinari, privi di quel carisma che li metteva in contatto elettrico con i propri elettori. E la stessa Giorgia Meloni ‘è emersa in tutta la sua forza dopo la pandemia, evento drammatico che, per ragioni che non starò qui ad elencare, ha avuto molte analogie con la guerra. Sacrosanta l’esaltazione della democrazia, ma la democrazia, senza una guida forte, che incanali allo stesso tempo una rappresentanza politica e morale, tende a ripiegare su sé stessa in un esercizio sterile e burocratico che tende, paradossalmente, ad allontanare i cittadini dal godimento della stessa’.


L’intera storia della politica italiana dai primi anni ’80 al 2019 fu caratterizzata dalla ricerca spasmodica, quasi sempre inconscia, di una vera personalità in cui confidare ovvero porre, riporre, con fiducia, le proprie speranze di miglioramento: ‘Se si interroga un boomer italiano su quando si è sentito maggiormente orgoglioso di essere italiano a livello politico e internazionale, probabilmente si sentirà rispondere ‘a Sigonella’. Che fino al 1985 era una sconosciuta base aeronautica italiana tra Siracusa e Catania. Al di là dei giudizi complessivi su Bettino Craxi, è opportuno evidenziare come nell’immaginario popolare si sedimentò la figura pubblica di un politico in grado di gestire momenti drammatici della vita del paese, con una facoltà decisionale indipendente’. Ancora, ‘nelle democrazie sancite dalle costituzioni l’elettore cerca sempre la fiducia e la stabilità. In Italia Berlusconi possedeva questo pregio. E non si è trattato di astuzia come qualcuno ha pensato riferendosi al celebre contratto con gli italiani. Gli italiani lo votarono perché avevano piena fiducia in lui, immediata, una corrispondenza di amorosi sensi, dove per amorosi sensi intendiamo idee senza parole, essere in sintonia poiché si avverte istintivamente di possedere qualcosa in comune con lui. Abbiamo parlato di Bettino Craxi, di Silvio Berlusconi, e di molti altri leader potremmo parlare, di destra e di sinistra. Possiamo affermare che gli elettori della sinistra sono stati immuni da tali fascinazioni della personalità dei propri leader? Certamente no, essendo anch’essi italiani ne sono stati travolti’.


Giorgio Bocca ha scritto su Togliatti: ‘nel partito non ha rivali, le masse popolari lo venerano, la stessa borghesia lo considera come l’indiscusso capo dell’opposizione’. Nel 1953, per il sessantesimo compleanno, un compagno dice: ‘Mazzini, Cavour, Garibaldi, tutti li riassumi’. Passi per Cavour a cui Togliatti era simile per alcuni aspetti, magari Garibaldi e Mazzini? Palmiro Togliatti venne soprannominato il Migliore, dai suoi e dagli avversari, dava l’impressione di occuparsi di tutto e tutti, siamo al pre berlusconismo. Cosa sarà Enrico Berlinguer se non un nuovo Togliatti da venerare? Oppure Breznev, Nilde Iotti, persino Massimo D’Alema, aggiunge l’autore. Per il quale, ‘anche a sinistra si reclamava e si reclama tuttora una individualità moralmente indiscussa, solida, in grado di stabilire un contatto elettrico con le folle dei votanti, un primus inter pares, un presidente democratico, il presidente degli italiani’. Destra e sinistra. ‘Oggi queste due parole sembrano assolutamente inutili, poiché la globalizzazione post ’89 ha reso i parlamenti omogenei tra loro e sono sfumate fino all’indifferenza le nette divisioni ideologiche seguite al secondo conflitto mondiale. Oggi i cittadini si lamentano di una democrazia che non risponde più alle sollecitazioni dal basso. Ma perché la reazione della maggioranza degli Italiani consiste unicamente nella rinuncia e nella sfiducia oppure non esiste affatto? Una delle risposte potrebbe essere che si sono sostituiti i fondamenti della democrazia con l’elargizione di una pletora di diritti in grado di mascherare il pericolo della negazione della democrazia stessa.Fu probabilmente Eduardo Galeano a coniare il neologismo ‘democratura’ (‘democradura’) che indicava una democrazia esibita, puramente formale quanto vacua, abile a nascondere un regime elitario o addirittura dittatoriale. Nella democratura il singolo cittadino partecipa formalmente alle elezioni; elegge indirettamente ‘qualcuno’ (il Presidente del Consiglio, i deputati nella lista bloccata); il suo compito democratico si esaurisce qui. Che tale qualcuno mantenga ciò che ha promesso è una speranza ridotta al lumicino già durante il periodo cosiddetto della ‘luna di miele’ (i primi cento giorni di governo dove l’elettore conserva gran parte della fiducia); oltre la luna di miele vi è, quasi sempre, la luna di fiele, cioè la sconfessione del nocciolo duro delle promesse. Oggi avvertiamo il paradosso per cui decisioni essenziali che riguardano la nostra esistenza (sanità, welfare, pensioni, lavoro, istruzione) sono prese in ambiti invisibili, spesso sovranazionali. L’Italiano avverte che il tifo fra destra e sinistra, involucri concettuali vuoti di significato, non lo appaga più. Cerca qualcos’altro, ma ancora non ne ha reale contezza. Spesso si invoca il populismo. Il populismo è l’ansia di bruciare le pastette e il politichese a favore di una diretta connessione con il governante. Utilizzare sprezzantemente i termini ‘populismo’ o addirittura bollare come ‘fascismo’ questa urgenza che sale dall’elettorato, non solo non aiuta la fredda analisi degli avvenimenti di oggi, ma la confonde ancora di più, esacerbando gli animi e predisponendo psicologicamente i cittadini a desiderare proprio ciò che si desidera contrastare ovvero l’uomo forte. Si tratterà, quindi, di considerare la voglia di partecipazione effettiva degli Italiani e di escogitare una nuova forma di governo che consenta di recepirla formalmente proprio nell’ambito democratico. Questa nuova forma dovrà contemplare l’aspirazione alla democrazia diretta e rimodulare i contrappesi costituzionali che la ancorino alla più schietta procedura democratica. Questa nuova forma potrebbe essere il premierato’, conclude Rodinò.

Lamiere e tempo: da CLER Daniela Comani e Federico Maddalozzo

Lamiere e tempo: da CLER Daniela Comani e Federico MaddalozzoMilano, 12 feb. (askanews) – Le automobili come elementi del tempo, come funzioni del ricordo, come spazio di presenze effimere, ma plastiche, definite, riproducibili nel loro essenziale mistero. Da CLER in via Padova a Milano prosegue fino al 15 febbraio la mostra “Tutto lamiera” di Daniela Comani e Federico Maddalozzo, che presenta fotografie e sculture legate all’immaginario dell’auto, ma non nel senso più glamour o di design, bensì in una prospettiva che è a suo modo “storica”, Su tratta però di storie intime e personali, che unite poi hanno la forza di spostare il ragionamento sulla società, ma dalla prospettiva del tempo individuale che è passato, delle esperienze che ci sono capitate.


La civiltà dell’automobile ha segnato il Novecento in profondità, a livello sociale, politico, ambientale. Ma anche a livello sentimentale e privato. Ed è a suo modo commovente trovare nella mostra da CLER frammenti del diario che Daniela Comani teneva da bambina appuntando i dettagli delle auto che vedeva dal finestrino durante i lunghi viaggi per raggiungere i luoghi di vacanza. Così come ha una sua profondità temporale guardare le fotografie di modelli di auto famosi, ma in un certo senso completamente ripuliti dalla dimensione di marketing, e forse anche funzionale, per lasciare solo l’aspetto formale, che è estetica e memoria e linee, alla fine. Così partendo da due immagini pubblicitarie di una Fiat 127 che mostrano la capacità di carico della vettura, attraverso dei solidi che riempiono lo spazio del bagagliaio, Federico Maddalozzo ha creato una scultura che riproduce proprio quei solidi – e il loro portato interiore di desiderio di razionalismo, oltre che di una delicata ingenuità – e sopra vi ha appoggiato altri lavori scultorei che riproducono parti di lamiera o la trama degli interni e dei sedili di altre automobili che un giorno, che oggi appare lontano come la nostra stessa vita passata, avevano attraversato le nostre città e il nostro immaginario. Frammenti che hanno dentro una loro esistenza, non sono macerie o scarti, ma sembrano elementi pronti a “rimettersi in moto”, in una prospettiva di tempo che può essere solo circolare. E accanto a loro altre immagini e pagine di Comani, in un dialogo tra i due artisti che funziona anche per i continui scambi.


Come ha scritto Ivan Carozzi in un testo per la mostra: “Solo ciò che non ha un’anima, come l’automobile, non tradisce”. Ma la mostra a Milano un’anima ce l’ha, e sembra essere la nostra. (Leonardo Merlini)

In libreria il romanzo “La destinazione” di Serena Penni

In libreria il romanzo “La destinazione” di Serena PenniFirenze,9 feb. (askanews) – Carla, Paolo, Elisabeth: tre voci raccontano se stesse e una storia, personale e condivisa, nella quale si stratificano, con inesauribile generosità, punti di vista, interpretazioni, monologhi, confessioni. Ma c’è sempre qualcosa che sfugge, che scavalca le spiegazioni razionali e rassicuranti, che si muove sotto la superficie dei fatti, presenti e passati. Così ne “La destinazione” (Il ramo e la foglia edizioni) di Serena Penni, scrittrice e studiosa di letteratura, si compie fedelmente quanto annuncia nell’epigrafe la frase del filosofo Jose’ Ortega y Gasset: “Abbiamo solo la nostra storia ed essa neppure ci appartiene”.


I protagonisti del romanzo, il quarto della scrittrice, ripercorrono le proprie vite in un dialogo tanto con se stessi quanto con il “tu” a cui ciascuno dei tre si rivolge carico di amore e desiderio, come di rabbia e di disillusione. Ognuno svela, nel dipanarsi della storia, il proprio segreto fino ad allora custodito da un fortino di non-detti e di equivoci che l’amore o la pretesa di amore non è riuscita a conquistare. Forse senza nemmeno provarci perché Carla, Paolo ed Elisabeth parlano prima di tutto a se stessi, incatenati al proprio, personalissimo, dolore dal quale non riescono ad uscire. Paolo, rammenta Carla, portava dentro di se’ la sua storia “come si custodisce un male oscuro che è nato con noi, che detestiamo eppure abbiamo anche imparato ad amare perché senza di esso non sapremmo più riconoscere noi stessi nella mischia, distinguerci dal resto del mondo”. Così quello che si potrebbe presentare come un triangolo amoroso, con tutti i malsicuri porti in cui approdano certi rapporti di coppia, è in realtà anche un’altra cosa, un’esplorazione delle proprie radici e quindi, necessariamente, un viaggio attorno al rapporto con chi ci ha generato.


Le pagine più dense del romanzo, infatti, ruotano intorno ai dualismi padre-figlio, madre-figlia e madre-figlio. E’ qui – ci viene suggerito – che ogni sciagura ha origine. “Ci univano strade segrete che si irradiavano nel sottosuolo della nostra esistenza, una vita iniziata in lui e proseguita in me, come una galleria scavata sotto il mare torbido dell’apparente normalità. Eravamo padre e figlio. Eravamo due assassini”, afferma Paolo. “Sono la terza di quattro sorelle e mia madre ci picchiava tutte, ogni giorno. da quando ho memoria fino alla mattina di novembre in cui me ne sono andata di casa”, gli fa eco, a distanza di pagine, Elisabeth. Il loro incontrarsi e le loro decisioni (“Non ho mai voluto un figlio, l’ho sempre saputo. Nella mia vita ho avuto dubbi quasi su tutto e pochissime certezze, ma questa è una di quelle”, confessa Paolo parlando di Carla) non possono prescindere da rapporti familiari malati, contagiosi nella loro disfunzionalita’ o tutt’al più indifferenti. Rapporti primordiali che evolvono di pari passo con la storia – ecco che per Paolo il padre assume forme mutanti, eccelle nel mostruoso fino a sprofondare nell’insignificante – e che precipitano, nell’aria “densa e quasi palpabile per via dell’umidità”, in un finale del quale, ancora una volta, esistono tre versioni e tutte e tre non comunicanti.

Turismo sostenibile, a Roma giornata riflessione su Parco Cinque Terre

Turismo sostenibile, a Roma giornata riflessione su Parco Cinque TerreRoma, 10 feb. (askanews) – “Overtourism? Riflessioni per la tutela del patrimonio nazionale ed un turismo sostenibile. Il caso del Parco delle Cinque Terre”. E’ il titolo dell’iniziativa in programma martedì 13 febbraio alle 9 a Roma presso la sala conferenze della Istituzioni Ue a Roma ‘Esperienza Europa – David Sassoli’


L’evento, organizzato dal Parco delle Cinque Terre in collaborazione con la Rappresentanza in Italia della Commissione europea e l’Ufficio in Italia del Parlamento europeo, offre un momento di riflessione e di confronto su un tema complesso che accumuna diverse destinazioni del patrimonio nazionale: il fenomeno dell’overtourism. Partendo dal caso del Parco delle Cinque Terre e dalle buone pratiche green da esso adottate per governare i flussi turistici, si analizzerà questo importante settore dell’economia, condividendo esempi virtuosi per avere un turismo che sia reale motore di crescita socio-economica basato su regole di sostenibilità e sulla capacità di produrre benessere per le comunità.Prenderanno parte al convegno rappresentanti istituzionali ed esperti del settore a livello nazionale e internazionale e del mondo della cultura.

Andrea Bianconi a Houston: danza interiore con noi stessi

Andrea Bianconi a Houston: danza interiore con noi stessiHouston, 10 feb. (askanews) – Andrea Bianconi torna alla Galleria Barbara Davis di Houston, in Texas, con un nuovo progetto che esamina in modo giocoso il nucleo del suo io, mescolando creatività leggera con idee decisamente introspettive. Brillante e sempre in fermento, l’artista vicentino utilizza lo strumento del velo per esplorare i suoi concetti, che sembrano stare a metà strada tra la fantasia e la realtà.


“Questa mostra – ha detto Bianconi – parla di domande e racconta domande. Invisible dance è una danza interiore con me stesso, è la danza interiore che noi abbiamo con noi stessi. Quando noi abbiamo un’idea e vogliamo trasformare questa idea creativa c’è un momento in cui danziamo con noi stessi, e questa mostra parla anche di questo”. Il velo stuzzica la comprensione, dando un’idea di ciò che sta sotto. Oltre alle sue frecce, Andrea Bianconi manipola la trasparenza morbida nei suoi disegni, nelle sculture e nelle performance. Esplora la dissonanza cognitiva creata dal vivere l’esperienza umana e, così facendo, ci permette di sbirciare sotto il suo velo. Seguiamo la sua interminabile linea di interrogazione, perdendoci nelle pieghe delicate e negli strati misteriosi. Accompagnati dall’arguzia di un artista che usa l’intelligenza come pratica creativa.

Inaugurata al Museo Culturale di Bassora riproduzione Toro di Nimrud

Inaugurata al Museo Culturale di Bassora riproduzione Toro di NimrudRoma, 6 feb. (askanews) – L’Ambasciatore italiano in Iraq Maurizio Greganti ha inaugurato presso il Museo di Bassora la targa in ricordo della donazione dell’Italia al Governo e al popolo iracheno della riproduzione del “Toro di Nimrud”, gioiello dell’arte assira distrutto dalla furia iconoclasta dell’Isis-Daesh nel 2015.


Alla cerimonia inaugurale hanno preso parte numerose autorità irachene, tra cui il Ministro della Cultura, del Turismo e delle Antichità, Ahmed Fakak al Badrani, il Direttore dell’Iraqi State Board of Antiquities and Heritage, Ali Shalgham, e il Direttore del Museo, Mustafa Jasim Al-Husseini, che hanno celebrato questa occasione come una felice tappa della ricostruzione del patrimonio culturale del Paese e una vittoria morale sulla furia iconoclasta di Daesh nel 2015. L’Ambasciatore Greganti ha espresso profonda ammirazione per l’immenso patrimonio artistico e culturale iracheno, confermando il perdurante impegno italiano al fine di preservare e rendere fruibile questa eccezionale eredità, nel solco di una tradizione oramai consolidata grazie al lavoro straordinario di tanti esperti oltre che delle numerose missioni archeologiche italiane attive nel Paese, giunte ormai a più di venti.


L’Ambasciatore ha rivolto un profondo ringraziamento all’”Associazione Incontro di Civiltà” del Presidente Francesco Rutelli che, con il sostegno finanziario della Fondazione Terzo Pilastro – Italia e Mediterraneo, ha promosso e coordinato il prezioso e tenace lavoro compiuto per la riproduzione della statua del “Lamassu” – il toro androcefalo alato dell’antica città assira di Nimrud, posto a protezione del palazzo di Ashurnasirpal II (IX secolo a.C.) e distrutto dal Daesh nel 2015. L’opera, riprodotta in scala 1:1 da una squadra di restauratori italiani sotto la guida di Nicola Salvioli dell’Opificio delle Pietre Dure di Firenze e con la supervisione scientifica del Prof. Davide Nadali dell’Università Sapienza di Roma, è stata realizzata in occasione della mostra “Rinascere dalle distruzioni. Ebla, Nimrud, Palmira” promossa e curata dall’Associazione Incontro di Civiltà. Al termine della mostra, il toro è approdato alla sede UNESCO di Parigi, divenendo un simbolo dell’azione #Unite4Heritage, prima di giungere alla sua definitiva destinazione a Bassora. “Ecco una luce – dice Francesco Rutelli, Presidente dell’Associazione Incontro di Civiltà -, una preziosa luce italiana. Queste immagini presentano un piccolo miracolo del Soft Power italiano, della nostra Diplomazia Culturale. A Bassora, Iraq, si inaugura un’opera che ho e abbiamo fortemente voluto: la ricostruzione del Toro di Nimrud, distrutto dal terrorismo iconoclasta dell’ISIS-DAESH nel 2015, in quella che fu tremila anni fa la capitale assira del re Assurnasirpal II. Grazie a un magnifico gioco di squadra: l’Associazione Incontro di Civiltà, la Fondazione Terzo Pilastro Italia e Mediterraneo presieduta da Emmanuele F. M. Emanuele, gli archeologi della scuola di Paolo Matthiae – con Davide Nadali -, l’impresa di restauro e tecnologia guidata da Nicola Salvioli, l’Associazione Priorità Cultura. Il Presidente Sergio Mattarella ha accettato il mio invito ad inaugurare la prima Mostra all’interno del Colosseo, nell’ottobre 2016, assieme all’allora Premier Paolo Gentiloni; poi, abbiamo presentato quest’opera nel 2017 all’ingresso della sede dell’UNESCO a Parigi. Ora il lavoro è completato, con il ritorno in patria del grande Lamassu, dopo un viaggio complicato e grazie all’impegno dell’Ambasciatore d’Italia Maurizio Greganti, alla presenza del ministro della Cultura iracheno e del Governatore di Bassora, e con i messaggi augurali dei Ministri degli Esteri Antonio Tajani e della Cultura Gennaro Sangiuliano. La scultura distrutta, che era sulla facciata della grande sala del trono del palazzo reale, torna in vita all’ingresso del Museo di Basra, una delle città-chiave nella Regione, presso la confluenza tra il Tigri e l’Eufrate. Dall’osservazione di foto e disegni, si è realizzato in Italia un modello computerizzato tridimensionale, nell’identica forma dell’originale distrutto: anziché al trafugamento che ha dominato per secoli, eccoci di fronte a un caso di ‘ritorno in patria’. L’Italia si batte per tutelare il Patrimonio Culturale, contro ogni sua distruzione, per ritrovare valore e rispetto della Storia, per il pluralismo delle idee. Questa simbolica realizzazione – compiuta con sole risorse private e una costante azione di volontariato – dimostra la forza del pensiero e delle capacità italiane. Spero che questa piccola luce serva a dare una speranza in questi tempi difficili”.


“Desidero manifestarvi – ha detto il Ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano – la mia vicinanza in una giornata simbolica per l’amicizia tra Italia e Iraq e per il comune impegno nella tutela e valorizzazione del patrimonio culturale classico contro ogni minaccia e barbarie della nostra epoca. La rete terroristica di DAESH/ISIS ha arrecato tante sofferenze al popolo iraqeno e ha sfregiato molti segni del suo glorioso passato. Sono orgoglioso che due enti privati italiani, l’Associazione Incontro di Civiltà del Presidente Francesco Rutelli e la Fondazione Terzo Pilastro – Internazionale, si siano incaricati di restituire alla comunità uno dei simboli più noti della antica civiltàirachena, il Toro di Nimrud. L’Italia è in prima linea nella salvaguardia del patrimonio culturale perché è l’anima di una nazione e incarna la sua storia. La storia non si distrugge o cancella, ma si studia e preserva per le generazioni successive. Continuerà quindi a profondere il massimo impegno per far progredire la collaborazione internazionale nel campo della tutela dei beni culturali e a lavorare per una più efficace valorizzazione del patrimonio dell’umanità, come ribadito nella recente Conferenza UNESCO di Napoli. Colgo l’occasione per salutare il Ministro della Cultura, Turismo e Antichità Ahmed Fakak al Badrani il Governatore di Bassora, Asaad al Eidani e tutte le personalità presenti alla cerimonia, con l’augurio di avere presto altre occasioni per rafforzare le solide relazioni culturali tra Italia e Iraq”. “Desidero – afferma nel suo messaggio il Vicepresidente del Consiglio e Ministro degli Esteri Antonio Tajani- rivolgere un caloroso saluto al Ministro della Cultura Ahmed Fakak al Badrani e a tutte le Autorità presenti, e congratularmi con loro in questo importante giorno che celebra l’amicizia tra i nostri Paesi. Italia e Iraq sono uniti da un’amicizia che ha radici solide e profonde, e dalla comune esperienza di un’eredità culturale che abbraccia millenni di storia. Sfortunatamente, il patrimonio culturale iracheno è stato negli ultimi decenni difficile da salvaguardare. La drammatica esperienza di Daesh ha lasciato dietro di sé terrore e distruzione. Ne è triste testimone il sito archeologico dell’antica città assira di Nimrud, devastato dalla furia iconoclasta del terrorismo. Tuttavia, nel ricordo delle vittime che hanno pagato con il sangue la violenza estremista, la cerimonia odierna è nuovo segno della vittoria ottenuta su chi avrebbe voluto cancellare la memoria di un passato che è patrimonio comune della nostra civiltà. Lo svelamento della targa a ricordo della donazione italiana al Governo iracheno della riproduzione della statua del Toro di Nimrud rappresenta un’ulteriore importante tappa della ricostruzione dell’Iraq. E’ anche manifestazione concreta del costante impegno dell’Italia a fianco dell’Iraq e, in particolare, della tutela del suo inestimabile patrimonio artistico e culturale. Ringrazio l’Associazione Incontro di Civiltà, che ha ideato e condotto l’iniziativa con il sostegno della Fondazione Terzo Pilastro Italia – Mediterraneo e la supervisione tecnico-scientifica del Dipartimento di Scienze dell’Antichità dell’Università Sapienza di Roma e dell’Opificio delle Pietre Dure di Firenze, eccellenze italiane nel settore del recupero e valorizzazione del patrimonio culturale che siamo orgogliosi abbiano collaborato in maniera così proficua in questo straordinario risultato. L’opera, testimonianza della straordinaria qualità delle maestranze e del saper fare italiano, è oggi fruibile come dono dell’Italia all’amico popolo iracheno nella suggestiva cornice del Museo di Bassora, che spero di poter presto visitare di persona. Viva l’amicizia tra Italia e Iraq!”.