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Colossali onde d’urto (polarizzate) scuotono universo

Colossali onde d’urto (polarizzate) scuotono universoRoma, 16 feb. (askanews) – Uno studio pubblicato su Science Advances, guidato dall’astronoma Tessa Vernstrom della University of Western Australia (UWA), a cui hanno collaborato astrofisici dell’Università di Bologna e dell’INAF di Bologna, mostra per la prima volta la presenza di segnali radio prodotti da colossali onde d’urto di masse di plasma nella rete cosmica. Si tratta delle prime tracce inequivocabili del magnetismo cosmico che viene generato alla periferia degli ammassi di galassie, le più grandi strutture dell’universo: un evento predetto da decenni nelle simulazioni numeriche, ma finora mai osservato in modo diretto.
“Queste onde d’urto accelerano elettroni relativistici, che spiraleggiando in un campo magnetico esterno irraggiano energia nella banda radio dello spettro elettromagnetico”, spiega Franco Vazza, professore al Dipartimento di Fisica e Astronomia “Augusto Righi” dell’Università di Bologna, associato INAF e autore delle simulazioni numeriche utilizzate nello studio. “Le nuove osservazioni rispecchiano molto da vicino le previsioni teoriche, e questo ci fa sperare di avere effettivamente rivelato per la prima volta il segnale del plasma magnetizzato, spazzato dalle onde d’urto della rete cosmica”.
Osservando il cosmo alla scala più ampia possibile, la materia appare organizzata come un’intricata rete di filamenti e di aloni pieni di gas caldissimo e rarefatto (plasma), separati da giganteschi spazi vuoi estesi milioni di anni luce. Questa struttura “a tela di ragno” della rete cosmica era stata prevista già negli anni ’60 dai primi modelli numerici prodotti al computer, ed è stata poi confermata da una serie di osservazioni a partire dagli anni ’80. Nel corso degli ultimi anni, gli astronomi sono poi riusciti a mappare la ragnatela cosmica con osservazioni sempre più profonde e complete, che hanno prodotto nuove domande e misteri.
Tra questi interrogativi, uno dei più rilevanti riguarda l’evoluzione dei campi magnetici nella ragnatela cosmica e in particolare negli spazi apparentemente vuoti tra una galassia e l’altra. Esistono linee di campo magnetico in queste regioni “vuote”? E se esistono, come influiscono nell’evoluzione della rete cosmica? Sono domande a cui la comunità astrofisica mondiale sta cercando risposte da diversi decenni. Risposte che passano necessariamente dall’osservazione, finora mai ottenuta in modo inequivocabile, dell’esistenza effettiva di questi campi magnetici nelle regioni più rarefatte dell’universo. Roma, 16 feb. (askanews) – “I campi magnetici pervadono l’universo, dalla scala dei pianeti e delle stelle a quella dello spazio intergalattico: tuttavia, molti aspetti fondamentali del magnetismo su scale cosmologiche ci sfuggono”, spiega Tessa Vernstrom. “Quando colossali masse di plasma vengono accelerate verso la rete cosmica, per effetto della gravità della materia già presente nella rete, si generano colossali onde d’urto che comprimono le linee di campo magnetico intergalattico. Quello che pensiamo di aver finalmente osservato per la prima volta è proprio il segnale di queste linee di campo magnetico compresse”.
Questo risultato arriva dopo anni di studi e osservazioni. Già nel 2020, il gruppo di ricerca aveva ottenuto esiti promettenti sommando tra loro centinaia di migliaia di immagini, apparentemente vuote, dei campi intergalattici presenti tra coppie di galassie. Non era però ancora possibile escludere del tutto che questi segnali fossero generati da altri oggetti celesti. Gli esiti pubblicati ora su Science Advances superano anche gli ultimi dubbi e mostrano in modo inequivocabile la presenza di emissioni radio polarizzate provenienti dai filamenti della rete cosmica.
“Sono molto poche le sorgenti celesti in grado di produrre emissione radio polarizzata su scale cosmiche così grandi”, conferma Christopher Riseley, astronomo del Dipartimento di Fisica ed Astronomia “Augusto Righi” dell’Università di Bologna, associato INAF e coautore dello studio. “Le nuove osservazioni prodotte per questo studio, hanno preso in considerazione solo la parte polarizzata dell’emissione radio celeste e questo ha permesso di escludere altre possibili fonti di emissione”.
Gli studiosi hanno utilizzato i dati e le mappe della Global Magneto-Ionic Medium Survey, l’archivio dei dati della Missione Planck, l’interferometro radio Owens Valley Long Wavelength Array, e il Murchison Widefield Array, uno dei radiotelescopi più potenti del pianeta (insieme all’europeo LOFAR) e “precursore” dello Square Kilometre Array (il più colossale osservatorio astronomico mai concepito, la cui costruzione è da poco iniziata anche grazie alla collaborazione italiana, e la cui “prima luce” è prevista per il 2029).
Le simulazioni numeriche utilizzate per produrre le previsioni teoriche del segnale polarizzato radio della rete cosmica sono state prodotte facendo “girare” il codice Enzo su circa duemila processori, presso il centro di calcolo CSCS di Lugano (Svizzera), come parte del progetto di ricerca MAGCOW, condotto dal prof. Vazza e finanziato dallo European Research Council. L’attività di ricerca di Christopher Riseley è invece supportata dal progetto europeo DRANOEL.
Lo studio è stato pubblicato sulla rivista Science Advances con il titolo “Polarized accretion shocks from the cosmic web”. Per l’Università di Bologna hanno partecipato Franco Vazza e Christopher Riseley del Dipartimento di Fisica e Astronomia “Augusto Righi”, entrambi associati INAF – Istituto Nazionale di Astrofisica.

Spazio, pronto al debutto il nuovo lanciatore giapponese H3

Spazio, pronto al debutto il nuovo lanciatore giapponese H3Roma, 14 feb. (askanews) – Tutto pronto per il primo liftoff di H3 il nuovo lanciatore dell’agenzia spaziale giapponese Jaxa, con a bordo il satellite ottico avanzato “Daichi-3” (Alos-3): finestra di lancio programmata tra il 14 febbraio e il 10 marzo. La prima data utile è fissata al prossimo 17 febbraio, da confermare in base alle condizioni meteo.
L’agenzia spaziale giapponese, dopo dieci anni di lavoro con Mitsubishi Heavy Industries, attende la prova finale per il nuovo lanciatore, che ha superato tutti i test di sistema. Lo riferisce Global Science, il quotidiano online dell’Agenzia spaziale italiana.
Alto 63 o 57 metri, a seconda che stia volando con una carenatura del carico utile “corta” o “lunga”, H3 è in grado di ospitare satelliti dal peso di 4 tonnellate o più in orbita sincrona solare a 500 chilometri mentre i satelliti di 6,5 tonnellate o più possono raggiungere un’orbita geostazionaria a 35.790 chilometri, afferma la Jaxa. Sviluppato come successore del razzo H-IIA attualmente in funzione, l’ambizione per il Giappone è quella di dotarsi di un mezzo di trasporto nello spazio.
Daichi-3 (Alos-3), satellite di Osservazione della Terra, con una risoluzione di 0,8 metri della superficie terrestre, è a bordo di H3. Dal peso di 3 tonnellate, Alos-3 verrà posizionato in orbita sincrona al Sole. I dati porteranno a progressi nei vari campi grazie alle sue capacità di imaging uniche, contribuendo all’aggiornamento delle informazioni geo spaziali globali, alla ricerca e alle applicazione per il monitoraggio dell’ambiente costiero/vegetativo.
Il decollo, inizialmente previsto per il 14 febbraio – conclude Global Science – è stato rimandato al 17 febbraio per le condizioni meteo avverse. Appuntamento alle 01.45, ora italiana, per assistere al lancio in diretta streaming del nuovo razzo di punta del Giappone.

Accordo INGV-ENEA per protezione infrastrutture critiche nazionali

Accordo INGV-ENEA per protezione infrastrutture critiche nazionaliRoma, 14 feb. (askanews) – Sviluppare tecnologie per il monitoraggio e l’analisi del rischio fisico delle infrastrutture critiche nazionali. È il tema dell’Accordo di Programma firmato oggi a Roma dai Presidenti di ENEA e INGV, Gilberto Dialuce e Carlo Doglioni, nel corso di un evento presso la sede del CNEL, al quale hanno partecipato anche rappresentanti di istituzioni e imprese del settore.
Tra i punti cardine dell’accordo – informano ENEA e INGV – figura il Centro italiano per la sicurezza delle infrastrutture strategiche EISAC.it, nato dalla collaborazione tra ENEA e INGV e incluso dal competente ufficio ONU nella lista delle 24 migliori strutture tecnologiche al mondo per la gestione delle emergenze da eventi naturali. Il Centro EISAC.it è in grado di offrire servizi avanzati come analisi del rischio su aree del territorio, simulazioni di scenari di eventi naturali e impatto sulle reti, raccolta e analisi di dati satellitari, creazione di banche dati territoriali e sistemi di previsione meteo-climatica e oceanografica. Un’attività complessa che ruota attorno al mondo della ricerca scientifica e si avvale di numerose figure professionali e di tecnologie all’avanguardia per fornire servizi di analisi e previsione del rischio sulle infrastrutture strategiche per tutto il territorio nazionale.
“L’Italia è troppo fragile ai rischi naturali e dimentichiamo troppo facilmente gli eventi calamitosi passati: è il conflitto tra memoria e oblio cui siamo quotidianamente sottoposti, come ci ricordava il compianto filosofo Remo Bodei. Terremoti, frane, eruzioni, maremoti, alluvioni, emissioni gassose e radiazioni ionizzanti sono tutti fenomeni naturali che ci saranno sempre. I terremoti colpiranno ancora l’Italia e dobbiamo farci trovare pronti con una prevenzione adeguata. Risulta quindi fondamentale tutelare le infrastrutture nazionali”, afferma Carlo Doglioni, Presidente dell’INGV.
“La firma di questo Accordo si inserisce nel quadro della Direttiva CER (Critical Entity Resilience), che dovrà essere recepita dagli Stati Membri attraverso provvedimenti di legge che traducano in azioni le indicazioni strategiche in essa contenute integrandole nelle differenti politiche nazionali. L’obiettivo è quello di aumentare la sensibilità dei Paesi verso questi temi e ridurre l’esposizione dei cittadini ai danni che la mancanza di infrastrutture e di servizi primari può provocare”, spiega Salvatore Stramondo, direttore dell’Osservatorio Nazionale Terremoti dell’INGV (INGV-ONT) e referente dell’Istituto per EISAC.it.
“ENEA ha individuato da tempo nel settore delle infrastrutture critiche un asset centrale per lo sviluppo e l’applicazione di competenze nei settori dell’ingegneria e della produzione di modelli e tecnologie ICT”, sottolinea il Presidente dell’ENEA Gilberto Dialuce. “La Direttiva CER – aggiunge – amplia notevolmente il panorama di infrastrutture e servizi strategici e identifica nello sviluppo della loro resilienza l’obiettivo primario da conseguire. E noi siamo pronti a questa nuova sfida che richiede un approccio collaborativo per garantire alle infrastrutture una protezione sistemica”.
“Tra le tecnologie sviluppate da ENEA in questo settore specifico, un posto di rilievo è occupato dai sistemi di supporto alle decisioni (Decision Support System), finalizzati al monitoraggio e all’analisi del rischio delle infrastrutture critiche, viste nella loro struttura interdipendente, in caso di eventi naturali avversi, e per il supporto alla gestione delle crisi correlate”, evidenzia Maurizio Pollino referente dell’ENEA per EISAC.it.
Il Ministero dell’Interno definisce le “Infrastrutture Critiche nazionali” come “le risorse materiali, i servizi, i sistemi di tecnologia dell’informazione, le reti e i beni infrastrutturali che, se danneggiati o distrutti, causerebbero gravi ripercussioni alle funzioni cruciali della società, tra cui la catena di approvvigionamenti, la salute, la sicurezza e il benessere economico o sociale dello Stato e della popolazione”. Ne consegue che integrità, protezione dal rischio fisico e resilienza all’intero sistema dei servizi nazionali rappresentano temi strategici, soprattutto alla luce delle mutevoli condizioni meteo-climatiche, degli impatti dei fenomeni idrogeologici e sismici e dei problemi di invecchiamento delle strutture stesse.

Arte e creatività sempre più coinvolgenti con tecnologia immersiva

Arte e creatività sempre più coinvolgenti con tecnologia immersivaRoma, 14 feb. (askanews) – Combinare arte e tecnologia immersiva per consentire alle persone di interagire con la cultura e liberare la creatività. Questo è ciò che stanno sviluppando i partner di Artcast4D, un consorzio europeo di ricerca, tecnologia, cultura e media guidato dal Politecnico di Milano, che collabora con artisti, organizzazioni culturali, imprese creative, musei, città e autorità locali al fine di sviluppare nuove esperienze immersive negli spazi pubblici.
“Cosa significa il termine ‘immersione’? Significa essere emotivamente coinvolto? Fondere la realtà con la virtualità? Esistono diverse esperienze che possono essere etichettate come ‘immersive’: leggere un libro, guardare un film, assistere ad un concerto o ad un’Opera, esplorare l’habitat naturale, vivere esperienze spirituali e altro ancora. La capacità di sentirsi ‘immersi’ differisce da persona a persona, alcuni si immedesimano nel contesto descritto in un racconto altri a bordo di un simulatore professionale continuano a tenere distinte realtà e simulazione” spiega il professor Alfredo Ronchi, coordinatore scientifico del progetto Artcast4D e attivo nel campo della realtà virtuale interattiva dagli anni ’80.
Il progresso nella tecnologia virtuale immersiva rappresenta un importante contributo all’arricchimento delle esperienze nell’ambito delle istituzioni culturali. Tuttavia, tali tecnologie non sono oggi né facilmente disponibili, né accessibili a tutti. L’obiettivo del progetto di ricerca Artcast4D – che ha preso il via a Milano nel settembre 2022, con una fase di sviluppo di 36 mesi – finanziato dal Programma Horizon Europe è sviluppare una soluzione open-source basata sul collaudato software real-time 2D/3D AAASeed.
L’innovazione del progetto – spiega PoliMi – risiede nella capacità di creare ambienti immersivi in spazi aperti, con tecnologia di proiezione poco invasiva, attraverso la progettazione di applicazioni interattive collettive per un pubblico ampio e vario. I progressi nelle tecnologie immersive concorrono a migliorare l’ampiezza, la profondità e l’intensità delle performance artistiche e le esperienze dei visitatori nelle aree pubbliche e presso le istituzioni artistiche e culturali. Questo contribuirà a sviluppare il potenziale creativo delle Industrie Culturali e Creative, favorendo il contenimento dei costi di progettazione e sviluppo e al tempo stesso permettendo di realizzare esperienze utente non invasive, immersive e interattive, integrando fin dall’inizio tecniche di valutazione e misurazione dell’impatto online.
Il consorzio è coordinato dal Politecnico di Milano e riunisce 10 partner provenienti da 7 Paesi europei fondendo ricerca, tecnologia, creatività, media e cultura locale. La tecnologia di Artcast4D è promossa in differenti istituzioni culturali e non solo, realizzando 4 progetti pilota a Issy-les-Moulineaux (Francia), Hounslow (Regno Unito) Valencia e Atene. Ogni sperimentazione sarà focalizzata su specifici temi ed esperienze artistiche e coinvolgerà in una stretta collaborazione creativi, partner industriali e la società civile.
I progetti pilota includeranno seminari di formazione e moduli di perfezionamento aperti alle differenti necessità della comunità di attori dell’industria culturale, artisti e sviluppatori. La sperimentazione attraverso i progetti pilota consentirà anche di trarre indicazioni utili alla formulazione di orientamenti politici per il rafforzamento della competitività e dell’innovazione del Paese.

ENEA brevetta nuovi sensori per monitorare grandi opere civili

ENEA brevetta nuovi sensori per monitorare grandi opere civiliRoma, 13 feb. (askanews) – ENEA ha brevettato un metodo innovativo ed economico per produrre catene di sensori basate su tecnologia in fibra ottica da utilizzare per il monitoraggio strutturale di grandi opere di ingegneria civile e geotecnica come viadotti, dighe e palificazioni. Il sistema brevettato è stato messo a punto presso il laboratorio di Micro e Nanostrutture per la Fotonica dell’ENEA ed è già idoneo per l’uso industriale con un Livello di Maturità Tecnologica pari a 8-9, anche se è possibile che sia necessaria una ulteriore ingegnerizzazione per soddisfare meglio problematiche di cantiere e conseguire eventuali certificazioni per specifiche applicazioni.
“Le grandi opere di ingegneria civile e geotecnica hanno bisogno di controlli periodici per verificarne l’integrità strutturale e la corretta funzionalità nel corso dell’intera vita di tenuta in esercizio”, spiega Michele Caponero, ricercatore ENEA e ideatore del brevetto con il collega Andrea Polimadei. “Il metodo che abbiamo brevettato – aggiunge – è estremamente innovativo, maturo e particolarmente idoneo per la realizzazione di sistemi di monitoraggio distribuiti e gestibili da remoto, da installare in modo permanente”.
La tecnologia sviluppata – si legge nella notizia pubblicata sull’ultimo numero della newsletter ENEAinform@ – è in grado di abbattere i costi di produzione delle tradizionali catene di sensori e consente una facile customizzazione per dimensione, forma e parametri da misurare. Per l’esecuzione di tali controlli, molte delle grandi opere meno datate e praticamente tutte quelle di nuova realizzazione sono dotate di sistemi di monitoraggio permanentemente installati, in grado di fornire un precoce allarme in caso di iniziale ammaloramento.
“La realizzazione delle catene di sensori, anche per la tecnologia in fibra ottica, presenta diverse problematiche con costi che possono diventare finanche predominanti rispetto a quelli dei sensori stessi. Il nostro brevetto nasce proprio per risolvere queste problematiche”, prosegue Caponero.
“I sistemi di monitoraggio basati su tecnologia tradizionale elettrica/elettronica – aggiunge – presentano varie problematiche nel caso di installazioni permanenti, che vengono sempre più efficientemente superate adottando soluzioni basate su tecnologia in fibra ottica. Il nostro brevetto garantisce una maggiore durabilità, semplifica i cablaggi e consente il trasporto diretto dei segnali a grande distanza”, conclude Caponero.
Pur semplificando al massimo l’installazione dei sensori basati su tecnologia in fibra ottica, le esigenze operative di cantiere impongono solitamente che i sensori siano preparati preventivamente come ‘catene di sensori’, ovvero un unico cavo (anche di grande lunghezza e talvolta con diramazioni secondarie) lungo il quale sono presenti molteplici sensori il cui segnale è disponibile ad una estremità del cavo stesso.

L’ESA-Esrin di Frascati svela un “nuovo astronauta”

L’ESA-Esrin di Frascati svela un “nuovo astronauta”Frascati, 10 feb. (askanews) – L’ESA-Esrin, il centro d’eccellenza dell’Agenzia spaziale europea con sede a Frascati, vicino Roma che si occupa, prevalentemente, delle attività di osservazione della Terra, ha svelato un “nuovo astronauta”.
Non si tratta, però, di una nomina dell’ultimo minuto nella squadra dei nuovi astronauti dell’ESA bensì di un nuovo eroe che ha viaggiato alla Stazione Spaziale Internazionale (ISS) e ritorno, accompagnando nella sua missione Luca Parmitano, astronauta italiano dell’ESA, colonnello pilota sperimentatore dell’Aeronautica Militare e già Comandante della Stazione Spaziale Internazionale.
La storia di questo viaggio di fantasia è descritta in un fumetto appena edito da Officina Animata e realizzato da uno speciale stagista dell’ESA, Federico Badessi.
Il lavoro è stato svolto durante i 6 mesi di tirocinio presso l’Esrin nella Divisione di Comunicazione. Per il periodo di tirocinio era stato concordato di produrre un fumetto basato sull’astronauta dell’ESA Luca Parmitano, partendo dall’idea di sviluppare la storia utilizzando un mix di personaggi reali e di immaginazione, creati da Federico.
La storia è basata sulla prima missione ESA di un fumetto sulla ISS. Al centro della storia, il vero astronauta Luca Parmitano è accompagnato da un fumetto (denominato “Cartoonaut”) in una breve missione a bordo della Stazione Spaziale Internazionale.
Viene nominata una commissione di selezione, viene presentata una patch di missione. Il ‘Cartonauta’, che si chiama Buck, viene selezionato in Italia e comincia un periodo di addestramento con Luca in diverse strutture internazionali. Al termine dell’addestramento, Luca e Buck raggiungono la ISS a bordo di un razzo, una piccola avventura con qualche evento inaspettato. Alla conclusione, con successo, della missione, i due ritornano in sicurezza sulla Terra e sono pronti per una nuova missione… sulla Luna.
Il libro è stato presentato nel corso del XXI Convegno Special Olympics Lazio al Palazzo dei Congressi di Roma. Federico Badessi è un giovane con autismo che gli comporta enormi difficoltà di comunicazione. Nonostante ciò, Federico si è diplomato in arti figurative e grafica ed è un esperto grafico digitale; è anche un Atleta Special Olympics. Il suo sport è il nuoto che pratica con passione e determinazione tale da essersi conquistato, nel 2019, la partecipazione nel Team Italia ai Giochi Mondiali Estivi Special Olympics ad Abu Dhabi.
Per questo motivo, l’ESA, Luca Parmitano e Federico non guadagneranno dalle vendite che andranno devolute, invece, a Special Olympics Italia, segnatamente alla Campagna Adotta un Campione per prossimi Giochi Mondiali Estivi Special Olympics, Berlino 2023.

Cnr, un fascio di luce per individuare cellule tumorali nel sangue

Cnr, un fascio di luce per individuare cellule tumorali nel sangueRoma, 10 feb. (askanews) – Un gruppo di ricercatori del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr) ha sviluppato e combinato nuove tecnologie di imaging che, analizzando la luce che attraversa le cellule e il loro metabolismo, permettono l’identificazione delle cellule tumorali circolanti nel sangue (CTC). Le CTC, verosimilmente responsabili della diffusione delle metastasi, derivano da tumori solidi e circolano nel sangue periferico ma, essendo presenti in quantità minime, sono difficili da individuare ed eliminare con i farmaci attualmente disponibili. I ricercatori coinvolti nella ricerca, che è stata pubblicata sulla rivista “Frontiers in Bioengineering and Biotechnology”, afferiscono all’Istituto di endocrinologia e oncologia sperimentale ‘G. Salvatore’ (Cnr-Ieos) e all’Istituto di scienze applicate e sistemi intelligenti (Cnr-Isasi) di Napoli.
“Le cellule tumorali hanno la capacità di assimilare grandi quantità di glucosio, fino a dieci volte più velocemente di quanto facciano le cellule normali. Abbiamo utilizzato la microscopia Raman per studiare l’assorbimento delle molecole di glucosio da parte delle cellule tumorali e osservare il loro metabolismo. Si tratta di un sistema di radiazione laser con il quale vengono illuminate le molecole, che ci permette di identificarle in maniera univoca, senza utilizzare particolari marcature”, spiega Alberto Luini, ricercatore associato del Cnr-Ieos.
“Abbiamo dimostrato che la capacità delle cellule tumorali di assorbire il glucosio più velocemente determina l’accumulo di lipidi in forma di goccioline, diversamente da quanto accade, per esempio, con i leucociti, le cellule sane del sangue. Questo ci fornisce un parametro affidabile per distinguere le cellule tumorali da quelle del sangue”, illustra Anna Chiara De Luca, ricercatrice del Cnr-Ieos.
“Per individuare le goccioline lipidiche con tempistiche simili a quelle di uno screening rapido, abbiamo combinato la microscopia Raman con l’imaging olografico in polarizzazione (PSDHI). Questa tecnica di imaging permette di identificare la morfologia delle cellule e mappare le proprietà birifrangenti delle goccioline lipidiche. Siamo così riusciti a distinguere le CTC dai leucociti in pochi secondi, con un’affidabilità vicina al 100%”, rivela Maria Antonietta Ferrara, ricercatrice del Cnr-Isasi.
“Questo approccio pone le basi per lo sviluppo di un nuovo metodo di isolamento delle cellule tumorali, semplice e universalmente applicabile. La raccolta e la coltura in vitro delle CTC, inoltre, ci consente di esaminare le loro caratteristiche genetiche e biochimiche e valutare la sensibilità a farmaci specifici”, afferma Giuseppe Coppola ricercatore del Cnr-Isasi.
Il rilevamento e la quantificazione delle cellule tumorali attraverso questo sistema combinato, realizzato grazie al sostegno di Fondazione Airc per la ricerca sul cancro e della Regione Campania, dopo la validazione in successivi studi preclinici e clinici, potrà essere utilizzato per lo screening, la diagnosi, la selezione della terapia e il monitoraggio della progressione delle patologie tumorali e delle eventuali recidive.

Esa, missione Juice arrivata a spazioporto Kourou. Lancio ad aprile

Esa, missione Juice arrivata a spazioporto Kourou. Lancio ad aprileRoma, 10 feb. (askanews) – La missione dell’Agenzia spaziale europea per esplorare Giove e le sue lune più grandi – Ganimede, Europa e Callisto – è arrivata sana e salva allo spazioporto europeo di Kourou in Guyana francese, dove sono ora in corso i preparativi finali per il suo lancio in programma ad aprile con un razzo Ariane 5 operato da Arianespace.
Juice (Jupiter Icy Moons Explorer) è arrivato l’8 febbraio all’aeroporto Félix Eboué di Cayenne con uno speciale volo cargo An-124 di Antonov Airlines da Tolosa, in Francia, dove il prime contractor Airbus ha completato un processo quasi decennale di ideazione, progettazione, test e costruzione. Ora, il veicolo spaziale sarà sottoposto a test finali e ispezioni da parte degli ingegneri dell’Esa e di Airbus prima di essere rifornito e montato sul suo razzo Ariane 5.
Il lancio intorno alla metà di aprile – l’ultimo di una missione Esa con Ariane 5 – segnerà l’inizio di un viaggio di otto anni verso Giove per studiare le lune ghiacciate del pianeta e ricavare informazioni utili alla comprensione delle condizioni per la formazione dei pianeti e la comparsa della vita e sul funzionamento del Sistema Solare. Giove è oltre cinque volte più lontano dal Sole rispetto alla Terra, quindi arrivarci è una grande sfida. Dopo il lancio, una serie di sorvoli gravitazionali della Terra e di Venere daranno a Juice la velocità e la direzione di cui ha bisogno per volare oltre la fascia degli asteroidi e raggiungere il più grande pianeta del nostro Sistema Solare.
Dopo il suo arrivo a Giove nel 2031, – spiega l’Esa – Juice sarà guidato attraverso altri 35 sorvoli delle lune del gigante gassoso per esplorare i suoi obiettivi principali: Callisto, Europa e Ganimede. La missione si concluderà con uno studio esteso di Ganimede: nel 2034 diventerà il primo veicolo spaziale a orbitare attorno a una luna diversa da quella terrestre.
Gli scienziati ritengono che Callisto, Europa e Ganimede contengano grandi quantità di acqua sepolta sotto le loro superfici in volumi molto maggiori rispetto agli oceani della Terra. Queste lune di dimensioni planetarie offrono indizi che le condizioni per la vita potrebbero esistere oltre il nostro pianeta, forse su mondi in orbita attorno a pianeti giganti invece che a stelle calde. Giove e la sua famiglia di grandi lune rappresentano un archetipo per i giganteschi sistemi planetari gassosi in tutto l’Universo, e come tali sono alcune delle destinazioni più interessanti nel nostro Sistema Solare. Grande nel cielo notturno, Giove era naturalmente un obiettivo per uno dei primi astronomi assistiti dal telescopio, Galileo, che nel 1610 scoprì Io, Europa, Callisto e Ganimede. A lui la missione rende omaggio con una targa che ne celebra l’opera.
Ampio il coinvolgimento italiano in questa missione e in particolare dell’Agenzia spaziale italiana affiancata dalla comunità scientifica – a partire dall’Inaf – e dall’industria nazionale. Dei 10 strumenti a bordo tre – la camera ottica JANUS, il radar RIME, lo strumento di radio scienza 3GM – sono sotto la guida dell’Italia con principal investigator, rispettivamente, Pasquale Palumbo dell’Università degli Studi di Napoli Parthenope, Lorenzo Bruzzone dell’Università degli Studi di Trento e Luciano Iess della Sapienza di Roma; e uno, lo spettrometro MAJIS, frutto di un accordo bilaterale tra l’Asi e l’agenzia spaziale francese Cnes, è sotto la responsabilità francese ma ha come co-principal investigator Giuseppe Piccioni dell’Inaf di Roma. Leonardo ha realizzato la telecamera ad alta risoluzione JANUS, ha fornito la testa ottica iperspettrale di MAJIS e ha realizzato i pannelli solari di Juice, i più grandi mai realizzati per una missione interplanetaria. Il radar RIME e lo strumento 3GM sono stati realizzati in Italia da Thales Alenia Space (joint venture tra Thales 67% e Leonardo 33%).

Antartide, ricercatori in isolamento per studio clima e biomedicina

Antartide, ricercatori in isolamento per studio clima e biomedicina

5 italiani tra i 12 alla base Concordia. Temperature fino a -80°C

Roma, 10 feb. (askanews) – Al via nella base italo-francese Concordia, a 3.300 metri di altitudine nel continente antartico, la 19a campagna invernale del Programma azionale di Ricerche in Antartide (PNRA), finanziato dal Ministero dell’Università e della Ricerca e gestito da ENEA per l’organizzazione e la logistica e dal Cnr per il coordinamento scientifico. Sono 12 gli invernanti selezionati che trascorreranno nove mesi in completo isolamento: 5 italiani del PNRA, 6 francesi dell’Istituto polare Paul Emile Victor (IPEV) e 1 medico tedesco dell’Agenzia Spaziale Europea (ESA). Durante tutto l’inverno polare, infatti, la stazione non sarà più raggiungibile a causa delle temperature esterne proibitive, che possono scendere fino a -80°C. In questi mesi saranno condotti studi su clima, glaciologia, fisica e chimica dell’atmosfera e biomedicina e diverse attività di manutenzione della stazione.
L’inizio del winterover – si legge nella notizia pubblicata sull’ultimo numero del settimanale ENEAinform@ – coincide ogni anno con la chiusura della stazione costiera Mario Zucchelli a Baia Terra Nova, che serra oggi i battenti per riaprire il prossimo ottobre con l’arrivo del contingente della nuova spedizione estiva. Nel corso dell’attuale campagna sono stati condotti oltre 50 progetti di ricerca su scienze dell’atmosfera, geologia, paleoclima, biologia, oceanografia e astronomia, nonostante le difficoltà causate dal ridotto spessore del ghiaccio. I dati raccolti in Antartide saranno poi elaborati e analizzati nei laboratori di diversi enti di ricerca e università italiane. Hanno partecipato alla spedizione 240 ricercatori e tecnici, tra cui 23 esperti militari di Esercito, Marina, Aeronautica, Arma dei Carabinieri e Vigili del fuoco.
Dopo la chiusura della base Zucchelli, le attività di ricerca proseguono, oltre che a Concordia, anche a bordo della nave Laura Bassi, impegnata nella seconda campagna oceanografica nel Mare di Ross con studi dedicati alla geofisica e rilievi idrografici, in collaborazione con l’Istituto Idrografico della Marina Militare, incentrati sulla mappatura dei fondali marini e la realizzazione di carte per la sicurezza della navigazione. La rompighiaccio italiana, di proprietà dell’Istituto Nazionale di Oceanografia e di Geofisica Sperimentale (OGS), si è resa protagonista nei giorni scorsi di un record mondiale toccando il punto più a sud dell’emisfero raggiungibile via nave. Le condizioni del mare, straordinariamente libero dai ghiacci, hanno consentito ai ricercatori di effettuare importanti analisi, profilature e attività di pesca scientifica. La Laura Bassi rientrerà al porto di Lyttelton in Nuova Zelanda i primi di marzo, mentre il rientro in Italia è atteso per la seconda metà di aprile.
A novembre, la 38a spedizione ha fatto da cornice al primo atterraggio di prova del C-130J della 46a Brigata Aerea dell’Aeronautica Militare sull’unica aviopista del continente antartico realizzata su morena. L’infrastruttura, progettata e realizzata da ENEA e Aeronautica Militare, sarà messa in esercizio effettivo il prossimo anno. La 38a spedizione estiva ha segnato anche la conclusione della seconda campagna di perforazione del progetto europeo Beyond EPICA – Oldest Ice, una sfida senza precedenti che mira a studiare il clima fino a un milione e mezzo di anni fa, ricercando nel ghiaccio antartico l’evoluzione delle temperature e della concentrazione dei gas serra sulla Terra. Durante la campagna è stata ultimata l’installazione del complesso sistema di perforazione della calotta polare che ha permesso di raggiungere la profondità di oltre 800 metri. Nella squadra del progetto, coordinato dall’Istituto di scienze polari del Cnr, partecipano per l’Italia anche l’Università Ca’ Foscari e l’ENEA, incaricata, insieme all’IPEV, del modulo di lavoro relativo alla logistica.
“Siamo molto soddisfatti per l’esito della 38a spedizione, che ha segnato una serie di successi per la ricerca italiana in Antartide, nonostante imprevisti e difficoltà”, commenta Elena Campana, responsabile Unità tecnica Antartide dell’ENEA. “L’impossibilità di atterrare in prossimità delle Stazione Mario Zucchelli, a causa del ridotto spessore del ghiaccio marino, ci ha costretto a riprogrammare buona parte delle attività della campagna, ma al tempo stesso ha accelerato il primo atterraggio sulla pista semi-preparata su morena, per la quale ENEA lavorava da anni insieme all’Aeronautica Militare e in collaborazione con i Vigili del Fuoco. Una pista destinata a diventare in Antartide un hub internazionale al servizio della ricerca scientifica, non solo italiana”.

Einstein Telescope, Zoccoli (Infn): candidatura Italia molto forte

Einstein Telescope, Zoccoli (Infn): candidatura Italia molto forteRoma, 10 feb. (askanews) – “Ringraziamo il Ministro Anna Maria Bernini per l’istituzione di un comitato scientifico ad hoc per sostenere la candidatura italiana a ospitare Einstein Telescope, la grande infrastruttura di ricerca europea di prossima generazione per lo studio delle onde gravitazionali. E ringraziamo il premio Nobel Giorgio Parisi per il suo impegno nel presiedere questo nuovo gruppo di lavoro”. Così Antonio Zoccoli, presidente dell’INFN Istituto Nazionale di Fisica Nucleare, commentando l’istituzione da parte del ministro dell’Università e della Ricerca, Anna Maria Bernini, del gruppo di esperti che dovrà promuovere a livello scientifico la candidatura italiana per l’importante infrastruttura di ricerca internazionale per l’osservazione delle onde gravitazionali, in stretto raccordo con la rete diplomatica. Gruppo – presieduto da Parisi – di cui il presidente dell’INFN è stato chiamato a far parte insieme all’ambasciatore Ettore Sequi, Segretario generale del Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale, e agli scienziati Marica Branchesi e Fernando Ferroni, del Gran Sasso Science Institute e dell’INFN.
“Quella italiana è una candidatura molto forte. Il sito individuato, nella ex-miniera di Sos Enattos, in Sardegna, offre caratteristiche ideali per ospitare ET, e l’Italia sta affrontando la competizione con grande spirito di squadra tra istituzioni scientifiche e politiche con MUR e Regione Autonoma della Sardegna in prima linea. Inoltre, possiamo contare sulle competenze multidisciplinari delle comunità scientifiche italiane coinvolte nel progetto, e sull’esperienza specifica della comunità dell’INFN che da cinquant’anni è tra i protagonisti mondiali delle ricerche sulle onde gravitazionali premiate con il Nobel nel 2017”, conclude Zoccoli.
L’Einstein Telescope è il progetto europeo più ambizioso nel campo della fisica gravitazionale e, candidato da una cordata internazionale guidata dall’Italia, è stato inserito nella roadmap ESFRI, lo European Strategy Forum on Research Infrastructure che individua le infrastrutture di ricerca su cui l’Europa ritiene sia decisivo investire. Lo studio di fattibilità di ET è stato sviluppato grazie a un finanziamento della Commissione Europea, e successivamente un consorzio di Paesi e di Istituti di ricerca e Università europei, con l’Italia capofila, ha formalizzato la proposta per la sua realizzazione.
ET sarà un osservatorio terrestre di prossima generazione per lo studio delle onde gravitazionali. Sarà in grado di rivelare segnali gravitazionali con una sensibilità tale da esplorare una porzione di universo di gran lunga maggiore rispetto agli attuali esperimenti. Questo permetterà, per esempio, di studiare le popolazioni di buchi neri, di osservare per la prima volta nuovi fenomeni astrofisici, di indagare il modello cosmologico che descrive l’evoluzione dell’universo, di contribuire alla comprensione della natura della materia oscura. ET sarà un interferometro sotterraneo che utilizzerà tecnologie estremamente potenziate rispetto a quelle implementate negli attuali rivelatori, Advanced Virgo e Advanced LIGO, nel campo della fotonica, dell’ottica, della meccanica di precisione, dell’elettronica, della criogenia, della scienza dei materiali e del computing avanzato.
Per operare al meglio delle sue potenzialità, l’osservatorio ET dovrà essere realizzato in un’area geologicamente stabile e scarsamente abitata: le vibrazioni del suolo (di origine sia naturale sia antropica) possono, infatti, mascherare il debole segnale generato dal passaggio di un’onda gravitazionale. Attualmente sono in fase di valutazione due siti per ospitare la nuova grande infrastruttura: uno in Italia, in Sardegna, all’interno della miniera dismessa di Sos Enattos nel Nuorese, e l’altro nell’Euregio Mosa-Reno, ai confini di Belgio, Germania e Paesi Bassi. Gruppi di studio multidisciplinari stanno lavorando alla caratterizzazione dei due siti per valutarne l’idoneità, e una decisione sulla futura localizzazione di ET sarà presa entro il 2025.
Al di là del grande valore scientifico, la realizzazione nel sito sardo di una grande infrastruttura di ricerca europea come ET – sottolinea l’INFN – avrebbe un positivo e significativo impatto socioeconomico sul territorio e per tutto il nostro Paese. Si tratta di un investimento infrastrutturale di almeno un miliardo e mezzo di euro in grado di spingere l’innovazione tecnologica e l’industria e, sul lungo termine, di divenire un grande polo scientifico internazionale, capace di attrarre risorse e ricercatori dall’estero. Rappresenta quindi un motore di sviluppo, innovazione, crescita economica e sociale per la Sardegna, l’Italia e l’Europa.
L’Italia, grazie all’INFN, ha una prestigiosa tradizione e una riconosciuta leadership internazionale nella ricerca delle onde gravitazionali, con competenze e conoscenze, sia scientifiche sia di sviluppo tecnologico, acquisite con un’esperienza di lungo corso nella progettazione e realizzazione di rivelatori gravitazionali. L’INFN è tra i pionieri e iniziatori a livello mondiale degli esperimenti per la rivelazione delle onde gravitazionali, su questo ha creato una vera e propria comunità delle onde gravitazionali in grado di fare scuola, e ha fondato, assieme al francese CNRS, Virgo, uno dei soli tre interferometri al mondo che ad oggi hanno osservato i segnali gravitazionali. Virgo si trova in Italia, vicino a Pisa, all’Osservatorio Gravitazionale Europeo EGO, e assieme agli altri due interferometri LIGO, che si trovano negli Stati Uniti, è stato protagonista delle scoperte che hanno portato al Premio Nobel per la Fisica nel 2017, e alla nascita dell’astronomia gravitazionale e dell’astronomia multimessaggera, due modi completamente nuovi di studiare il cosmo e l’universo.