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Enogastronomia, “Ego Festival” torna a Taranto il 10 e 11 maggio

Enogastronomia, “Ego Festival” torna a Taranto il 10 e 11 maggioMilano, 3 mag. (askanews) – È tutto pronto per la nuova edizione di “Ego Festival”, l’evento enogastronomico organizzato dall’associazione Enogastro Hub, che nelle giornate del 10 e 11 maggio farà diventare Taranto una capitale del gusto.


Si comincia con “Ego Lab”, una giornata di studio con laboratori, degustazioni, focus su vino, olio, caffè, ma anche dimostrazioni con cuochi di diversa estrazione e origini che si confronteranno il 10 maggio (dalle 10 alle 16,30) sul palco del Relais Histò a Taranto. Non solo, quindi, l’incontro con chef stellati provenienti da tutto il mondo, che daranno vita alla “Dinner Incredible”, una cena esclusiva in cui ogni cuoco presenterà una propria creazione unica, ma anche il “Festival della Pizza” (presentato da Peppone Calabrese), un appuntamento d’eccezione con venti pizzaioli per valorizzare uno dei capisaldi della nostra cucina, dando spazio anche alla focaccia barese e a quella laertina. Nel ricchissimo parterre di cuochi provenienti da Singapore, Grecia, Portogallo, Olanda, Egitto e Francia per diventare ambassador della cultura gastronomica locale, ci sarà anche Martino Ruggieri, chef martinese fresco di seconda stella Michelin per la sua Maison parigina.


“Ego Festival torna a Taranto e mi riempie d’orgoglio poter ospitare nella mia città un appuntamento enogastronomico utile per la comunità” ha affermato l’ideatrice della manifestazione, Monica Caradonna, parlando di “laboratori, approfondimenti per chi vive e opera nel mondo della ristorazione per affinare e crescere le proprie skill professionali, ma anche per chi da appassionato guarda alla cucina e al mondo enogastronomico con interesse e curiosità. Confronti – ha concluso – tra cuochi pugliesi e cuochi stranieri utili a sviluppare la contaminazione tra culture diverse: è così che il Giappone incontra la Puglia, ed è così che la cucina stellata incontra la tradizione artigianale”.

Vino, a Benzi il Premio Scrittore Bollicine del Mondo di Guia Melendo

Vino, a Benzi il Premio Scrittore Bollicine del Mondo di Guia MelendoMilano, 3 mag. (askanews) – Cinzia Benzi si è aggiudicata il “Premio Scrittore Bollicine del Mondo 2024-2025” della “Guía Melendo del Champagne 2024-2025” per la guida “Bollicine del mondo”, l’app gratuita di Identità Golose che raccoglie la migliore spumantistica internazionale.


Il riconoscimento alla gastronoma e Donna del vino è stato consegnato da Jordi Melendo, ideatore della “Guía”, durante la seconda edizione del “Salón Melendo” a Madrid, a cui hanno partecipato professionisti, sommelier, importatori, distributori, Cantine e giornalisti provenienti da diverse regioni della Spagna. “Quello di Cinzia – ha commentato Melendo – è un riconoscimento a una grande professionista e una grande persona, condividiamo insieme questa professione e una vera amicizia”.

Vino, Concorso nazionale Pinot Nero: vince “Ludwig” 2021 di Elena Walch

Vino, Concorso nazionale Pinot Nero: vince “Ludwig” 2021 di Elena WalchMilano, 2 mag. (askanews) – E’ il “Pinot Nero Ludwig” di Elena Walch ad aggiudicarsi il Concorso nazionale del Pinot Nero dedicato all’annata 2021 a cui hanno partecipato 102 vini da nove regioni italiane. Gli altri quattro vini della cinquina premiata sono il “Pinot Noir Riserva Vom Lehm” della Tenuta Rohregger, il “Pinot Noir Arthur Rainer” della Tenuta Seeperle a pari merito con il “Pinot Noir Riserva Linticlarus” di Tiefenbrunner, e il “Pinot Nero DeSilva Private Reserve” di Tenuta Peter Solva.


Oltre alle etichette delle cinque Cantine vincitrici, sono arrivate in finale anche le referenze di Castelfeder, Pfitscher, St. Quirinus, Cantina Kurtatsch, Cantina Girlan, Cantina Tramin, Erste+Neue, Castel Sallegg, Rametz, Tenuta Volpare, Cantina Kaltern, Cantina Bozen, Colterenzio, Cantina Merano, Vivallis, Castello di Spessa, Salurnis, Maso Poli, Tenuta Kollerhof, Tenuta Stroblhof e Himmelreich. Assieme ai cinque migliori vini dell’annata 2021, la giuria, composta da enologi, sommelier e giornalisti del settore provenienti da tutte le regioni vinicole partecipanti, ha premiato anche i migliori rappresentanti delle rispettive regioni vinicole: per la Valle d’Aosta Grosjean Vins, per il Friuli Venezia Giulia Castello di Spessa, per la Lombardia Conte Vistarino, per il Piemonte Bricco Maiolica, per la Toscana la Fattoria San Felo, per il Trentino la Tenuta Volpare, per l’Umbria l’Azienda Agricola Poggio Petroso, per il Veneto Borgo Stajnbech e per l’Alto Adige Elena Walch.


Anche quest’anno il concorso è stato guidato da Marc Pfitscher, vicepresidente del comitato organizzativo, mentre la valutazione è stata nuovamente affidata a Ulrich Pedri del Centro di Sperimentazione Laimburg. La cerimonia di premiazione si terrà venerdì 10 maggio in occasione dell’apertura delle “Giornate altoatesine del Pinot Nero” a Egna e Montagna (Bolzano), durante le quali si potranno degustare tutti i vini in concorso.

”Civiltà del bere” ha 50 anni: inventò nuovo modo di comunicare il vino

”Civiltà del bere” ha 50 anni: inventò nuovo modo di comunicare il vinoMilano, 2 mag. (askanews) – L’autorevole rivista ‘Civiltà del bere’ compie cinquant’anni. Cinque decenni passati a raccontare il vino italiano, a diffonderlo e a difenderlo, e a promuoverlo nelle sue eccellenze in giro per il mondo. ‘E’ stata la prima rivista enologica italiana ad essere fondata e scritta da professionisti, e la prima ad andare in edicola perché voleva essere un giornale per la gente e non solo per gli addetti ai lavori’ racconta ad askanews il direttore Alessandro Torcoli, nipote del fondatore ed editore Pino Khail. ‘Mi sono appassionato al vino a 18 anni, dopo che mio fratello mi trascinò ad un corso dell’Ais, lì mi si aprì un mondo’ racconta Torcoli, spiegando di essere entrato in redazione mentre stava frequentando gli ultimi anni di Scienze della comunicazione all’Università di Milano. ‘Khail, mio nonno – continua – vedeva in me una persona che stava studiando marketing e comunicazione aziendale ma che nutriva anche una grande passione per la materia che lui, pur ritenendola molto affascinante, non aveva’.


Difficile disgiungere la figura di Khail, triestino severo e grande signore scomparso a 83 anni nel 2011, dalla sua creatura editoriale, parte del più ampio e visionario progetto di mettere insieme i principali produttori dell’epoca per andare a vendere il vino italiano all’estero, a partire dalla prima tappa newyorkese datata 1976. Un’unità di intenti, un fare sistema, che allora era una novità impensabile e che invece divenne nel giro di pochi anni uno strumento di promozione tale da imprimere una svolta decisiva all’affermazione dell’intero settore enologico del nostro Paese. ‘La rivista nasce nel 1974, il momento dell’ascesa di Luigi Veronelli con la sua tesi che ‘il peggior vino contadino è migliore del miglior vino industriale’, propugnata proprio quando stavano nascendo quelli che oggi chiamiamo ‘fine wine’ da parte non dei piccoli artigiani di cui lui raccontava così bene su ‘Panorama’ e in televisione, ma di aziende organizzate come Frescobaldi, Pio Cesare, Antinori, Gaja e altre leggende, che iniziavano ad abbandonare lo sfuso e a concentrare i propri sforzi su alcuni vini che poi hanno ottenuto grande successo in tutto il mondo’, aggiunge il 49enne direttore spiegando che il messaggio del grande intellettuale gastronomo milanese ‘arrivava al grande pubblico minando le basi di questo importante vivaio’.


‘Allora mio nonno, giornalista e poi pubblicitario (una sua idea fu il tormentone ‘sempre più in alto’ scandito da Mike Bongiorno in cima al Cervino per il celebre spot di Grappa Bocchino), lavorava anche per un gruppo di aziende vitivinicole capitanato da Piero Antinori, che un giorno gli spiegò che le loro esigenze erano cambiate anche alla luce della comunicazione portata avanti da Veronelli, e avevano bisogno di raccontare il vino superando la sola promozione del brand attraverso pagine pubblicitarie. Khail si proposte così per realizzare un giornale che assolvesse a questo scopo e nacque ‘Civiltà del bere”. ‘Inizialmente la redazione non era composta da esperti di vino ma da giornalisti professionisti, provenienti in particolare dal neonato ‘Il Giornale’ di Indro Montanelli e dal ‘Corriere della Sera’, come ad esempio il primo direttore che fu Vincenzo Bonassisi’ prosegue Torcoli, precisando che ‘per tanti anni, siamo stati soprattutto cronisti del vino, alla ricerca di temi, curiosità e storie che potessero interessare anche il pubblico più vasto, allora sostanzialmente fermo a bianco e rosso’. ‘Da qui anche il colpo di genio di mettere in copertina personaggi famosi: la gente comprava la rivista per la curiosità di sapere cosa bevessero Mastroianni, Gassman o Sofia Loren, o esponenti della cultura come Riccardo Bacchelli’ continua, parlando di ‘una rivista dall’approccio giornalistico e comprensibile a tutti dunque, ma con un livello culturalmente elevato che funzionò e portò un nuovo modo di comunicare il vino’.


Nel 1986 ci fu la tragedia del metanolo, che la rivista trattò ‘con molta laicità e serietà, con uno stile da inchiesta e tante interviste e approfondimenti’, uno scandalo spartiacque che accelerò ‘l’enfatizzazione del vino di pregio e del vino come elemento culturale’. ‘Gli anni ’80 e ’90 sono stati quelli delle guide, che noi ci siamo limitati a raccontare fino a quando abbiamo avuto l’idea di incrociare i risultati delle principali per lasciare agli appassionati un documento giornalistico, analitico’ prosegue Torcoli, sottolineando che ‘quest’anno i vini segnalati delle sei guide più autorevoli sono arrivati a oltre tremila, e dunque la nostra selezione si rivela davvero necessaria’. Pur avendo introdotto le valutazioni sulla rivista una quindicina di anni fa, Torcoli si dice ancora ‘molto combattuto perché mi disturba l’idea di vedere vini molto interessanti e molto buoni che magari vengono snobbati dal lettore perché hanno mezzo punto in meno o una stellina in meno, però è indubbio che il consumatore più frettoloso, per quanto appassionato di vino, vuole il tuo giudizio, il tuo punteggio’. ‘Con il moltiplicarsi di guide e premi questo sistema si è molto annacquato ma rimane, perché il consumatore è stato abituato così negli ultimi trent’anni, e il Web e soprattutto i social propongono costantemente classifiche e selezioni per utenti in cerca di sapere cosa bere la sera’. In questi decenni il mondo del vino è completamente cambiato, così come i suoi attori, siano essi produttori o consumatori. ‘Il livello medio di cultura del vino è cresciuto e di questo bisogna dare merito alla tante associazione di sommellerie, alle diverse riviste nate a partire dagli anni Novanta, alla diffusione della guide, e naturalmente alla ristorazione che è un grande canale di valorizzazione del vino’ continua Torcoli, ricordando di quando, ai suoi esordi, ”Civiltà del bere’ spronava i ristoratori dei locali borghesi di alto livello e dei primi stellati, a farsi una carta dei vini piuttosto che a suggerire delle etichette’. Davvero un altro mondo.


Dopo alcuni aggiustamenti e piccoli cambiamenti, nel 2014 la rivista affronta una vera e propria svolta per stare al passo dei tempi e di un mercato editoriale e del settore vitivinicolo sempre più dinamici e complessi. ‘In occasione del quarantesimo anniversario ho rivoluzionato ‘Civilità del bere’ a partire dal lettering, poi abbiamo introdotto una nuova copertina concettuale e più di design legata ad un tema forte, per smarcarci in maniera ancora più netta dalle riviste nate nel frattempo, ma mantenendo l’impostazione meticolosa e seria che è il nostro punto di forza’, spiega il direttore aggiungendo che anche tra i redattori e i collaboratori in questi anni c’è stato un importante cambio generazionale e ‘adesso c’è un’età media molto bassa, tanto che io inizio ad essere tra i più anziani’. Cosa sta succedendo oggi a questo comparto così strategico per il nostro Paese? ‘Assistiamo ad una polarizzazione, ci sono due campionati diversi: quello del vino quotidiano, da supermercato, e quello dei ‘fine wine’, dei vini di pregio, e se una volta potevano intrecciarsi, oramai hanno preso direzioni diverse. Noi cerchiamo di raccontarli entrambi però è chiaro che ci rivolgiamo a pubblici differenti’ spiega Torcoli, evidenziando un altro grande cambiamento: ‘E’ quello della velocità della nostra società, che pervade tutto e non va assolutamente d’accordo con il vino: ogni tre-quattro anni ci troviamo a raccontare nuovi trend, adesso ad esempio i rosati e i bianchi, ma vedrete che tra qualche anno i rossi torneranno, così come è successo con il Cabernet Sauvignon che abbiamo abbandonato e tra un po’ tornerà prepotentemente alla ribalta, o il Pinot Nero, di cui al contrario oggi si parla molto meno rispetto a quanto succedeva qualche anno fa. Sono cicli di quattro-cinque anni che è un tempo estremamente breve per poter fare grandi vini e quindi onore ai vignaioli che sanno tenere duro e fare il vino che vogliono fare e dimostrano la loro bravura anche nel trovare mercati e consumatori oltre le mode del momento. Per festeggiare il traguardo delle 50 candeline, ‘Civiltà del bere’ pubblica una selezione di articoli d’archivio e quattro numeri speciali, ‘ciascuno con riflessi del passato e visioni del futuro’, in attesa della sua tradizionale manifestazione ‘VinoVip’, che quest’anno torna a Cortina d’Ampezzo domenica 14 e lunedì 15 luglio per la 14esima edizione.

Vino, Vinitaly: dal 9 all’11 maggio in Cina c’è “Wine to Asia”

Vino, Vinitaly: dal 9 all’11 maggio in Cina c’è “Wine to Asia”Milano, 2 mag. (askanews) – Riparte dalla Cina la promozione internazionale targata Vinitaly con la seconda edizione di “Wine to Asia”, il principale salone internazionale del vino e degli spirits in programma a Shenzhen, al Convention Center (Futian), dal 9 all’11 maggio.


Organizzato da Veronafiere in collaborazione con lo storico partner Shenzhen Pacco Communication, “Wine to Asia 2024” registra già la presenza di oltre 500 brand (+11% rispetto al 2023) provenienti da 30 Paesi: dalla California all’Eurasia, dall’Argentina ai Balcani fino all’Italia, rappresentata nel padiglione tricolore promosso da Ice Agenzia da 50 aziende. Un contingente che, anche per quest’anno, consacra la hall italiana come la più grande in una fiera dedicata al vino e agli spirits in Asia e che, allo stesso tempo, non esaurisce l’offerta del made in Italy enologico nella Greater Bay Area, la Silicon Valley asiatica. Infatti a Shenzhen, grazie all’attività di incoming realizzata dai delegati italo-cinesi di Veronafiere, partecipano anche il Consorzio di tutela Franciacorta e ulteriori 70 Cantine dislocate nel quartiere espositivo della rassegna. Mentre sono sei le aree tematiche della seconda edizione di “Wine to Asia”: “Living Wine,” area internazionale dei vini naturali, con l’esordio dei produttori di Vi.Te; “Hey Whisky”; “Hunter Galleria”; “Top 100 Chinese Wines Lounge by Lili Zhu”; “Champagne Lounge” e la “Vip Lounge” con il Consorzio Grana Padano in veste di partner esclusivo. Confermata l’adesione dei quattro principali importatori di vino italiano nella Terra del Dragone (Globally, Zefiro, Sarment e Interprocom) e di De Longhi con un nuovo format dedicato all’home design. Per quanto riguarda il programma della tre giorni, oltre agli appuntamenti “b2b”, il calendario registra cinque pop-up talk con i wine influencer cinesi attualmente tra i più accreditati e 15 masterclass, di cui due guidate dal MW Andrea Lonardi: “Italianity: remarkable uniqueness of italian wines” organizzata da Ice, e “Grown from earth, aged in earth: clay-aged wines masterclass by Wine to Asia” con gli interventi anche di Cassidy Dart MW e Julien Boulard MW. I tre MW con il Master Sommelier Lu Yang (unico in Cina con questo titolo) sono protagonisti anche del focus sui vini in anfora: una anticipazione asiatica di “Amphora Revolution”, la nuova rassegna di Merano Winefestival e Vinitaly in programma a alle Gallerie Mercatali di Verona, il 7 e l’8 giugno prossimi.


Dal 1 all’11 maggio “Wine to Asia” firma anche il cartellone del fuori salone che, per la sua seconda edizione, va in scena in quasi 60 tra wine bar, ristoranti e bistrò di nove città (Shenzhen, Guangzhou, Hong Kong, Macau, Zhuhai, Foshan, Dongguan, Huizhou and Zhongshan) con eventi e iniziative per gli appassionati cinesi.

Vino, Consorzio Lugana in tour negli Usa: New York, Florida e Texas

Vino, Consorzio Lugana in tour negli Usa: New York, Florida e TexasMilano, 2 mag. (askanews) – Non si ferma l’attività del Consorzio Tutela Vino Lugana, che torna anche quest’anno negli Stati Uniti con un programma di eventi che toccheranno tre Stati chiave, New York, Texas e Florida, e quattro città. “Destination Lugana” nasce con l’obiettivo di creare “connessioni di valore” tra i produttori della Denominazione lombardo-veneta e un selezionato parterre di operatori del trade e della stampa Usa.


Un viaggio nel mercato statunitense che, sebbene stia dando qualche segno di stanchezza dei consumi, vede nel contempo uno spostamento delle preferenze verso i vini bianchi freschi e sapidi soprattutto nei millennials. Per questo motivo il Consorzio ha deciso di aggiungere alla storica tappa di New York, anche quelle di Florida e Texas, Stati dove il vino bianco italiano di qualità è sempre più apprezzato. “Torniamo negli Stati Uniti per rafforzare la nostra posizione nel primo mercato mondiale del vino e lo facciamo parlando a chi con il vino lavora tutti i giorni: i buyer, i ristoratori e i sommelier” ha spiegato il direttore del Consorzio, Edoardo Peduto, aggiungendo che “quest’anno abbiamo voluto ampliare la nostra attività per favorire maggiormente i nostri produttori, sviluppando in particolar modo i contatti con il trade e con la stampa specializzata, strutturando un piano di attività volto a raccontare la qualità e la freschezza dei nostri vini agli operatori di settore”.


L’evento di lancio di “Destination Lugana” sarà il 7 maggio a New York: una degustazione guidata e interattiva dedicata alla stampa e a influencer, condotta da Wanda Mann, East Coast editor di “Somm Journal”. Seguirà il Texas con due appuntamenti, uno a Dallas il 9 maggio e uno a Houston il 10 maggio: delle masterclass per operatori di settore condotte da Tiffany Tobey, Dg di “Thirty Eight and Vine”, che farà una approfondita presentazione del territorio e dei vini, seguita da un momento di “free tasting”. Il tour si concluderà in Florida, a Miami il 13 e 14 maggio, prima con l’evento “Lugana Breeze”, un aperitivo presso il noto ristorante fronte oceano “Casadonna”, e il giorno successivo con una masterclass condotta da Jacqueline Coleman del “Biscayne Times”, dedicata a operatori e stampa.

La Valle d’Aosta del vino vola alto puntando su autoctoni e qualità

La Valle d’Aosta del vino vola alto puntando su autoctoni e qualitàMilano, 2 mag. (askanews) – Vincenzo Grosjean è quello che si dice ‘uno che la sa lunga’ sul vino e sulla sua Valle d’Aosta dove è nato 70 anni fa. Viticoltore a Quart e per quasi 30 anni responsabile della consulenza nel settore viticultura dell’assessorato regionale all’Agricoltura, è dal maggio 2023 il presidente del Consorzio Vini Valle d’Aosta, dopo essere stato fino al 2013 presidente dell’Association Viticulteurs Encaveurs, poi diventata associazione Vival e oggi appunto Consorzio. ‘L’ente consortile è nato due anni fa dopo una lunghissima gestazione partita negli anni Settanta, quando le associazioni di viticoltori, una ventina dato che ce ne era una ogni paio di Comuni, hanno fatto ripartire il settore in Valle d’Aosta’ spiega ad askanews, ricordando che ‘la vigna allora non era un mestiere ma una passione di famiglia, poi c’è stata un’evoluzione soprattutto con l’introduzione della Doc e la nascita delle cooperative dove sono entrati grande parte di questi viticoltori’.


La più piccola (poco più di 3.200 kmq complessivi) e tra le meno piovose regioni italiane ha circa 500 ettari di vigneti, di cui più o meno 390 a Doc e gli altri composti da vigneti familiari utilizzati per autoconsumo. Vigne che vanno dai 300 metri di Pont San Martin ai 1.200 di Morgex. ‘Abbiamo quasi mille metri di dislivello e questo ha creato nel tempo l’esigenza di avere molti vitigni autoctoni che si ambientassero ad ogni microzona’ continua Grosjean, precisando che, ‘abbandonati quelli ‘di quantità’, oggi ne utilizziamo una decina ma a questa selezione ce ne manca ancora qualcuno su cui stiamo lavorando con i ricercatori’. Vincenzo Grosjean è ‘l’uomo giusto al posto giusto nel momento giusto’: ha la memoria di quello che è stata la viticultura qui, conosce la realtà produttiva e la burocrazia regionale, ha una grande passione e la voglia di vedere crescere questo territorio. ‘Da un po’ di anni stiamo assistendo all’arrivo di diversi giovani che, o prendono in mano l’azienda di famiglia o danno vita a nuove realtà’ prosegue, sottolineando che ‘si tratta di ragazzi che hanno studiato agricoltura e enologia, che sono formati, cosa che ai nostri tempi mancava’. La spinta delle nuove generazioni è uno dei motivi della crescita qualitativa che negli ultimi decenni ha caratterizzato la produzione enologica italiana e la Valle d’Aosta non fa storia a sé. La spinta qui però deve essere più forte che altrove, perché nonostante in questo splendido territorio racchiuso tra le montagne più alte d’Europa la viticultura affondi le sue radici nell’età del Bronzo e ci siano una biodiversità e un patrimonio ampelografico straordinari, il vino non ha ancora l’attenzione e lo spazio che merita. Serve includerlo nel progetto di comunicazione turistica regionale e promuoverlo attraverso un piano dedicato all’enogastronomia, visto anche il crescente successo dell’enoturismo sperimentato da alcune Cantine. E serve soprattutto fare squadra tra tutti gli attori del mondo enologico e delle eccellenze gastronomiche locali (così ben raccolte da Stefano Lunardi all”Erba Voglio’ di Aosta) per un’azione continuativa di comunicazione e marketing che racconti il vino e il cibo per quello che sono, elementi imprescindibili del territorio, della sua storia, della sua cultura e dell’identità locale. Puntando per il vino, se possibile, su pochi vitigni facilmente riconoscibili nel bicchiere. L’essere piccoli è strutturalmente un limite ma paradossalmente potrebbe facilitare la coesione di intenti basata su qualità, rispetto per l’ambiente, sostenibilità e giusto valore. Il Consorzio può giocare in questo senso un ruolo importante, così come l’impegno per l’eccellenza e il futuro della propria terra profuso dalle più grandi realtà private e cooperative regionali, Les Cretes e Cave des Onze Communes, a cui si aggiungono la passione e la ricerca senza compromessi del giovane Didier Gerbelle, ma anche l’esperienza di Elio Ottin, passando per la raffinata pulizia di Les Granges, La Vrille, Cave Gargantua, Grosjean e Rosset Terroir con i suoi ottimi Petite Arvine, fino all’eleganza del solitario (Maison) Anselmet, solo per citare alcune delle Cantine più interessanti. C’è poi la micro Cantina Cave Monaja dell’enologo valdostano Chul Kyu ‘Andrea’ Peloso, riuscito in meno di cinque anni a portare le sue (pochissime) bottiglie, frutto di un faticoso quanto meritorio recupero di vigne storiche abbandonate, sui tavoli dei principali ristoranti stellati italiani, a partire naturalmente dal Caffè Nazionale di Paolo Griffa ad Aosta. Nel frattempo, i vignaioli locali si godono i frutti della vendemmia 2023 che è stata qualitativamente molto buona e in quantità superiore a quella del 2022: con circa 2,5 mln di bottiglie contro l’1,8 mln dell’anno precedente, oltre a qualche altro centinaio di migliaio che viene vendute come vini da tavola o comunque non Doc. Nonostante l’incremento, il numero di bottiglie prodotto in Valle d’Aosta è tale da fare oggettivamente fatica ad essere esportato fuori regione e ancor di più all’estero, rimanendo sostanzialmente appannaggio del mercato locale, visto anche il grande afflusso di turisti ‘che ne consumano una grossa fetta grazie alla ristorazione regionale: in tutti i ristoranti e locali c’è una discreta, se non buona, carta dei vini valdostani e questo per le piccole aziende agli inizi è estremamente importante’. Della sessantina di Cantine che producono vini che rientrano nelle Doc, 52 fanno parte del Consorzio. Le aziende imbottigliatrici sono 55, le cooperative sono sei (oltre a Cave des Onze Communes, ci sono Cave Mont Blanc de Morgex et La Salle, Cantina de La Kiuva di Arnand, Caves Cooperatives de Donnas, Cave Cooperative de l’Enfer (CoEnfer) di Arvier e La Crotta di Vegneron di Chambave) e le famiglie che si occupano di coltivare il vigneto sono circa 800. ‘Quello della parcellizzazione è uno dei problemi della viticultura valdostana: anticamente si abitava nelle valli laterali ma tutti avevano il vigneto nel fondovalle: ad esempio, i miei antenati, a Quart, affittavano la loro azienda in cambio di vino e castagne’ racconta ad askanews Vincenzo Grosjean, evidenziando che ‘questo ha fatto sì che poi, nelle famiglie numerose, ad ogni passaggio generazionale ognuno voleva un pezzo di vigneto, che è stato quindi frazionato in maniera impressionante dalla fine del ‘800 ad oggi’. ‘L’altro grosso problema è che per tanti anni c’è stata la possibilità di costruire praticamente ovunque, mentre adesso finalmente abbiamo dei piani regolatori molto più definiti e rigidi, e le nuove generazioni stanno affittando o vendendo questi terreni e si incomincia a fare degli accorpamenti’ continua, ricordando che ‘spesso gli accorpamenti sono comunque difficili, perché molti sono emigrati e quindi ci sono dei proprietari di terreni che sono introvabili: io per mettere insieme il vigneto Rovetta, il cui primo lotto è intorno ai 4,5 ettari, ho fatto 36 atti di acquisto e sono andato fino a Parigi per incontrare il nipote di una signora che era emigrata negli Stati Uniti’.


Il vitigno bianco più utilizzato è il Prié Blanc, che la fa da padrone nei circa 32 ettari di Morgex e La Salle. Nel resto della valle, ci sono Muscat Blanc di Chambave, Petite Arvine e Chardonnay che si attestano intorno ai 25 ettari l’uno, e poi rimangono tracce di Muller Thurgau e Traminer. Nei rossi il vitigno predominante è il Petit Rouge, coltivato in un centinaio di ettari, che rientra in cinque sottozone e può prendere il nome ad esempio di Torrette, che è il vitigno principe della famiglia degli ‘Orious’ che una volta rappresentava gran parte della viticultura regionale. ‘Poi c’è il Fumin che fino a pochi anni fa non era considerato perché è un vitigno particolare, molto rustico, e che finché era utilizzato in assemblaggio con altre uve dava problemi perché veniva vendemmiato troppo presto’ prosegue Grosjean, evidenziando che ‘adesso che abbiamo fatto una selezione e abbiamo delle piante nelle zone più vocate, è diventato un vitigno molto interessante. Infine – continua – non va sottovalutato il Cornalin, di cui al momento non c’è una grande quantità ma che sta crescendo, e altri vitigni minori’. Un capitolo a parte quello della bassa valle, dove troviamo il Picotendro, una sottovarietà di Nebbiolo ‘coltivato da sempre nella difficile ed eroica zona di Donnas e che ci fa ben sperare’. Poi ci sono Pinot Noir e Gamay, i primi vitigni introdotti negli anni Settanta dal canonico Joseph Vaudan. ‘Il Pinot Noir sta avendo un bel successo e ci sta dando grandissime soddisfazioni, anche perché si è finalmente capito che va piantato nelle zone più alte e più fresche per avere delle maturazioni più delicate’ continua, precisando che ‘il Gamay rimane un vitigno poco sfruttato ma è il vitigno più facile: matura sempre, è molto produttivo e non patisce alcuna malattia, fa un vino buono ma con poco charme, è un po’ il nostro rosso di partenza. Infine abbiamo vitigni minori come il Mayolet, il Vuillermin e il Neyret che stanno un po’ per volta prendendo piede’. Il presidente racconta infine le importanti novità che riguardano il Disciplinare di produzione del 1985, che saranno discusse e approvate entro maggio. ‘Abbiamo presentato in via formale la richiesta di arrivare a piantare vigna fino a mille metri, quindi salendo di circa 200 metri di media’ racconta Grosjean, precisando che la decisione è stata presa ‘alla luce dei cambiamenti climatici e per le nuove tipologie di vino come il Pinot Nero da spumante’, ma anche perché ‘ci sono tanti terreni che sono sempre stati coltivati a vigneto che sono a riposo da almeno settant’anni, e sarebbe importante poterli recuperare’. ‘Puntiamo poi ad avere la Doc Valle d’Aosta anche per gli spumanti, perché è un mercato in forte crescita e stiamo vedendo dei risultati qualitativi estremamente interessanti’ evidenzia, aggiungendo che ‘le aziende sono una quindicina, la stragrande maggioranza delle quali produce Metodo Classico’.

Vino, il 3 maggio convegno su novità varietali del settore viticolo

Vino, il 3 maggio convegno su novità varietali del settore viticoloMilano, 30 apr. (askanews) – Venerdì 3 maggio all’Auditorium dell’Iiss Alpi Montale di Rutigliano (Bari), si terrà un convegno dal titolo “Rinnovamento varietale nella viticoltura da vino e da tavola italiana”. L’incontro, promosso dal Gal Sud Est Barese, Accademia italiana della vite e del vino (Aivv) e Comune di Rutigliano, farà il punto sulle ultime novità varietali del settore viticolo italiano.


“Si tratta uno dei temi più sentiti dalla viticoltura moderna, che svilupperemo prendendolo da vari punti di vista grazie alle relazioni tecniche di docenti e accademici che saranno presenti nel corso della giornata di studio – ha dichiarato il presidente dell’Aivv, Rosario Di Lorenzo – ancora una volta con l’obiettivo della nostra Accademia di creare un momento di confronto e di sviluppo delle tematiche attraverso la scienza e la ricerca che abbiamo a disposizione”. “Continua l’incessante e pluriennale impegno del Gal Sud Est Barese a favore della valorizzazione delle più importanti filiere produttive locali” ha affermato il presidente Pasquale Redavid, spiegeando che si tratta di “un’ niziativa rientrante in un piano di informazione triennale destinato al mondo agricolo locale che ha permesso al Gal di realizzare oltre 40 iniziative tra fiere internazionali, visite studio in altre regioni, workshop e convegni per aggiornare le imprese agricole sulle novità del settore”.


All’iniziativa, aperta dal consigliere dell’Aivv, Leonardo Palumbo, prenderanno parte alcuni esponenti istituzionali locali, regionali e nazionali. La prima sezione tecnica della giornata, condotta da Di Lorenzo, vedrà le relazioni di Paola Bettinelli (Fondazione Mach) sui vitigni Piwi, mentre il direttore del Crea di Conegliano, Riccardo Velasco, parlerà delle Tea in viticoltura, e Pasquale Venerito (Crsfa di Locorotondo) ragionerà della biodiversità viticola e dei vitigni autoctoni della Puglia. Le relazioni tecniche della seconda parte della giornata, moderata da Vittorino Novello (Aivv), saranno affidate a Lucio Brancadoro (Università di Milano e presidente di Acovit) sul tema della selezione clonale in Italia, a Laura De Palma (Università di Foggia) sul rinnovamento varietale in Puglia, e a Antonio Pisciotta (Università di Palermo) sui materiali d’Impianto per una moderna viticoltura.

Enea nel team che ha decodificato il genoma del caffè Arabica

Enea nel team che ha decodificato il genoma del caffè ArabicaRoma, 30 apr. (askanews) – L’Enea ha partecipato al team internazionale che ha mappato ad altissima risoluzione il genoma della Coffea arabica, la specie più pregiata e diffusa di caffè – con il 60% della produzione mondiale – ma anche la più sensibile alle malattie e ai cambiamenti climatici. I risultati della ricerca, pubblicati sulla rivista “Nature Genetics”, consentiranno di selezionare le piante più resistenti e più adattabili agli stress ambientali.


“Nel 2014 abbiamo pubblicato su ‘Science’ la mappatura del genoma della specie Robusta del caffè (Coffea canephora), ma ora con questo secondo lavoro, al quale hanno contributo ben 40 istituzioni da 19 paesi, siamo arrivati a decodificare il patrimonio genetico, ben più complesso, dell’Arabica e delle sue specie progenitrici, con il quale abbiamo ricostruito l’affascinante storia della ‘nascita’ di questa specie e della sua espansione a livello mondiale – spiega il responsabile Enea del progetto Giovanni Giuliano, ricercatore della Divisione Biotecnologie e agroindustria-. E i dati di mappatura del genoma faciliteranno le attività di miglioramento genetico e di conservazione del germoplasma di Arabica, che sono necessarie per la protezione di questa specie da future malattie, siccità e dai cambiamenti climatici” aggiunge. L’Arabica è nata tramite una ibridazione fra due specie diverse, Robusta e Coffea eugenioides, rispettivamente il padre e la madre, avvenuta fra i 300 e i 600 mila anni fa. Il luogo esatto dell’ibridazione è ignoto, ma il progenitore selvatico più vicino è stato individuato sull’altopiano etiopico, nella Great Rift Valley, un centro di biodiversità del pianeta. L’ibridazione fra specie diverse è un fenomeno frequente nella storia delle piante: tutte le piante dicotiledoni derivano da una ibridazione a tre avvenuta circa 120 milioni di anni fa, mentre specie coltivate come cotone, frumento, tabacco, colza, derivano da ibridazioni più recenti.


Nel lavoro, oltre a quello di Arabica, – si legge nella notizia pubblicata nell’ultimo numero in italiano del settimanale ENEAinform@ – sono stati mappati ad altissima risoluzione anche i genomi delle due specie progenitrici, dimostrando che l’ordine dei geni di origine paterna e materna si è conservato in Arabica, pur rimescolandosi fra di loro nelle generazioni successive, come avviene in un incrocio fra individui della stessa specie. Domesticata probabilmente in Etiopia, Arabica è stata poi trasportata in Yemen, da dove si è diffusa in tutto il mondo: prima in India nel 17° secolo da monaci sufi, poi in Indonesia dagli olandesi e nell’isola della Riunione dai francesi e infine nei Caraibi e in Sud America. Ognuno di questi spostamenti ha coinvolto pochissimi semi e/o piante, creando dei “colli di bottiglia genetici” che sono alla base della bassissima diversità genetica di Arabica, responsabile fra l’altro della sua sensibilità a una serie di malattie, fra cui la terribile ruggine del caffè (Hemileia vastatrix). Agli inizi del 20° secolo nell’isola di Timor in Asia, Arabica si è reincrociata spontaneamente con Robusta, acquisendo alcuni geni di resistenza alla ruggine che si sono diffusi in molte cultivar moderne.


“La mappatura del genoma ha permesso di ricostruire i rapporti di parentela fra le diverse cultivar e di mappare le zone in cui si sono introdotti i geni di resistenza alla ruggine. Ma è possibile la comparsa in futuro di nuovi ceppi di ruggine capaci di superare la resistenza della pianta, come sta già avvenendo per la banana. Ora, grazie a questo lavoro, i breeder avranno gli strumenti per difendere uno dei prodotti agricoli più importanti, come il caffè, che ha una produzione annua di circa 10 milioni di tonnellate per un valore commerciale di oltre 40 miliardi di euro”, conclude Giuliano.

Vino, “Terlaner Primo Grande Cuvee” festeggia 10 edizioni con la 2021

Vino, “Terlaner Primo Grande Cuvee” festeggia 10 edizioni con la 2021Milano, 30 apr. (askanews) – Cantina Terlano presenta la decima edizione di “Terlaner Primo Grande Cuvee” annata 2021, tremila bottiglie che raccontano l’evoluzione stilistica del vino più prezioso della gamma della storica Cantina sociale altoatesina. Nato nel 2011 per raccogliere nella storica Cuvee Terlaner il meglio che questa terra di origine vulcanica potesse esprimere nel Pinot Bianco, Chardonnay e Sauvignon Blanc, “Terlaner Primo Grande Cuvee” è uno dei vini che vuole incarnare la filosofia lavorativa dell’azienda e che, forte del suo potenziale evolutivo, vuole raccontare la sua capacità di guardare al futuro.


La cuvée Terlaner vanta più di un secolo di tradizione. “Prima del lancio di ‘Primo’ nel 2011, ho condotto uno studio di tre-quattro anni con micro-vinificazioni per raggiungere il vino che donasse al palato e all’olfatto la massima espressione” ricorda l’enologo Rudi Kofler, parlando di una ricerca che gli ha permesso di “scoprire, nel tempo, bellissime parcelle di viti antiche di Chardonnay inizialmente non considerate ma che hanno aggiunto alla Cuvee un risultato aromatico di raffinata eleganza”. “La cifra stilistica raggiunta con l’annata 2021 è il risultato di ricerca sartoriale sulla risposta enologica delle uve provenienti dai diversi masi che costituiscono la Cantina sociale” aggiunge Kofler, sottolineando che “studiare e riscoprire appezzamenti con viti antiche ha permesso la crescita, anno dopo anno, in stile e profondità della Cuvee regalando sempre di più una fotografia vera del potenziale di un luogo unico al mondo”. “In modo graduale siamo passati da un vino dal profilo aromatico e gustativo cremoso e orizzontale, verso una verticalità che spinge su una elegante freschezza e profondità” prosegue l’enologo, parlando di “uno stile verticale sia come scelte in vigna che in cantina, orientato alla ricerca di livelli di finezza e di acidità importanti capaci di narrare nel tempo la grandezza di questi tre vitigni di riferimento per il territorio”. L’annata 2021 è stata tra le migliori degli ultimi anni assieme alla 2016 e 2019. “Fin dall’inizio della vendemmia, il 2021 prometteva di diventare un fuoriclasse per i vini bianchi, con rese più basse ma con uve dal lungo potenziale evolutivo” continua Kofler, evidenziando che questa annata “ha permesso il compimento della evoluzione stilistica già in atto con le ultime uscite della Grande Cuvee”.


Fondata nel 1893, Cantina Terlano (Kellerei Terlan) conta oggi 143 soci che coltivano un totale di circa 190 ettari all’interno di un cratere vulcanico millenario, con una produzione esclusivamente di vini Doc (per il 70% bianchi e per il 30% rossi) che si aggira intorno agli 1,5 milioni di bottiglie all’anno. Foto di Hannes Unterhauser