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Tag: Sanremo 2023

Salone del Vino di Torino: dal 2 al 4 marzo la seconda edizione

Salone del Vino di Torino: dal 2 al 4 marzo la seconda edizioneMilano, 24 gen. (askanews) – La seconda edizione del Salone del vino di Torino si terrà dal 2 al 4 marzo, anticipata da una settimana diffusa di eventi in tutta la città che prenderà il via martedì 27 febbraio con momenti di approfondimento e cene con i vigneron in centinaia di luoghi della cultura a partire dal Circolo dei Lettori, Combo, Offtopic, piole e grandi ristoranti, enoteche e spazi informali con musica e degustazioni.

Più di 500 le Cantine che saranno coinvolte nella fiera, che si snoderà tra le OGR Torino e il Museo del Risorgimento. Le giornate di sabato 2 e domenica 3 marzo saranno aperte agli appassionati, mentre quella di lunedi 4 sarà dedicata esclusivamente agli operatori professionali che, da quest’anno, non saranno solo italiani. Grazie alla partnership con più di 25 realtà di promozione, quali Consorzi del vino, enoteche regionali e associazioni di valorizzazione del territorio, la tre giorni sarà il più grande palco di rappresentazione del Piemonte del vino. L’obiettivo della manifestazione è infatti quello di raccontare tutte le sfaccettature della straordinaria realtà enologica piemontese, “facendo scoprire al grande pubblico e agli operatori del settore le radici profonde di un territorio che guarda al futuro, attraverso la lente di ingrandimento della sostenibilità”. Sostenibilità ambientale, economica e sociale, da promuovere anche grazie al neonato comitato scientifico e alla collaborazione, tra le altre, con con il Dipartimento di Scienze Agrarie, forestali e alimentari di Torino, il Politecnico di Torino e il Dipartimento di Ingegneria e Architettura di Parma.

Tra le novità dell’edizione 2024, che punta a consolidare il successo di pubblico (“oltre 13mila presenze”) del 2023, la presenza di una regione ospite: la Valle d’Aosta con le sue Cantine di vino e i suoi spirit. Il Salone diventa inoltre cashless.

Usa2024, Trump non stravince in New Hamsphire e Haley non molla

Usa2024, Trump non stravince in New Hamsphire e Haley non mollaRoma, 24 gen. (askanews) – Donald Trump ha vinto le primarie repubblicane in New Hampshire, in un duello con Nikki Haley che lo proietta verso una nuova nomination repubblicana per la Casa Bianca. La sfidante però non molla. L’ex governatrice del South Carolina guarda alle primarie nello Stato da lei guidato dal 2011 al 2017, in calendario il 24 febbraio, come una chance di rilancio. I media americani e diversi analisti fanno notare che sarà l’ultima occasione e che i candidati non in carica e vincenti in Iowa e New Hampshire, nella storia elettorale americana, hanno sempre vinto la nomination per la Casa Bianca. Come sintetizza Cnn: Nikki Haley sta combattendo contro la storia. Intanto il team elettorale di Joe Biden si mobilita per un nuovo duello con il tycoon, il prossimo novembre.

Nel New Hampshire Trump ha vinto ma avrebbe voluto vincere di più: è arrivato al 54,% dei voti secondo gli ultimi dati aggiornati dal New York Times – ma i commenti dopo i risultati hanno lasciato trasparire un certo disappunto. L’ex presidente ha definito Haley “un impostore” accusandola di avere rivendicato la vittoria malgrado sia andata “molto male”. In realtà l’ex governatrice ha ottenuto un risultato migliore rispetto a diverse previsioni, distaccata da Trump di ‘soli’ 11 punti percentuali (ha ottenuto il 43,1%). Nella notte ha parlato molto presto, quando i primi risultati erano per lei più favorevoli, come previsto, in quanto in arrivo dai principali centri urbani. Il messaggio implicito è: niente di inatteso stanotte, vediamo tra un mese in South Carolina. Trump è apparso molto irritato e ha invitato due ex aspiranti candidati alla presidenza – l’imprenditore Vivek Ramaswamy e il senatore della Carolina del Sud Tim Scott ad attaccare Haley dal palco post-primarie. “Stanotte abbiamo visto America first sconfiggere America last”, ha scandito il businessman, giocando sullo slogan trumpiano “Prima l’America”. Niente di nuovo.

Insomma Trump avrebbe voluto un risultato più netto, per considerare chiusa la questione del candidato repubblicano alle presidenziali di novembre. Come ha commentato Julie Chavez Rodriguez, manager della campagna di Biden, l’ex presidente repubblicano “non ha affatto chiuso” la nomination. “La corsa non è per niente finita, ci sono ancora decine di Stati”, ha affermato da parte sua Haley. Haley non parteciperà ai caucus del Nevada l’8 febbraio (parteciperà invece alle primarie dello stato, il che non le porterà a vincere alcun delegato). La sfida probabilmente decisiva sarà in Carolina del Sud, ma nei prossimi giorni, fa notare Cnn, probabilmente si ritroverà sotto grande pressione sull’opportunità di restare in gara. La sua campagna ha comunque annunciato la decisione di investire 4 milioni di dollari per spot tv nella Carolina del Sud.

Haley ha usato il suo discorso nella notte per martellare sui punti deboli di Trump, definendolo il candidato ideale dei democratici, “l’unico repubblicano del Paese che Joe Biden può sconfiggere”. Perché se l’ex presidente è in forte vantaggio nelle primarie Gop, i sondaggi indicano che la sfidante farebbe meglio in un ipotetico confronto elettorale con Biden. “Il primo partito a mandare in pensione il suo candidato ottantenne sarà il partito che vincerà queste elezioni”, ha detto ieri sera, senza dimenticare di sottolineare l’età dei due probabili sfidanti di novembre: Trump compirà 78 anni il giorno delle elezioni di novembre e Biden avrà 81 anni. Nel New Hampshire, riferiscono i media Usa, Haley ha ottenuto il voto del 29% dell’elettorato che si è identificato come moderato con un margine di 3 a 1. La campagna di Biden, nel frattempo, si sta preparando per un inizio anticipato delle elezioni generali, spostando due assistenti senior dalla Casa Bianca alla sua campagna. Jen O’Malley Dillon, che è stata responsabile della campagna di Biden del 2020, è pronta a passare al ruolo di presidente della campagna dell’inquilino della Casa Bianca, mentre Mike Donilon, guru di lunga data della messaggistica di Biden, sarà chief strategist.

Usa2024, Trump vince primarie New Hampshire. Haley: ‘Non è finita’

Usa2024, Trump vince primarie New Hampshire. Haley: ‘Non è finita’Roma, 24 gen. (askanews) – Donald Trump si aggiudica le primarie repubblicane in New Hampshire. Tutti i media Usa gli hanno attribuito la vittoria sulla base delle proiezioni quando lo spoglio era arrivato a poco meno del 20% dei voti e gli attribuiva il 54,7% contro il 43,8% ottenuto dalla ex governatrice del Sud Carolina Nikki Haley.

Secondo la Cnn questa vittoria, dopo quella in Iowa, spiana la strada a Trump per la terza candidatura consecutiva alla Casa Bianca. Non è d’accordo Haley che parlando ai suoi sostenitori ha prima concesso la tornata al suo avversario: “Volevo congratularmi con Donald Trump per la sua vittoria, se l’è guadagnata e ne voglio dare atto”. Ma poi ha precisato che quella di Trump “è una vittoria anche per Biden” e che “la corsa è lungi dall’essere finita. Ci sono ancora molti stati e il prossimo è la mia Sud Carolina. Io sono una combattente”.

Ma la situazione per la rivale di Trump può complicarsi in vista del prossimo appuntamento con le primarie di fine febbraio se alla fine si dovesse materializzate un distacco a doppia cifra. Sprezzante in commento di Trump sui social: “Haley ha detto che avrebbe vinto in New Hampshire. Non lo ha fatto!!! Delirante!!!”. Poi posta alcuni sondaggi che lo danno in vantaggio sia su Biden che su Haley. Mentre i suoi sostenitori già chiedono a Haley di tirarsi fuori dalla corsa per la candiatura repubblicana.

Da segnalare anche la vittoria “simbolica” di Joe Biden alle primarie democratiche in New Hampshire alle quali il presidente Usa in carica non ha formalmente partecipato. Biden è infatti risultato primo come candidato “write in” cioè votato come preferenza non prestampata sulla scheda elettorale. Le primarie dem in New Hampshire si sono infatti tenute fuori dal calendario del partito democratico e quindi Biden non avrà delegati.

M.O, attacchi aerei Usa contro milizie filoiraniane in Iraq

M.O, attacchi aerei Usa contro milizie filoiraniane in IraqRoma, 23 gen. (askanews) – Gli Stati Uniti hanno condotto una serie di attacchi aerei contro milizie filoiraniane in territorio iracheno in riposta a “ripetuti attacchi” contro le forze americane.

Gli attacchi hanno colpito tre infrastrutture utilizzate dai gruppi filoiraniani in Iraq per lo stoccaggio di razzi e missili e per l’addestramento dei miliziani. Si tratta, ha spiegato il segretario alla Difesa Usa Lloyd Austin di “una risposta diretta ad un’escalation di attacchi contro il personale statunitense e della coalizione in Iraq e Siria”.

“Il Presidente e io – ha aggiunto – non esiteremo a intraprendere le azioni necessarie per difendere i nostri interessi. Non vogliamo intensificare il conflitto nella regione. Ma siamo pienamente preparati ad adottare ulteriori misure per proteggere il nostro personale e le nostre strutture. Chiediamo a questi gruppi e ai loro sponsor iraniani di cessare immediatamente questi attacchi”.

Dopo ok a Autonomia Fdi corre sul Premierato: via l’antirbaltone

Dopo ok a Autonomia Fdi corre sul Premierato: via l’antirbaltoneRoma, 23 gen. (askanews) – Le proposte di modifica sono pronte e sono custodite in una cartellina che il meloniano Alberto Balboni, presidente della commissione Affari costituzionali del Senato, custodisce gelosamente mentre cammina per i corridoi di palazzo Madama. Due paginette, che contengono sette ipotesi di emendamento che – racconta – sono state predisposte da lui stesso e da Marcello Pera negli ultimi giorni.

Prima, giovedì scorso, se ne era discusso a palazzo Chigi con la premier Giorgia Meloni in un vertice che avrebbe dovuto rimanere segreto. Ed è in quell’occasione che la presidente del Consiglio avrebbe dato il via libera all’ipotesi di cambiare la contestatissima (dai costituzionalisti e non solo) norma anti ribaltone, ovvero quella che prevede la possibilità di un ‘secondo premier’ che a differenza di quello eletto avrebbe la facoltà di porre fine alla legislatura. A Fratelli d’Italia non è mai piaciuta, ma era stata la Lega a chiederne l’inserimento: a scriverla sarebbe stato direttamente Roberto Calderoli. Ora però nel partito di maggioranza relativa sono convinti che il Carroccio possa essere più aperto all’ipotesi di rinunciarvi, anche perché – è il ragionamento di Fdi – ha incassato il primo sì alla ‘sua’ Autonomia e ora tocca al ‘nostro’ premierato. Per entrambi i partiti di maggioranza si tratta di bandiere da sventolare in vista delle Europee: la Lega ipotizza addirittura di avere il via libera definitivo all’Autonomia prima di quella scadenza. Ma nel partito di Meloni in molti prevedono che il passaggio alla Camera non potrà avere accelerazioni almeno fino a quando “la madre di tutte le riforme” non avrà avuto l’ok dell’aula del Senato.

La presidente del Consiglio ha chiesto alla maggioranza di non trasformare il ddl di riforma costituzionale in un “campo di battaglia” e di “evitare fughe in avanti”, ragion per cui i partiti del centrodestra hanno deciso che saranno presentate solo proposte di modifica condivise. La partita, però, al momento è tutta nelle mani di Fratelli d’Italia e non solo perché Balboni, che è anche relatore del provvedimento, ha avuto il compito di mettere nero su bianco le ipotesi di modifica. Un passaggio con il resto della coalizione sarà comunque necessario e dovrebbe essere effettuato in un vertice con i capigruppo di maggioranza e i componenti della commissione che si terrà domani. Prima però i testi predisposti saranno nuovamente messi sotto la lente di ingrandimento di palazzo Chigi. Balboni non rivela, ma lascia intendere, in che modo potrebbe essere modificata la norma anti ribaltone: un ritorno sostanziale al ‘simul stabunt-simul cadent’ con poche eccezioni, per esempio in caso di impedimento del premier eletto. “E’ – spiega – una ipotesi di aggiustamento di questa norma” per evitare da un lato “che in casi eccezionali si debba tornare alle urne” ma anche “salvaguardare il ruolo che deve avere un premier che, non dobbiamo mai dimenticare, è eletto dai cittadini”. Si ragiona anche sull’ipotesi di accogliere delle proposte dell’opposizione, per esempio sul limite dei due mandati. Di certo, sarà eliminato il tetto del 55% in Costituzione per il premio di maggioranza.

Per presentare gli emendamenti, comunque, ci sarà più tempo del previsto. Non più il 29 gennaio, complice anche il fatto che quel giorno il Senato ospiterà il blindatissimo summit Italia-Africa, ma qualche giorno in più come peraltro richiesto dalle opposizioni.

Obbligo di trasparenza, controlli e sanzioni fino 50mila euro, ecco il ddl beneficenza (nato dopo il caso Ferragni)

Obbligo di trasparenza, controlli e sanzioni fino 50mila euro, ecco il ddl beneficenza (nato dopo il caso Ferragni)Roma, 23 gen. (askanews) – Obbligo di trasparenza sulle confezioni e nelle pubblicità sulle finalità e gli importi dati in beneficienza e sanzioni fino a 50mila euro irrogate dall’Antitrust per le violazioni. E’ quanto prevede la bozza composta di 5 articoli del ddl beneficenza che andrà domani all’esame del preconsiglio dei ministri e che sarà esaminata dal Cdm di giovedì.

Il provvedimento stabilisce che i consumatori “hanno diritto di ricevere dai produttori e dai professionisti un’adeguata informazione” sulla destinazione in beneficenza di una parte dei proventi della vendita di un prodotto. Per questo viene introdotto l’obbligo di riportare sulle confezioni dei prodotti e sugli annunci pubblicitari: “il soggetto destinatario dei proventi della beneficenza; le finalità a cui sono destinati i proventi della beneficenza; l’importo complessivo destinato alla beneficenza, se predeterminato; ovvero, nel caso in cui non lo sia, la quota percentuale del prezzo di vendita o l’importo destinati alla beneficenza per ogni unità di prodotto”.

Prima di porre in vendita i prodotti, poi, queste informazioni andranno comunicate all’Antitrust insieme al termine entro cui sarà effettuato il versamento dell’importo destinato alla beneficenza e, successivamente, l’effettivo versamento dell’importo. In caso di violazione di queste disposizioni, e “salvo che il fatto costituisca reato o una pratica commerciale scorretta” la stessa Antitrust potrà irrogare una sanzione amministrativa da 5.000 a 50.000 euro. Il provvedimento dovrà essere reso pubblico a spese dell’autore della violazione altrimenti scatta una ulteriore sanzione da 5.000 a 50.000 euro.

Il ddl prevede poi che “nei casi di maggiore gravità la sanzione è aumentata fino a due terzi” mentre “nei casi di minore gravità la sanzione è diminuita fino a due terzi”. In caso di reiterazione della violazione è disposta la sospensione dell’attività per un periodo da un mese a un anno.

Dal Senato primo sì ad Autonomia ma in aula risuona inno Mameli

Dal Senato primo sì ad Autonomia ma in aula risuona inno MameliRoma, 23 gen. (askanews) – L’aula del Senato ha approvato il disegno di legge del Governo Meloni per l’attuazione dell’autonomia regionale differenziata, collegato alla legge di bilancio, che porta il nome del ministro leghista per gli Affari regionali Roberto Calderoli. I sì della maggioranza sono stati 110, i no 64 (Pd-M5S-AVS-Iv), 3 gli astenuti: due senatori di Azione (ma Mariastella Gelmini ha votato a favore) e uno del gruppo Autonomie, nel quale si registrano anche due voti favorevoli al ddl governativo.

L’iter legislativo è durato molti mesi, la commissione Affari costituzionali ha svolto decine di audizioni, ma fra opposizioni e maggioranza la polemica è sempre viva, come dimostra anche la pittoresca e convulsa conclusione della seduta di palazzo Madama, con i parlamentari che prima dai banchi della minoranza poi da quelli della maggioranza si sono “sfidati” intonando l’inno di Mameli, con intenti evidentemente contrapposti. A dar fuoco alle polveri, secondo il racconto di alcuni senatori che hanno lasciato l’aula a fine lavori, è stata la senatrice veneta della Lega Mara Bizzotto, che all’esito del voto ha sventolato la bandiera di san Marco, tradizionale simbolo del secessionismo del Nordest. Anche se le opposizioni, ad esempio con una nota del capogruppo Pd Francesco Boccia, si dicono pronte a raccogliere le firme per il referendum abrogativo, a sottolineare il fatto che quello di palazzo Madama è un passaggio intermedio e che il traguardo non è vicinissimo anche il livello degli interventi in aula: Matteo Salvini, pur presente al momento del voto, lascia l’intervento al capogruppo della Lega Massimiliano Romeo. Dagli altri gruppi nessun intervento di capigruppo o leader di partito, il solo Peppe De Cristofaro, rappresentante della piccola pattuglia di AVS, è anche presidente del gruppo Misto. La stessa presidenza della seduta affidata, come da turnazione programmata, al vicepresidente leghista dell’assemblea, Gian Marco Centinaio, e non al presidente Ignazio La Russa, sempre presente nei momenti più solenni, contribuisce alla sensazione di un momento transitorio.

Nel dibattito, Mariolina Castellone del M5S accusa i senatori di maggioranza di “essere sì patrioti, ma i patrioti di 20 piccole patrie”. “Si è consumato – è la lettura di Andrea Gioregis che parla a nome del gruppo del Pd – uno scambio tra le due riforme, tra la Lega e Fratelli d’Italia. E la Lega, sull’autonomia differenziata, ha avuto la meglio. Uno scambio al ribasso, perché, nel merito, ha prodotto disposizioni del tutto irragionevoli, che rischiano di far crescere divisioni e conflittualità territoriali, politiche e sociali e così, alla fine, di impoverire tutto il Paese”. Accusa respinta al mittente da Romeo: “Grazie al Governo. Grazie anche al patto di maggioranza di cui noi – rivendica l’esponente leghista – andiamo assolutamente fieri. Più poteri al premier significa, dall’altra parte, controbilanciare con più autonomia sul territorio”. Andrea De Priamo, per Fratelli d’Italia, parla dal canto suo di “una democrazia che diventa una democrazia decidente e più stabile, un rafforzamento dell’esecutivo ci può stare molto bene con l’applicazione del principio di sussidiarietà”. E ribatte alle accuse della minoranza parlamentare di aver creato uno “Spacca-Italia”, facendo ricorso alla storia: “Non si spacca e non si divide nulla, perché l’Italia, la sua identità profonda, che già Goffredo Mameli ma anche Mazzini richiamavano come risalente a Dante Alighieri (Mameli in un’altra sua composizione parlava del sogno di Dante), è sicuramente anche l’Italia delle specificità, è l’Italia dei 1.000 campanili, è l’Italia dei dialetti, è l’Italia delle piazze, dei borghi; è l’Italia delle differenze enogastronomiche. Quell’Italia delle tradizioni popolari e religiose ha, però, dalla più piccola frazione alla più grande metropoli, dei luoghi che simboleggiano la sua unità, cioè i monumenti ai caduti. In quei luoghi è fisicamente visibile come si sia forgiato, nel sacrificio delle trincee, quel sentimento nazionale che per noi è sacro e che non è minimamente intaccato da questo provvedimento”. Il provvedimento era in prima lettura e restano tutti da definire i tempi per l’esame in seconda lettura alla Camera, dove secondo fonti parlamentari di maggioranza potrebbe riproporsi una certa differenza di intenti fra la fretta della Lega, che si aspetta l’ok definitivo prima delle elezioni europee, e la cautela di Fratelli d’Italia: il partito della premier Giorgia Meloni, infatti, preme perché il ddl costituzionale sull’elezione diretta del presidente del Consiglio, attualmente all’esame della commissione Affari costituzionali del Senato per la prima delle quattro letture previste, abbia una tempistica almeno parzialmente coordinata con la riforma Calderoli.

L’autonomia differenziata, però, è una legge ordinaria, e per i suoi maggiori sostenitori, i leghisti, appunto, i suoi contenuti sono stati definiti nel passaggio a palazzo Madama, fino all’ultima bagarre sull’emendamento De Priamo, riformulato la scorsa settimana in commissione Bilancio per riportare nei limiti degli “equilibri di bilancio” e delle previsioni della manovra del 2022 l’indicazione della necessità di stanziare fondi sufficienti per garantire l’erogazione dei Livelli essenziali delle prestazioni: sia alle Regioni che sceglieranno l’autonomia, sia a quelle che non lo faranno.

Stellantis, Tavares: da politica critiche ingiuste, pesa ritardo incentivi

Stellantis, Tavares: da politica critiche ingiuste, pesa ritardo incentiviAtessa, 23 gen. (askanews) – Le critiche della premier Giorgia Meloni e del leader di Azione Carlo Calenda a Stellantis, accusata di essere sempre meno italiana e di non investire nel Paese “sono ingiuste, soprattutto verso gli oltre 40mila dipendenti italiani che stanno mettendo tutto il loro impegno per affrontare la transizione e che per questo voglio ringraziare”. Dallo stabilimento di Atessa in Abruzzo dove è iniziata la produzione dei nuovi veicoli commerciali di grandi dimensioni con l’obiettivo di diventare leader globali, il Ceo di Stellantis, Carlos Tavares risponde alle critiche della politica e rilancia accusando il governo di ritardi negli incentivi per l’elettrico che hanno fatto perdere volumi a Mirafiori dove si produce la 500e.

“Ringrazio il governo per gli incentivi che arriveranno a febbraio. Ma il confronto è durato 9 mesi e il risultato è che a Mirafiori, dove si produce la 500e abbiamo perso quote di mercato e produzione. L’Italia è fra i paesi che investono meno nell’elettrico”, afferma Tavares che ribadisce la volontà di proseguire il “dialogo” con il governo in vista del tavolo automotive convocato per il primo febbraio. Alla luce delle difficoltà del settore, il top manager mette in guardia l’esecutivo e in particolare il Ministro Urso rispetto all’ipotesi di portare un competitor a produrre in Italia. “Vogliamo proteggere i nostri stabilimenti e la produzione in Italia. Ma se il governo pensa che sia meglio introdurre un competitor, siamo pronti a combattere. Ma ci saranno delle conseguenze”. Così come ci saranno conseguenze anche dalla decisione Ue di lasciare “la porta aperta ai prodotti cinesi, che hanno un vantaggio competitivo sui prezzi del 30%”.

Il tema dei costi è centrale per la sostenibilità del business. “L’elettrico costa il 40% in più del termico. Siamo sulla buona strada per ridurre i costi e rendere questa tecnologia accessibile, ma servono incentivi e la collaborazione dei fornitori”. Sul futuro degli stabilimenti italiani, Tavares lancia messaggi rassicuranti su Melfi “lo stabilimento non è a rischio, a prescindere dai prodotti che faremo” e conferma gli investimenti per la gigafactory di Termoli. Il governo però deve lavorare in particolare per Atessa che esporta l’85% della produzione “per migliorare le infrastrutture, in particolare porti e ferrovie e per ridurre i costi dell’energia fra i più cari d’Europa”.

Ratifica accordo Italia-Albania blindata, domani disco verde Camera

Ratifica accordo Italia-Albania blindata, domani disco verde CameraRoma, 23 gen. (askanews) – Si sono svolte nell’aula della Camera, le votazioni sugli emendamenti al ddl di ratifica del protocollo Italia-Albania che punta a costruire, nel territorio albanese e sotto la gestione italiana, due centri per migranti. Governo e maggioranza hanno dato parere negativo alle 90 proposte di modifica delle opposizioni. Il testo è blindato e nessuna richiesta di modifica è arrivata dal centrodestra che, su questi temi, conferma assoluta compattezza.

Dopo la bocciatura delle pregiudiziali costituzionali e di merito e la questione sospensiva depositate dalle opposizioni, i deputati di minoranza hanno preso la parola in massa sul merito dei singoli emendamenti. I tempi per ogni gruppo erano contingentati, ostacolo aggirato in parte con interventi a titolo personale. Il prosieguo e il voto finale sul provvedimento sono dunque slittati a domani mattina. In aula erano presenti circa 280 deputati su 400 (quasi 100 in missione). Tra le proposte di modifica bocciate il coinvolgimento del Parlamento nell’eventuale rinnovo del protocollo, la previsione nei centri di un servizio di assistenza psicologica e quella di un rappresentante del Garante nazionale dei diritti delle persone private delle libertà personali. Respinto anche un testo del Pd in cui si chiedeva di mettere “nero su bianco” che nelle strutture in Albania potessero essere condotti migranti solo nel caso in cui il trasporto verso il territorio albanese non comportasse “un evidente ritardo nell’espletamento dei soccorsi” e di prevedere l’esclusione “di minori non accompagnati, di donne incinte e di persone bisognose di cure urgenti ed essenziali e in generale di persone vulnerabili”.

Il dibattito su questo emendamento è durato circa un’ora in cui la minoranza ha accusato l’esecutivo di aver blindato il testo per un “diktat di Palazzo Chigi” e ha evidenziato come le rassicurazioni “a voce” fatte dai rappresentanti dell’esecutivo non possono bastare quando si tratta di “garantire i diritti umani” peraltro di “persone vulnerabili”. A replicare il viceministro agli Esteri, Edmondo Cirielli (Fdi), che ha respinto la richiesta di accantonare l’emendamento per “mantenere – ha detto – il testo snello e non appesantire norme che possono essere mese in campo in via secondaria”. Pochi gli interventi in aula della maggioranza. Alessandro Urzì (Fdi) ha sostenuto che l’obiettivo della minoranza “dal primo momento” è stato quello di ottenere il “rinvio del provvedimento. Noi invece – ha affermato – siamo chiamati a governare i fenomeni migratori e non più a subirli”.

Diametralmente opposto il giudizio sul protocollo e sul ddl di ratifica da parte delle opposizioni. “A 110 anni dalla campagna d’Albania del 1915-1918 e a 85 anni dall’occupazione del 1939 e dal successivo protettorato, alcuni esploratori italiani sono pronti a recarsi in Albania per fare sperimentazioni sulle politiche migratorie, cioè, tradotto, sulla pelle dei migranti. Non nel nostro nome, non nel nome dell’Italia fondata sulla Costituzione” (Paolo Ciani del Pd); “l’unica cosa storica che state facendo è il disonore con il quale state coprendo il nostro Paese per questo provvedimento indegno” (il Dem Matteo Orfini); con il protocollo “comincia la campagna elettorale della Meloni” che costerà agli italiani “milioni di euro per ospitare al massimo 720 persone al mese: un numero infinitesimale rispetto a oltre 150 mila migranti sbarcati in Italia nel 2023” (Alfonso Colucci dei Cinque Stelle). E ancora: “a voi interessa la photo opportunity prima delle elezioni europee” e non quello che succederà il “giorno dopo” ai migranti ma anche “agli agenti della Polizia penitenziaria, i responsabili del centro, gli operatori sanitari” (Maria Elena Boschi). “Vi preparate, cinicamente e consapevolmente, a scaricare vite di persone in carne e ossa in una condizione in cui è evidente che i loro diritti fondamentali saranno sistematicamente violati” spendendo una “valanga di quattrini” (Nicola Fratoianni, Avs); un castello di carte fuori dal diritto”, un’operazione “inutile perché non aumenteranno i rimpatri, costosissima, disumana” (Riccardo Magi di +Europa).

Autonomia, Bersani: è una presa in giro vergognosa

Autonomia, Bersani: è una presa in giro vergognosaRoma, 23 gen. (askanews) – “Con l’autonomia differenziata si parla molto di incremento delle disuguaglianze, ma prima ancora il tema è che avremo uno stato arlecchino”. Lo ha detto Pier Luigi Bersani parlando a ‘Otto e mezzo’ su La7. “Ci sono ventitré materie che le regioni scelgono di fare proprie a loro discrezione, un inedito a livello mondiale, nessuno Stato unitario o decentrato ha una configurazione uguale”.

“Poi – ha aggiunto – su questa cosa dei Lep voglio sapere se ad esempio per gli asili nido prendiamo come base il livello di Reggio Calabria o quello di Reggio Emilia? Le differenze sono sostanziali. Se prendiamo i livelli di Reggio Emilia e li applichiamo a tutte le materie non bastano tre bilanci statali a coprire i costi, ma queste norme sono previste senza spesa per lo Stato. Una presa in giro vergognosa”. Insomma, “a me l’autonomia differenziata va bene nel senso che la Sardegna potrà chiedere una materia relativa al trasporto marittimo e l’Umbria no perché non ha il mare. Se si interpreta in modo funzionale ha un senso ma con un progetto con ventitré materie à la carte si arriva allo sbrindellamento di uno Stato, ci tocca richiamare Garibaldi. Era più onesto Bossi che chiedeva la secessione”.

Peraltro, conclude, “mentre il Senato ha approvato l’autonomia differenziata vanno avanti con il premierato. Non è vero che sono in contraddizione, perché se si sfascia l’Italia c’è ancora più bisogno di un capo. Prendiamo sul serio il tema, lo dico anche a chi lo sta snobbando. Non può essere solo il Pd, il Parlamento o la sinistra: c’è in gioco l’Italia”.