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Ue, Lane (Bce): iniziative affidate a Letta e Draghi fondamentali

Ue, Lane (Bce): iniziative affidate a Letta e Draghi fondamentaliRoma, 12 feb. (askanews) – “Ci servono delle statistiche a livello europeo e, a un certo punto, dopo la riforma della fiscalità internazionale concordata in ambito Ocse dovremmo muoverci verso qualche meccanismo di allocamento delle risorse su scala europea”. Lo ha affermato il capo economista della Bce, Philip Lane, durante una tavola rotonda sulle nuove sfide per l’analisi statistica organizzata a Madrid assieme a Irving Fisher Committee on Central Bank Statistics, Banca dei regolamenti internazionali e Banca di Spagna.


“Il modo spontaneo con cui questo può crescere è se abbiamo imprese di dimensioni europee. E superata una certa dimensione avere un singolo sistema di rendicontazione sulle imprese penso che possa aiutare”, ha osservato Lane. Ad ogni modo, secondo il capo economista della Bce passi in questa direzione non spettano a banchieri centrali o agli esperti di statistica, semmai “iniziative come quella affidata a Enrico Letta, sul mercato unico Ue e a Mario Draghi, sulla competitività, sono esempi dell’unico modo per finanziare le transizioni verde e digitale – ha sostenuto Lane -: è fondamentalmente avere maggiore integrazione a livello europeo. E per farlo bisogna essere pronti a andare avanti con iniziative come queste”.

Confindustria, entro oggi le candidature:4 in corsa per presidenza

Confindustria, entro oggi le candidature:4 in corsa per presidenzaRoma, 12 feb. (askanews) – Nuova tappa nella corsa per la successione a Carlo Bonomi. Stasera a mezzanotte, scadrà il termine per presentare le candidature alla presidenza di Confindustria. La Commissione di designazione dell’associazione, formata da Mariella Enoc, Andrea Moltrasio e Ilaria Vescovi, è in attesa delle candidature che andranno sostenute per iscritto da almeno il 10% dei voti rappresentati nell’assemblea o dei componenti del Consiglio generale. In sostanza ci vorranno minimo 18 espressioni di appoggio per superare questa prima fase.


Entro martedì, dunque, si alzerà ufficialmente il sipario sui nomi dei candidati. Al momento le carte restano ancora coperte, ma in pista ci sarebbero quattro industriali, quasi tutti espressione del mondo imprenditoriale del Nord. Due ricoprono attualmente la carica di vicepresidente: si tratta di Emanuele Orsini (Emilia Romagna), e Alberto Marenghi (Lombardia). Ai nastri di partenza anche il ligure Antonio Gozzi, presidente di Federacciai, ed Edoardo Garrone, anche lui ligure e presidente di Erg e Sole 24 Ore. Dopo questa primo passaggio, i candidati potrebbero ridursi a due se, come nella tradizione confindustriale, si cercheranno accordi e alleanze in nome di una visione comune. Una mossa suggerita anche dalla necessità di non disperdere i voti e di non apparire eccessivamente divisi al di fuori dell’associazione.


In settimana partirà anche il “tour” nazionale di Enoc, Moltrasio e Vescovi. I tre saggi apriranno le consultazioni con la base imprenditoriale giovedì 15, a Milano, nelle sede di Federchimica. Seconda tappa sarà Bologna il 16 febbraio. Poi i tre si sposteranno a Torino il 23 febbraio. Il 28 e 29 febbraio saranno a Roma nella sede di Confindustria. Il primo marzo di nuovo a Milano, questa volta in Assolombarda. Il 9 marzo a Padova e come tappa finale ci sarà Napoli l’11 marzo. Al termine delle consultazioni, i saggi individueranno i nominativi dei candidati che saranno chiamati ad ufficializzare l’accettazione della candidatura e ad illustrare il proprio programma in occasione del Consiglio Generale del 21 marzo.


Il nuovo leader di Confindustria verrà designato, a scrutinio segreto e a maggioranza assoluta dei votanti, il 4 aprile dal Consiglio generale e sarà poi eletto dall’assemblea dei delegati in programma per il 23 maggio.

Saras, famiglia Moratti vende 35% e cede controllo a svizzeri Vitol

Saras, famiglia Moratti vende 35% e cede controllo a svizzeri VitolRoma, 11 feb. (askanews) – La famiglia Moratti cede il controllo delle sue raffinerie Saras agli svizzeri di Vitol, che detengono infrastrutture energetiche in tutto il mondo. Massimo Moratti S.a.p.A. di Massimo Moratti, Angel Capital Management S.p.A. e Stella Holding S.p.A. e Vitol B.V., società con in Olanda, hanno infatti stipulato un contratto di compravendita in base al quale la Famiglia Moratti si è impegnata a cedere a Vitol, azioni di Saras S.p.A. che rappresentano circa il 35% del capitale azionario di Saras, ad un prezzo pari a €1,75 per azione. Lo rende noto un comunicato dell’azienda.


Ai sensi dello SPA e subordinatamente al verificarsi di determinate circostanze ivi previste, ACM si è impegnata a vendere a Vitol le eventuali azioni di Saras che ACM potrebbe ricevere sulla base dell’esistente contratto derivato di funded collar, avente ad oggetto circa il 5% del capitale azionario di Saras. Nel caso in cui venga deliberato e distribuito un dividendo da parte di Saras prima della data di completamento dell’Operazione, il Prezzo per Azione sarà ridotto di conseguenza.


Il completamento dell’Operazione è esclusivamente subordinato all’ottenimento delle autorizzazioni regolamentari necessarie (i.e., le autorizzazioni ai sensi dei regolamenti dell’Unione europea sulle sovvenzioni estere e in manteria di concorrenza (antitrust) e della normativa golden power italiana). Al completamento dell’Operazione, l’intera partecipazione detenuta dalla Famiglia Moratti in Saras sarà trasferita a Vitol. L’Operazione determinerà l’insorgere di un obbligo di promuovere un’offerta pubblica di acquisto obbligatoria sul capitale azionario di Saras, che sarà promossa da Vitol allo stesso Prezzo per Azione, ovvero al prezzo rettificato in caso di distribuzione di un dividendo prima del completamento dell’Operazione. L’obiettivo dell’OPA è ottenere la revoca delle azioni ordinarie di Saras dalla quotazione e dalle negoziazioni su Euronext Milan, che potrà essere conseguita anche attraverso una fusione in presenza delle relative condizioni.


Saras è un’azienda leader nel settore industriale ed energetico con sede in Italia. Tra i suoi impianti è inclusa la più grande raffineria a sito unico nel Mediterraneo. Posizionata strategicamente in un sito industriale in Sardegna, la raffineria con una capacità di 300 mila barili/giorno fornisce prodotti petroliferi all’Italia e al resto dell’Europa, mentre il suo impianto di generazione di energia elettrica perfettamente integrato, uno dei più grandi nel suo genere, ha una potenza installata di 575MW e contribuisce per oltre il 40% al fabbisogno energetico della Sardegna. Inoltre, Saras ha un importante portafoglio di rinnovabili che comprende 171MW di impianti eolici operativi e una pipeline di di progetti eolici e solari rispettivamente di 593MW e 79MW. Vitol ha una lunga storia di investimenti in infrastrutture energetiche in tutto il mondo, dalla produzione e raffinazione del petrolio alle energie rinnovabili e allo stoccaggio di CO2. Questa Operazione rappresenta per Vitol un’opportunità di investire in un asset di alta qualità, ben posizionato per soddisfare le esigenze energetiche attuali e future in Italia e in Europa.


Massimo Moratti, Presidente e Amministratore Delegato di Saras, ha dichiarato: “Dopo 62 anni dalla sua fondazione avvenuta ad opera di mio padre, con i miei nipoti Angelo e Gabriele ed i miei figli Angelomario e Giovanni, ho ritenuto che la miglior garanzia per il futuro successo della raffineria di Sarroch fosse l’aggregazione con un primario operatore industriale del settore energetico globale, quale è Vitol, dotato di risorse relazionali, finanziarie e manageriali necessarie per competere nell’attuale contesto di mercato internazionale. Pertanto, ritengo che, questa Operazione sarà positiva per tutti gli azionisti, per le maestranze, per i clienti e tutti gli altri stakeholders, che ringrazio per la fiducia che ci hanno sempre accordato. Oggi Saras è una società solida e profittevole, leader nell’intero bacino del Mediterraneo, e auguriamo a Vitol di poter espandere i successi fino ad ora conseguiti.” Russell Hardy, Amministratore Delegato di Vitol, ha dichiarato: “La nostra ambizione è quella di investire in una forte società italiana nel settore dell’energia, gestita da un management locale autonomo e supportata dall’esperienza e dall’accesso al mercato di Vitol. Apprezziamo l’importanza di Saras in Sardegna, e nel paese più in generale, e ci impegniamo a portare avanti l’eredità della famiglia Moratti di gestione diligente, operazioni sicure e supporto alla comunità locale e ai dipendenti. Le attività di Saras sono ben complementari al core business di Vitol e questa Operazione rafforzerà la sicurezza energetica europea e migliorerà l’approvvigionamento di un impianto chiave nel settore energetico europeo”. Al completamento dell’Operazione, Vitol disporrà di oltre 800 mila barili/giorno di capacità di raffinazione in sette raffinerie, 4GW di produzione di energia termica e oltre 1,4GW di generazione di energia rinnovabile. La Famiglia Moratti è assistita da BofA Securities e Four Partners Advisory in qualità di advisor finanziari e da Linklaters Milano in qualità di advisor legale. Vitol è assistita da J.P. Morgan in qualità di advisor finanziario esclusivo e da Chiomenti e Weil, Gotshal & Manges in qualità di advisor legali.

Usa2024, Trump ha 11 punti vantaggio su Bidem su gestione economia

Usa2024, Trump ha 11 punti vantaggio su Bidem su gestione economiaRoma, 11 feb. (askanews) – Nonostante mesi di forte crescita economica, gli americani hanno molta più fiducia in Donald Trump per gestire l’economia americana rispetto a Joe Biden, secondo quanto emerge da un nuovo sondaggio, dal quale emerge la difficoltà del presidente nel convincere gli elettori che le sue politiche stanno migliorando il loro benessere finanziario.


L’indagine condotta dal Financial Times e dalla Ross School of Business dell’Università del Michigan ha rilevato che il 42% degli americani ritiene che Trump sarebbe il miglior amministratore dell’economia americana, mentre solo il 31% ha scelto Biden. Circa uno su cinque – il 21% – ha dichiarato di non fidarsi di nessuno dei due.I risultati – riportati dal Financial Times – complicano ulteriormente una settimana difficile per il presidente, scosso da un rapporto giudiziario che lo descriveva come un “uomo anziano con scarsa memoria”, confermando le preoccupazioni di molti elettori sulla sua età e acutezza mentale.


La forza di Trump nel sondaggio del FT arriva nonostante gli elettori riferiscano modesti miglioramenti nelle loro condizioni finanziarie personali e nelle loro prospettive per l’economia complessiva, sollevando dubbi sul fatto se una crescita robusta, un mercato del lavoro forte e un’inflazione in calo possano migliorare le possibilità di rielezione di Biden.“Il messaggio di Biden secondo cui l’economia sta andando bene sotto di lui non ha convinto molte persone”, ha detto Erik Gordon, professore alla Ross School of Business.


“Nonostante le sue ripetute dichiarazioni e nonostante i numeri del governo che lo sostengono, non ha mosso l’ago della disapprovazione”, ha aggiunto Gordon, sottolineando che il sondaggio ha mostrato che un elettore su tre ritiene che le politiche economiche di Biden abbiano “danneggiato molto l’economia”.Il sondaggio mensile FT-Michigan Ross cerca di monitorare il sentimento degli elettori sull’economia statunitense nel periodo precedente alle elezioni di novembre, che sarà sempre più probabile che sarà una rivincita tra l’ex presidente Trump e l’attuale Biden.


Alla domanda su come descriverebbe la propria situazione finanziaria attuale, il 46% degli elettori ha risposto che potrebbe “vivere comodamente” o “far fronte alle spese con un po’ di margine” – in aumento di tre punti rispetto a quando la stessa domanda fu posta nel novembre 2023, la prima volta mese del sondaggio FT-Michigan Ross.Poco più di un quarto – il 27% – ha dichiarato che le condizioni economiche complessive negli Stati Uniti erano “eccellenti” o “buone”, rispetto al 21% di novembre.Ma quando è stato chiesto se approvassero il modo in cui Biden sta gestendo l’economia, solo il 36% degli elettori ha risposto di sì, invariato rispetto a novembre.Il sondaggio ha evidenziato le forti divisioni partitiche che pesano sugli indici di approvazione di Biden. Il 71% dei democratici ha dichiarato di approvare la gestione economica di Biden, rispetto al solo 5% degli elettori repubblicani.Ma l’indagine ha anche messo in luce le differenze tra i diversi gruppi demografici. Trump continua a godere di una forza significativa tra gli americani a basso reddito, suggerendo che il recente boom non si fa sentire equamente in tutto il divario economico.I laureati avevano quasi il doppio delle probabilità di avere una visione positiva dell’economia rispetto alle persone senza titolo universitario, e la percentuale di elettori che affermavano di avere una visione positiva dell’economia aumentava progressivamente con il reddito degli elettori.Il sondaggio FT-Michigan Ross è stato condotto online dagli strateghi democratici Global Strategy Group e dalla società di sondaggi repubblicana North Star Opinion Research tra il 2 e il 5 febbraio. Riflette le opinioni di 1.006 elettori registrati a livello nazionale e ha un margine di errore di più o meno 3,1. punti percentuali. 

Confindustria,entro domani le candidature:4 in corsa per presidenza

Confindustria,entro domani le candidature:4 in corsa per presidenzaRoma, 11 feb. (askanews) – Nuova tappa nella corsa per la successione a Carlo Bonomi. Domani, a mezzanotte, scadrà il termine per presentare le candidature alla presidenza di Confindustria. La Commissione di designazione dell’associazione, formata da Mariella Enoc, Andrea Moltrasio e Ilaria Vescovi, è in attesa delle candidature che andranno sostenute per iscritto da almeno il 10% dei voti rappresentati nell’assemblea o dei componenti del Consiglio generale. In sostanza ci vorranno minimo 18 espressioni di appoggio per superare questa prima fase.


Entro martedì, dunque, si alzerà ufficialmente il sipario sui nomi dei candidati. Al momento le carte restano ancora coperte, ma in pista ci sarebbero quattro industriali, quasi tutti espressione del mondo imprenditoriale del Nord. Due ricoprono attualmente la carica di vicepresidente: si tratta di Emanuele Orsini (Emilia Romagna), e Alberto Marenghi (Lombardia). Ai nastri di partenza anche il ligure Antonio Gozzi, presidente di Federacciai, ed Edoardo Garrone, anche lui ligure e presidente di Erg e Sole 24 Ore. Dopo questa primo passaggio, i candidati potrebbero ridursi a due se, come nella tradizione confindustriale, si cercheranno accordi e alleanze in nome di una visione comune. Una mossa suggerita anche dalla necessità di non disperdere i voti e di non apparire eccessivamente divisi al di fuori dell’associazione.


In settimana partirà anche il “tour” nazionale di Enoc, Moltrasio e Vescovi. I tre saggi apriranno le consultazioni con la base imprenditoriale giovedì 15, a Milano, nelle sede di Federchimica. Seconda tappa sarà Bologna il 16 febbraio. Poi i tre si sposteranno a Torino il 23 febbraio. Il 28 e 29 febbraio saranno a Roma nella sede di Confindustria. Il primo marzo di nuovo a Milano, questa volta in Assolombarda. Il 9 marzo a Padova e come tappa finale ci sarà Napoli l’11 marzo. Al termine delle consultazioni, i saggi individueranno i nominativi dei candidati che saranno chiamati ad ufficializzare l’accettazione della candidatura e ad illustrare il proprio programma in occasione del Consiglio Generale del 21 marzo.


Il nuovo leader di Confindustria verrà designato, a scrutinio segreto e a maggioranza assoluta dei votanti, il 4 aprile dal Consiglio generale e sarà poi eletto dall’assemblea dei delegati in programma per il 23 maggio.

Tod’s, i Della Valle lanciano Opa totalitaria per delisting

Tod’s, i Della Valle lanciano Opa totalitaria per delistingMilano, 11 feb. (askanews) – Diego Della Valle, Andrea Della Valle e il fondo L. Catterton Management Limited lanciano “un’offerta pubblica di acquisto volontaria totalitaria per un corrispettivo pari a 43 euro per azione volta ad acquisire massime n. 11.913.128 azioni ordinarie di Tod’s” con l’obiettivo di “ottenere la revoca delle azioni ordinarie di Tod’s dalla quotazione e dalla negoziazioni su Euronext Milan, mercato regolamentato organizzato e gestito da Borsa Italiana S.p.A. (“Delisting”)”. Lo annuncia la società in una nota.


“In caso di integrale adesione all’Offerta – prosegue il comunicato di Tod’s – gli azionisti di maggioranza resteranno titolari di 17.870.511 azioni, rappresentative del 54% del capitale sociale dell’Emittente, L Catterton diventerà titolare indirettamente di n. 11.913.128 azioni, rappresentative del 36% del capitale sociale dell’Emittente”, mentre “l’azionista di Minoranza resterà titolare di n. 3.309.900 azioni, rappresentative del 10% del capitale sociale dell’Emittente”. “Sono molto soddisfatto di questa operazione che porterà ulteriori benefici allo sviluppo futuro del Gruppo Tod’s, uno sviluppo fatto di continui investimenti e di obiettivi sfidanti. In questo momento, uscire dalla Borsa, con la quale abbiamo sempre avuto ottimi rapporti, riteniamo sia la scelta strategicamente più idonea”. Così Diego Della Valle, presidente e amministratore Delegato di Tod’s, commenta il lancio dell’Opa totalitaria per il delisting della società.


“Condividere questo percorso con L Catterton – private equity leader mondiale nel settore dei beni di consumo – ci darà la possibilità di svilupparci ulteriormente e di cogliere le opportunità che il mercato offrirà”, sottolinea il numero uno di Tod’s.

Ue, accordo Patto stabilità, l’Europarlamento ha ingoiato tutto

Ue, accordo Patto stabilità, l’Europarlamento ha ingoiato tuttoBruxelles, 10 feb. (askanews) – L’accordo in “trilogo” della notte scorsa a Bruxelles, tra i negoziatori del Parlamento europeo, della presidenza di turno del Consiglio Ue e della Commissione sul nuovo Patto di stabilità per i conti pubblici degli Stati membri non cambia molto rispetto al testo della posizione negoziale del Consiglio, fortemente influenzata dalle esigenze del ritorno alle politiche di austerità perorate dalla Germania e dagli altri paesi “frugali”.


Resta dominante la priorità assegnata alla stabilità finanziaria, con poche concessioni (tutte da verificare) alle politiche di crescita e di incentivo degli investimenti, di cui pure ci sarebbe un grande bisogno per finanziare la doppia transizione (trasformazione digitale e Green Deal), nonché la politica industriale necessaria a questo fine e allo sviluppo di una difesa comune, resa sempre più urgente dagli sviluppi geopolitici in corso. E questo mentre gli altri due competitori globali dell’Ue, Usa e Cina, continuano a mettere la forza finanziaria dello Stato al servizio della loro potenza economica. Non è ancora noto il testo completo dell’accordo, ma è già chiaro che il Parlamento europeo ha ceduto sull’unico punto importante su cui il negoziato con il Consiglio Ue avrebbe potuto portare a un miglioramento davvero sostanziale: la “clausola di resilienza” per i deficit pubblici, che obbligherà gli Stati membri con il debito/Pil oltre il 60% a ridurre il proprio disavanzo strutturale fino all’1,5% del Pil. Questo, invece di applicare semplicemente la soglia di Maastricht del deficit/Pil al 3%.


Questo punto non era stato sostenuto nella posizione negoziale del Parlamento europeo, che invece rispetto all’altra clausola introdotta dai paesi “frugali”, quella di sostenibilità del debito, aveva fatto semplicemente un copia-incolla del testo del Consiglio. La proposta originaria della Commissione, dell’aprile 2023, era incentrata su due pilastri principali, riguardanti i percorsi di aggiustamento di bilancio per i paesi che non rispettano le due soglie previste dal Trattato di Maastricht: il 60% per il debito/Pil e il 3% per il deficit/Pil. Nel primo caso, quello del debito eccessivo, veniva indicato un percorso di aggiustamento ‘su misura’, individualizzato per ciascuno Stato membro, con tempi più lunghi e più realistici per le correzioni: quattro anni, con la possibilità di proroga a sette anni per ammortizzare i costi delle riforme e degli investimenti raccomandati dall’Ue (transizione verde e digitale, innovazione, difesa).


Secondo la proposta della Commissione, il percorso di aggiustamento (“traiettoria tecnica”), viene determinato tenendo conto di un’analisi caso per caso della sostenibilità del debito, e originariamente si basava su un “singolo indicatore operativo”, basato sulla “spesa primaria netta”, quella cioè che non prende in considerazione la spesa per gli interessi, la parte controciclica degli stabilizzatori automatici (come i sussidi di disoccupazione o la cassa integrazione in tempi di crisi), le spese che non dipendono dai governi, e la spesa nei programmi e progetti comunitari che sono co-finanziati dagli Stati membri. Il meccanismo proposto prevedeva semplicemente di tenere sotto stretto controllo, con un limite annuale collegato alla crescita economica, l’andamento della spesa primaria netta del paese interessato, senza definire una riduzione quantitativa annuale del debito/Pil uguale per tutti i casi, ma tale da assicurare che, alla fine del periodo previsto dal piano di aggiustamento, il livello del debito pubblico in quello Stato membro fosse inferiore a quello iniziale, e avviato su un percorso stabile di riduzione.


Era previsto un controllo della Commissione sui percorsi di aggiustamento, a scadenza semestrale, per individuare e correggere eventuali deviazioni significative. La proposta originaria della Commissione aveva un solo coefficiente numerico: semplicemente, per i paesi con un rapporto deficit/Pil oltre il 3%, veniva previsto aggiustamento strutturale minimo annuale di bilancio pari allo 0,5% del Pil, per ridurre il disavanzo, fino al raggiungimento della soglia del 3%. Molto diversa, più complicata e più rigida, è invece la posizione negoziale a cui sono giunti gli Stati membri in Consiglio Ue, dove la Germania, con l’appoggio dei paesi nordici e dell’Olanda, e poca opposizione da parte della Francia (con la delusione dell’Italia e altri paesi che avevano sperato di meglio), ha ottenuto quello che voleva: l’inserimento di due “clausole di salvaguardia” con coefficienti numerici nel nuovo quadro di regole, una per “la sostenibilità del debito” e l’altra per la “resilienza del deficit”. La prima salvaguardia (art.6 bis del regolamento sul “braccio preventivo”) prevede che i paesi con un debito/Pil superiore al 90% (come l’Italia) debbano ridurlo di almeno un punto percentuale all’anno, mentre quando il debito/Pil è superiore al 60% ma inferiore al 90% il ritmo di riduzione viene dimezzato, a 0,5 punti percentuali all’anno. La seconda è la “salvaguardia di resilienza del deficit” (art.6 ter), menzionata sopra, che il Parlamento europeo ha accettato, a quanto pare senza fare troppa resistenza. D’altra parte, una delle due relatrici del Parlamento, Esther De Lange (Ppe), fa parte del partito popolare olandese, da sempre in prima linea tra i “frugali”. La nota di stamattina del Parlamento europeo assegna comunque una grande importanza allo spazio che, secondo quanto viene raccontato, le nuove regole accorderebbero agli investimenti pubblici. “Le norme – si legge – obbligheranno specificamente gli Stati membri a garantire che i loro piani nazionali spieghino come verranno effettuati gli investimenti nelle aree prioritarie dell’Ue, quali transizione climatica e digitale, sicurezza energetica e difesa”. “Gli investimenti già intrapresi in questi settori – continua la nota – dovranno essere presi in considerazione dalla Commissione quando redige la sua relazione sulle deviazioni di uno Stato membro dal suo percorso di spesa, dando così più spazio a quello Stato membro per argomentare la propria causa al fine di non essere sottoposto a una procedura per disavanzo eccessivo”. “Inoltre, la spesa nazionale per il cofinanziamento dei programmi finanziati dall’Ue sarà esclusa dalla spesa del governo, creando maggiori incentivi agli investimenti”, conclude la nota, ricordando che “i primi piani nazionali dovranno essere presentati da ciascuno Stato membro entro il 20 settembre 2025”. L’accordo, non ancora noto in tutto i dettagli, ha avuto relativamente pochi commenti durante la giornata di sabato. Molto critici gli europarlamentari del M5s, i primi, tra gli italiani, a reagire stamattina alla notizia. “I nuovi parametri di base” dell’accordo “spingeranno non solo l’Italia, ma l’intero Continente, in recessione perché ridurranno gli investimenti. Secondo alcune stime questi obiettivi peseranno sulla capacità di spesa del nostro Paese per 12-13 miliardi per sette anni”. “Gli investimenti nelle aree prioritarie dell’Ue, e cioè la transizione climatica e digitale e la sicurezza energetica, non vengono scorporati, ma dovranno essere elencati nei piani che gli Stati membri manderanno a Bruxelles”, sottolinea infine la nota del M5s. Ma il commento forse più duro è quello venuto dal co-presidente del gruppo dei Verdi europei, il belga Philippe Lamberts, che a una domanda di Askanews su che cosa abbia ottenuto l’Assemblea di Strasburgo nel negoziato con il Consiglio ha riposto: “Niente: il Parlamento europeo ha ingoiato tutto”.

Banche Usa, crollati utili settore in ultimo trimestre 2023

Banche Usa, crollati utili settore in ultimo trimestre 2023Roma, 10 feb. (askanews) – I profitti del settore bancario statunitense sono crollati di quasi il 45% su base annua nell’ultimo trimestre del 2023, anche se la pressione sui consumatori si è allentata ed è cresciuta la fiducia che l’economia statunitense eviterà una recessione a breve termine.


Il calo, a quota 38 miliardi di dollari, è stato il maggiore su base annua dei profitti trimestrali dal secondo trimestre del 2020, secondo BankRegData, un fornitore di dati che raccoglie i rapporti trimestrali forniti dagli istituti di credito alla Federal Deposit Insurance Corporation. I dati – riporta il Financial Times – non sono completi, ma coprono i profitti delle filiali con depositi assicurati dalla FDIC. I profitti sono stati trascinati al ribasso dagli oneri una tantum legati alla crisi bancaria regionale dello scorso anno. Le maggiori banche del paese hanno speso 16 miliardi di dollari per coprire la “valutazione speciale” imposta dal governo, che ha ricostituito un fondo di assicurazione dei depositi che era stato pesantemente esaurito dai fallimenti di Silicon Valley Bank, Signature e First Republic.


Gli utili trimestrali sono stati colpiti anche da un aumento di 5 miliardi di dollari degli accantonamenti per crediti inesigibili, da una perdita di 4 miliardi di dollari sui portafogli di titoli delle banche e da costi più elevati in quanto gli istituti di credito hanno tagliato il personale e ristrutturato le loro operazioni, mostrano i dati. Il numero di lavoratori a tempo pieno nelle filiali bancarie statunitensi è diminuito di oltre 45.000 unità nel 2023. La sola Wells Fargo ha affermato di aver speso più di 1 miliardo di dollari in tagli inattesi di posti di lavoro nel quarto trimestre.


Le banche statunitensi hanno collettivamente aumentato gli utili del 2% raggiungendo i 256 miliardi di dollari nel 2023, un anno segnato sia dai fallimenti bancari di alto profilo che dalla significativa assistenza governativa al settore.

Panetta: alla Bce il momento per invertire la rotta si avvicina

Panetta: alla Bce il momento per invertire la rotta si avvicinaRoma, 10 feb. (askanews) – Un richiamo ai suoi “colleghi” nella Bce, a non ritardare troppo l’avvio della “inversione di rotta” che va impartita alla politica monetaria con tagli ai tassi. Una raccomandazione al governo a puntare sul risanamento dei conti ma anche sugli investimenti, per sostenere innovazione e produttività. E un richiamo a tutte le istituzioni europee, perché dopo più di un anno di ristagno dell’economia c’è il rischio che la bassa crescita “si radichi” e bisogna reagire ritrovando quella comunità di intenti che possa sbloccare “l’enorme potenzialità del mercato unico”. Sono alcuni dei messaggi chiave lanciati dal governatore della Banca d’Italia, Fabio Panetta nel suo intervento al 30esimo congresso Assiom Forex.


Secondo Panetta “la debolezza dell’economia europea si estende al nostro paese”. E “per intraprendere un sentiero di crescita sostenuta dobbiamo agire lungo due direzioni. Va data certezza agli investitori su una traiettoria discendente del debito pubblico”. E al tempo stesso “vanno stimolati gli investimenti in grado di accrescere l’innovazione e la produttività”. Il tutto mentre l’economia dell’insieme dell’eurozona “ristagna da ben cinque trimestri” e per il breve termine “non si prefigura una ripresa significativa”. In questo quadro vi è “il rischio che la tendenza la bassa crescita si radichi” nei programmi delle imprese, nelle attese dei consumatori e “nell’intero tessuto produttivo”, ha avvertito Panetta. Di fronte a questa situazione bisogna poter sfruttare le potenzialità del mercato unico, che “sono enormi”. E per trarne beneficio è necessario “ritrovare comunità di intenti a livello economico e politico”.


In questo quadro in Italia negli ultimi anni “sono emersi segnali positivi: la maggiore accumulazione di capitale, la forza del mercato del lavoro, la capacità competitiva di molte imprese sui mercati internazionali, la solidità dei bilanci bancari. Si tratta di elementi significativi – ha sottolineato – che possono svolgere un ruolo importante per rilanciare lo sviluppo”. Una parte centrale dell’intervento, di fronte a una platea di operatori finanziari e banchieri riuniti a Genova, è stata sulla politica monetaria della Bce. Su questo è in corso un dibattito che gravita attorno alla tempistica con cui avviare i primi tagli dei tassi, elemento molto monitorato dai media, ma anche, fattore forse più trascurato, sulla portata che avrà questo primo parziale ammorbidimento dell’intronazione.


Secondo Panetta per l’economia “non emergono segnali di una decisa accelerazione” e intanto “l’inflazione sta rapidamente diminuendo, mentre i rischi per la stabilità dei prezzi si sono ridimensionati”. “Se la politica monetaria tardasse troppo ad accompagnare la disinflazione in atto potrebbero emergere rischi al ribasso per l’inflazione – ha avvertito – che contrasterebbero con la natura simmetrica dell’obiettivo stabilito dal Consiglio della Bce”.


Quindi, è il messaggio chiave: “si sta rapidamente avvicinando il momento di una inversione di rotta”. La frase è stata ripresa anche dal Financial Times, secondo cui Panetta è “la voce più forte” tra le “colombe” nel Consiglio direttivo della Bce, a cui partecipano tutti i governatori di banche centrali nazionali dell’area euro. Secondo il banchiere centrale italiano alla riunione di marzo bisognerà non solo “vagliare la prima mossa, ma anche le diverse opzioni per l’intero sentiero di normalizzazione monetaria. Andranno soppesati benefici e controindicazioni di un taglio dei tassi tempestivo e graduale rispetto a un allentamento tardivo e aggressivo, che potrebbe accrescere la volatilità”. Anche alla luce del fatto che i principali timori sollevati in passato sui rischi di pressioni e di risalita dell’inflazione nell’area “si stanno rivelando infondati. Semmai stanno emergendo rischi al ribasso”, ha detto. “Resta il rischio che una dinamica ancora robusta dei salari nominali possa alimentare nuovamente l’inflazione. Questa eventualità non va sottovalutata – ha riconosciuto – ma le preoccupazioni si attenuano se si leggono i dati con attenzione”. Peraltro i timori di spirali pezzi-salari non sembrano a loro volta essersi materializzati. Invece anche i rischi di rincari a riflesso delle tensioni geopolitiche e in particolare dei problemi sul traffico marittimo nel mar Rosso “vanno seguiti con attenzione”. Data la elevata incertezza attuale “ogni congettura sul momento in cui avviare l’allentamento monetario è un esercizio sterile, oltre che irrispettoso della collegialità del Consiglio della Bce”. Piuttosto, secondo il governatore “ciò che invece dobbiamo ora discutere è quali siano le condizioni necessarie per avviare un allentamento”. Le condizioni sono tre: “la prima è che il processo di disinflazione sia in una fase avanzata. La seconda condizione è che il calo dell’inflazione stia continuando”. Infine “la terza condizione per l’avvio della normalizzazione monetaria è che il raggiungimento dell’obiettivo di inflazione non sia compromesso da un eventuale taglio dei tassi”. Affinché l’inflazione “sia debellata e l’economia possa riprendere un sentiero di crescita e stabilità, è cruciale – ha concluso – che le prossime decisioni siano coerenti con il quadro macroeconomico che abbiamo di fronte”. La prossima riunione monetaria operativa del Consiglio Bce si svolgerà il 7 marzo.

Mar Rosso, Confcommercio: impatto pesante su trasporti e commercio

Mar Rosso, Confcommercio: impatto pesante su trasporti e commercioRoma, 10 feb. (askanews) – Le tensioni sul Mar Rosso legate agli attacchi dei ribelli Houti si stanno riflettendo sul sistema economico nazionale ed europeo. La compromessa regolarità dei rifornimenti delle merci e l’incremento dei costi impattano sul sistema dei trasporti e sul commercio internazionale delle imprese italiane. E’quanto emerge da una indagine Confcommercio sulla crisi del Mar Rosso e su gli impatti sul sistema dei trasporti e sull’import-export delle imprese italiane.


I tempi di navigazione nei traffici con l’estremo Oriente – si legge nello studio – si allungano di 10-12 giorni per via della circumnavigazione del Continente africano. I costi dei noli per un container di 40 piedi sulla rotta Shangai-Genova sono più che raddoppiati (+129%) rispetto al 2023. I transiti delle navi attraverso il canale di Suez, da cui passa circa il 40% del nostro interscambio commerciale marittimo (€154 MLD), si sono ridotti di oltre un terzo con forte penalizzazione sia per i porti nazionali, specialmente quelli nell’Adriatico, come Trieste e Venezia, maggiormente interessati da traffici internazionali che, in generale, per il sistema Italia. Sul commercio internazionale delle imprese italiane i maggiori problemi – sottolinea Confcommercio nello studio – riguardano soprattutto l’import. Attraverso il Canale di Suez si stima che passi, infatti, il 16% delle importazioni italiane di beni in valore e il mancato arrivo delle merci importate espone, in molti casi, le imprese italiane a forti penali in quanto fornitori di una filiera. Automotive, moda e alcuni comparti dell’alimentare (ad esempio, riso, oli vegetali, tè e caffè) sono i settori che soffrono di più per i rallentamenti nell’import e la riduzioni dei traffici marittimi via Suez.


Ferma restando la necessità di ripristinare la sicurezza e la praticabilità della rotta attraverso il canale di Suez, sul fronte dei trasporti e della logistica occorrono, dunque, interventi immediati come la sospensione del sistema di negoziazione delle emissioni (ETS) per i traffici destinati ai porti di trasbordo europei (ad esempio Gioia Tauro) e la deroga alle limitazioni del transito dei mezzi pesanti attraverso i valichi alpini (Brennero). Dal lato import-export bisogna da subito predisporre – chiede Confcommercio – forme di tutela contrattuale o coperture assicurative ad hoc per le imprese costrette a pagare penali ai clienti per ritardi o mancati arrivi delle merci importate.