Case green, a che punto è la direttiva Ue e che cosa prevedeBruxelles, 12 feb. (askanews) – La proposta di revisione della direttiva Ue sulle prestazioni energetiche degli edifici, conosciuta in Italia con il nome di direttiva sulle “case green”, sarà votata dalla plenaria del Parlamento europeo nella sessione di Strasburgo dal 13 al 16 marzo. Il risultato del voto di marzo determinerà la posizione negoziale del Parlamento nel dialogo a tre (“trilogo”) che comincerà subito dopo con la Commissione europea e il Consiglio Ue, per arrivare all’adozione del testo definitivo, atteso prima dell’estate. Il Consiglio ha già adottato una sua posizione comune il 15 ottobre scorso.
La plenaria di Strasburgo dovrebbe sostanzialmente confermare il testo uscito dal voto della commissione europarlamentare competente, quella per l’Industria e l’Energia, svoltosi giovedì 9 febbraio. La proposta della commissione Industria, con una serie di emendamenti che aumentano le ambizioni rispetto al testo originario, è stata adottata con 49 voti a favore, 18 contrari e 6 astensioni.
In Italia la direttiva è oggetto di virulenti polemiche, difesa dal M5s dal Pd, ma attaccata da tutte le forze della maggioranza di centro destra, che la considerano come una sorta di “patrimoniale” imposta dai burocrati europei e dalla “ideologia green” contro gli interessi dei proprietari di case.
A Bruxelles e in buona parte degli altri Stati membri, tuttavia queste posizioni appaiono poco comprensibili, come dimostra il relativo isolamento in cui si sono trovati gli eurodeputati della Lega, di Fdi e di Fi durante il voto nella commissione Industria.
Si tratta di norme destinate a risparmiare energia, a valorizzare il patrimonio immobiliare e a far pagare meno le bollette ai cittadini, con investimenti che hanno un ritorno sicuro. Certo, la domanda più importante è chi paga gli investimenti necessari per aumentare l’efficienza energetica degli edifici entro i tempi previsti; ma la direttiva stessa prevede che gli Stati membri predispongano “finanziamenti, misure di sostegno e altri strumenti consoni” per “stimolare gli investimenti necessari nelle ristrutturazioni energetiche”.
Gli Stati membri possono promuovere, ad esempio, “l’introduzione di strumenti d’investimento e di finanziamento abilitanti, quali prestiti per l’efficienza energetica e mutui ipotecari per la ristrutturazione degli edifici, contratti di rendimento energetico, incentivi fiscali, sistemi di detrazioni fiscali, sistemi di detrazioni in fattura, fondi di garanzia”.
E oltre ai finanziamenti nazionali possono essere usati anche, ricorda la direttiva, “i finanziamenti disponibili stabiliti a livello dell’Unione, in particolare il Dispositivo per la ripresa e la resilienza, il Fondo sociale per il clima, i fondi della politica di coesione”, il fondo “InvestEU”, nonché “i proventi delle aste per lo scambio di quote di emissioni” del sistema Ets.
Quanto al ruolo delle banche, la direttiva prescrive che siano adottate “misure volte a garantire che i prodotti di credito a favore dell’efficienza energetica per la ristrutturazione edilizia siano ampiamente proposti e in modo non discriminatorio dagli istituti finanziari e siano visibili e accessibili ai consumatori”.
Gli obiettivi principali della direttiva sono la riduzione sostanziale delle emissioni di gas a effetto serra e del consumo di energia nel settore edilizio dell’Ue entro il 2030, per poi arrivare alla “neutralità climatica” (zero emissioni nette) entro il 2050. Gli edifici nell’Ue sono oggi responsabili del 40% del consumo energetico e del 36% delle emissioni di gas serra.
Secondo la proposta originaria della Commissione europea, presentata il 15 dicembre 2021, per tener conto della diversità del patrimonio edilizio e delle condizioni climatiche dei vari paesi, ogni Stato membro dovrà innanzitutto individuare il 15% degli edifici meno efficienti del proprio parco nazionale, e stabilire la classe di performance energetica G, la più bassa, in corrispondenza di questa fascia, come parametro di base (che potrà corrispondere dunque a valori diversi secondo i diversi paesi).
La proposta della Commissione europea prevede quindi che tutti gli edifici pubblici e non residenziali esistenti in classe G passino alla classe superiore (F) entro l’inizio del 2027, e a quella successiva (E) entro l’inizio del 2030. Le unità immobiliari residenziali esistenti di classe G, a loro volta, dovranno conseguire la classe di prestazione energetica F entro l’inizio del 2030, e la classe successiva E entro l’inizio del 2033.
La posizione approvata dalla commissione Industria del Parlamento europeo, invece, chiede che gli edifici residenziali esistenti raggiungano almeno la classe di prestazione energetica E entro il 2030 e la D entro il 2033. Si mira, in sostanza, a innalzare di una classe entrambi gli obiettivi. E lo stesso vale anche per gli edifici non residenziali e pubblici, che secondo la posizione votata dagli eurodeputati della commissione Industria dovrebbero raggiungere la classe E entro il 2027 e la D entro il 2030.
Inoltre, sempre secondo la posizione degli eurodeputati, tutti i nuovi edifici dovranno essere a emissioni zero dal 2028, mentre i nuovi edifici occupati, gestiti o di proprietà di autorità pubbliche dovranno esserlo a partire dal 2026 (la Commissione aveva proposto le date del 2030 e del 2027, rispettivamente).
Si prevede anche che tutti i nuovi edifici siano dotati di tecnologie solari entro il 2028, ove tecnicamente idoneo ed economicamente fattibile, mentre gli edifici residenziali in fase di ristrutturazione hanno tempo fino al 2032 per conformarsi.
Tutte le misure necessarie per raggiungere questi obiettivi saranno messe in atto da ciascuno Stato membro attraverso piani nazionali di ristrutturazione, che dovrebbero includere programmi di sostegno con misure per facilitare l’accesso a sovvenzioni e finanziamenti. Le misure finanziarie dovrebbero includere un premio sostanziale per le ristrutturazioni importanti, in particolare quelle degli edifici con le prestazioni peggiori, e sussidi mirati dovrebbero essere messi a disposizione delle famiglie vulnerabili.
Oltre ai monumenti, che non rientrano nel campo di applicazione, ciascun paese potrà decidere di escludere dalle nuove norme anche edifici tutelati per il loro particolare valore architettonico o storico, edifici tecnici o utilizzati solo in modo temporaneo, chiese e luoghi di culto.
La posizione degli eurodeputati introduce anche più flessibilità per gli Stati membri che vogliano modificare i nuovi obiettivi per un numero limitato di edifici, tenendo conto della fattibilità economica e tecnica dei lavori di ristrutturazione e della disponibilità di manodopera qualificata.
Gli Stati membri, infine, dovranno garantire che l’uso di combustibili fossili negli impianti di riscaldamento, per i nuovi edifici, i nuovi impianti e gli edifici sottoposti a ristrutturazioni importanti, non sia più autorizzato a partire dalla data di recepimento della direttiva. Secondo gli eurodeputati della commissione Industria, gli impianti a combustibili fossili, comunque, dovrebbero essere eliminati completamente entro il 2035, a meno che la Commissione europea non ne autorizzi l’uso fino al 2040.